Introduzione
Mozart e Beethoven, solo due “bambini prodigio”?
Spesso, leggendo o studiando saggi e manuali riguardanti due tra le figure più conosciute della
Musica occidentale- Mozart e Beethoven- incorriamo in una serie, talvolta anche consistente, di
aneddoti e informazioni biografiche in merito alla loro condizione di “bambini prodigio”.
Altrettanto frequentemente, però, la narrazione dell'infanzia dei due compositori si arresta qui,
dando quasi per scontato che quei ragazzini eccezionalmente talentuosi sarebbero poi diventati due
tra i nomi/simbolo che, pronunciati poco più di due secoli dopo in un qualsiasi contesto, nel Mondo
Occidentale (e non solo), avrebbero rimandato subito ad un certo tipo di Musica, nota come
“musica classica”; definizione che, oltre a quelli del Classicismo vero e proprio (il periodo di
Mozart e almeno del primo Beethoven, appunto), abbraccia, nella sua accezione più comune-
seppure sbagliata e quasi ghettizzante
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- tutti i generi musicali grosso modo compresi tra il Barocco e
il tardo Romanticismo: considerazione tra l'altro “diplomatica”, che non tiene conto dei suoi
estremi, costituiti da un lato dalla cosiddetta “musica antica” e dall'altro dalle varie correnti che,
terminato il Romanticismo, si sviluppano fino ad arrivare, ovviamente variate, a lambire i giorni
nostri (si pensi ad esempio al filo, neanche tanto sottile, che lega le musiche di Schönberg, Webern e
Boulez). Ebbene, anche questi estremi sono considerati talvolta “musica classica” dai più temerari.
Ad ogni modo, nell'immaginario collettivo e popolare, le figure di Mozart e Beethoven sono quindi
identitarie non solo di un periodo limitato sia geograficamente che cronologicamente (il
Classicismo viennese) ma, per sineddoche, di almeno trecento anni di una storia della Musica
occidentale che sappiamo essere stata decisamente variegata ed eterogenea.
Questa piccola digressione ha avuto il compito di spiegare meglio il ragionamento iniziale, e cioè
che sarebbe davvero riduttivo relegare Mozart e Beethoven a “bambini prodigio” o, peggio ancora,
a “geni”, destinati a diventare due tra i principali ambasciatori della “musica classica” nel mondo
contemporaneo da predestinati, quasi inconsciamente.
In questi anni la Musicologia ci ha lasciato encomiabili studi e dettagliatissime analisi sulla vita,
l'estetica e praticamente su tutti i lavori dei due maestri, le cui composizioni considerate (spesso, ma
non sempre, a ragione) “principali” sono state interpretate -talvolta anche nota per nota- sotto tutti,
1 Il termine -molto forte- “ghettizzante” è riferito al fatto che spesso, chi non ha dimestichezza con questo tipo di
musica (ma non solo), separi la “musica classica” da tutto il resto, identificandola addirittura in modo molto
superficiale come un “genere” musicale a sé stante, al quale sono non di rado attribuiti una serie di clichés negativi.
Ovviamente esiste anche la discriminazione opposta -anzi, doppia- di chi considera tutto ciò che non è “musica
classica” (ponendo quindi ancora in essere quest'espressione storiograficamente sbagliata) come “musica leggera”,
anche in questo caso con un'evidente accezione negativa.
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o quasi, i punti di vista possibili. Questo lavoro viscerale, però, non è stato svolto con la stessa
intensità per quanto concerne le composizioni infantili di Mozart e Beethoven, giustamente ritenute
meno “importanti” delle altre, se considerate in un'ottica strettamente tecnico-estetica, o, se
vogliamo, utilitaristica.
A questo punto, però, si rende necessario fare qualche precisazione circa il rapporto che la
Musicologia ha tradizionalmente avuto con i primi lavori dei due compositori, a partire proprio
dalla definizione dell'espressione “primi lavori”: se di Mozart, infatti, abbiamo una buona quantità
di musica scritta già nel pieno del suo periodo infantile, per il Beethoven bambino dobbiamo
accontentarci delle varie descrizioni dell'epoca che ci dipingono molto bene la curiosità del piccolo
Ludwig per l'improvvisazione sui vari strumenti (puntualmente moderata dall'autoritario padre). Se
vogliamo arrivare alle prime composizioni beethoveniane scritte che ci sono rimaste, invece,
dovremo avanzare fino alla sua preadolescenza (grosso modo a partire dai dodici anni
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).
Chiarito quindi che l'espressione “primi lavori” si riferisca a due momenti distinti della gioventù dei
compositori, c'è da constatare che, se il primissimo Beethoven, magari anche a causa del suo stesso
rifiuto di inserire le “indegne” opere giovanili nel catalogo, sia stato più trascurato dalla
Musicologia rispetto al Mozart infante, è anche vero che composizioni di quest'ultimo siano state di
frequente prese solo a paradigma di quanto egli “scrivesse bene” la musica a età che, per un
bambino “normale”, sarebbero di certo risultate improponibili.
Nel complesso, quindi, si potrebbe affermare che spesso manchi un punto di vista critico, o, se
vogliamo, “compositivo” sui primi lavori dei due maestri, anche -e soprattutto- in funzione di un
confronto con le loro tanto (a ragione) celebrate opere più mature, punto di vista che questa tesi nel
suo piccolo si propone di offrire.
Per farlo sarà comunque necessario tracciare brevi itinerari biografici del primo Mozart (cap. 1) e
del primo Beethoven (cap. 2), che si soffermeranno però già più sul confronto tra i diversi aspetti
compositivi che poi ritorneranno (o saranno smentiti) nella produzione successiva dei due autori,
che sui fatti biografici in sé. Per delle biografie complete e dettagliate si rimanda invece alla
bibliografia, in particolar modo ai due celeberrimi e utilissimi saggi monografici di Maynard
Solomon (Mozart, 2005 e Beethoven, 1996).
La tesi proseguirà poi con una sezione analitica, nella quale si lavorerà direttamente su due tra i
lavori più significativi della prima fase della vita dei compositori, uno a testa: nello specifico
verranno presi in considerazione la Sinfonia n.25 di Mozart, che chiude idealmente il ciclo delle
composizioni giovanili del maestro e allo stesso tempo ne apre uno nuovo, assolutamente in linea di
continuità con il precedente (cap. 3) e la Sonata WoO 47 n.2 di Beethoven, caratteristico esempio di
un'opera della primissima produzione beethoveniana, quella poi rinnegata dall'artista stesso (cap. 4).
2 Tralasciando in questa sede il fatto che Beethoven sia sempre stato convinto di essere nato due anni dopo la sua
effettiva data di nascita (concetto chiarito meglio nel cap.2).
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Capitolo 1
Mozart, un futuro già scritto
1.1. Bambino prodigio e “adulto prodigio”: i profondi legami
Sarà sicuramente noto a tutti che Mozart sia stato un bambino prodogio e che, anche da adulto, egli
verrà ricordato come uno dei più grandi “geni” nel suo campo. La parola “genio”, già criticata
nell'Introduzione di questa tesi, non va qui intesa nel senso romantico del termine, carico della
tipica ampollosità idealistica che tale periodo si porta dietro; anzi, è stata volutamente selezionata al
posto di altre proprio in opposizione a questo tradizionale significato. La genialità di Mozart è una
condizione spontanea, genuina, naturale: è questo il suo “genio”. In lui non c'è praticamente nulla
del meraviglioso (ma in parte romanzato) titanismo dell'uomo contro il resto del mondo che si
riscontrerà poi in Beethoven, per intenderci.
Ad ogni modo, non è questa la differenza principale fra l'operato dei due grandi compositori
classici. Se di Mozart si può affermare con certezza che il suo sviluppo compositivo sia stato
costante e che, andando avanti negli anni, i suoi lavori siano diventati sempre più complessi (basti
ascoltare idealmente in successione tutte le Sinfonie e questa evoluzione lineare apparirà evidente),
nella vita artistica di Beethoven si distinguono invece più o meno nettamente almeno tre fasi, nel
contesto di uno sviluppo sicuramente impervio e tutt'altro che uniforme (vedi cap.2).
Se il genio musicale (adesso che si è chiarito il termine) di Beethoven sta nell'elaborazione
tematico-motivica, quello di Mozart risiede sicuramente nell'aver usato per tutta la vita gli stessi
elementi compositivi, nient'altro che quelli tipici del Classicismo viennese: il basso albertino, le
appoggiature sulla tonica in cadenza, il trillo per sottolineare la fine di una sezione importante del
movimento, onnipresente ad esempio nei Concerti per strumento solo e orchestra, e così via. Ecco,
Mozart utilizzerà esclusivamente questi elementi, se vogliamo, banali, combinandoli però in una
maniera estremamente varia e, soprattutto, rapida. Se Beethoven con un minuscolo frammento
riesce a costruire una Sinfonia intera, Mozart ha invece la necessità, per tenere vivo l'interesse
dell'ascoltatore, di mutare continuamente i gesti di cui si serve: questa fondamentale caratteristica si
può riscontrare in praticamente tutte le composizioni mozartiane, dalle primissime fino alle ultime.
Ciò che si evolve nel suo stile è, piuttosto, la complessità di tali combinazioni di gesti e quindi di
figure. Mozart bambino prodigio e Mozart “adulto prodigio”, quindi, sono profondamente legati,
sicuramente molto più di quanto non lo sia stato il Beethoven maturo con il suo più giovane “alter
ego”.
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Spie importanti per valutare l'evoluzione nello stile del compositore salisburghese sono quindi le
sue Sinfonie, genere che ha accompagnato tutti i passi della carriera di Mozart, dalla prima infanzia
fino all'ultimo periodo.
1.2. Esempi estremi: le Sinfonie n.1 e 41
Si rende a questo punto necessario contestualizzare le affermazioni del paragrafo precedente con
qualche esempio.
Se è vero che non risulti così pratico analizzare in successione tutte le 41 Sinfonie
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che Mozart ha
scritto, può invece essere tranquillamente alla portata di tutti un ascolto comparato della prima e
dell'ultima, ovvero delle Sinfonie n.1 (K 16), risalente al 1764/65, e n.41, la celeberrima Jupiter
(K 551) del 1788. La prima cosa che salta all'occhio guardando le due partiture è sicuramente la
differente complessità di strumentazione (per il momento intesa semplicemente come scelta degli
strumenti da impiegare), che, pur apparendo nettissima confrontando queste due Sinfonie, è invece
il frutto di un processo di allargamento graduale dell'organico, che Mozart attua nel corso della sua
carriera
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: fatto sta che nella K 16 abbiamo un semplice quartetto d'archi al quale si aggiungono oboi
e corni, mentre nella Jupiter ci sono in più anche flauti, fagotti, trombe e timpani (mancano qui i
clarinetti, che però il compositore utilizza in orchestra per alcune delle sue ultime Sinfonie).
La seconda cosa che un buon osservatore nota subito, è poi la complessità orizzontale delle figure
utilizzate: per dirla nel modo più profano ma efficace possibile, nella K 16 abbiamo una quantità
considerevole dei cosiddetti “palloni” nell'armonizzazione, ovvero di note tenute per tutta la misura,
a mo' di riempitivo. Armonizzazione che si fa più ricca e importante di Sinfonia in Sinfonia, fino ad
arrivare alla complessità che si riscontra nelle ultime, come appunto la n.41 qui presa in esame.
In terzo luogo anche le durate delle Sinfonie mozartiane tendono a dilatarsi sempre di più andando
avanti con gli anni: dalla decina di minuti delle prime si passa alla mezz'ora circa delle ultime
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.
Queste tre osservazioni possono risultare ovvie se si considera che che nel '64, quando Mozart
scrive la sua prima Sinfonia, ha solo otto anni; ma, se estrapolate dal contesto e riportate al totale
della produzione del compositore, si può avere almeno un'idea di cosa troveremmo nel corso di
quella maratona ideale delle 41 Sinfonie vaghegghiata sopra, un'idea di tutti i possibili punti
intermedi tra la prima e l'ultima, insomma. Quello che ne verrà fuori sarà, quindi, un processo di
evoluzione assolutamente lineare: evoluzione intesa come progressivo arricchimento dei fattori in
1 41 sono le Sinfonie attribuite a Mozart dal primo catalogo, tuttavia esso ne contiene alcune che oggi sono
riconosciute come non di Mozart, così come ne estromette altre invece effettivamente scritte dal compositore (v.
infra).
2 Procedimento graduale però che riporta alcune eccezioni, una su tutte la Sinfonia n.9 (1769), già a pieno organico.
3 Anche qui con le dovute eccezioni: è però utile rimarcare il fatto che se esistono delle Sinfonie brevi più tarde, come
ad esempio la piccola n.32, non abbiamo nessun esempio di lunga Sinfonia tra le prime. Ad onor del vero, è corretto
precisare che in alcune esecuzioni la n.2 (peraltro ormai attribuita a Leopold Mozart, v. infra) possa superare di poco
lo sbarramento dei 20 minuti.
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