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INTRODUZIONE
Il fenomeno del fascismo in Italia è stato studiato in tutte le sue
componenti fondamentali, in relazione alle strutture economiche e
politiche in cui si è sviluppato, per chiarire le cause del suo successo e
della sua durata, per penetrare le ragioni profonde che hanno reso
possibile il processo di fascistizzazione dell’Italia intera.
Nel quadro di questa analisi, del resto non ancora del tutto
completata, enorme rilievo occupa l’indagine di un settore vasto quale
fu quello della “cultura” nell’arco del Ventennio. Al riguardo va
subito fatta una precisazione: il problema, cioè, non consiste nello
stabilire se sotto il fascismo ci fu o no vera cultura, ma piuttosto
nell’accertare quali condizionamenti il regime esercitò sulla vita
culturale del paese.
Il presente lavoro si propone l’analisi di un aspetto nevralgico di
un interessante ambito della cultura quale fu quello dello stampa. In
primo luogo si sono ripercorse le diverse tappe che, a livello
nazionale, tentarono di incanalare i giornali nell’alveo di un completo
e massiccio asservimento alle necessità del fascismo. In un secondo
momento, tale chiave di lettura è stata circoscritta alla sola Basilicata,
relativamente alla quale si è eseguita anche una capillare analisi di tre
giornali in essa pubblicati durante il Ventennio; periodici diversi per
temi e argomenti, nel tentativo di meglio evidenziare i caratteri della
propaganda del regime.
La prima indagine è stata compiuta su La Basilicata nel Mondo,
rivista mensile pubblicata dal 1924 al 1927. Essa si muoveva in varie
direzioni: dall’antropologia alla storia; da argomenti di impostazione
più generale, economia, bonifiche, vicende politiche lucane, a temi
5
più particolareggiati e meno impegnativi inerenti una famiglia, un
nome, un comune della realtà locale basilicatese.
In merito allo studio della propaganda nelle vicende
economiche della Lucania si è scelto di puntare l’attenzione su Terra
Lucana (1923-1937), un mensile a carattere prettamente tecnico,
rappresentante l'organo a stampa ufficiale delle istituzioni agrarie e
zootecniche della provincia di Potenza.
L’esame infine delle vicende esclusivamente ‘politiche’ della
Lucania durante il Ventennio, è stata effettuata attraverso la lettura di
alcuni numeri del Giornale Basilicata, una delle maggiori
pubblicazioni a stampa del regime, a cadenza settimanale, uscito fino
al 1937.
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Capitolo I
La stampa in Italia nel Ventennio fascista
1.1 - L’Ufficio stampa
Prima di diventare “il Duce” Mussolini era stato anche
giornalista, direttore dell’Avanti!, e, in seguito, del Popolo d’Italia e
una volta salito al potere egli continuerà a scrivere editoriali ed
articoli; per molto tempo seguirà a credere nell’efficacia della stampa
più che del potere persuasivo della radio e del cinema
1
. Così fin dal
1923 Mussolini diresse personalmente L’Ufficio Stampa (U.S) che nel
giro di pochi anni diventò uno strumento indispensabile per l’opera di
fascistizzazione del Paese che egli proponeva. Nell’Ufficio c’era un
settore che si occupava dei quotidiani esteri, con l’incarico di
raccogliere e tradurre gli articoli che parlassero dell’Italia e di
concordare con l’Agenzia Stefani le notizie di politica estera da “far
passare”
2
. Un’altra sezione si occupava della stampa italiana, a
proposito della quale si ponevano alcuni problemi; infatti al momento
1
Diplomatosi maestro nel collegio laico Giosuè Carducci di Forlimpopoli nel
1901, Benito Mussolini (1883-1945) iniziò giovanissimo a collaborare con i
giornali: Avanguardia Socialista di Milano e Avvenire del lavoratore’di Trento; di
quest’ultimo fu direttore dal 1909. L’anno successivo passò a dirigere La lotta di
classe, settimanale dei socialisti forlivesi. Nel 1912 ottenne la direzione dell’
Avanti!, principale organo di stampa del PSI; infine, dal 1914 al 1922, Mussolini
fu proprietario e direttore de Il Popolo d’Italia. R. DE FELICE, Mussolini il
rivoluzionario (1883-1920), Torino, Einaudi, 1995, pp. 5-287.
2
M. CESARI, La censura nel periodo fascista, Napoli, Liguori, 1978, pp. 13-16.
7
dell’affermazione del fascismo, fatta eccezione per alcuni fogli, organi
ufficiali di partito (Avanti!, l’Unità, ecc.), che erano dichiaratamente
antifascisti, la maggior parte dei quotidiani italiani si era mantenuta in
posizione di attesa e di incertezza nei confronti del regime,
approvando alcune scelte, disapprovandone altre; anche i giornali
cattolici erano rimasti piuttosto in disparte, non occupandosi troppo
della politica italiana in quegli anni. Ora si trattava di indurre i
giornali “neutrali” ad appoggiare senza riserve il regime, di togliere
di mezzo la stampa di opposizione, e, infine, controllare la stessa
stampa fascista, perché non assumesse posizioni in contrasto con
quelle di Mussolini.
Per tale motivo l’U.S. passava in rassegna tutti i quotidiani e i
periodici compresi i bollettini parrocchiali, per controllarne
l’allineamento e richiamare all’ordine nel caso di eventuali
trasgressioni. Per quanto riguardava la stampa antifascista il regime
intervenne in molti modi per indurla al silenzio: si attaccarono
redazioni e tipografie, si minacciavano i direttori, si boicottava la
distribuzione
3
.
1.2 - Il giornalismo imbavagliato
Nonostante ciò i grandi quotidiani, La Stampa ed il Corriere della
Sera, ad esempio, potevano dirsi ancora in un certo modo
indipendenti. Così Mussolini, nel luglio del 1923
4
, presentò al Re, per
3
P. V. CANNISTRARO, La fabbrica del consenso, Fascismo e mass media, Bari,
Laterza, 1975, p. 76.
4
R.D. n. 3288 del 15.07.1923.
8
la firma, un decreto secondo il quale garante responsabile di un
quotidiano doveva essere il direttore o uno dei redattori:
precedentemente la responsabilità di quando veniva stampato era
spesso di un prestanome che era stipendiato per affrontare citazioni o
condanne. Con lo stesso decreto si dava al Prefetto l’ordine di
diffidare quei direttori che avessero consentito la pubblicazione di
notizie false o tendenziose, capaci di turbare l’azione del Governo o in
genere l’ordine pubblico. Il direttore che fosse stato diffidato per due
volte veniva revocato dall’incarico ed i giornali che fossero in
contrasto con le disposizioni di legge potevano essere sequestrati con
autorizzazione prefettizia, anche senza, in casi particolarmente
urgenti, indipendentemente dalla diffida
5
.
Tale decreto costituì uno strumento veramente importante per il
controllo dei quotidiani, tanto da suscitare l’indignazione e la protesta
da parte della Federazione Nazionale della Stampa; Mussolini allora
non rese esecutivo il progetto di legge, ma questo funse lo stesso da
deterrente nei confronti degli indecisi non ancora allineati.
La libertà di stampa era dunque compromessa. Alcuni direttori
avversi al regime lasciarono i rispettivi quotidiani a persone o a gruppi
di fede fascista; i giornali cattolici adottarono la linea del disimpegno
o si schierarono con il regime, quand’ecco avvenne il delitto Matteotti
(giugno 1924). Le reazioni della stampa furono violente, tanto che
alcune testate, che si erano pronunciate al favore del Governo,
minacciarono di rivedere le loro posizioni; altre, addirittura, chiesero
5
Sui dettagli di questo importante progetto di legge, poi effettivamente applicato,
si rimanda a: P. MURIALDI, La stampa nel regime fascista, Bari, Laterza, 1986, p.
40;
V. CASTRONOVO, La stampa italiana dall’Unità al Fascismo, Roma, Laterza,
1991, p. 302.
9
le dimissioni di Mussolini e la prematura fine della sua carriera
politica.
Poiché si venne a creare un clima di tensione piuttosto
preoccupante per il regime, Mussolini decise di pubblicare il decreto
dell’anno precedente
6
. La legge del 31 dicembre del 1925
7
oltre a
ordinare e rendere esecutive le precedenti disposizioni, istituì anche un
Albo professionale a cui si doveva necessariamente essere iscritti per
svolgere l’attività di giornalista; allo stesso tempo, però, si precisava
che per accedere all’albo bisognava avere la tessera del partito fascista
e non essere stati denunciati per avere svolto attività politica in
contrasto con esso
8
.
In virtù di tali radicali decisioni alla fine del 1926 cessarono le
pubblicazioni i quotidiani dell’opposizione (Avanti!, L’Unità) , mentre
altri furono costretti a lunghi periodi di interruzione. La direzione del
Corriere della Sera, della Stampa e di altri giornali di apprezzabile
tiratura fu affidata, a volte dopo normali trattative, a volte dopo
autentici colpi di mano, a gruppi editoriali fedeli al fascismo
9
.
Ridotti al silenzio gli oppositori, sostituita la Federazione della
stampa con un Sindacato nazionale fascista dei giornalisti, l’U.S.
diede l’avvio a una sistematica programmazione dei temi di
propaganda da diffondere in tutto il Paese
10
.
Il sistema più importante e, certo, più famoso che adottò il
regime per il controllo della stampa fu quello delle “disposizioni”,
6
R.D. n. 1081 dell’ 08.07.1924.
7
R.D. n. 2307 del 31.12.1925 L’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo entrò in
vigore a partire dal 26 febbraio 1928 (R.D. n. 384).
8
A. AQUARONE, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1995,
pp. 418-420.
9
P.V. CANNISTRARO, La fabbrica del consenso, cit., p. 177
.
10
Ivi, pp. 184-186.
10
degli “ordini” trasmessi quotidianamente mediante le “veline”. Ogni
giorno Mussolini riceveva il dirigente dell’U.S. e gli consegnava tutti i
comunicati e le disposizioni che poi venivano battuti a macchina e
distribuiti in “velina” ai vari giornalisti
11
.
1.3 - Il mito del Duce
Nel suo tentativo di conquistare al fascismo tutta la popolazione
italiana l’U.S. (che nel 1937 diventerà Ministero della Cultura
Popolare, Minculpop) si propose alcuni precisi obiettivi, tra cui la
costruzione del mito del Duce. Per questo, come per gli altri
argomenti, la tecnica seguita fu duplice: da una parte “non dire”,
dall’altra “sottolineare”; poiché del Duce si doveva dare un’immagine
eroica che lo facesse apparire al di sopra dei comuni mortali, non si
poteva accennare né ad eventuali sue malattie né a debolezze. Il suo
nome non poteva essere accostato ad eventi funesti, mentre non si
doveva smettere di sottolineare le qualità positive di Mussolini: la sua
forza, la sua abnegazione, la disponibilità nei confronti del popolo
12
.
Per rafforzare tale idea apparivano continuamente sui giornali e
sulle riviste fotografie che lo ritraevano mentre cavalcava o nuotava,
mentre guidava aerei o moto, mentre si intratteneva con i contadini o
visitava le fabbriche. Così a poco a poco, utilizzando abilmente sia
l’immagine di Mussolini, uomo superiore, sia quella di Mussolini
uomo del popolo con cui tutti potevano identificarsi, il MinCulPop
11
R. DE FELICE, Mussolini il Duce, gli anni del consenso (1929-1936), Torino,
Einaudi, 1996, p. 185.
12
M. ISNENGHI, L’educazione dell’italiano. Il fascismo e l’organizzazione della
cultura, Bologna, Cappelli, 1979, pp. 16-17.
11
fece in modo che la figura del Duce diventasse una cosa sola con il
Paese
13
.
1.4 - Un Paese senza problemi
Alla stampa venne affidato il compito di propagandare anche
l’altro mito caro al regime; quello di una Italia moderna, ordinata,
industriosa, pacificata; e a tale scopo era utilizzata preferibilmente la
tecnica del “tacere”, del “non dire”. Bisognava dare l’impressione,
agli italiani ed agli stranieri, che nella penisola si vivesse in piena
armonia con gli ideali del fascismo, che i cittadini fossero organizzati
in una società priva di contrasti, di conflitti di classe, che
conducessero una esistenza tutta dedita al lavoro e alla famiglia. Il
mezzo per ottenere tutto ciò fu presto trovato: si proibì, pena il
sequestro, di pubblicare notizie di scandali, rapine, delitti e di tutto
quello che poteva in qualche modo turbare o suscitare, da parte del
pubblico, una morbosa curiosità, e soprattutto poteva far credere che
ci fosse qualche aspetto della vita nazionale che sfuggisse al controllo
del regime
14
.
Così se nel Paese insorgevano problemi economici, epidemie e
più in generale fenomeni di particolare gravità, gli italiani non ne
sapevano nulla.
13
M. T. MAZZATOSTA, Il regime fascista tra educazione e propaganda, Bologna,
Cappelli, 1978, pp. 150-155.
14
R. DE FELICE, Mussolini il Duce, cit., pp. 54 ss.
12
Il regime si mostrò particolarmente severo contro chi
diffondeva notizie di delitti o di altre attività criminose, convinto che
notizie del genere suscitassero, per il principio dell’imitazione, una
serie di fatti analoghi da parte di lettori facilmente influenzabili.
Pertanto i giornalisti che, malgrado tutto si ostinavano a fare
della cronaca nera, venivano regolarmente diffidati e contro di loro si
esercitava la più dura forma di repressione poliziesca. Così, col
passare del tempo, la gente aveva finito col credere che in Italia
nessuno rubasse o uccidesse, in alcuni casi illudendosi che il fascismo
fosse veramente riuscito a eliminare dalle radici le cause della
delinquenza
15
.
1.5 - La stampa fascista e la famiglia
Attraverso la stampa il regime condusse un’altra campagna che
gli stava particolarmente a cuore: quella dell’esaltazione della
famiglia, della sanità dei costumi. A tale riguardo scomparvero dalle
riviste le notizie di scandali e i racconti immorali; si vietarono i
concorsi di bellezza; si proibì la pubblicazione di foto rappresentanti
donne magre, vagheggiando, al contrario, la donna robusta, dai fianchi
larghi, garanti di fecondità
16
.
Interventi di questo tipo rispondevano esattamente alle
aspirazioni della maggioranza degli italiani che volevano essere
rassicurati che tutto andava per il meglio. Nella vita sociale come in
quella famigliare, in definitiva, la rivoluzione fascista si risolveva
15
P.V. CANNISTRARO, La fabbrica del consenso, cit., p. 200, ss.
16
Ivi, p. 86.