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Capitolo 2 - DALLA NARRAZIONE TRANSMEDIALE ALLA
COMUNICAZIONE DIGITALE
2.1 La Transmedialità e la Narrazione Transmediale
Si comincio
̀ a parlare del concetto di transmedialita
̀ nel 1991 grazie a Marsha Kinder
38
, una
psicologa americana i cui studi si focalizzavano sul modo in cui i bambini sviluppavano la
capacita
̀ di comprendere una narrazione, e riconoscevano ambientazioni e personaggi che
venivano loro proposti tramite vari formati mediali, tra cui cartoni animati, fumetti, film.
Sulla base degli studi di Kinder, e
̀ stato, pero
̀ , Henry Jenkins, saggista ed accademico del
Massachusetts Institute of Technology, a parlare di “narrazione transmediale” (transmedia
storytelling), in un articolo del 2003. Secondo Jenkins, il transmedia storytelling e
̀ «un processo
dove elementi integrati di una narrazione vengono dispersi sistematicamente attraverso
molteplici canali con lo scopo di creare un’esperienza di intrattenimento coordinata e
unificata»
39
, e in cui ogni testo
40
offre un proprio particolare contributo all’interno del
complesso narrativo. Ciascuna piattaforma mediale offre uno specifico contributo che va ad
arricchire la complessità dell’universo narrativo
41
, facendo quindi risultare la narrazione
coerente e con un contenuto non ridondante (caratteristiche imprescindibili per una narrazione
transmediale).
38
http://henryjenkins.org/blog/2015/03/wandering-through-the-labyrinth-an-interview-with-uscs-marsha-kinder-
part-two.html (ultima consultazione: 12 marzo 2022)
39
Jenkins, 2007
40
https://www.treccani.it/enciclopedia/semiotica-dei-nuovi-media_%28XXI-Secolo%29/ (ultima consultazione:
12 marzo 2022)
Dal punto di vista semiotico, e
̀ testo qualunque porzione di realtà: a) che sia dotata di significato per qualcuno; b)
di cui si possano definire chiaramente i limiti, per cui si riesca a distinguere il testo da tutto ciò che ne sta fuori; c)
che si possa scomporre in unita
̀ discrete, secondo più livelli gerarchici di analisi, che vanno dal più concreto e
superficiale al più astratto e profondo; d) che questa scomposizione segua criteri oggettivabili
41
https://www.letture.org/che-cos-e-la-transmedialita-paolo-bertetti (ultima consultazione: 12 marzo 2022)
18
Secondo Paolo Bertetti, docente dell’Università di Siena, «il transmedia storytelling e
̀ , quindi,
un’esperienza caratterizzata dall’espansione della narrazione attraverso diversi mezzi di
comunicazione, e, in molti casi, dalla partecipazione degli utenti a tale espansione.»
42
Il fatto di fruire dei diversi testi attraverso media differenti, non solo arricchisce la conoscenza
della storia, ma e
̀ in grado di offrire al destinatario un’esperienza di intrattenimento più
coinvolgente, inclusiva, e, quindi, più ricca. (Figura 5)
Figura 5 - Transmedialità - Fonte: Robert Pratten
Il 1999 vede l’uscita nelle sale cinematografiche del film di fantascienza “Matrix”. La pellicola
è significativa, in quanto utilizza tutti gli strumenti messi a disposizione dalla convergenza
mediale per costruire nuove forme di narrazione seriale, spingendosi, quindi, oltre il singolo
film. Nel 2003 escono, infatti, un videogioco, “Enter the Matrix”
43
, e una serie di 9
cortometraggi animati, “The Animatrix”, che indaga episodi non presenti nel film, o
semplicemente accennati. Tra il 2003 e il 2005 sono state, inoltre, pubblicate delle serie a
fumetti.
42
Bertetti P. 2016. “Personaggi Seriali E Mondi Transmediali. I Pulp, Tarzan E Le Origini Del Transmedia
Storytelling”. Mediascapes Journal, n. 6 (ottobre): 155-68.
https://rosa.uniroma1.it/rosa03/mediascapes/article/view/13728. (ultima consultazione: 12 marzo 2022)
43
https://www.imdb.com/title/tt0277828/ (ultima consultazione: 12 marzo 2022)
19
Secondo Jenkins, tutti questi diversi testi permettevano di rendere il film più realistico, creando
anche una solida fanbase che cominciava anche ad approcciarsi agli strumenti offerti da
Internet, che all’epoca erano ancora innovativi.
Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, saghe cinematografiche come “Star Wars” e “Star Trek”
erano già rappresentative della transmedialità. Entrambi i film, inoltre, sono divenuti quello che
viene definito un “media franchise”, ossia un marchio sfruttato dall’industria dello spettacolo e
dell’entertainment per la creazione di diversi prodotti. Si noti, ad esempio, come per Star Wars
la fonte primaria dei guadagni non provenga tanto dal botteghino quanto, paradossalmente, dai
giochi. Jenkins sottolinea, infatti, come sia importante incoraggiare dei processi di co-
creazione, coinvolgendo sia artisti che aziende di vari settori, sia per permettere all’utente
un’esperienza immersiva e prolungata, sia per raggiungere un pubblico più vasto e
differenziato. Media diversi possono, infatti, attrarre diversi segmenti di mercato.
Prima ancora delle motivazioni artistiche, vi sono, a monte, forti motivazioni economiche.
Organizzazione, coerenza, omogeneità, promuovono dei processi di estensione in cui il
consumatore, migrando da una piattaforma all’altra, ed esplorando tutto l’universo narrativo,
può fruire di un’esperienza mediale unificata e appassionante.
In genere, i grandi franchise transmediali vengono costruiti partendo da un testo primario
(mothership text), che viene poi, a sua volta, sviluppato in altri media attraverso una serie di
prodotti che dipendono comunque da esso.
Il concetto di transmedialita
̀ non deve essere confuso con l’intermedialita
̀ e la crossmedialita
̀ .
Intermedialita
̀ indica la possibilità, offerta dalle tecnologie digitali, di passare da un medium
all’altro. Ad esempio, il web può essere definito un ambiente intermediale, in quanto rende
possibile divulgare contenuti video, vocali, fotografie, effettuare acquisti, prenotazioni ecc.
Crossmedialita
̀ significa, invece, declinare la stessa storia su più media, diversi tra loro; ad
esempio, un annuncio pubblicitario che veicola un messaggio come inserzione stampa, spot
radio o tv, pubblicità sul web ecc. I vari media raccontano, quindi, la storia, ognuno secondo la
sua peculiarità, ma senza modificarla.
44
44
http://www.umbertosantucci.it/atlante/transmedialita-crossmedialita-intermedialita/ (ultima consultazione: 12
marzo 2022)
20
Per trasposizione o adattamento, invece, si intendono i casi in cui un contenuto narrativo viene
tradotto intersemioticamente, cioè ad esempio quando si passa da un romanzo ad un film (es. Il
Signore degli Anelli).
La transmedialita
̀ agevola il raggiungimento di pubblici diversi, che di solito non hanno scambi
tra loro; chi guarda un film non sempre legge anche i libri o i fumetti. Ad ogni piattaforma può,
quindi, corrispondere un mercato differente.
Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito in maniera preponderante all’affermarsi della logica
transmediale in grandi produzioni cinematografiche: dai già citati Star Wars a Matrix, da Harry
Potter a Il Trono di Spade, (solo per citarne alcuni), questi grandi franchise, di produzione
soprattutto britannico-americana, si sono via via focalizzati sulla creazione di esperienze di
consumo sempre più trasversali e unificate.
45
La narrazione transmediale si basa su 7 princìpi fondamentali (Figura 6):
1. Spreadability (diffondibilita
̀ )
2. Drillability (penetrabilita
̀ )
3. Continuity (continuita
̀ )
4. Moltiplicity (molteplicita
̀ )
5. Immersion (immersione)
6. Extractability (estraibilita
̀ )
7. Worldbuilding (creazione di mondi)
Si parla di Spreadability quando un contenuto ha la capacita
̀ di diffondersi attraverso le reti
digitali. E ̀ utile sottolineare come questo sia un concetto diverso da quello della “viralità”, in
quanto, a differenza di quest’ultima, un contenuto diffondibile e
̀ definito tale solo se viene
promosso volontariamente dalle persone.
Per Drillability si intende un contenuto mediale capace di stimolare il pubblico
all’approfondimento di una storia andando ad aggiungere dettagli e rendendo cosi
̀ più completo
l’universo narrativo.
Per Continuity si intende l’ottenimento di un’esperienza unificata grazie a diverse piattaforme
mediali.
45
Bertetti P. “Che cos’e
̀ la transmedialita
̀ ”, Carocci Editore, Roma, 2020
21
Figura 6 - Seven Core Concepts of Transmedia Storytelling.
Fonte: Revenge of the Origami Unicorn, Henry Jenkins
Per Moltiplicity si intende l’ideazione di storie alternative e la creazione di mondi narrativi
paralleli, nei quali sia gli eventi che i personaggi vanno ad assumere nuove prospettive;
l’esempio tipico sono le fan fiction.
Per Immersion si intende un’immersione del consumatore all’interno di un mondo narrativo,
come peraltro già avviene nei romanzi e al cinema, ma anche nei videogiochi e nei parchi a
tema.
Per Extractability si intende il concetto attraverso cui il consumatore e
̀ in grado di estrarre degli
elementi all’interno di una narrazione per poi riutilizzarli nella sua vita quotidiana, come
avviene attraverso il cosplay. Ma l’extractability e
̀ applicabile anche ai prodotti di
merchandising, che rappresentano quindi una sorta di estensione del mondo narrativo.
Parliamo di Worldbuilding quando si ha la creazione di universi narrativi più ampi, resi più
ricchi grazie ai singoli testi costituenti l’esperienza transmediale.
2.2 Il Transmedia Branding
Per Jenkins, “se un buon franchise transmediale e
̀ in grado di attrarre un’audience più vasta
offrendo esperienze inedite, allora un mercato trasversale espanderà i ricavi possibili all’interno
22
di ogni singolo media.”
46
Il transmedia branding si focalizza, infatti, sulla costruzione, sullo
sviluppo e sulla promozione transmediale di un brand, e ha lo scopo di creare un’esperienza
quanto più interattiva e coinvolgente.
Anche Burghardt Tenderich, autorevole esperto di transmedia branding, riprende la definizione
di Jenkins, aggiungendo che «e
̀ un processo di comunicazione nel quale l’informazione relativa
a un brand e
̀ compresa in una narrazione integrata, diffusa con contributi originali attraverso
media diversi, allo scopo di creare un’esperienza interattiva e coinvolgente».
47
Entrambe le definizioni ricalcano alcuni concetti principali della brand communication:
- La marca contemporanea contiene al suo interno sia una storia che un universo narrativo,
che sono in grado sia di trasmettere valori ai suoi consumatori, che creare coinvolgimento
emozionale;
- Il concetto esperienziale, attraverso ambienti mediali immersivi e diversificati, e
̀
fondamentale all’interno di un brand;
- E ̀ , quindi, necessario disporre di strategie comunicative che, agendo tramite diversi media
(dai più classici alle nuove tecnologie) siano in grado di creare un engagement sempre
più attivo.
Risulta, dunque, evidente un forte legame tra marketing e transmedialita
̀ , e la componente
emozionale si rivela, oggi più che mai, assolutamente imprescindibile nella comunicazione di
un brand.
La finalità della transmedialita
̀ nel marketing e
̀ quella di far interagire storie diverse su media
diversi fra loro, con l’obiettivo di creare un’esperienza coordinata, non limitandosi, quindi, a
raccontare un’unica storia attraverso differenti media. E ̀ , cosi
̀ , possibile arrivare ad una platea
più estesa e diversificata, favorita da molteplici occasioni di contatto.
Per Andrea Phillips, designer, autrice e scrittrice di giochi transmediali americana, l’esperienza
transmediale per un utente deve essere in primis un’esperienza di intrattenimento, e solo
successivamente un’esperienza di marca, ed e
̀ , perciò, necessario coinvolgere attivamente le
persone.
48
46
Jenkins, 2003
47
Tenderich e Williams, 2015
48
Phillips A., “A Creator's Guide to Transmedia Storytelling: How to Captivate and Engage Audiences across
Multiple Platforms”, McGraw-Hill, New York, 2012
23
Per Carlos Alberto Scolari, esperto in comunicazione e media digitali argentino, «il branding
online si basa sull’esperienza interattiva dell’utente.»
49
Le persone desiderano interagire con narrazioni che possono diffondere; per una transmedia
brand strategy e
̀ , quindi, fondamentale coinvolgere attivamente il destinatario. Questo e
̀
possibile fornendogli strumenti e occasioni di engagement con il brand, ma anche attraverso
contenuti spreadable, quindi diffondibili, in grado di creare condivisioni e discussioni sui social
(ma non solo), in un’ottica di Social Brand Engagement.
50
Per Jenkins, inoltre, la transmedialita
̀ ha reso possibile la creazione di una nuova figura,
quella del prosumer, un utente che e
̀ al contempo fruitore di un contenuto, nonché a sua volta
produttore.
2.3 Dalla comunicazione tradizionale a quella digitale
Prima dell’avvento dei social esisteva soltanto la cosiddetta comunicazione tradizionale, in cui
un brand parlava alle persone in modo verticale e senza confronto, unilateralmente. Non si
comunicava proattivamente, facendo interagire gli utenti, ma solo in maniera statica e passiva.
I social hanno rivoluzionato completamente il mondo della comunicazione, mettendo per la
prima volta sullo stesso piano brand e utenti, cosa che prima era impensabile: ora per le persone
e
̀ possibile relazionarsi con i marchi in modo più democratico e dinamico, in una sorta di
scambio, di conversazione.
Se, precedentemente, si doveva agire su determinate leve che non tenevano in considerazione
la partecipazione degli utenti al mondo della comunicazione, adesso si tiene conto soprattutto
di questa. Ciò ha reso possibile il confronto tra brand e persone, con tutto ciò che ne deriva,
dallo user generated content (contenuto generato dagli utenti), ai processi di co-creazione. I
brand possono usare contenuti creati dagli utenti per trasmettere questo confronto.
I social non rappresentano, pero
̀ , semplicemente un mezzo di comunicazione: consentono agli
utenti un ruolo attivo, in una sorta di “luogo di aggregazione sociale” in cui si incontrano
persone con diversi punti di vista e diverse passioni, e per i marchi è fondamentale considerare
tutto ciò. I social sono un’opportunità per creare connessione, e per fare questo i contenuti sono
il primo step.
49
Scolari, 2009
50
Kozinets, 2014
24
E ̀ , quindi, necessario interessare e coinvolgere le persone; non e
̀ sufficiente la sola presenza sui
social e la creazione di un tipo qualsiasi di contenuto.
«Le community digitali stanno diventando sempre più centrali nella vita e nell’identità dei
consumatori, e i content creator sono la chiave per sbloccarle.»
51
I brand che collaborano sapientemente con i creator, infatti, si connettono con un nuovo
pubblico, guadagnando la loro fiducia e costruendo la cultura del brand stesso.
Nella pubblicità sui social, i consumatori stanno gradualmente obbligando i marchi a mantenere
uno standard di creatività sempre più alto, premiando quelli che offrono loro la migliore user
experience.
52
Secondo dati Doxa
53
, l’80% degli italiani utilizza abitualmente lo smartphone per decidere cosa
acquistare, nonché per relazionarsi con i marchi di moda che preferiscono. Nel 2020, l’anno in
cui e
̀ cominciata la pandemia Covid-19, gli italiani hanno trascorso 77 ore al mese navigando
da dispositivi mobili, segnando un +29% rispetto ad un anno prima.
54
Negli ultimi dieci anni, il settore moda ha subìto una profonda mutazione nel suo intero sistema,
dalla produzione di capi e accessori, alla veicolazione delle tendenze, alla scelta dei testimonial,
fino all’esperienza di shopping.
A partire dalla creazione di uno spazio in rete, attraverso un proprio sito internet, le aziende del
fashion sono state, poi, progressivamente trasformate dal web, che ha convertito questo settore
da elitario per antonomasia, in uno, per certi versi, più democratico, in quanto i processi di
creazione e interpretazione delle tendenze si sono via via allargati, andando ad interessare, oggi,
una platea certamente molto più ampia rispetto al passato.
Questa “democratizzazione”, come già accennato, si deve ai social media, soprattutto ad
Instagram, che, raggiunti recentemente i 2 miliardi di utenti attivi
55
(secondo stime Cnbc del
mese di dicembre 2021, al momento ancora non ancora ufficializzate da Meta
56
), si e
̀ imposto
in pochi anni come il mezzo attraverso cui ispirare, far conoscere nuovi marchi e acquistare.
Instagram e
̀ diventata, negli ultimi anni, la principale piattaforma su cui vedere la moda,
51
https://techprincess.it/trend-social-2022-il-report-di-hootsuite/ (ultima consultazione: 12 marzo 2022)
52
Hootsuite, Report 2022
53
https://www.bva-doxa.com/80-degli-italiani-decide-gli-acquisti-via-smartphone-osservatorio-politecnico-2017/
(ultima consultazione: 12 marzo 2022)
54
https://www.bva-doxa.com/nel-2020-italiani-a-casa-ma-con-in-mano-lo-smartphone/
(ultima consultazione: 12 marzo 2022)
55
https://www.italian.tech/2021/12/15/news/instagram_avrebbe_superato_i_2_miliardi_di_utenti-330319515/
(ultima consultazione: 12 marzo 2022)
56
Meta Platforms, Inc. (fino al 28 ottobre 2021 chiamata Facebook, Inc) e
̀ una società statunitense che controlla
Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger
25
addirittura molto di più rispetto alle classiche riviste, tv e red carpet. Molto spesso, poi, la
decisione di acquisto viene influenzata da ciò che viene visto online (e spesso anche da chi lo
pubblicizza).
Per i marchi, oltre a rappresentare una vetrina virtuale, e
̀ il mezzo attraverso cui e
̀ possibile
ricevere velocemente i feedback dalla propria clientela, e senza l’ausilio di intermediari; gli
utenti, a loro volta, possono utilizzare i social sia per rivolgersi direttamente ai brand e
comunicare con essi, sia per chiedere consigli e pareri sulle nuove tendenze alle community.
Non sono solo i grandi brand del settore a trarre benefìci dai social: anche marchi di fascia più
bassa, di nicchia, o creati da poco, possono avere grandi opportunità di crescita.
Il digitale non influenza soltanto le vendite online, bensì anche quelle nei negozi fisici (i
cosiddetti “brick and mortar”). Integrando le strategie online aumentano, quindi,
parallelamente anche gli acquisti negli store.
Si assiste, poi, anche ad un fenomeno, chiamato ROPO
57
(Research Online, Purchase Offline
– ovvero, Ricerca Online, Acquisto Offline), che dimostra che gli e-commerce non hanno
soppiantato i negozi fisici, e che, anzi, entrambi sono legati a doppio filo.
Sono, quindi, emersi due diversi comportamenti di acquisto: lo showrooming e il webrooming
58
(Figura 7).
57
https://www.ilsole24ore.com/art/lusso-digitale-spinge-vendite-globali-anche-quelle-offline-ACN569N
(ultima consultazione: 12 marzo 2022)
58
https://www.localstrategy.it/showrooming-webrooming/ (ultima consultazione: 12 marzo 2022)
Figura 7 - Webrooming vs Showrooming. - Fonte: Merchant Warehouse
26
Il primo si ha quando i potenziali consumatori visitano un negozio per visionare un prodotto,
finendo con l’acquistarlo online; il secondo, invece, implica che una persona cerchi prima i
prodotti di suo interesse online, e solo in seguito si rechi al negozio fisico, dove compirà le
valutazioni finali e finalizzerà l’acquisto.
Inoltre, alcuni negozi, attraverso il servizio click and collect, permettono ai loro clienti di
acquistare i prodotti e ritirarli in una filiale locale, evitando costi di spedizione ed eventuali
ritardi.
59
Un fenomeno interessante, soprattutto in tempi recenti, e
̀ quello del retailtainment, ovvero
l’utilizzo di forme di intrattenimento nell’ambito del retail, attraverso lo sviluppo di punti
vendita e/o appositi spazi in grado di creare una customer experience coinvolgente, che stimola
l’interesse dei consumatori attraverso le emozioni, i sentimenti, l’atmosfera. Lo store si può,
quindi, trasformare, diventando un luogo multisensoriale fatto di luci, profumi e musiche. Il
retailtainment ha anche il vantaggio di rappresentare un valore aggiunto rispetto all’e-
commerce, e di favorire la brand awareness.
60
2.4 Scenari social
La fotografia, dall’era dell’analogico, e
̀ stata successivamente completamente rimediata
dall’imporsi del digitale, che, smaterializzandola, ha favorito una diffusione esponenziale di
immagini, sottoponendo le persone a continui stimoli visivi. Se prima, pero
̀ , lo scopo di una
foto era quello di raccontare, ora e
̀ quello di comunicare.
Questa pratica, oggigiorno, trova la sua applicazione principale soprattutto nel campo dei social
media, divenuti gli strumenti privilegiati tramite i quali tutti, ormai, grazie ad una semplice
connessione internet e all’uso di un dispositivo mobile, possono condividere in rete i loro
momenti e divulgare i loro contenuti.
Instagram, in particolare, si rivela una piattaforma innovativa rispetto a tutto il panorama di app
disponibili. A differenza di Facebook e Twitter e
̀ , infatti, un social nato con l’unica finalità di
pubblicare e condividere immagini. Solo in un secondo momento le sue funzioni sono state
implementate, fino ad arrivare a permettere la creazione e condivisione anche di brevi video
59
https://4wstrade.it/click-and-collect-ecommerce-punto-vendita/ (ultima consultazione: 12 marzo 2022)
60
https://www.insidemarketing.it/glossario/definizione/retailtainment/ (ultima consultazione: 12 marzo 2022)
27
(sotto forma di “story” oppure “reel”) o dirette streaming, soprattutto per cercare di contrastare
l’ascesa di altri competitor (come Snapchat e il sempre più popolare TikTok).
E ̀ possibile suddividere lo spazio dei social media in quattro aree
61
(Figura 8):
1. Social community: si tratta di canali il cui focus sono le relazioni e le attività alle quali
partecipano persone accomunate da uno stesso interesse o fattore identitario. Rientrano
in questa categoria:
- I social network: si tratta di host online nei quali i membri possono costruire e gestire
un profilo personale, utilizzare i servizi offerti dal sito, identificare e comunicare in
maniera sincrona e asincrona con altri membri. Il social per antonomasia e
̀
Facebook, definito anche come “social utility”, in quanto tutte le sue applicazioni
comprendono tutte le quattro aree dei social media che stiamo analizzando.
- I forum: siti web o pagine di siti web, divisi in sezioni e sottosezioni, dedicati alla
discussione con e tra utenti, in cui si crea una comunità virtuale di persone che
condividono un interesse o un bisogno.
- I wiki: siti web nei quali si dà la possibilità ad ogni utente di aggiungere nuovi
contenuti o modificare quelli esistenti.
61
Solomon M.R, Tuten T. L. “Social Media Marketing” Pearson, Milano, 2014
Figura 8 - Spazio dei social media. - Fonte: The Marketing Journal, 2017