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CAPITOLO I.
DA POETA “A BRACCIO” A PREMIO OSCAR: UN CONTADINO CHE
GUARDA OLTRE
I.I
Vergaio: l’inizio
La frase riportata in prima pagina, riguardante il ringraziamento che Benigni fa ai suoi
genitori per avergli dato il dono più bello, la povertà, e per la lezione di vita
impartitogli, è spiritosa, ma allo stesso tempo ricca di significato. Pronunciata dal
comico durante il discorso per la consegna dell’Oscar come miglior film in lingua
straniera al suo La vita è bella, suscita un riso generale tra la folla della sala del Dorothy
Chandler Pavilion, come lui è solito fare durante le sue apparizioni in pubblico. “Buttato
lì” così, l’enunciato non è altro che un detto scherzoso di Roberto, ma che ad un’attenta
analisi può rivelarsi significativo. Egli nasce proprio in questo modo, come esprime la
frase: povero. Viene alla luce il 27 ottobre 1952 a Manciano La Misericordia, una
frazione di Castiglion Fiorentino (provincia di Arezzo, Toscana), dove i genitori si
erano trasferiti in seguito al secondo conflitto mondiale. Immerso nella tradizione
contadina toscana, insieme alle tre sorelle maggiori Albertina, Bruna e Anna, Roberto
cresce tra musica, poesie, racconti popolari e la semplicità della campagna. Un piccolo
contadino, o meglio, aiutante del babbo Luigi nei campi e della mamma Isolina nelle
faccende domestiche. Come molte famiglie contadine italiane degli anni ‘50, i Benigni
dovettero affrontare l’emigrazione, ovvero lo spostamento postbellico verso poli
industriali a Nord della penisola, a favore di un’economia che privilegiava, appunto, il
settore dell’industria e lo sviluppo delle grandi città. Così, nel 1958, Roberto ed i suoi
familiari si trasferiscono ancora una volta, più a Nord, a Galciana, una frazione di Prato,
sempre in Toscana. Qui il padre Luigi inizia a svolgere lavori occasionali come operaio
alle linee ferroviarie e “contrabbandiere di polli” (rivende giacche e pantaloni ai
contadini di Arezzo in cambio di polli e galline, che distribuisce a Prato con dei piccoli
guadagni), in attesa di un’occupazione stabile per sé e per i propri familiari, e di quel
vano “miracolo economico” che tutti gli italiani del tempo inseguivano. Gli anni ’60
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portano stabilità economica ai Benigni, che decidono di spostarsi verso un’altra frazione
di Prato, ovvero Vergaio. Il padre e le figlie trovano occupazione nell’industria mentre
la madre svolge qualche lavoro a domicilio. In questo contesto Benigni, passando dalle
silenziose campagne alle rumorose e inquinate città industriali, ricorda: “mi sembrava di
vivere dentro un trenino fantasma senza pagare nulla.”
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I genitori di Roberto, non
avendo la disponibilità economica di far studiare equamente tutti i loro quattro figli,
inviano unicamente lui verso la continuazione della carriera scolastica. I primi anni di
elementari sono un po’ difficoltosi, in relazione al nuovo ambiente in cui integrarsi ed
alle difficoltà dialettali riscontrate. Egli è “piccolino, il più piccolo della classe ma
anche il più vivace. Vendeva barzellette e le vendeva a un decino l’una, poi con
l’inflazione le portò a due decini.”
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Frequenta le scuole medie a Prato e, terminati gli
studi, nel 1966 si reca a studiare per un periodo breve dai Gesuiti di Firenze, costretto
presto a tornare a casa per un’alluvione. Segue anche il circo Modin, un’esperienza che
segnerà molto le sue rappresentazioni comiche ed il suo modo di esprimersi come
attore. Saltellante, con una grande abilità acrobatica ed elasticità corporea. Sono costanti
che il Benigni attore mostra spesso nei film e non solo (basti pensare alla premiazione
Oscar del film La vita è bella come miglior film in lingua straniera, nel 1999, quando
Benigni, alla sua nomina, balza in piedi sulle poltrone del Dorothy Chandler Pavilion
come un equilibrista, per poi salire i gradini verso il palco saltellando), derivanti
appunto dalla sua, seppur breve, esperienza circense come funambolo, acrobata,
giocoliere e clown. Il passaggio Medie inferiori – Medie superiori viene sancito con
l’iscrizione all’“Istituto per il Commercio Francesco Datini”, dove Benigni inizia a
coltivare la passione per la lettura. Nel tempo libero pomeridiano, infatti, si diverte a
cercare libri di ogni qual genere, dimenticati o scartati dai camion che passavano per le
case di Prato a prendere le robe vecchie. Benigni si distingue per il suo interesse in
materie letterarie, mentre gli “vanno meno a genio” quelle tecniche. È proprio durante i
suoi studi al Datini che Roberto mette in scena le sue prime serate di cabaret, a fianco di
una piccola occupazione come barista alla Casa del Popolo di Vergaio. Fin da bambino
Benigni è attratto dall’avere un rapporto con gli altri e dal parlare in pubblico. È per
questo che all’età di soli tredici anni diviene solito a improvvisare per le campagne e per
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Massimo Martinelli, Carla Nassini e Fulvio Wetzl, Benigni Roberto di Luigi fu Remigio, 1997, Leonardo
Arte, Milano, cit., p. 48.
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Intervista del febbraio 1997, op. cit.
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le feste dell’Unità delle sfide di canzonette in rima, le poesie dette “a braccio”. Roberto
è il più giovane tra i “Bernescanti”, gli improvvisatori in ottava rima e, coltivando la
passione e gli insegnamenti dei “più grandi”, farà il suo grande debutto in una serata
poetica nel maggio del 1981, a fianco di Edilio Romanelli e Libero Vietti, famosi poeti
toscani d’improvvisazione del tempo. Ciò che più in assoluto attrae il giovane Benigni è
il mondo dello spettacolo. Da ragazzino tenta così di seguire la strada di una tra le sue
grandi passioni, la musica. Già da adolescente, Benigni compone canzoni con la sua
chitarra e a quattordici anni sostiene un esame S.I.A.E., per poi recarsi a Milano
tentando invano di entrare nel “Clan”, la casa discografica del suo idolo musicale,
Adriano Celentano. Tornato a Vergaio, vuole tentare il sogno della band musicale, con
alcuni suoi amici, ma la sfiducia dei genitori, a parte il padre di Roberto, fa sciogliere il
gruppo. Prosegue quindi una fila di insuccessi e beffe, nel tentativo di essere lanciato
come cantante e di incidere un disco con le canzonette che aveva composto, perdendo
vari risparmi che il padre Luigi aveva messo da parte. Amareggiato ma non avvilito,
Benigni si butta convinto sullo spettacolo. Organizza così con il “Ridotto del
Metastasio” (sala del teatro Metastasio, a Prato), in breve tempo e con pochi mezzi,
un’esibizione di cabaret per il Datini sulla base di alcuni monologhi comici che aveva
scritto assieme alle canzoni, e viene apprezzato molto dal pubblico. Negli anni ’60, il
Metastasio si afferma gradualmente e diviene a livello nazionale uno dei più importanti
centri di sperimentazione teatrale. Benigni frequenta molto questo ambiente, in
particolare segue da auditore le rappresentazioni di un gruppo di filodrammatici guidati
dal critico Paolo Emilio Poesio, che cambiano il nome del teatro in “Teatro Studio”. La
differenza di Benigni è che “mentre altri auditori assistevano alle sedute ‘bravi e zitti’
lui – ricorda Poesio – ‘rompeva le balle a tutti e veniva sistematicamente cacciato’”
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. È
il regista Paolo Megelli, che sostituisce Poesio alla guida del Teatro Studio, a dare la
tanto sperata opportunità a Benigni. L’opera di debutto sulle scene è Il re nudo di
Eugenij Schwarz, diretto appunto da Megelli, dove Roberto esordisce interpretando un
ruolo secondario. La prima è del 24 gennaio 1972 e viene messa in scena al Metastasio,
per poi essere replicata e rappresentata in altre zone locali. Roberto a quei tempi è
iscritto alla facoltà di Biologia, ma le esibizioni messe in atto lo convincono sempre più
che la strada giusta da intraprendere è quella del teatro. Avviene così un incontro
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Prato al cinema, cit., p. 110, op. cit., pp. 68-69.
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importante di Benigni, quello presentato dall’amico Luigi Delli, ovvero con gli attori
Carlo Monni e Donato Sannini. Benigni e Monni divengono subito inseparabili.
Organizzano monologhi e comizi improvvisati per le piazze durante le festività, facendo
esperienza e divertendosi come non mai. Finché la svolta, la vera svolta. È il 4
settembre 1972. Benigni, Monni, Sannini e lo scenografo Aldo Buti. Quattro amici
Toscani decidono di partire alla volta di Roma, sognando il teatro ed il cinema. La città,
in quegli anni, rappresenta la capitale del teatro italiano, e Benigni vuole sfondare come
attore proprio lì, nonostante a Vergaio gli unici a credere nel suo futuro sono i
componenti della sua famiglia. Ricorda la sorella Anna:
Mi ricordo io lavoravo allora per conto mio, ero artigiana,
quando partì, nel ’72, e mi dicevano, dove lavoravo: “Eh, lo sai,
dice, chissà che fa il tu’ fratello, fra un anno è bell’ a ccasa, che
ti credi.” E mi ricordo che allora io gli dissi: “Allora si fa una
scommessa, io non dico che sia ora, fra un anno, ma non starà
tanto, il mi’ fratello diventerà uno dei più grandi artisti del
mondo. Non d’Italia, del mondo...”
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Nonostante le difficoltà iniziali economiche e di integrazione, il gruppo grazie a Sannini
accede ai teatrini romani sperimentali più conosciuti a quel tempo: i Satiri, il Beat 72 e
l’Alberichino (in realtà Roberto inizia già a farsi strada nel mondo della TV, che lo
accoglie per la prima volta come comparsa in una scena della fiction Sorelle Materassi,
di Mario Ferrero, trasmessa in Prima Visione dalla RAI nel settembre-ottobre 1972). “Il
Fantasma dell’opera”, nome della loro compagnia, si cimenta nella prima
rappresentazione il 15 ottobre dello stesso anno, mettendo in scena I Burosauri di
Silvano Ambrogi, con Sannini che cura la regia. Lo spettacolo, dove Benigni interpreta
un ruolo secondario, va molto bene e viene quindi replicato e portato fuori Roma.
Sannini apre così le porte ai suoi compaesani verso il teatro d’Avanguardia, che in
quegli anni è al massimo splendore. È sempre Sannini a presentare a Roberto l’attrice
Lucia Poli, con la quale partecipa ad alcuni spettacoli da lei scritti, come Le Fiabe del
Basile e La contessa e il cavolfiore. Conosce poi Marco Messeri, assieme al quale
collabora per alcune rappresentazioni, a fianco di Lucia, come La Metamorfosi. Roberto
decide poi, nel 1974, di formare assieme a Lucia, al suo compagno Giuseppe Bertolucci,
Aldo Buti e, marginalmente, Sannini e Gianfranco Varetto, il gruppo di sperimentazione
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Intervista a Luigi, Isolina ed Anna Benigni, febbraio 1997, op. cit., p. 71.
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teatrale “Le parole, le cose”, ed è qui che nasce la sua profonda amicizia con Bertolucci,
che darà una svolta alla sua carriera. Quest’ultimo infatti consiglia a Benigni varie
letture, da Pinocchio alle poesie di Walt Whitman, dal Gargantua di Rabelais a Le
memorie del Sottosuolo di Dostoevskij. È così che Benigni rivede se stesso, il monello
toscano, appassionato di poesia e letteratura, critico della società del tempo. È così che
nasce Cioni Mario di Gaspare fu Giulia, il personaggio che lo porterà alla notorietà.
Assieme a Bertolucci ne scrive il copione, un monologo forte, dove “il Cioni” esprime
tutti i risvolti della vita del proprio paese di origine. La memoria di secoli di civiltà
contadina e dell’immaginario popolare, “fatto di sesso, escrementi, dolore, bestemmie e
poesia”.
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I due colleghi decidono di sperimentare il monologo prima in Toscana,
piuttosto che a Roma, dati i suoi termini scandalosi. Effettivamente, nemmeno il
pubblico toscano, composto da contadini e operai, era preparato ad uno spettacolo
simile, abituato ad ascoltare la voce della classe media-intellettuale. Dice Massimo
Martinelli:
Il “popolo comunista” era allora uno dei più tradizionalisti; due
metri più in là, ai tavoli della briscola o al bar si “bociava” e si
urlava ogni tipo di bestemmie e parolacce con la massima
tranquillità, ma non si era ancora preparati a sentir dire le stesse
cose da un palcoscenico.
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A Roma le cose cambiano. “Il Cioni” riscuote infatti un enorme successo, seppur non
immediato. La prima rappresentazione è quella del 18 dicembre 1975, all’Alberichino,
dove ad assistere vi sono poche persone. Così anche per le due successive repliche,
finché le recensioni sui giornali locali divengono entusiaste della nuova forma di
spettacolo. Alle repliche accorre sempre più gente. Benigni ed il compagno Bertolucci
partono per varie tourneés, allontanandosi definitivamente dai primi compagni teatrali.
“Il Cioni” viene quindi richiesto in televisione. È Massimo Fichera che con la sua Rete
Due ingaggia Benigni e Bertolucci per il piccolo schermo. Nasce così Televacca,
chiamata poi Onda libera (scritta assieme a Beppe Recchia e Umberto Simonetta), e
Vita da Cioni (ideata assieme a Giancarlo Governi). Le due trasmissioni (la prima in
chiaro dal 19 dicembre 1976 al 9 gennaio 1977; la seconda dal 13 ottobre 1978 al 3
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Massimo Martinelli, Carla Nassini e Fulvio Wetzl, Benigni Roberto di Luigi fu Remigio, 1997,
Leonardo Arte, Milano, cit., p. 82.
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Ivi, p. 83.