Introduzione
Nello studiare le culture religiose dei popoli del nord, bisogna tenere a mente i limiti
delle fonti a noi pervenute, che molto spesso parlano in maniera indifferente di mitologia
nordica e mitologia germanica confondendo i termini di una specifica problematica storica.
Nel complesso i dati che si possiedono sulla mitologia germanica sono fonti indirette, in
particolare notizie di storici latini come Tacito, mentre per quanto riguarda la mitologia
nordica la documentazione risulta molto copiosa, ma non anteriore al XII secolo, quindi
raccolta e trasmessa dopo l’acquisizione della scrittura, evento collegato alla predicazione e
alla diffusione del cristianesimo.
Per ciò che riguarda la mitologia nordica, una delle maggiori fonti è l’Edda di Snorri
Sturluson, la quale riporta espliciti riferimenti alle fonti che ci sono pervenute solo in maniera
parziale. Si tratta di una raccolta di canti d’argomento mitologico ed epico, probabilmente
risalenti ad epoche anteriori a quella della loro redazione e della loro raccolta, ma con evidenti
segni di disparità cronologica tra loro. Snorri ha un notevole peso nella tradizione letteraria
islandese non solo per le sue ricerche, che ordinano le tradizioni storiche, letterarie e
mitologiche del suo paese, ma anche come scrittore e poeta. L’Edda, la più significativa tra le
sue opere, si presenta come un trattato volto all’educazione professionale dei letterati. L’opera
contiene due libri distinti che trovano la loro unità nello scopo comune: la Gylfaginning
“L’inganno di Gylfi”, gli Skáldskaparmál “Il linguaggio poetico”, un vero e proprio manuale
tecnico dove vengono chiarite figure retoriche e stilistiche della tradizione poetica sulla base
di riferimenti culturali e mitologici ricavati in larga parte dalla Gylfaginning. L’opera è
strutturata in funzione di un chiarimento razionalistico dei testi dell’antica tradizione poetica e
mitica, senza però che l’autore faccia una vera e propria distinzione tra la tradizione poetico-
letteraria e quella religiosa, e questa apparente confusione del piano mitico e di quello epico
induce a interpretazioni sbagliate sull’importanza che Snorri dà alle correnti latino-cristiane
importate in Islanda. Questo “malinteso” attribuisce allo studioso una visione evemeristica
dell’antica religione, generalizzando dei moduli interpretativi che non trovano riscontro
nell’analisi concreta dell’opera.
Un importante studioso dei popoli germanici è stato Georges Dumézil, che analizza la
composizione del pantheon scandinavo e i miti che lo circondano in maniera critica, senza
farsi trascinare dalla storia mitica. Egli detenne la cattedra di “Civiltà Indo-Europee” al
Collège de France e dedicò il suo lavoro a consolidare la storia religiosa comparata, la storia
sociale e la storia culturale dei popoli indoeuropei come una scienza sorella della linguistica
indoeuropea comparata nata nell’età romantica, riuscendo ad ottenere approfondimenti sulla
storia antica, la struttura di base e l’ulteriore sviluppo delle culture indoeuropee. Nei suoi
studi, Dumézil mette in risalto come la tradizione religiosa sia importante per comprendere la
mentalità e l’organizzazione collettiva di un particolare gruppo sociale, cercando di non farsi
influenzare dalle nostre conoscenze pregresse. Per fare ciò, in parte, bisogna affidarsi ai miti,
ovvero ai racconti tradizionali tramandati oralmente che, visti da un punto di vista moderno,
potrebbero apparire come semplici favole per bambini, ma che nascondono una struttura più
complicata e profonda della quale si ha una cornice complessiva grazie all’antropologo e
formalista russo Vladimir Jakovlevič Propp, il quale ha posto le basi per lo studio di quello
che oggi chiamiamo “genere letterario della fiaba”. Tale studio ci permette di analizzare i miti
di questa particolare popolazione e la formazione del pantheon, evidenziando come ogni
religione politeista ha generato storie che siamo capaci di comparare e confrontare: confronto
che ci porta a riconoscere come figure, un tempo religiose, oggi siano ritenute semplici
soggetti di favole e in alcuni casi di opere d’arte.
L’obiettivo di questa tesi è quello di fornire una visione storico-filosofica su una cultura
ad oggi poco studiata, di analizzare in maniera critica la formazione della società scandinava
attraverso la sua tradizione religiosa e la trasformazione di questa religione in mitologia, per
poi essere usata come base per le rivendicazioni che diedero origine all’ideologia nazista.
Primo Capitolo
Morfologia delle fiabe
1.1 Esistono le fiabe per bambini?
Quando si parla del termine “fiaba” siamo subito pronti ad associarlo a un genere
letterario ristretto e ritenuto secondario, circoscritto a una determinata fascia d’età, quella
dell’infanzia, quando è ritenuto normale essere circondati da storie irreali e apparentemente
prive di significato, superficiali per la presenza di personaggi e vicende adatte a un pubblico
ancora innocente. In effetti, la caratteristica distintiva dei bambini è proprio la “credulità
letteraria”, cosa che permette loro di immedesimarsi nella storia completamente: cosa che per
un adulto risulta molto difficile, in quanto egli, avvolto costantemente dalla realtà, è portato a
bollare la narrazione fantastica dei racconti che gli venivano narrati quando era fanciullo
come una sciocca fantasia e a rinnegare i “viaggi” intrapresi in quei territori immaginari.
Facendo ciò, ci si dimentica che in origine erano gli adulti i destinatari delle storie, dalle quali
spesso ricavavano mera evasione e divertimento, e il cui merito «[risiedeva] nei suoi effetti,
tra i quali [andava] annoverata la soddisfazione di alcuni primordiali desideri umani».
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Dobbiamo però riconoscere che fornire una definizione di racconto fiabesco è una delle
cose più complesse che la letteratura contemporanea conosca, e le domande a cui gli studiosi
ancora cercano di fornire una risposta corretta e completa sono sempre le medesime: che
cos’è una fiaba? Quale tipo di racconto possiamo davvero definire tale? In base a quali criteri
è possibile inserire una narrazione all’interno del genere fiabesco? Quesiti che probabilmente
non avranno mai una risposta, dato il carattere poliedrico e mutevole che contraddistingue le
storie appartenenti a questo tipo di letteratura; l’unica via possibile è quella di prendere in
esame il genere, tentare di sviscerarlo e metterlo a nudo nel tentativo di comprendere cosa lo
renda così complesso e, quindi, affascinante e misterioso. Eppure, prendere in esame un
racconto fiabesco non vuol dire limitarsi a comprendere i significati più nascosti, ma anche a
scontrarsi con una tradizione critica radicata e ricca, che fonda le sue radici negli anni Venti
del XX secolo e nel Formalismo, grazie al lavoro del russo Vladimir Jakovlevič Propp e della
sua suddivisione in funzioni, che va a stabilirsi come punto di partenza per coloro che si sono
dedicati al genere negli anni successivi.
1
J.R.R. Tolkien, Albero e foglia (1964), trad. it. di F. Saba Sardi, Milano, Bompiani, 2004.
Una delle prime testimonianze del genere della fiaba come espressione della cultura
popolare è una raccolta di uno scrittore napoletano, Giambattista Basile, che scrisse nel suo
dialetto l’opera Il cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille, edita fra il 1634 e il
1636. Questa era una raccolta di cinquanta racconti di carattere popolare, il cui obiettivo, in
origine, era quello di divertire le corti e tra queste fiabe possiamo ritrovarne alcune che
successivamente sono state riprese da autori come Charles Perrault e i fratelli Grimm, fiabe
come Cenerentola o La bella addormentata nel bosco. Le riprese di queste favole negli autori
citati aprono uno studio, in particolare da parte dei fratelli Grimm, i quali non concepivano la
classificazione in “fiabe per bambini” delle storie che venivano trascritte, vista la persistente
esistenza di racconti provenienti da momenti storici anteriori; difatti la loro opera presenta una
rielaborazione delle fiabe della tradizione popolare tedesca Fiabe del focolare e porta come
sottotitolo Per bambini e il focolare. A tal proposito si esprimeva Jacob Grimm nel volume
Principessa Pel di Topo e altri 41 racconti da scoprire:
“La differenza tra le fiabe per bambini e quelle del focolare e il rimprovero che ci viene
mosso di avere utilizzato questa combinazione nel nostro titolo è più una questione di lana
caprina che di sostanza. Altrimenti bisognerebbe letteralmente allontanare i bambini dal
focolare dove sono sempre stati e confinarli in una stanza. Le fiabe per bambini sono mai state
concepite e inventate per bambini? Io non lo credo affatto e non sottoscrivo il principio
generale che si debba creare qualcosa di specifico appositamente per loro. Ciò che fa parte
delle cognizioni e dei precetti tradizionali da tutti condivisi viene accettato da grandi e piccoli,
e quello che i bambini non afferrano e che scivola via dalla loro mente, lo capiranno in
seguito quando saranno pronti ad apprenderlo. È così che avviene con ogni vero
insegnamento che innesca e illumina tutto ciò che era già presente e noto, a differenza degli
insegnamenti che richiedono l'apporto della legna e al contempo della fiamma.”
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Ma in effetti perché le fiabe sono ritenute così importanti e vengono raccontate?
Comunemente si risponde ponendo l’accento sui loro messaggi di educazione e formazione,
eppure gli psicologi attuali mettono in evidenza che molte storie della nostra cultura sono
rappresentazioni simboliche di emozioni come la paura e l’abbandono, l’abuso da parte degli
adulti, la paura di crescere e dell’autonomia; mentre altri pensano che le fiabe abbiano le loro
radici negli antichi miti, come fa Bruno Bettelheim nel libro Il mondo incantato del 1977, nel
quale sostiene che le fiabe, e in particolare quelle dei fratelli Grimm, sono la rappresentazione
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Jacob e Wilhelm Grimm, Principessa pel di topo e altre 41 fiabe da scoprire (1818), Roma, Donzelli Editore,
2012.