Introduzione
La mia tesi intende ricostruire una parte del dibattito ,che, negli anni Sessanta, ha con-
dotto alla nascita di una nuova disciplina: la semiologia del cinema. La semiologia ave-
va assunto da diversi decenni dei metodi certi che l’avevano fatta diventare a tutti gli
effetti una scienza. Si deve infatti al linguista svizzero Ferdinand de Saussure
(1857-1913) la definizione di tale disciplina come “scienza che studia la vita dei segni
nel quadro della vita sociale”. La semiologia rappresenta l’estensione naturale della
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linguistica: così come la linguistica studia le lingue e quindi i sistemi di segni istituzio-
nalizzati in un gruppo sociale, la semiologia nasce proprio dalla necessità di studiare -
attraverso i modi propri della linguistica - i sistemi non verbali. L’obiettivo del dibattito
che negli anni ’60 ha avuto luogo al Festival del Nuovo Cinema di Pesaro, era proprio
quello di cercare di capire in che termini si potesse parlare di un linguaggio non verbale
come quello cinematografico e in cosa il cinema somigliasse ad una lingua verbale. I
convegni di Pesaro sono stati, soprattutto nei momenti di maggiore vivacità, un’occa-
sione in cui le varie nouvelle vagues nazionali potessero mostrare i propri caratteri ever-
sivi rispetto al cinema d’industria dei grandi festival e dove gli autori e teorici più auda-
ci potessero esprimere tutta la loro voglia di rinnovamento attraverso un “Nuovo cine-
ma”. Una volta “esauriti gli strascichi della polemica sul neorealismo, in Italia si assiste
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ad un progressivo affievolimento dell’istanza ideologica e alla nascita di un nuovo inte-
resse per la tecnica e per lo stile” . Il problema dell’ideologia non sarà di primaria im
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portanza in questo periodo, ma tornerà in voga con l’avvento del Sessantotto, politiciz-
zando il discorso anche durante il periodo degli anni ’70. La Mostra Internazionale del
Cit. Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 26.
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Cfr. G. Pescatore, “Pesaro e i nuovi festival” in G. Canova (a cura di), Storia del cinema italia
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no 11: 1965-1969, Marsilio, Venezia, 2002, pp. 520-525.
Cit. Ivi, p. 489.
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Nuovo Cinema è stata fondata nel 1965 da Lino Miccichè e Bruno Torri. Durante la mo-
stra, alla proiezione dei film, venivano affiancate delle tavole rotonde, dei convegni con
relatori con competenze non esclusivamente cinematografiche. Secondo quanto dichia-
rato da Lino Miccichè , il Festival di Pesaro intendeva trovare un filo conduttore fra i
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“nuovi film” che si realizzavano e le “nuove metodologie analitiche” applicate ai film.
Pesaro ambiva a diventare un punto di riferimento per ciò che di “nuovo” si andava
proponendo sia nell’ambito della critica cinematografica, sia più in generale a livello
culturale. L’edizione del 1965 nacque dalla volontà di tentare la strada dell’incontro e
della connessione sullo specifico tema della “Critica e Nuovo Cinema” privilegiando gli
interventi degli autori cinematografici a quelli dei cinecritici. Il grande successo che il
Festival ebbe nei due anni successivi lo fece diventare un punto di convergenza tra pra-
tiche espressive e pratiche riflessive: furono coinvolti: “semiologi e filosofi, poeti e so-
ciologi, estetologi e massmediologi, addetti ai lavori e extravaganti indisciplinati” . A
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Pesaro, con la tavola rotonda “Critica e Nuovo Cinema” del 1965, si avverte che il rap-
porto fra pratiche espressive e pratiche riflessive sia reciproco: critica e cinema voglio-
no cambiare di pari passo. Infatti proprio dal Festival di Pesaro del ’65 nasce l’iniziativa
degli incontri dei due anni successivi che hanno come tema centrale il linguaggio cine-
matografico: “1966: Per una nuova critica del linguaggio cinematografico”; “1967: Lin-
guaggio e ideologia nel film”. Nelle prime tre edizioni e soprattutto nelle edizioni del
’66 e ’67 le tavole rotonde si svolsero con protagonisti del calibro di: Christian Metz,
Roland Barthes, Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, Emilio Garroni. Quindi non soltanto
critici o autori cinematografici, ma soprattutto letterati e semiologi. Infatti, oltre alle
questioni di carattere prettamente cinematografico, esiste un piano più elevato di discus-
sione-scontro tra le diverse personalità intellettuali che partecipano a Pesaro nel ’66 e
’67. Dietro l’intervento di un autore che ha partecipato alla Mostra Internazionale del
Nuovo Cinema di Pesaro, in realtà si nascondono le “correnti” semiotiche che caratte-
rizzano la disciplina durante tutto il periodo del ‘900. Le mostre internazionali del bien-
Cfr. L. Miccichè, “Nota introduttiva” alla pubblicazione della raccolta degli atti dei Convegni
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Pesaresi col titolo Per una nuova critica. I convegni pesaresi 1965-1967, Marsilio, Venezia,
1989, pp. 7,8.
Cit. Ivi. p. 8.
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nio ’66-’67 rappresentano il luogo dove queste diverse posizioni hanno avuto modo di
scontrarsi ed intersecarsi.
In un discorso pronunciato nel 1966, Lino Miccichè avverte come:
“ in realtà troppo spesso la critica mette in luce una sua carenza quasi strut-
turale di strumenti di analisi adeguati a ciò che il cinema è o sta diventando
”.
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In questo periodo si comincia ad avvertire la necessità di forgiare gli strumenti per poter
comprendere ed analizzare in modo più soddisfacente l’opera cinematografica: è da
questa attestazione che Christian Metz parte per arrivare a discutere, a Pesaro, di una
semiologia del cinema. Lo scopo principale della tesi è di approfondire alcuni dei più
rilevanti interventi teorici che in quegli anni si sono incrociati negli incontri del Festival
del Nuovo Cinema.
Nel primo capitolo mi soffermerò soprattutto su un saggio pubblicato un anno prima
dell’esordio dell’appuntamento pesarese del 1965, si tratta di: “Cinéma langue ou lan-
gage” di Metz. Lo studioso francese nota come, fino ad allora, la teoria del cinema con-
siderava la Settima arte un linguaggio, ma lo studiava come una lingua, cioè cercava di
individuarne una grammatica, una specificità. Dopo aver osservato che il cinema non
possiede le condizioni per poter essere considerato una lingua, Metz arriva a dire che si
tratta di “un linguaggio senza lingua”. Il cinema è visto come un mezzo che comunica
ogni volta attraverso dei neologismi che non sono mai esistiti se non prima dell’atto
creativo di un autore, e che vengono codificati dagli spettatori in quanto analoghi della
realtà.
Questa idea non è molto distante da ciò che Pasolini sostiene nell’intervento dal titolo
“La mimesi dello sguardo” del 1965. Per il cineasta friulano, mentre i linguaggi letterari
si fondano a partire da una lingua formalizzata appositamente per comunicare, quelli
Cit. L. Miccichè, “La responsabilità della critica”, discorso pronunciato alla I° Mostra Interna
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zionale del Nuovo Cinema di Pesaro 1965, pubblicato in Per una nuova critica. I convegni pe-
saresi 1965-1967, Marsilio, Venezia, 1989. p. 14.
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cinematografici si fondano sul nulla. Ciò vuol dire che questi ultimi attingono, in modo
improprio, alla langue della realtà.
Come verificheremo, la posizione di Pasolini sarà messa in discussione dall’intervento
di Umberto Eco “Sulle articolazioni del codice cinematografico” (1967), nel quale il
semiologo italiano muoverà delle obiezioni anche nei confronti della proposta di Metz.
Il terzo e ultimo capitolo si concentrerà, invece, sulle osservazioni che Emilio Garroni
propone nella tavola rotonda pesarese del 1967 e nel successivo Semiotica ed estetica
(1968). A parere di Garroni, il cinema è composto da una grande molteplicità di sistemi
di segni omogenei, e allo stesso tempo diversi fra loro. Ognuno di questi sistemi possie-
de una propria singolare biplanarità espressione-contenuto, che fa sì che il cinema possa
essere annoverato fra le semiotiche miste.
La tesi si concluderà tornando nuovamente su Metz, e prendendo in esame un lavoro
come Linguaggio e cinema (1971). In quest’opera, che vede la luce al termine del dibat-
tito che si era sviluppato negli incontri pesaresi del decennio precedente, Metz prosegue
in parte la strada intrapresa da Garroni. Lo studioso francese ribadisce che non esiste un
codice costante in ogni film, ma che nel cinema esistono sia codici appartenenti solo
all’espressività cinematografica sia codici che sono condivisi da linguaggi diversi dal
cinema. Ed è proprio questa compresenza di elementi diversi fra loro, che si intrecciano
in modo completamente diverso in ogni singola opera, a definire l’architettura soggia-
cente al film che l’analista deve svelare.
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1. Il cinema: lingua o linguaggio?
1.1 Un linguaggio senza lingua
Il secondo dopoguerra rappresenta un punto di svolta per le teorie del cinema. Innanzi-
tutto perché iniziano ad intervenire una serie di fenomeni che mutano radicalmente le
forme e il senso della riflessione teorica. Vi è l’accettazione del cinema come fenome
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no culturale. Fino ad allora i discorsi teorici sembravano muoversi tutti nella direzione
di una messa in evidenza delle potenzialità del mezzo, per esempio esaltandone l’inno-
vazione tecnologica oppure paragonandolo alle altre arti. Il secondo aspetto, evidenziato
da Francesco Casetti, è l’accentuazione dei caratteri specialistici della teoria del cinema.
Cambiano le sedi nelle quali si fa teoria: non più soltanto le scuole di cinema, come nel
caso del Centro Sperimentale di Cinematografia in Italia, ma università dove i diversi
docenti hanno modo di confrontarsi. Altro aspetto rilevante è la nascita di riviste specia-
lizzate impegnate in un dibattito continuo come Filmcritica, fondata all’inizio degli anni
’50, e Bianco e Nero, già attiva nell’anteguerra.
La specializzazione del dibattito critico si instaura su tre livelli: il primo è il cambio del
linguaggio, ovvero non viene più adottato un linguaggio comune appena venato di tec-
nicismo (“montaggio”, “primo piano”, “fotogenia”), ma uno che prende spunto da altri
campi, come la psicanalisi oppure la semiotica (“sintagmatica”, “icona”, “sutura”). Poi
vi è un distacco fra gli studi teorici e quelli critici, dove le elaborazioni degli uni vengo-
no accolte con indifferenza dagli altri. Infine vi è l’internazionalizzazione del dibattito,
ne è un esempio il Festival del Cinema di Pesaro che coinvolge personalità eterogenee
sia per la preparazione che per la provenienza (Milos Forman, regista dalla Cecoslovac-
chia, Roland Barthes, semiologo dalla Francia per citarne due).
Cfr. F . Casetti, Teorie del cinema 1945-1990, Bompiani, Milano, 1994, p. 9.
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