Introduzione:
In questo preciso istante molto probabilmente l'ipotetico lettore, che si accinge a valutare il
presente testo, è circondato da strumenti elettronici come smartphone, tablet o da un personal
computer, i quali gli consentono un'ininterrotta connessione con il mondo, non solo a livello
locale ma totale. Luciano Floridi, un filosofo contemporaneo di Oxford, ha denominato tale
rapporto <<onlife>>
1
, riferendosi all'interazione informazionale costante in cui ciascuno di noi
è odiernamente immerso. La consapevolezza della progressiva dipendenza dell'uomo
contemporaneo nei confronti delle tecnologie digitali, che pervadono l'intera società, è stata la
causa che mi ha indotto a pormi un quesito: la filosofia morale, che ho studiato e apprezzato
durante la mia formazione universitaria, come si è confrontata con il moderno progresso
tecnologico? Ed è riuscita ad adeguarsi al cambiamento o è rimasta pressochè invariata nei
principi desunti fin dall'antichità? Le trasformazioni avvenute a livello personale e sociale,
come conseguenza della proliferazione dei nuovi e avanzati mezzi tecnici, sono evidenti, ma
occorre comprendere quale sia stato l'impatto morale di tali cambiamenti, oltre a considerare
se sia necessario anche una limitazione etica al progresso tecnologico, così esaltante ed
esaltato. Tuttavia, come anticipa la domanda iniziale, la morale sviluppata dagli albori della
filosofia oggi deve fronteggiare le incalzanti sfide della modernità, tra le quali si annoverano
l'invenzione della Intelligenza Artificiale, abbreviata in “IA”, o la comunicazione simultanea
e incessante permessa da Internet. In tutta la storia umana non sono mancate delle
speculazioni e fantasie letterarie sui suddetti temi: vengono descritti nell'Iliade omerica degli
automi <<portavivande>>
2
forgiati dal dio fabbro Efesto; nel medioevo si racconta <<la storia
del Golem, un essere artificiale fatto di argilla che è muto e privo di ragione, ma possiede
molta forza ed è in grado di portare a termine delle missioni>>
3
; in età moderna raggiunge una
clamorosa fama la novella gotica di Frankenstein di Mary Shelley, nel quale <<uno scienziato
svizzero crea un essere umano artificiale>>
4
, da cui viene perseguitato nel corso dell'intera
storia come punizione per la sua << ύβρις (ubris, la tracotanza)>>
5
, rintracciabile nella
1 Alessia Araneo, Un Robot per amico, in Luigi Alici e Francesco Miano (a cura di), L'etica nel
futuro, Napoli-Salerno, Orthotes Editrice, 2020, p. 241.
2 Fabrizia Abbate, Dal ritratto al geminoide. Senso e funzione del doppio robotico, in Luigi Alici e
Francesco Miano (a cura di), L'etica nel futuro, Napoli-Salerno, Orthotes Editrice, 2020, p. 235.
3 Julian Nida-Rümelin e Nathalie Weidenfeld, Umanesimo Digitale, Milano, FrancoAngeli, 2019,
p.16
4 Ibidem.
5 Giampaolo Ghilardi, Analogico digitale: l'ontologia della quarta rivoluzione industriale, in Luigi
Alici e Francesco Miano (a cura di), L'etica nel futuro, Napoli-Salerno, Orthotes Editrice, 2020, p.
313.
5
presunzione dello scienziato di creare un altro essere umano. I brevi esempi riportati,
all'epoca delle loro rispettive composizioni, erano rilegati al campo della mera fantasia, ma
oggi, come il lettore saprà, sono diventate realtà.
L'intero elaborato è la risultante di due sforzi: in primo luogo del mio lavoro di
apprendimento di varie opere che si sono occupate della relazione dialettica tra etica e
tecnologia, come in particolare i libri dell'Umanesimo Digitale di Julian Nida-Rümelin e
Nathalie Weidenfeld, dell'Etica della comunicazione di Adriano Fabris e L'etica nel futuro a
cura di Luigi Alici e Francesco Miano; in secondo luogo delle personali conoscenze acquisite
durante il mio percorso formativo presso l'università. Fin dal principio della trattazione rivelo
inoltre la volontà di instaurare un dialogo tra le nozioni morali dei pensatori del passato e le
problematiche attuali derivanti dal forsennato avanzamento tecnologico: così nasce il primo
capitolo dell'elaborato, intitolato Il mito di Gige: dialogo tra passato e presente, teso ad
edificare un ponte tra antichità e modernità, dimostrando oltretutto l'incredibile capacità dei
filosofi passati di fornire tutt'oggi delle chiavi di lettura per la complessa attualità. Pertanto
nel paragrafo iniziale, viene narrato un mito contenuto nella Repubblica di Platone, nel quale
vengono sfiorate svariate tematiche correlate con il mondo tecnologico attuale: temi come
l'utilitarismo, ripreso dai sostenitori moderni di una morale consequenzialistica, oggetto del
secondo paragrafo e l' “Effetto Gige”, riferito ai comportamenti aggressivi degli utenti
anonimi sul web, oggetto del terzo e ultimo paragrafo del primo capitolo. Nella seconda parte
dell'elaborato, denominata Un'etica applicata: etica della comunicazione digitale, si passa
dall'etica generale ad un'etica specifica, nata in tempi recenti ed incentrata sull'ambito
comunicativo. L'obiettivo di questo capitolo consiste nell'analisi dell'impatto dei mezzi di
comunicazione di massa sulla sfera etica, tentando inoltre di stabilire dei principi morali da
adottare nel corso di qualunque processo di interazione umana, anche non mediato dalle
attuali tecnologie. Pure nel secondo capitolo si protrae il fecondo collegamento tra autori del
passato, che hanno sviluppato numerose teorie di etica comunicativa, e problematiche del
presente. Nel capitolo conclusivo, ovvero Etica e Tecnologia: la morale nell'era della tecnica,
si fuoriesce dal ristretto campo della comunicazione per tornare ad una più generica
trattazione del rapporto tra etica e tecnologia, compiendo prima una riflessione sull'impianto
filosofico che sottostà all'odierno avanzamento tecnico e poi rivolgendo una doverosa
attenzione anche agli effetti culturali di tale sviluppo tecnologico. Infine l'ultimo paragrafo,
che riprende il titolo principale Reale e Virtuale, è destinato a rispondere, o perlomeno a far
riflettere, sull'eventualità di stabilire delle limitazioni etiche alle attuali tecnologie: una delle
questioni più ardue e ardite da affrontare.
6
L'ultimo aspetto da stabilire è la finalità del presente testo, che potrebbe non risultare ancora
chiara al lettore. In una società attuale in cui la realtà appare sempre più complessa, si ha una
tendenza ad assumere un'accettazione passiva del mondo intorno a sé con tutti i suoi dinamici
cambiamenti. Ciò comporta uno sguardo distratto anche nei momenti in cui insorgono
problematiche, etiche e non solo, correlate al progresso tecnologico: Rümelin riporta la
parabola dell'energia nucleare, che per molti anni ha nutrito il sogno internazionale di una
fonte energetica illimitata e inesauribile, ma <<come sappiamo, le cose alla fine sono andate in
modo diverso e l'energia nucleare viene ancora considerata in molti Paesi al massimo come
una tecnologia di transizione a un'economia decentrata e basata su energie rinnovabili […]>>
6
.
Dunque molto semplicemente lo scopo ultimo della tesi consiste in un invito più o meno
esplicito alla riflessione: non si ha l'arrogante pretesa di poter risolvere qualunque difficoltà
insorta con la digitalizzazione, bensì si coltiva la speranza che tramite un ragionamento
critico, caratteristico del “filosofare”, si possa giungere ad una maggiore consapevolezza sia
dei benefici sia dei rischi inscritti nel nostro odierno mondo tecnologico.
6 Julian Nida-Rümelin e Nathalie Weidenfeld, Umanesimo Digitale, Milano, FrancoAngeli, 2019, p.
179.
7
I
Il mito di Gige: dialogo tra passato e presente
1. Introduzione al mito e tematiche
Nella celebre opera della Repubblica di Platone, è narrato un mito che ha goduto di minore
notorietà rispetto agli innumerevoli racconti metaforici contenuti nel corpus platonico.
Glaucone, uno dei fratelli minori di Platone, racconta al suo interlocutore Socrate la storia del
pastore Gige, che, mentre pascolava l'armento nel territorio della Lidia, avvertì una scossa
tellurica da cui si originò una grande voragine. Il pastore <<a quella vista, pieno di stupore,
discese nella voragine e […] scorse un cavallo bronzeo, cavo, provvisto di aperture. Vi si
affacciò e vide giacervi dentro un cadavere di proporzioni, a quanto pareva, sovraumane,
senza nulla addosso se non un anello d'oro alla mano. Glielo prese e se ne tornò fuori>>
7
. Gige
indossando il misterioso anello raccolto, si accorse presto della natura magica dell'oggetto,
poiché scoprì che, girando un castone interno dell'anello, egli diveniva invisibile agli occhi
degli uomini e rigirando il castone in senso inverso tornava visibile a tutti. Il pastore subito
approfittò delle incredibili facoltà che l'anello gli aveva donato: si introdusse, non visto, alla
corte del re di Lidia, sedusse la regina e uccise il consorte, diventando il sovrano. Glaucone
decise di narrare tale mito per dimostrare l'inconsistenza di fondo della morale umana, che si
basa soltanto su convenzioni e consuetudini, poiché qualsiasi persona, sia essa ritenuta giusta
od ingiusta, dinanzi a determinate occasioni abbandona i suoi ideali etici, rivelando la sua
autentica natura. Il pastore Gige, sfruttando l'incredibile potere dell'anello, non si cura delle
norme morali, bensì si serve della sua invisibilità per accaparrarsi il bramato potere,
noncurante di commettere ingiustizia. Il fondamento di tale convinzione si basa sulla
considerazione che ogni uomo privatamente sa che è più vantaggioso il male, ma
pubblicamente si mostra dedito al bene per il timore di incorrere in vendette o pene stabilite
dalle leggi. Il rapporto stesso tra invisibilità e immoralità con la visibilità e moralità, è un
topos ricorrente nella letteratura globale sia in opere antiche sia in opere moderne. Per
esempio in un passo del Vangelo di Giovanni è scritto:
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno
7 Platone, “La Repubblica”, Bari, Economica Laterza, 2018, p. 66.
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