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Introduzione
Questo lavoro di tesi nasce dal desiderio di approfondire una tematica che non sempre viene
affrontata in modo dettagliato negli studi conseguiti: il delirio.
Nel particolare ho deciso di trattare la Folie à Deux. Gli studi su questo particolare disturbo si
devono agli interrogativi e alle ricerche posti da Lasègue e Falret nel 1877.
Nel primo capitolo si affrontano i deliri, disturbi difficili da definire e complessi da trattare,
ponendo l’accento sulle differenze eziopatogeniche. Il focus di queste differenze ricade sulle
condizioni bio-psico-sociali della persona sofferente, confermando che tutti potrebbero in
potenza essere affetti da un delirio. Inoltre, si vanno a delineare le differenti aree tematiche del
disturbo delirante, prestando maggior spazio alle ideazioni persecutorie, di grandiosità e di
religione.
Nel secondo capitolo si entra nella prima parte del tema proposto dall’elaborato: la Folie à
Deux. Si vuole in questa sezione fornire una panoramica storica di questa forma di delirio,
mettendone a confronto l’evoluzione della terminologia relativa. Inoltre, si riferisce, l’esempio
di un caso clinico a prova del fatto che tutti possono esserne affetti, ma affermando che la
vicinanza con una persona psicotica ne favorisce la diffusione. Al termine di questa parte,
verranno affrontate le coppie criminali, diadi di persone coinvolte in un delirio per moventi
sempre diversi, ma che rispecchiano le caratteristiche di incube e succube della Follia a Due.
Chi affronterà questa lettura, nell’ultimo capitolo ritroverà una delle tematiche più controverse
e più preoccupanti della storia: le Sette. Verranno affrontati diversi temi ad esse legati quali la
struttura, la manipolazione mentale, la dissonanza cognitiva, il modello BITE e le modalità di
uscita. Come ultimo argomento verrà trattato il caso criminologico di Charles Manson e della
“Family” da lui costituita, presentando poi un’analisi di questo uomo e del suo culto in termini
di delirio, Folie à Deux, traumi dello sviluppo e attaccamento.
Nella conclusione si profila la possibilità di sviluppare una linea di interrogatorio propria per i
membri delle Sette, seguendo la Reid Technique (Inbau, Reid, Buckley & Jayne, 2013).
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Capitolo I
1 I deliri
Per poter meglio affrontare la folie à deux, nucleo centrale dell’elaborato, è necessario
e doveroso comprendere prima i deliri. I deliri possono essere considerati come delle idee, false
e incontestabili, o come convinzioni che non possono essere riferite al background
dell’individuo (Freeman, 2007); il paziente tende quindi ad affermarle con forte convinzione
(Oyebode, 2009; Hamilton, 1978). A livello soggettivo o fenomenologico esse non sono
riconoscibili dalle convinzioni vere: il paziente riconosce la fantasia con riluttanza e fornisce
delle ragioni al fine di provare le sue convinzioni vere, come una persona le fornisce per provare
le sue idee (Oyebode, 2009); per esempio, più una convinzione è inverosimile, infondata,
fortemente sostenuta, non condivisa da altri, angosciante e preoccupante, più è probabile che
venga considerata un'illusione (Freeman, 2007).
Un osservatore esterno, però, riesce a discernere se una falsa convinzione sia dovuta da
un’errata interpretazione dei fatti piuttosto che da un delirio. Ad oggi i deliri vengono spesso
riportati nell’ICD-10, ma senza una vera e propria definizione (Oyebode, 2009; WHO, 2010).
Significativo è il contributo di Kendler e collaboratori (1983) nel fornire delle dimensioni di
gravità delle false convinzioni le quali, tuttavia, sono tra loro poco correlate:
• Convinzione: il grado di convinzione del paziente sulla realtà della credenza
delirante;
• Estensione: il grado di coinvolgimento delle aree di vita del paziente nel delirio;
• Bizzarria: il grado in cui la credenza delirante si discosta dalla realtà
consensualmente accettata in quella cultura;
• Disorganizzazione: il grado in cui la credenza delirante ha una consistenza
interna, una logica e una sistematizzazione;
• Spinta: il grado in cui il paziente è preoccupato e coinvolto dalle credenze
deliranti che esprime;
• Risposta affettiva: il grado di coinvolgimento emotivo del paziente in tali
credenze;
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• Il comportamento deviante che risulta dalla credenza delirante: alle volte i
pazienti potrebbero agire in base ai loro deliri
Ci sono stati, naturalmente, molti commenti sui limiti delle definizioni delle convinzioni
deliranti in generale, in quanto la maggior parte dei criteri non si applica a tutte le forme di
delirio. Questa difficoltà deriva in parte da problematiche epistemologiche nel determinare il
referente di un nome mediante un unico insieme di caratteristiche necessarie o sufficienti
(Kripke, 1980).
1.1 Le tipologie di delirio
Sebbene i deliri non abbiano una definizione chiara possono comunque essere distinti in
primari e secondari, dove per primari si vuole intendere che l’ideazione erronea non è una
risposta a un’altra psicopatologia e, per secondari si comprendono quelle circostanze in cui la
falsa credenza è comprensibile come una pervasiva alterazione dell’umore o in relazione alla
propria cultura e quindi al background personale. Come detto, un delirio può svilupparsi sia
nelle condizioni in cui tendono ad evolvere le altre idee (nel contesto di percezione, ricordo,
atmosfera) sia essendo autoctono, sembrando spontaneo; queste quattro condizioni di
percezione, memoria, umore e stato interno risultano indispensabili al fine di comprendere
l’origine e i sottotipi dei deliri (Oyebode, 2009).
Di essenziale caratterizzazione, per distinguere le due macro aree di questa psicopatologia, è la
presenza di insuperabile incomprensibilità nei primari (il terapeuta tenterà di comprendere
dall’esterno senza veramente essere in grado di esperire a livello empatico la condizione del
paziente; non si può nemmeno comprendere il suo sviluppo) e la presenza di comprensibilità
nei secondari qualora sia fornita una dettagliata anamnesi (Oyebode, 2009).
Jaspers (1964) distinse i veri deliri o deliri propri dalle idee simil-deliranti. I primi vengono
visti sotto la chiave dei deliri primari e le seconde dei secondari. Queste idee simil-deliranti
sono riconducibili alle esperienze di vita, allo stato emotivo presente, alle credenze del gruppo
di appartenenza e alla personalità e per questo comprensibili; i veri deliri, inspiegabili, non
possono essere classificati e vengono divisi in:
• Deliri autoctoni (intuizioni deliranti): sembrano manifestarsi all’improvviso, non
distinguibili a livello fenomenologico dalle idee improvvise normali; i pazienti e le
persone normali presentano difficoltà nello spiegarne la comparsa. Con Schneider
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(1959; 1980) avviene, inoltre, un cambio di terminologia volto a significare la
subitaneità della credenza delirante e per evitare possibili confusioni con le idee simil-
deliranti: Wahneinfall, o intuizione delirante. Essendo un’intuizione subitanea, essa si
verifica in un unico momento mentre la percezione delirante avviene in due (percezione
e interpretazione erronea); questi due fenomeni sono autoriferiti e significativi per la
persona che soffre.
• Percezioni deliranti (Wahnwahrnehmung): secondo Schneider (1949) si può
considerare all’essenza della percezione delirante l’attribuzione ad una percetto reale
un significato abnorme, senza presentare una causalità emotiva o razionale
comprensibile; si presenta come autoriferita, urgente, di grande significato per il
paziente. Come sottolinea Oyebode (2009), però, questa percezione delirante, sebbene
esperienza diretta di un significato relativo ad un particolare percetto normale, non si
accorda con credenze già esistenti, ma genera nuovi significati. Infatti, gli organi di
percezione rimangono inalterati e solo l’attribuzione del significato delirante conduce
alla percezione delirante (Oyebode, 2009). Alla percezione e all’attribuzione seguono
altri due stadi: l’oggetto diviene significativo in un campo di sensazioni ed è percepito
(percezione visiva); l’oggetto è investito di un significato delirante. Questi due stadi
non sono necessariamente simultanei e possono intercorrere anche lunghi periodi tra di
essi (Oyebode, 2009).
• Atmosfera delirante: per il paziente che esperisce questa condizione il mondo inizia a
cambiare in modo quasi impercettibile; tutto intorno sembra come sinistro, portentoso,
peculiare, ignoto, indefinibile (Oyebode, 2009). Ciò che riconosce è di essere coinvolto
in questo mutamento, ma non come. Potrebbe presentare una forma di premonizione
che le parti della sua esperienza, al fine di rivelargli dei significati nascosti stiano per
riunirsi. Appare significativo, perciò, non il contesto di comparsa di percezioni deliranti,
bensì l’umore dell’atmosfera, o umore delirante; il paziente, si sentirà a disagio e in
apprensione, mentre dopo la formazione del delirio vivrà uno stato di sollievo rispetto
alla tensione dell’atmosfera delirante (Oyebode, 2009).
• Ricordi deliranti: si tratta di un’interpretazione insensata di un ricordo altresì normale;
può essere anche definito con il termine di delirio retrospettivo, ossia per spiegare in
termini deliranti un evento passato (Oyebode, 2009). Nel caso in cui il significato
delirante sia attribuito ad una percezione normale che l’individuo ricorda si tratta invece
di percezione delirante, in quanto mantiene inalterate le due caratteristiche necessarie
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(rappresentazione della percezione e attribuzione di significato) (Oyebode, 2009).
Bisogna evidenziare che non vi è un confine noto tra ricordo, percezione o intuizione
delirante poiché quello che si può evincere dall’esperienza della persona è una
descrizione dell’episodio psicotico; allo stesso modo non c’è distinzione netta tra evento
normale, percezione o idea passati e ricordati con un’attribuzione anomala e tra evento
delirante, percezione o idea passati ricordati con interpretazione delirante (Oyebode,
2009). Questo fenomeno, perciò, ha due linee interpretative. Il ricordo normale viene
inteso erroneamente nel presente oppure il vero ricordo è un falso creato da
un’interpretazione errata; questi due sono entrambi ricordi deliranti, e non è dato sapere
in che quantità l’evento sia delirante o reale (Oyebode, 2009).
1.2 All’origine del delirio
L’interrogativo alla base dello studio dei deliri è inerente alla loro origine. Questo permette di
analizzare fino a che punto essi si discostino o siano in linea con le normali credenze, per
definizione e, nell’eventualità essi siano tali, porre un esame delle loro modalità di sviluppo ed
espressive (Oyebode, 2009). Partendo da questo presupposto, il pensiero di Jaspers (1964)
prevedeva il delirio come fenomeno primario implicante un’alterazione globale della
consapevolezza della realtà; la credenza alterata, quindi, coinvolge e impegna l’attività concreta,
il comportamento e i significati intriseci degli oggetti portando ad una completa alterazione
dell’esperienza di realtà. Il mondo del paziente risulta così investito di nuovi significati e perciò
la realtà è sita nell’interpretazione, o nel significato dato agli eventi a ragione della credenza
erronea primaria (Oyebode, 2009).
Grazie all’apporto di Brockington (1991) sono stati delineati una serie di fattori coinvolti nella
formazione del delirio: disturbo del funzionamento cognitivo; influenze del temperamento e
della personalità; mantenimento dell’autostima; ruolo dell’emotività; risposta a un disturbo
percettivo; risposta alla depersonalizzazione; sovraccarico cognitivo.
Seguendo questo filo logico si andò a delineare la concezione della percezione delirante come
una chiave di comprensione della natura dell’esperienza delirante (Oyebode, 2009). Seguì, poi,
anche la considerazione inerente all’atmosfera delirante: essa è primaria, nasce per cause ignote
e risulta in un riassestamento dei significati del mondo del paziente, il quale, nella sua vana
ricerca di risposta al suo problema di comprensione, giunge infine al delirio; per la persona
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infatti, è più semplice sopportare la certezza della credenza alterata, piuttosto che
l’insicurezza dell’atmosfera. Per Jaspers (1964), a causa della malattia in sé, avviene una
mutazione della personalità che permette di gettare le basi per un’atmosfera delirante che, a
sua volta, darà alla luce l’intuizione delirante.
A seguito di queste teorie si assume che il delirio possieda due caratteristiche: primario e
incomprensibile. Questo può, inoltre, essere paragonato all’esperienza della realtà che per
Jaspers (1964) risulta essere primaria. Questa esperienza può anche avere un’implicazione di
tipo simbolico oltre l’evento stesso poiché la credenza simbolica inerente all’evento e le
percezioni risulta modificata nel delirio, perché la persona non agisce obbligatoriamente in base
alla spinta del disturbo; in altri termini l’atmosfera delirante non è una “conditio si ne qua non”
per l’intuizione delirante che potrebbe presentarsi anche da sola (Oyebode, 2009).
Secondo Oyebode (2009) alcuni autori, come Bleuler, hanno rinunciato a spiegare il delirio,
ritenuto del tutto incomprensibile e, alcuni hanno ripiegato la loro attenzione sull’alterazione
dell’affettività, un’espressione primaria rispetto alle su citate atmosfera e intuizione, in quanto
il contenuto della paranoia varia nel singolo caso, essendo importanti le convinzioni cariche di
affetti che variano a livello dimensionale (Freeman, Garety & Kuipers, 2001): essere convinti
di meritare un qualsiasi danno è un aspetto centrale del contenuto del delirio impiegato per
rilevare i livelli di angoscia ma non il tipo di paranoia coinvolta. Per Bleuler (1950)
l’esaltazione affettiva conduceva alla perdita della facoltà associativa, permettendo così lo
scaturire del delirio; riteneva, soprattutto per pazienti schizofrenici, esserci una situazione di
affettività estrema che essi stessi non riuscivano a esprimere.
Un altro autore ancora, Kretschmer (1927), mise in luce il rilievo della personalità sottostante
e, nello specifico, descrisse la personalità premorbosa sensitiva delle persone che mantengono
dei complessi di grande pregnanza affettiva e che possiedono limitate capacità espressive delle
emozioni; si tratta, infatti, di persone guidate dai loro forti sentimenti sessuali e che presentano
deficit nel comunicare la loro passione e a relazionarsi con gli altri. Questi individui sono
altamente coscienti delle regole sociali e sono fortemente controllati dal Super-io e, nonostante
la loro rigidità e sospettosità, riescono ad esprimere con facilità le idee sensitive di riferimento.
È possibile che col verificarsi di un’esperienza chiave, in determinate contingenze e circostanze
di vita, queste idee di riferimento si strutturino in deliri di riferimento (Kretschmer, 1927).
L’esperienza chiave qui nominata presenta due qualità fondamentali: deve avere carattere di
appropriatezza, si configurerà come l’idea dominante rispetto alle aree conflittuali della
persona; deve verificarsi in un momento di significativo disagio e turbamento emotivo, al fine
di predisporre il substrato psichico per l’evento catastrofico.
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Oltre a queste spiegazioni, sono stati avanzati dei tentativi di fornire un significato
comprensibile per tutte le tipologie di delirio, sia in termini di esperienze interiori e soggettive
sia del background sociale (Oyebode, 2009). Inoltre, risulta fondamentale la considerazione di
Westphal (Fish, 1967): se si sapesse ogni cosa inerente al paziente, allora si potrebbe far luce
sui suoi cambiamenti di opinione inerenti sé stesso e le nuove credenze, e il terapeuta sarebbe
in grado di fornire una spiegazione dell’errata credenza fortemente sostenuta.
Laing (2002), seguendo la corrente di autori che ricercavano la spiegazione del delirio
nei contesti sociali, considerava la fuga nella follia una difesa necessaria contro un’altresì
famiglia distruttiva. Secondo Colby (1977), invece, tra quattro teorie volte a spiegare i
fenomeni paranoidei risultò più appropriata e consistente quella che poneva le basi del rapporto
vergogna-umiliazione. Infine, Winters e Neale (1983) ritenevano che le teorie sul pensiero
delirante sviluppassero due temi cardine: motivazione e difettualità. Il primo spiega il
manifestarsi dell’evento al fine di rendere conto delle esperienze percettive insolite o per ridurre
stati psichici negativi. Il secondo implica dei deficit fondamentali di tipo attentivo-cognitivo
che risultano nel delirio.
Secondo Roberts (1991) è plausibile attribuire la formazione, elaborazione e
mantenimento dell’evento psicotico a molte influenze causali convergenti, ognuna delle quali
presenta un grado diverso di partecipazione. Di conseguenza il processo di ragionamento su
come arrivare a delle conclusioni inerenti a un evento esterno sembra essere alterato negli
individui che sono affetti da delirio. Da ciò Garety (1991) sviluppò il suo modello. Il modello
fonda sull’ipotesi che vi sia una causa comune nella modalità abnorme di elaborare le
informazioni per quelle persone che manifestano alterazioni del ragionamento e della
percezione; l’incapacità di applicare le conoscenze ottenute in precedenza sulle regolarità del
mondo, la quale comporta un eccesso di informazioni immediatamente disponibili, potrebbe
costituirsi come un fattore scatenante il delirio. Questo modello mette in evidenza le anomalie
presenti nei processi di pensiero associati ai deliri di pazienti schizofrenici. Secondo questa
teoria, i processi di giudizio implicati nella formazione delle credenze erronee comprendono
tre componenti:
a) Aspettativa pregressa che possano essere alterati dalle emozioni;
b) Disponibilità di informazioni contingenti, in condizione di essere colte dalle
percezioni soggettive;
c) Natura delle particolari distorsioni o stili di elaborazione delle informazioni.
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Ne consegue che, se le distorsioni percettive prevalessero sul ruolo dell’informazione distorta
allora, si avrebbe una ristrutturazione dei meccanismi di elaborazione (Garety, 1991); se i deliri
dovessero essere secondari rispetto al fenomeno allucinatorio, non si dovrebbe incorrere in
un’alterazione dei processi di ragionamento.
Questo modello cognitivo all’origine dei deliri, però, non è il solo rilevante. Un’alternativa
psicologica è derivata dalla teoria dell’attribuzione sociale. Infatti, secondo Kaney e Bentall
(1992) i pazienti deliranti attuano delle attribuzioni globali, stabili, esterne in modo eccessivo
per gli eventi negativi, come le generalizzazioni cognitive e, attribuzioni stabili e globali interne,
in modo eccessivo per gli eventi positivi, come il locus of control interno. Queste attribuzioni
vengono applicate per non ascrivere gli avvenimenti negativi, dei quali sono vittime, a sé stessi;
questo comportamento riluttante nell’attribuire gli eventi negativi si presenta anche se
giudicassero il comportamento altrui, evitando di assegnare questi avvenimenti alle vittime.
Quindi, i deliri di persecuzione presentano una funzione protettiva contro l’abbassamento
dell’autostima (Bentall, 1993). I pazienti affetti da delirio tendono ad applicare una valutazione
differente alle loro affermazioni causali, e la differenza dai pazienti, invece, depressi è tale da
sovrastare quella tra le affermazioni causali; la differenza, quindi, tra un delirante e un altro
individuo nel comprendere l’internalità degli eventi (positivi o negativi) non rispecchia le
differenze tra le loro affermazioni causali, bensì quelle tra le loro attribuzioni di significato alle
loro stesse affermazioni (Oyebode, 2009).
I deliri, dunque, si presentano come legati al significato personale e al confine del sé. Lo studio
inerente alle attribuzioni è stato ampliato con l’impiego di prove ovvie e prove neutre sullo stile
attributivo (Oyebode, 2009). Le prove ovvie, trasparenti, mostrano un locus of control esterno
riguardo le conseguenze negative, ma nei test più sensibili questa attribuzione risulta essere
superficiale; viene mostrata un’attribuzione a cause interne. Questa spiegazione supporta
ancora di più l’ipotesi avanzata del delirio come persecutorio il quale attua una funzione di
difesa contro sentimenti sottostanti la bassa autostima (Lyon, Kaney & Bentall, 1994; Oyebode,
2009). Quest’analisi della psicopatologia venne sostenuta da uno studio clinico. Al fine di
approcciare questa ricerca, occorre fare un passo indietro e presentare brevemente la tesi
sviluppata da Roberts (1991): i deliri, nel contesto della sofferenza schizofrenica, non sono un
aspetto della malattia in sé ma, una risposta adattiva a ciò che per l’individuo costituisce la
rottura psicotica. In questo studio sono stati messi a paragone pazienti deliranti cronici con
pazienti deliranti e in remissione e, con due gruppi non clinici (Oyebode, 2009).
È stato riscontrato che: i deliri persecutori erano comuni ad entrambi i gruppi clinici; quelli di
tipo erotico, grandioso e implicanti conoscenze speciali appartenessero per la maggior parte ai
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deliranti cronici. Sono state rilevate, inoltre, delle differenze significative tra i due gruppi di
pazienti: i pazienti con deliri cronici presentavano punteggi più elevati riguardo al significato
positivo della vita e minore a proposito di depressione e ideazioni suicidarie. Questo gruppo di
pazienti aveva, dunque, un elevazione nei punteggi inerenti gli scopi e i significati della vita;
la costruzione delle credenze erronee, così, risultava essere un modo adattivo di affrontare la
mancanza degli scopi, la solitudine, la disperazione, il senso d’inferiorità, l’isolamento e
consapevolezza dolorosa della rottura delle relazioni e procura un nuovo senso d’identità,
un’esperienza di libertà, una demarcazione di limiti e responsabilità, di protezione dalle rotture
passate, un passaggio da noia, depressione, preoccupazione e paura a sentimenti vitali e pacifici
(Oyebode, 2009).
A questo proposito, per meglio comprendere i deliri, risulta utile l’impiego della seguente
tabella messa appunto da Freeman (2007) al fine di riportare la multidimensionalità della natura
degli stessi:
Tabella 1 The multi-dimensional nature of delusions
CHARACTERISTIC OF
DELUSIONS
VARIABILITY IN CHARACTERISTIC
UNFOUNDED For some individuals the delusions reflect a kernel of truth that has been exaggerated. It can be
difficult to determine whether the person is actually delusional. For others the ideas are fantastic,
impossible and clearly unfounded.
FIRMLY HELD Beliefs can vary from being held with 100% conviction to only occasionally being believed
when the person is in a particular stressful situation.
RESISTANT TO CHANGE An individual may be certain that they could not be mistaken and will not countenance any
alternative explanation for their experiences. Others feel very confused and uncertain about their
ideas and readily want to think about alternative accounts of their experiences.
PREOCCUPYING Some people report that they can do nothing but think about their delusional concerns. For other
people, although they firmly believe the delusion, such thoughts rarely come into their mind.
DISTRESSING Many beliefs, especially those seen in clinical practice, are very distressing but others can
actually be experienced positively. Even some persecutory delusions can be associated with low
levels of distress.
INTERFERES WITH SOCIAL
FUNCTIONING
Delusions can stop people interacting with others and lead to great isolation and abandonment
of activities. Other people can have a delusion and still function at a high level including
maintaining relationships and employment.
INVOLVES PERSONA REFERENCE In many instances the patient is at the centre of the delusional system. However friends and
relatives can be involved and some people believe that everybody is affected equally.