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INTRODUZIONE
Alla base del presente elaborato vi è l’idea di analizzare l'apprendimento di una
seconda lingua (L2) da un punto di vista psicologico e linguistico; nello specifico,
l’obiettivo è quello di dimostrare come bambini e adulti imparano una seconda
lingua (L2) e capire se vi siano o meno differenze nel processo di apprendimento.
Le motivazioni che mi hanno spinta ad approfondire tale tema hanno una
duplice natura: sicuramente l’interesse nei confronti delle lingue straniere, del
funzionamento della mente e la curiosità nel capire come, di conseguenza, si possa
essere in grado di parlare due o più lingue è stato fondamentale nel processo
decisionale.
L’evento determinante, tuttavia, è stata una semplice giornata in compagnia di
mio nipote (Federico, 3 anni) al quale, per gioco, ho iniziato a parlare in spagnolo,
prima, e in inglese, dopo. Ho sempre saputo fosse più facile per i bambini
apprendere una lingua, ma non avevo mai avuto modo di sperimentarlo di persona
prima d’ora. Notando la sua immediata risposta e il mio stupore per il fatto che si
ricordasse ciò che gli avevo insegnato solo qualche settimana o mese prima, è nata
l’idea di approfondire tale tema e soddisfarne la mia curiosità paragonando
Federico a me stessa e quindi, più in generale per l’elaborato, i bambini agli adulti,
pur cosciente del fatto che sicuramente una delle differenze rilevanti sarebbe stata
una maggior plasticità cerebrale rispetto a un soggetto adulto.
La tesi è articolata in tre capitoli: nel primo capitolo viene fornita
un’introduzione al linguaggio, spiegandone l’applicazione in linguistica e in
psicologia, e al bilinguismo, con i suoi falsi miti, al fine di avere delle basi teoriche
per comprendere meglio l’argomentazione della tesi. Nel secondo capitolo ci si
occupa di dare un’infarinatura delle basi neurali del linguaggio nei soggetti
bilingue e monolingue, attraverso una descrizione dell’organizzazione cerebrale,
scientifica ma resa il più possibile alla portata di tutti, e del cervello bilingue.
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Il terzo capitolo si concentra sull’importanza del fattore età nell’apprendimento
linguistico, che chiarirà l’obiettivo della dissertazione.
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1. ASPETTI DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Il linguaggio è la capacità cognitiva dell’uomo di comprendere e produrre parole
scritte e pronunciate (o segnate nel caso della lingua dei segni, LIS) ed è stato
oggetto di studio di diverse discipline; la linguistica è la disciplina che si occupa
di studiare il linguaggio (come capacità di comunicare) comprendendone e
definendone scientificamente le caratteristiche, e a sua volta le lingue, risultanti
dal linguaggio. Il linguaggio è il mezzo di comunicazione principale degli esseri
umani che si sviluppa attraverso un codice
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complesso, ossia una lingua. Infatti,
«il linguaggio umano non esiste in realtà che sotto forma di lingue diverse»
2
. Nella
comunicazione vi è un emittente che produce intenzionalmente un segno
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per un
ricevente, l’unità comunicativa base attraverso cui passano le informazioni: si
trasmettono informazioni attraverso messaggi che a loro volta sono composti da
segni. Il linguaggio rappresenta le caratteristiche comuni a tutte le lingue; si
associano suoni e significati in base a regole grammaticali diverse per ogni lingua.
Anche gli animali comunicano, ma solo l’uomo lo fa attraverso l’uso di una lingua,
infatti il linguaggio umano ha caratteristiche differenti da altri tipi di linguaggio
(animale, informatico, ecc.), una delle quali è l’universalità.
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«Per codice si intende più precisamente l’insieme di corrispondenze, fissatesi per convenzione, fra
qualcosa (‘insieme manifestante’) e qualcos’altro (‘insieme manifestato) che fornisce le regole di
interpretazione dei segni. Tutti i sistemi linguistici sono dei codici. Da questo punto di vista, i segni
linguistici costituiscono il codice lingua», in Il linguaggio verbale, Gaetano Berruto – Massimo Cerruti, La
linguistica. Un corso introduttivo, UTET Università, 2017, Cit., 7.
2
FRANCO FABBRO, Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1996,
11.
3
«Nel suo significato più comune, il termine s. è usato per indicare ogni singola parte di un procedimento
visuale di comunicazione del pensiero (linguaggio dei s.), oppure per designare i grafemi (lettere) e i simboli
grafici sussidiari (s. diacritici), che nel loro insieme costituiscono i s. della scrittura. Nella concezione di F.
de Saussure, il s. è l’entità psichica costituita dall’associazione di un concetto e di un’immagine acustica,
cioè del significato e del significante, che è alla base della lingua, definita appunto da Saussure come un
“sistema di s. distinti, corrispondenti a idee distinte”. […] In fonematica, s. demarcativo o delimitativo,
l’elemento fonico che permette d’individuare i diversi elementi significativi (parole e anche morfemi) della
catena parlata, segnandone i confini», in www.treccani.it/enciclopedia/segno#linguistica-1.
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Il linguaggio in linguistica
Il linguaggio verbale è il più completo e complesso ed è strutturato in diversi
livelli in base all’oggetto di studio: fonetico e fonologico, morfologico, sintattico,
semantico.
1.1.1 Fonetica e fonologia
Fonetica e fonologia si occupano dello studio dei suoni del linguaggio e di come
si organizzano e combinano per formare delle parole. La fonetica si focalizza
sull’aspetto fisico del suono (i suoni come onde sonore) e si divide in:
• fonetica articolatoria, che studia i suoni in base alla loro
articolazione;
• fonetica acustica, che studia la consistenza fisica delle onde sonore;
• fonetica uditiva o percettiva, che studia la percezione uditiva del
suono e la conseguente decodificazione da parte del cervello.
L’unità minima della fonetica è il fono che caratterizza ogni suono del
linguaggio prodotto dall’apparato fonatorio umano. Un fono può indicare sia un
singolo suono che una classe di suoni rappresentanti le stesse caratteristiche
articolatorie. Quando i foni si distinguono nella formazione delle parole, quindi
hanno valore distintivo, parliamo allora di fonemi, le unità minime in fonologia, la
quale si occupa della parte organizzativa e funzionale dei suoni linguistici. Ogni
lingua presenta i propri fonemi
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, che servono a distinguere due parole scritte allo
stesso modo, e le proprie regole linguistiche. Queste classi di parole con la stessa
grafia ma pronuncia diversa si definiscono omografi
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: una minima differenza nella
pronuncia cambierebbe il significato della parola. Se pensiamo alla parola
“principi”, se pronunciata con accentazione sdrucciola (prίncipi) si riferisce al
plurale maschile del sostantivo principe, con l’accentazione piana (princίpi),
4
«In linguistica, ogni elemento sonoro, o unità elementare, del linguaggio articolato, considerato sotto
l’aspetto fisiologico (cioè della sua formazione per mezzo degli organi vocali) e acustico», in
www.treccani.it/vocabolario/fonema/.
5
«Di suoni o fonemi diversi che sono rappresentati dallo stesso segno grafico», in
www.treccani.it/enciclopedia/omografo/.
5
invece, indica un concetto o un’affermazione. I fonemi possono distinguersi in
vocalici (in base alla posizione della lingua durante la riproduzione del suono) e
consonantici (classificati in base a luogo, modo, sonorità, oralità di articolazione)
e non hanno significato autonomo in quanto unità di seconda articolazione.
1.1.2 Morfologia
La morfologia studia la struttura interna delle parole. Nello specifico, studia a
quale classe lessicale appartenga una parola e come si possa combinare con suffissi
e prefissi o altre parole. La sua unità massima è la parola
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mentre l’unità minima
di prima articolazione è il morfema, ottenuto attraverso la scomposizione di
parole. Si suddividono in:
• morfemi lessicali: formano una classe aperta e rappresentano il
significato lessicale delle parole;
• morfemi grammaticali: costituiscono una classe chiusa e esprimono
informazioni grammaticali. A loro volta, i morfemi grammaticali si
dividono in derivazionali (derivano parole da altre) e flessionali (realizzano
la flessione cambiando numero, tempo, modo).
Un morfema
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, inoltre, può essere libero o legato. Si dice libero un morfema che
può formare una parola (nomi, verbi, aggettivi, preposizioni, ecc.), legato che è
parte di una parola (affissi, infissi, prefissi, suffissi). Definiamo morfo, invece, un
morfema inteso come forma dal punto di vista del significante
8
. Un allomorfo è
ogni forma in cui si può presentare uno stesso morfema. «Esempio: radici di
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«In linguistica, nell’accezione più comune, la minima unità isolabile all’interno della frase e del discorso,
formata da uno o più fonemi, e dotata, quanto al significato, di un senso fondamentale (cioè di una sfera
semantica in cui essa, isolata, vive nella coscienza linguistica dei parlanti), e di un senso contestuale (ossia
il particolare valore che essa assume in un determinato contesto). Anche, termine usato talvolta dai linguisti
per rendere il fr. parole (v.), nella particolare accezione conferitagli da F. de Saussure», in
www.treccani.it/vocabolario/parola.
7
«Il più piccolo pezzo di significante di una lingua portatore di un significato proprio», Morfologia, in
GAETANO BERRUTO – MASSIMO CERRUTI, La linguistica. Un corso introduttivo, UTET Università, 2017,
Cit., 95.
8
«In linguistica, nella definizione di segno formulata da F. de Saussure (1857-1913), l’immagine acustica
o visiva, ossia l’elemento formale, la “faccia esterna” del segno (quella interna è il significato) che consente,
sul piano della langue (v.), di identificare le sue diverse realizzazioni foniche concrete che si collocano sul
piano della parole», in www.treccani.it/enciclopedia/significante/.
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“venire”: ven- veng- verr- venn‐. Diremo allora che il morfema ven‐ ha quattro
allomorfi».
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1.1.3 Sintassi
La sintassi si occupa della struttura delle frasi e dell’ordine delle parole. La frase
funziona come unità comunicativa che costituisce un messaggio e comprende il
sintagma nominale e il sintagma verbale. Il primo contiene almeno un sostantivo
(di solito il soggetto) e il secondo almeno un verbo. Con sintagma s’intende la
minima combinazione di parole come un’unità della sintassi che prende nome dal
suo minimo elemento, la testa, in base a cui vengono classificati. Le frasi si
combinano in sequenze dette “frasi complesse” o “periodo”. La sintassi del
periodo è infatti la sintassi delle frasi complesse. All’interno del periodo abbiamo
la coordinazione, dove le preposizioni vengono accostate tra loro in maniera
indipendente, e la subordinazione, dove la frase subordinata dipende dalla
principale.
1.1.4 Semantica
La semantica si occupa dei significati e la sua unità minima è il lessema, la
parola studiata dal punto di vista del suo significato. L’insieme dei lessemi ne
costituisce il lessico. Esistono varie accezioni di significato, quali:
• concettuale: visto come idea, concetto;
• operazionale: uso dei segni in base al contesto;
• denotativo: significato oggettivo;
• connotativo: significato soggettivo, ma socialmente condiviso;
• linguistico: somma di quello denotativo e connotativo, significato del
termine in relazione al sistema linguistico;
• sociale: significato del termine in relazione ai parlanti;
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G. BERRUTO – M. CERRUTI, La linguistica. Un corso introduttivo, UTET Università, 2017, Cit., 96.