Introduzione
[…] La verità è chi ti sta di fronte? È nel tuo specchio? Ma
nessuno conosce l'essenza degli specchi e nessuno penetra il loro segreto
tranne Alice nel Paese delle Meraviglie.
- L. Pintor, I Luoghi del Delitto (2003).
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Lo specchio è un oggetto talmente comune nelle nostre vite che ormai ci
rendiamo appena conto della sua presenza: è quotidiana, scontata. Tuttavia, nella società
moderna, basata in larga parte sulle apparenze e sul culto dell'aspetto fisico, gli specchi
sono strumenti indispensabili nelle nostre azioni giornaliere: per quanto l'abitudine
possa farli sembrare relegati in secondo piano, sullo sfondo di azioni più importanti,
basta pensare alle numerose volte in cui ci siamo specchiati nelle vetrine dei negozi per
comprendere quanto la loro presenza sia profondamente radicata nei nostri rituali.
Malgrado questa utilità immediata legata all'estetica e, si potrebbe dire, alla
vanità intrinseca nell'uomo, gli specchi avevano nel passato un significato più profondo
in campo religioso, e una utilità maggiore nella scienza. Il primo capitolo esplora questa
tematica: dalle pietre lucide agli specchi d'acqua immobili, dalle prime superfici in
bronzo all'uso del vetro nella produzione di massa, gli specchi hanno giocato un ruolo
importante all'interno di numerose culture, legandosi a credenze e superstizioni, e
diventando strumento fondamentale per la scoperta dell'Universo e del funzionamento
della luce. Per lungo tempo sono stati associati al concetto di anima e alla convinzione
che essa risiedesse nelle loro profondità (Egizi, Etruschi, popolazioni mesoamericane,
Cinesi), e per questo collegati a molti rituali religiosi e, specialmente, funebri.
Nonostante presenti in numerosi miti con valore morale, i Greci e i Romani, nostri
predecessori nel mondo della vanità, li usavano principalmente come mezzo per poter
applicare il trucco sul volto o sistemare i capelli. Grande parte ebbero anche
nell'occulto, grazie ad una pratica che li vedeva come tramiti fra il noto e l'ignoto, che
solo alcune persone dotate di particolari abilità, gli scryer, erano in grado di
comprendere; nemmeno la Chiesa e l'Inquisizione riuscirono a fermare questa pratica,
diffusa fino ai ranghi più alti della società.
La tradizione scientifica è legata agli specchi e allo studio della luce sin dai
tempi più antichi. I nomi di celebri studiosi che si sono serviti di specchi per i loro studi
sono numerosi: Aristotele, Platone, Euclide, Galilei, Keplero, Newton. Grazie a queste
superfici riflettenti, modellate con materiali e forme diverse mano a mano che gli studi
avanzavano, la scienza ha compiuto grandi passi avanti: si è compreso il funzionamento
dell'occhio, i fenomeni che coinvolgono la luce, si è potuto studiare l'Universo grazie a
telescopi costruiti con lenti di vetro e si sono prodotti strumenti utilizzati in svariati
campi, dalla fotografia all'uso militare.
In campo artistico, la presenza degli specchi è frequente sia nell'arte visiva che
in quella letteraria: non solo li troviamo rappresentati sulle tele di numerosi artisti, ma ci
sono prove certe che in molti li abbiano usati come mezzo per dare tridimensionalità
alle proprie opere, oltre ad essere presi come metafore prima della purezza religiosa,
poi, con la perdita di significato spirituale, dei peccati capitali. Lo stesso significato
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religioso è riscontrabile anche nella letteratura, dove la produzione di trattati che
inserivano lo specchio in contesti ecclesiastici è estesa, fino al ricco simbolismo della
Divina Commedia di Dante Alighieri, il cui Paradiso è colmo di specchi e vetro che
riflettono la luce di Dio. In generale, i libri che contenevano lo specchio all'interno del
loro titolo furono numerosi, e comprendevano opere dei più diversi tipi, dagli
ammonimenti morali a donne e politici, ai romanzi d'amore, a quelli satirici.
Proprio quest'ultimo campo, della letteratura dello specchio, verrà approfondito
nei due capitoli successivi. Verranno prese in analisi due opere, scritte a cento anni di
distanza l'una dall'altra, da due autori che affrontarono il tema dello specchio in maniera
simile, quasi complementare: Lord Alfred Tennyson ed Elizabeth Bishop.
The Lady of Shalott è una ballata, la cui prima versione risale al 1833, ma
rielaborata in una seconda versione nel 1842, composta da Lord Alfred Tennyson in
epoca vittoriana. Il poema romantico descrive la prigionia di una donna all'interno di
una torre, posta sull'isola di Shalott da cui prende il nome; ella è costretta ad osservare il
mondo esterno attraverso uno specchio: nel momento in cui il suo sguardo si dovesse
posare sul mondo reale, si avvererebbe la maledizione che incombe su di lei, portandola
alla morte. Sarà la figura splendente dell'arturiano Lancillotto a convincere la Dama ad
abbandonarsi al suo destino, a cui andrà incontro su una barca trascinata dalla corrente
del fiume verso la magica Camelot. Sotto l'aspetto di una storia dai tratti fantastici, The
Lady of Shalott nasconde diversi significati, relativi non solo al ruolo dell'artista nella
società contemporanea a Tennyson, ma anche su quello della donna e sull'amore:
verranno analizzati nel secondo capitolo.
Il terzo ed ultimo capitolo è dedicato a Elizabeth Bishop e alla sua poesia The
Gentleman of Shalott. Già dal titolo è facile comprendere da dove l'opera derivi, e quale
possa essere il tema principale. Nonostante la ripresa del nome usato da Tennyson e la
presenza centrale dello specchio come mezzo di osservazione, le differenze sono
importanti: non soltanto la Bishop rovescia il sesso del protagonista, trasformando la
Lady dai connotati fiabeschi in un generico Gentleman, ma diverso è lo scopo stesso
dello specchio. Mentre nella ballata vittoriana esso era l'unico modo in cui la Dama
poteva osservare il mondo esterno, nella poesia del '900 rappresenta la metà di un uomo
diviso in due, delle quali non sa quale sia quella reale e quale sia, invece, un riflesso.
Quale delle due parti è in grado di pensare? Lo specchio è perciò interiorizzato e
rappresenta una divisione alla fonte di un uomo che vive nell'incertezza – sebbene,
come si vedrà, non si lasci scoraggiare da essa. È comunque presente un importante
tratto in comune: il senso di prigionia, sia essa fisica o mentale, dei due personaggi.
Attraverso saggi e articoli contenuti in numerose raccolte e riviste, verrà redatta
una breve storia dello specchio, per introdurre queste due opere e la loro analisi, per
indagare attraverso questi due esempi l'uso che dello specchio si è fatto nella letteratura
e sui significati che ha assunto.
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Capitolo 1
Dietro lo specchio
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Gli uomini sono stati affascinati dallo specchio sin dalla preistoria, e ne troviamo
traccia presso molte popolazioni antiche, come Egizi, Cinesi, Maya, Inca e Aztechi,che
li usavano all'interno delle loro tombe, come metodi per trattenere l'anima del defunto o
anche per allontanare gli spiriti malvagi. Siccome uno specchio rotondo può riflettere il
Sole e diventarne una riproduzione in miniatura, le superfici riflettenti più antiche erano
associate agli dei del Sole, ma, allo stesso tempo, mantenevano la loro funzione
mondana che mantengono ancora oggi: quella semplice e diretta di specchiarsi per
controllare il proprio aspetto e applicare il trucco sul viso.
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Senza qualcuno che vi guardi, gli specchi sono inutili: perciò, la storia degli
specchi è in realtà una storia del “guardare”, e ciò che percepiamo in essi può dirci
molto circa noi stessi e il modo in cui pensiamo. Gli specchi sono comparsi nella storia
dell'uomo sia come mezzo per rivelare la realtà che per nasconderla, e hanno trovato il
loro posto in tutti gli aspetti della vita umana: religione, folklore, arte, magia, scienza e
letteratura.
Lo specchio della storia e della religione
L'essere umano è una specie curiosa, spinta a domandarsi cosa ci sia “oltre”, ad
esplorare ogni luogo ed ogni possibilità, e questa stessa curiosità lo spinge a osservarsi
nello specchio alla ricerca di risposte. Soltanto poche altre specie animali - alcune
specie di scimmie, i delfini e gli elefanti - hanno le capacità mentali per comprendere
che stanno guardando il loro stesso riflesso, e questa consapevolezza del sé è
apparentemente fondamentale per l'esperienza umana, connessa alla logica e all'empatia.
È difficile stabilire quando gli uomini abbiano creato i primi specchi artificiali: è
molto probabile che inizialmente usassero semplici coppe d'acqua; in seguito, attraverso
una semplice connessione logica, collegarono le acque immobili ad altre superfici piatte
riflettenti. Durante l'Era della Pietra, l'uomo imparò a creare armi partendo dalle rocce,
perciò non sorprende il fatto che i primi specchi scoperti dagli archeologi risalgano al
6200-4500 a.C., e fossero costituiti da ossidiana lucidata, una lastra di selenite con
tracce di legno intorno che costituiva probabilmente la cornice dello specchio, e un
pezzo di mica perforata al centro, presumibilmente per poterla appendere su un muro.
Nella cultura egizia, lo specchio aveva una forte connotazione religiosa, in
quanto veniva associato a Ra, il dio del Sole, in quanto suo simbolo sulla terra: infatti,
nelle rappresentazioni grafiche di questa divinità è sempre presente l'immagine di uno
specchio-sole rotondo sopra la sua testa. Gli specchi erano inoltre associati ad Hathor,
dea dell'amore, della fertilità e della bellezza, nonché occhio del dio Sole. Lo stesso
simbolo della vita, chiamato ankh, somiglia nella forma ad uno specchio, e il suo nome
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L'intero capitolo rimanda agli studi e alle ricerche contenute in M. Pendergrast, Mirror
Mirror. A history of the human love affair with reflection, New York, Basic Books, 2003.
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intero, ankh-en-maa-her, significa “forza vitale per vedere la faccia”, abbreviato in
“vedere la faccia”. Infine, gli Egizi credevano che ogni persona avesse un doppio,
chiamato Ka, che rappresenta il genio essenziale di ognuno, la sua energia e identità,
oltre al Ba, l'anima o coscienza: le elaborate pratiche di mummificazione avevano lo
scopo di preservarle. Essi ritenevano che il Ka potesse essere trovato nelle profondità
dello specchio, che aiutava a custodirlo e gli permetteva di compiere la transizione verso
un'altra vita. Per questo motivo gli specchi sono spesso rappresentati nei dipinti murari
sopra il volto del defunto, o nella sua mano, o ancora all'interno della bara – sia in
quelle dei ricchi, che in quelle delle persone comuni.
Il folklore degli Ebrei incorporava gli specchi nel pensiero magico, spesso come
metodo per assicurarsi l'amore di qualcuno attraverso riti magici; credevano anche che,
dopo la morte, l'anima del defunto rimanesse intrappolata, a causa della riflessione nel
corso della vita, negli specchi; per questo motivo venivano coperti o rivolti verso il
muro per proteggerla, così che non venisse portata via dai demoni e non infestasse la
casa.
Nel 1000 a.C., gli uomini stavano ormai creando specchi in tutto il mondo.
Molte culture avevano modificato lo specchio in bronzo tradizionale dell'Egitto, creando
le proprie versioni, ed una grande diffusione di questo oggetto avvenne grazie al
commercio dei Fenici e degli Etruschi prima, e dei Persiani dopo. La maggior parte
degli specchi che raggiungevano la corte di Dario il Grande provenivano probabilmente
dal Nord Italia: qui gli Etruschi creavano squisiti lavori in bronzo e argento,
leggermente convessi, spinti dal desiderio di realizzare ottimi pezzi d'arte perché
convinti che per essere felici dopo la morte fosse necessaria una tomba decorata in
maniera appropriata: ricreavano quindi la dimora del defunto all'interno delle tombe,
interamente ammobiliata, e comprensiva di specchi, il ricettacolo dell'anima. Non a
caso, la parola etrusca per “anima” è hinthial, che tradotta letteralmente significa
“immagine riflessa in uno specchio”.
Come gli Etruschi, i Greci creavano specchi principalmente in bronzo, e la loro
diffusione risulta chiara dalla presenza prominente nei miti sugli dei. Ad esempio nel
racconto di Medusa, la sorella gorgone trasformata da Atena in un mostro con la
maledizione di tramutare chiunque la guardasse direttamente in pietra: per ucciderla,
l'eroe Perseo si serve di uno scudo di bronzo, usato come uno specchio per non
incrociare mai lo sguardo di Medusa in modo da non incontrare mai lo sguardo mortale.
In un altro mito, Narciso, un bellissimo giovane, viene punito da Nemesi per il suo
comportamento distaccato nei confronti delle ninfe della foresta, che, per fargli
comprendere cosa si prova ad avere un'irrequieta passione, lo fa innamorare del suo
stesso riflesso. Grande uso degli specchi veniva fatto dagli oracoli, per divinare il
futuro, e pare che lo stesso Pitagora fosse in grado di prevedere il futuro attraverso uno
specchio magico. Socrate incitava i propri allievi a studiarsi in uno specchio, per
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