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INTRODUZIONE
Alla base di questa tesi vi è l’analisi della figura della donna e del suo ruolo in ambito
politico, sociale e familiare in un periodo compreso tra il II secolo a.C. e l’inizio del I secolo
d.C., cioè, tra la tarda repubblica e la prima età del principato della Roma antica. In particolare,
la mia dissertazione pone una particolare attenzione sulle figure femminili che furono di
importanza vitale per la continuazione, e per l’esistenza stessa, della dinastia Giulio-Claudia.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire questo tema sono da ricercare nel
poco spazio che ancora oggi viene abitualmente dato alla figura della donna, soprattutto rispetto
alle figure maschili, in ambito scolastico. Il mio interesse è quindi scaturito dalla curiosità di
comprendere meglio il ruolo della figura femminile nel corso della storia, purtroppo spesso
trascurato, e farlo tramite l’analisi di uno dei periodi, e di una delle civiltà, che maggiormente
influenzano, ancora oggi, la nostra cultura.
L’obiettivo di questa tesi di laurea è quello di proporre una ricostruzione di alcuni aspetti
della condizione femminile nel mondo romano, attraverso la lettura che ne hanno dato tre opere
recenti che illustrano la posizione della donna, e più specificatamente, della matrona, attraverso
anche esempi, per poter meglio comprendere quali fossero, all’epoca, le possibilità di azione di
una moglie, di una madre, di una sorella o anche di un’amante. L’elaborato, in questo modo,
mira a proporre una chiave di lettura della storia romana diversa da quella che ancora oggi è la
più comune nella comunicazione a un pubblico più ampio di quello degli addetti ai lavori,
Lo studio è stato condotto prendendo in esame tre volumi: Le custodi del potere: Donne
e politica alla fine della repubblica romana, di Francesca Rohr Vio; Domina. The women who
made imperial rome di Guy de la Bedoyere; Matronae in domo et in re publica agentes, Spazi
e occasioni dell’azione femminile nel mondo romano tra tarda repubblica e primo impero, una
raccolta di saggi a cura di Francesca Cenerini e Francesca Rohr Vio. Attraverso questi testi ho
avuto la possibilità di approfondire in modo specifico la storia di alcune di quelle figure
femminili che ebbero la possibilità di ottenere differenti forme di potere nella Roma antica.
La tesi è articolata in tre capitoli: nel primo capitolo, attraverso l’analisi della
monografia di Rohr Vio, ci si sofferma in modo particolare su quale fosse il ruolo della donna
e l’archetipo al quale avrebbe dovuto uniformarsi nella Roma tardo repubblicana. Nel secondo
capitolo, sulla scorta dell’opera di De la Bédoyère, sono riportati diversi esempi di donne che
cambiarono, in bene e in male, il corso della storia del principato, e quali metodologie
utilizzarono per raggiungere i loro scopi. Il terzo capitolo si concentra sull’analisi di quattro
saggi raccolti nella miscellanea di studi a cura di Cenerini e Rohr Vio, incentrati su episodi e
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personaggi che sono decisivi per la comprensione dell’azione matronale; inoltre, questo volume
permette di realizzare un confronto sui temi della donna e della famiglia nel mondo romano tra
studiosi di formazione, competenze e nazionalità diverse, attraverso un’interpretazione critica
della documentazione antica. Nella conclusione, infine si procederà a riassumere e commentare
i dati raccolti, esponendo gli elementi più rilevanti dell’indagine svolta, permettendoci di
comprendere se le figure femminili furono, oppure no, artefici di fondamentali mutamenti nella
storia e se le loro azioni scaturirono da un’attiva ricerca di emancipazione o solo dalle
circostanze in cui esse si trovarono.
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CAPITOLO I
LE CUSTODI DEL POTERE
Francesca Rohr Vio, autrice del libro Le custodi del potere: Donne e politica alla fine
della repubblica romana trattato in questo primo capitolo
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, descrive come fin dall'età arcaica,
nella Roma antica, la politica fu sempre una prerogativa totalmente maschile, infatti, solo gli
uomini potevano ricoprire cariche magistratuali e militari, mentre le donne, al contrario, erano
obbligate all'applicazione di un modello di comportamento specifico, che comprendeva in un
insieme di virtù, ma che le escludeva dalla gestione della cosa pubblica. Esse dovevano avere
un aspetto piacevole, perché questo era traduzione della bellezza del loro animo, dovevano
praticare la fedeltà coniugale così da garantire la paternità dei figli; le matrone, donne dell’élite,
dovevano inoltre mantenere un atteggiamento di riserbo, prestando attenzione ai propri gesti e
al proprio abbigliamento, infatti, l’eccessiva esposizione del proprio essere era considerato un
modo per attirare l’attenzione di estranei. Le donne, in epoca romana, erano chiamate ad essere
mogli e madri, operando all'interno del perimetro domestico, al quale era limitato il loro campo
di competenze, era richiesto loro un uso misurato della parola, e solamente in ambito privato.
Questi canoni di comportamento rimasero pressoché immutati nel tempo, nella
mentalità romana, infatti, l’innovazione era guardata con sospetto e questi principi rimasero il
parametro di valutazione della condotta di ogni donna per secoli.
1. Il ruolo della donna
Il primo momento, registrato, di un deciso intervento delle matrone nella scena politica
della Roma repubblica lo abbiamo tra la metà del II secolo a.C. e l'inaugurazione del Principato
augusteo, quando conflitti interni stavano irrimediabilmente lacerando Roma. La latitanza di
numerosi individui appartenenti al ceto dirigente, causata dai contrasti civili, fu in parte coperta
dagli interventi di alcune donne, che, in modi diversi, interferirono nella politica dell'Urbe. La
loro intercessione scaturiva dalla necessità di rappresentare e sostituire questi uomini per
cercare di mantenere il potere presso quelle famiglie su cui si reggeva il sistema oligarchico: le
matrone della tarda repubblica agirono come custodi di un potere che passava ormai almeno in
parte dalle loro mani.
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Rohr Vio 2019.
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Il documento epigrafico chiamato Laudatio Turiae
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, elogio di un marito alla propria
moglie, attesta come l'entrata delle donne in politica in questo secolo fosse talvolta considerato
perfino degno di apprezzamento; testimonia, inoltre, in che modo si attuasse il processo di
legittimazione: l'invocazione dell’emergenzialità, causata dalla guerra civile, permetteva il
ricorso all’aiuto delle donne, attraverso la connessione con la pietas, la devozione alla famiglia,
una delle virtù fondanti del modello femminile. Grazie a ciò, alcuni racconti leggendari
riconoscono proprio a figure femminili il ruolo di motore delle trasformazioni e di presenza
costante nei momenti decisivi della storia di Roma. Queste leggende, inoltre, sembrano voler
costruire precedenti legittimi per le iniziative femminili future, ponendo le donne al centro di
fasi di transizione, anche se sempre con motivazioni derivate da un complesso di valori come
la famiglia, la patria, la pudicizia, tutti appartenenti alla sfera delle virtù muliebri.
Nel II secolo a.C., si attuò una trasformazione del modello femminile in seguito ai
cambiamenti che investirono l'intera società romana come esito del suo rapido arricchimento,
l'espansione promossa tra il IV e il II secolo a.C. accrebbe in modo esponenziale il benessere e
liberò la componente femminile della famiglia da compiti assolti ora da manodopera schiavile.
Le conquiste, inoltre, portarono a Roma pedagoghi che contribuirono alla formazione culturale,
oltre che degli uomini, anche delle donne dei ceti elevati, ciò contribuì a diffondere una nuova
mentalità, supportata dalla disponibilità di un patrimonio librario in aumento e dai contatti
sempre più rilevanti per quantità e qualità con realtà culturali diverse. Progressivamente mutò
insieme al resto la condizione giuridica e finanziaria delle donne, che con il tempo si libera del
tutore, in precedenza responsabile giuridico delle donne e tramite necessario per le loro attività
economiche. Gli uomini iniziarono a partecipare alle occasioni conviviali insieme con le donne
della famiglia, che potevano così osservare e apprendere, avvicinandosi a competenze in
precedenza a loro precluse.
Le possibilità di una matrona di agire in politica erano chiaramente strettamente
collegate alla sua famiglia di origine, o della famiglia acquisita tramite il matrimonio, le donne
che interferirono nella vita della repubblica nel I secolo a.C. operarono, infatti, nelle vesti di
figlie, madri, sorelle e mogli. A partire dalla seconda metà del II secolo a.C., però, mutò il ruolo
della donna nella società, con l'aprirsi di quelle che potremmo definire nuove opportunità di
azione.
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L’iscrizione è pubblicata come CIL VI, 1527 e ripresa in CIL VI, 31670 e in CIL VI, 37053; cf. anche ILS 8393
e le schede dell’Epigraphik Datenbank Clauss-Slaby EDCS-60700127 e dell’Epigraphic Database Roma
EDR093344; per un commento vedi da ultimo cf. Osgood 2014; Franco 2016, pp. 137-163; Rohr Vio 2019, p. 12.
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L'accentuarsi del peso politico di alcune occasioni private, o di contesto pubblico, ma
non istituzionale, agevolò l’acquisizione da parte delle matrone di un ruolo nuovo, peraltro
secondo modalità che in diverse situazioni possono ritenersi conformi ai valori tradizionali. Le
fonti raramente testimoniano l'interferenza delle matrone nella scena politica in questo arco
temporale, ma Tacito ci delinea un quadro molto chiaro: «Un tempo tenute a freno dalle dalla
legge Oppia ed altre, ora le donne, venuti meno tutti i divieti, spadroneggiano in casa, nel foro,
perfino nell'esercito»
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2. I legami matrimoniali
Un’altra attestazione del cambiamento è rappresentata da un passaggio del biografo
greco Plutarco che descrive le decisioni attraverso cui si istituì il primo triumvirato. Nella sua
testimonianza ampio spazio è riservato a fidanzamenti e matrimoni; il commento di Marco
Porcio Catone, allora ostile ai triumviri Cesare, Pompeo e Crasso per le sue posizioni politiche
conservatrici, chiarisce le strettissime relazioni tra questi aspetti della vita privata dei cittadini
e la politica della comunità:
Nell'intento di guadagnarsi ancor di piú il sostegno di Pompeo, Cesare fidanzò a lui
la figlia Giulia, che già era fidanzata a Servilio Cepione, e promise di dare a Servilio
la figlia di Pompeo, neppur essa libera, ma già promessa a Fausto, figlio di Silla.
Poco dopo Cesare sposò Calpurnia, figlia del Pisone designato console per l'anno
successivo, cosicché Catone con forza protestò gridando che non si poteva tollerare
che lo Stato fosse prostituito a progetti matrimoniali, e che per mezzo di donnette
da quattro soldi si operasse una spartizione di province, cariche militari e
magistrature civili
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Dal II sec. a.C., inoltre, il patrimonio femminile, cioè la dote e i beni fruibili della stessa
sposa, rappresentavano un allettante obiettivo. La durata dei matrimoni nell’Urbe era molto
incerta, le necessità della politica, infatti, incoraggiavano il divorzio, nonostante il modello
femminile favorisse l'univirato, ovvero il legame con un solo coniuge nel corso della vita, la
rilevanza delle unioni era politica, la loro funzione principale risiedeva nella procreazione,
ideata attraverso una pianificazione familiare, risultato di valutazioni private, ma anche
dell'interesse collettivo. La nascita di figli legittimi assicurava eredi che avrebbero garantito
continuità al lignaggio del padre, e che, di generazione in generazione, avrebbero esercitato il
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Tacito, Annali, III 33; cf. Rohr Vio 2019, p. 16.
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Plutarco, Vita di Cesare, 14, 8; cf. Id., Vita di Pompeo, 47; 70, e Vita di Catone Minore, 31, con il commento di
Rohr Vio 2019, p. 19.