I N T R O D U Z I O N E
Attraverso un’analisi dei primi saggi di Hegel il mio lavoro si propone di
raggiungere tre obiettivi. Il primo consiste nello sceverare un intreccio profondo
che si dà tra la moralità e la religione, individuando il loro rapporto di vicendevole
implicazione dialettica, nel senso che l’una non può fare a meno dell’altra e
viceversa, essendo due “funzioni fondamentali dello spirito umano”; il secondo nel
definire l’essenza del cristianesimo e, con essa, l’essenza della religione in genera
le; il terzo nel porre la domanda, cercandone poi la risposta più adeguata, se la
religione possa o meno contribuire alla conoscenza della totalità del reale.
Di Hegel ci sono pervenuti molti appunti risalenti all’ultimo decennio del XVIII
secolo, senza un preciso ordine cronologico nonché tematico e sistematico.
Scoperti nel 1907 da uno studioso tedesco di filosofia, Hermann Nohl
( 1879-1960 ), essi prendono il nome di Jugendschriften. Il titolo viene tradotto in
italiano con Scritti giovanili ; ma, per il costante riferimento alla religione, è stata
usata la denominazione di Scritti teologici giovanili.
Tali appunti sono così intitolati : Religione popolare e cristianesimo, La vita di
Gesù, La positività della religione cristiana, Lo spirito del cristianesimo e il suo
destino, Abbozzi ( tra i quali il Frammento sull’amore ).
Incorriamo, consultandoli, già in un primo problema. Possono o non possono
essere qualificati come teologici ? È vero che Hegel, educato secondo la chiesa
cristiana evangelica, consegue sia il dottorato in teologia presso l’Università di
Tubinga nel 1793, sia l’abilitazione di pastore presso una comunità ecclesiale ( a
questo ufficio sostituisce, però, la professione iniziale di precettore privato presso
una famiglia benestante di Berna ); ma a dispetto della sua rigida educazione
luterana, impartita prima in famiglia, poi nel Realgymnasium di Stoccarda e
nell’Ateneo tubinghese, egli matura un progressivo distacco dalla “ortodossia” e
una decisa insofferenza verso i dogmi. Chi presume di voler riscontrare, nei suoi
appunti di fine secolo, riflessioni che mirino all’accettazione della dottrina
ortodossa in alcuni suoi punti essenziali ( Dio uno e trino e sua superiorità
metafisica rispetto alle creature; creazione dell’universo ex nihilo; peccato
originale della prima coppia umana; incarnazione di Cristo e necessità della
redenzione per mezzo del suo sacrificio sulla croce; resurrezione corporea di
Gesù, ascensione e pentecoste, resurrezione dei morti e giudizio universale ) e
della Rivelazione nella sua “storicità”, può rimanere deluso. Si può ravvisare in
questi primi saggi giovanili di Hegel una teologia « in sensu strictu », vale a dire
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una “teologia” intesa come “intelligenza di una fede cristiana” ricevuta ed
accettata ? Certamente no, ma si potrebbe parlare, piuttosto, di una “teologia in
senso lato” i cui confini con la ‘filosofia della religione’ potrebbero apparire
smussati.
Già dai tempi del Realgymnasium il giovane Hegel si lascia condizionare dal
razionalismo che conquista, in Germania e in altri territori europei, ampi strati
dell’opinione pubblica nonché le istituzioni culturali e perfino i settori più
eccentrici e decisamente anticonformistici del mondo ecclesiastico che si aprono
alla ‘modernità’ ( non è un caso che molti studiosi sette/ottocenteschi critici, o
addirittura ostili, nei confronti del dogmatismo provengano proprio da questo
mondo ), in corrispondenza con le contingenze storiche ( pensiamo allo sviluppo
della stampa, alle esplorazioni e colonizzazioni geografiche, ai progressi della
scienza sperimentale e della tecnologia, all’affermazione del modo capitalistico di
produzione della ricchezza, ecc. ) che danno luogo e consolidano, anche ai giorni
nostri, un processo di forte ed intensa secolarizzazione areligiosa ( e anche
antireligiosa ) della nostra civiltà occidentale.
Hegel ci appare come uno degli interpreti più prestigiosi della ‘modernità’ e le
riflessioni contenute nei suoi saggi giovanili ci appaiono sorprendentemente
attuali e pertinenti in tema di discorso sul rapporto tra ‘cristianesimo’ e
‘modernità’. Il filosofo di Stoccarda svolge una precisa interrogazione a se stesso
circa il destino del cristianesimo e sul suo rilievo di causa promotrice di
progresso etico - civile dell’umanità, o piuttosto fattore di corruzione di
quest’ultima.
L’Illuminismo settecentesco non è stato un orientamento culturale uniforme in
tutti i paesi e nei più differenti contesti in cui si è affermato. In alcuni si è
palesato con momenti radicali di rottura nei confronti delle religioni istituzionali,
fino ad assumere posizioni ateistiche e materialistiche e favorire un’accesa e
violenta politica anticlericale ( si cfr. nelle fasi più acute della Rivoluzione france se ). In altri contesti — come l’Aufklärung germanica — esso si presta piuttosto a
ricercare un punto di equilibrio con queste stesse religioni, ma non più disposto a
vedere mortificata la dignità della ragione umana. Anzi, un tale Illuminismo si
impegna a denunciare e a smascherare le contraddizioni e incongruenze del
cristianesimo, e a combatterle decisamente per rinnovarlo e riproporlo. Mi sembra
che Hegel si muova in questa seconda prospettiva, ma in una maniera
abbastanza personale ed originale.
Studiando i Vangeli canonici, egli ritiene che Gesù di Nazareth non intendeva
fondare una nuova religione positiva, bensì si orientava solo nell’ambito di quella
già storicamente esistente. Nell’angolatura del kantismo, anch’esso interpretato
da Hegel in modo alquanto personale, Cristo si proponeva di riscoprire l’essenza
dell’autentica legge morale, intesa come una legislazione interiore basata
esclusivamente sulla ragione, incontrando però il disappunto e la riprovazione ( e
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la morte ) da parte di molti suoi contemporanei fanaticamente vincolati a pratiche
“superstiziose”, sotto l’egida di un clero arroccato su posizioni di privilegio e di
potere socio - politico - economico. Sembrerebbe non difficile scorgere una certa
affinità tra il destino di Gesù e quello ormai bimillenario di una religione incentra
ta sul suo personaggio, nel senso della contraddizione tra le esigenze più pure di
razionalità, interiorità, autonomia, libertà, eguaglianza, amore universale verso
tutti, partecipazione alla vita divina, al centro del suo originario messaggio, da un
lato, e una religione cristallizzata in dogmi, istituzionalizzata, alleata del potere e
del privilegio, fortemente discriminatrice, intollerante ed oscurantista, dall’altro.
La riscoperta della essenza del cristianesimo, secondo il giovane Hegel, deve
passare attraverso la “ricerca storico - critica” delle Sacre Scritture dell’Antico e
del Nuovo Testamento, attraverso uno studio scientifico la cui importanza è stata
sottolineata già nel Settecento, sulla base del presupposto della separazione del
Gesù della storia dal Cristo della fede e anche in forza del principio lessinghiano
secondo il quale le verità storiche non possono fondare le verità razionali, con un
totale rigetto del soprannaturalismo e del miracoloso.
Com’è inevitabile interrogarsi sulla essenza del cristianesimo, allo stesso modo è
d’obbligo la domanda circa l’essenza della religione. L’una sta o cade con l’altra.
Per il giovane Hegel che cosa è la religione e in cosa essa consiste ? Essa è un
“bisogno dello spirito umano” e, kantianamente parlando, un principio regolativo
dell’agire pratico. È un bisogno, secondo il filosofo di Stoccarda, che coinvolge
ampie funzioni dello spirito, tra le quali la memoria, l’immaginazione, il cuore, e
implica un “sentimento della vita infinita e dell’unità del tutto” nel quale si
esprime la coscienza dell’unità - distinzione.
Come ha insegnato Kant, la moralità è autosufficiente. Eppure perché possa
essere esercitata in pienezza, essa si accompagna alla religione. L’idea di Dio è
indispensabile perché — nonostante che un’azione sia morale in quanto risponda
all’imperativo categorico di per sé incondizionato — palesa sempre una salda
convinzione secondo la quale un’azione buona va premiata e una cattiva invece
punita e che ci sia un garante supremo, credenza che non appare incompatibile
con la stessa ragione umana. Quando il celebre professore di Konigsberg scrive il
suo saggio La religione nei limiti della semplice ragione, nel 1793, interrogandosi
su cosa ci è lecito sperare, egli considera la moralità come il terreno più favorevole
perché possa fecondare la stessa religione trattandosi, il suo, di un tentativo di
investigarne in modo extrateoretico l’essenza.
Il giovane Hegel forza i limiti della filosofia morale kantiana. La moralità presenta
caratteri di scissione tra l’interiorità e l’esteriorità, tra lo spirito e la natura, tra il
dovere e l’effettualità. Il dovere morale, pur essendo fondato in se medesimo,
richiama l’ipotesi dell’esistenza di una divinità superiore capace di inscrivere nella
mente di ogni uomo un così elevato principio di condotta. Si tratta di un
paradosso del kantismo che mostra come ogni individuo sia interpellato da un
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“dovere”, del quale però ignora, dal punto di vista gnoseologico, l’essenza e il
fondamento metafisici. E per il filosofo di Stoccarda non bastano solo l’autonomia
e l’incondizionatezza — oltre alla traduzione sul piano della realtà effettuale — a
costituire la moralità. Quest’ultima può essere informata dall’amore che implica
la vita, l’unità, l’unificazione. L’amore richiama l’intuizione di una profonda realtà
che va esplorata : intuizione che, secondo il giovane Hegel, nasconde la stessa
religione, la quale tuttavia si alimenta della profonda scissione della Seità,
esasperata dal teismo delle religioni rivelate legato ad un’alterità e ad
un’oggettività trascendenti ed irriducibili rispetto al soggetto che crede e che
agisce. Hegel si chiede : può un soggetto che obbedisce a leggi, testi sacri,
istituzioni, dirsi ancora autonomo e responsabile nel compiere le azioni morali ?
La religione rimane una funzione insuperabile ? È indubbio che offre elementi
per condurre alla conoscenza dell’Assoluto, ma incorre pur sempre in una
insanabile “scissione” che per Hegel potrebbe ostacolare la responsabilizzazione
dell’uomo nei confronti della storia, con il conseguente blocco delle sue risorse
creative.
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C A P I T O L O I
IL CRISTIANESIMO COME RELIGIONE POPOLARE ?
Introduzione
Hegel completa gli studi di teologia all’Università di Tubinga nel 1793 e, secon do le aspettative familiari, avrebbe dovuto intraprendere la carriera di pastore
luterano. Nell’anno successivo si stabilisce a Berna dove vi soggiornerà fino al
1796, in qualità di precettore privato presso una famiglia altolocata, come è con
suetudine del tempo.
Negli anni tubinghesi Hegel e i suoi amici Hölderlin e Schelling, come tanti
intellettuali progressisti europei, manifestano il loro entusiasmo per gli ideali
della Rivoluzione francese, da loro ritenuta come un nuovo evento capace di
trasformare il mondo e di creare nuovi equilibri socio - politico - economici. Non
apparendo nelle vesti di semplici e passivi spettatori, si interessano attivamente
agli avvenimenti che accadono nella confinante Francia, preoccupandosi del
destino degli eserciti austro-prussiani che, nella battaglia di Valmy del 20
settembre 1792, si trovano costretti a ripiegare di fronte alle strategie controffensi
ve di un’improvvisata armata repubblicana francese che si appresta ad invadere il
Belgio e ad avvicinarsi pericolosamente alle frontiere germaniche, giungendo
addirittura a permettere la fondazione della Repubblica di Magonza ( dal marzo
al luglio 1793 ), nel cui governo provvisorio entra far parte il bibliotecario
giacobino Georg Forster.
Per comprendere le origini della speculazione hegeliana, ritengo che sia
opportuno inquadrarle nel clima culturale e politico della Prussia di fine
secolo XVIII. La Germania si presenta come un insieme di unità politiche
(in termini di principati vescovili o laici e di libere città ) che entrano a costituire
formalmente il Sacro Romano Impero della Nazione Germanica ( che manterrà
ufficialmente la propria denominazione fino al 1806, quando l’Austria sarà
sconfitta ad Austerlitz da Napoleone I Bonaparte ), più il regno di Prussia.
La società prussiana ha una struttura fortemente gerarchica e militarizzata,
ancora contrassegnata dal feudalesimo e dalla quasi totale assenza di uno
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sviluppo capitalistico, ma subisce una svolta decisiva in senso innovatore con le
riforme politiche di un celebre e “illuminato” sovrano, Federico II della dinastia
degli Hohenzollern, “primo servitore dello Stato” e “protettore del popolo”, come
ama sovente definirsi. Alla nobiltà degli “Junkers” come classe dominante si
affiancano una borghesia con aspirazioni intellettuali e velleità artistiche, oltre
che impiegata nell’apparato burocratico e quasi sprovvista di spirito
imprenditoria le, e la chiesa di stato evangelica che si attesta sempre più su
posizioni conservatrici anche sul piano dottrinale, con la “scolasticizzazione”
della teologia dei padri della Riforma protestante. Alla base della scala sociale vi è
una grande massa di contadini ( circa l’80 % della nazione ), ancora vincolati alla
terra e soggetti ai diritti signorili, e dove in essi vige ancora l’istituto della servitù
della gleba.
La situazione politico - socio - economica della Prussia non presenta un quadro
molto differente da quello dei territori germanofoni del Sacro Romano Impero
dove, però, la confessione religiosa dominante è il cattolicesimo.
Federico il Grande avvia, a partire dagli anni 1740 - 50, un processo di avanzata
modernizzazione del paese ( contemporaneamente alle iniziative riformatrici in
Austria promosse dai sovrani Maria Teresa e il figlio Giuseppe II d’Asburgo )
abbastanza incisivo ma con efficacia limitata a causa delle resistenze opposte
dalle varie classi sociali. Progressi che si ottengono a diversi livelli : in rapporto al
miglioramento e consolidamento della burocrazia statale e alla limitazione dei
privilegi nobiliari, nonché nel miglioramento del tenore di vita materiale dei
contadini; nel campo dell’istruzione elementare, secondaria ed universitaria; in
rapporto alla tolleranza religiosa ( nonostante che il monarca sia di convinta fede
calvinista ); nel contesto della legislazione penale ( dove la tortura viene abolita e
la pena di morte limitata solo a pochi casi ); nello sviluppo urbanistico; nella
promozione di attività culturali e scientifiche all’insegna dello spirito illuministico;
nel potenziamento dell’esercito e del prestigio militare che la Prussia si è
guadagnata con la Guerra di Successione Austriaca e con la Guerra dei Sette
Anni.
Dopo il 1789 questo processo di modernizzazione, giudicato pericoloso e contro
producente dai successori di Federico il Grande, subisce un brusca e grave
battuta d’arresto con una politica conservatrice ed abbastanza restrittiva dei
diritti individuali, complicata dal controbilanciamento dell’esperienza della
Rivoluzione che proviene dalla Francia e dall’entrata in guerra contro
quest’ultima nell’aprile 1792.
La propaganda rivoluzionaria sembra fare breccia soprattutto tra i giovani ma
coinvolge quasi tutti gli intellettuali progressisti dell’epoca ( Kant, Fichte… ).
Davanti ai successi militari francesi essi promuovono dibattiti politici nelle
università e nei circoli culturali, piantano alberi della libertà, leggono notiziari e
bollettini che incitano alla lotta contro l’Ancièn Règime, fanno nascere clubs
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filogiacobini. Non mancano repressioni governative e tumulti popolari, come la
circostanza di una sollevazione contadina accaduta nel 1792 e quasi subito
rientrata.
L’entusiasmo di Hegel per la Rivoluzione francese non appare acritico e fanatico,
o quanto meno libertario quale si esprime invece nel giacobinismo di Fichte e di
Hölderlin. Il filosofo di Stoccarda, inizialmente di convinzioni repubblicane, si
lascia anche allettare, per un certo tempo, da prospettive messianiche di
rigenerazione spirituale dell’umanità e della realizzazione di un “regno di Dio”
sulla terra, ma comincia, in maniera graduale, a prendere le distanze dagli
eccessi cruenti della politica rivoluzionaria francese : esecuzione capitale di Luigi
XVI di Borbone; regime del Terrore giacobino e dittatura di Maximilien Robespier
re; sanguinosa guerra civile combattuta tra il governo parigino, da un lato, e i
monarchici e i repubblicani moderati ( definiti “la reazione” ), dall’altro; stragi in
Vandea; brutale scristianizzazione in atto nel territorio della Francia; annessione
di Stati indipendenti con conseguenze in materia di prelievo fiscale e di razzie nei
confronti di altre nazioni.
La disillusione provata di fronte agli esiti incerti e, addirittura, deludenti ed
infausti del processo rivoluzionario francese non mette in crisi la convinzione, nel
giovane Hegel, in forza della quale un mondo vecchio è ormai al tramonto, mentre
sta per nascerne uno nuovo più giusto ed equilibrato, dove “la ragione viene posta
sul trono”, facendo caratterizzare la storia come “storia della libertà”.
Il filosofo di Stoccarda assimila la duplice lezione dell’Illuminismo e della filosofia
pratica kantiana nei suoi scritti giovanili e, in primo luogo, in Religione popolare e
cristianesimo (1), dove tale duplice lezione viene approfondita in maniera origina
le. Nel senso che Hegel sembra correggere le esagerazioni dell’indirizzo
illuministico che sopravvaluta una razionalità puramente astratta e i diritti
dell’individuo in contrapposizione alle varie forme di vita comunitaria nelle quali
l’individuo si concretizza. Già nel primo saggio Hegel focalizza il concetto di una
ragione realizzantesi nella storia, nelle varie comunità, nell’istituzione statale,
nell’èthos ( cioè nei costumi ), nella filosofia; inoltre, sottolinea il rilievo dato
alla religione positiva che, in quanto tale, pur si innesta su un “bisogno naturale
dello spirito umano”, e che non va combattuta con la violenza come avviene oltre
confine, bensì “ri - appropriata” al fine di una riscoperta dei princìpi razionali
universal mente validi che da soli possono fondare la “moralità”, evitando che tale
religione possa scadere nella superstizione, la quale va sempre neutralizzata da
una critica non ostile e mai preconcetta. Del resto, l’esperimento dei culti civici
alternativi ed opposti al cristianesimo, nel periodo del Terrore giacobino e del
Direttorio, non ha funzionato e ciò dimostra come i princìpi razionali universali
dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima non possano fare appello solo
sulle capacità intellettuali dell’uomo. È indispensabile che coinvolgano il nucleo
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più interiore di una persona ( il “cuore” e il “sentimento” ) per poter divenire
dinamici ed operativi.
Il giovane Hegel, già con Religione popolare e cristianesimo, ha messo a punto
un’intuizione fondamentale che è alla base di tutta una riflessione sedimentata
nei cosiddetti Scritti teologici giovanili : l’intreccio tra la religione e la vita. Si
tratta di una tematica nuova quasi assente negli scritti kantiani di filosofia
pratica che accentuano la dicotomia, spesso conflittuale, tra l’interiorità e
l’esteriorità nell’uomo, tra lo spirito e la natura, tra il regno della libertà e quello
della necessità. Se gli Scritti teologici giovanili ci danno l’impressione di trovarci di
fronte ad un Hegel filo - rivoluzionario, non per questo il filosofo tedesco è un
assertore deciso ed intransigente di una lotta a fondo e senza sconti ( come quella
condotta dagli illuministi francesi ) alla tradizione, compresa quella cristiana;
come pure non si fa mai sostenitore convinto del relativismo delle opinioni, anche
quelle concernenti il rapporto dell’uomo con il sacro e, tantomeno,
dell’agnosticismo e dell’ateismo. Il giovane Hegel sviluppa in modo personale
alcune tematiche dell’Aufklärung, giungendo alla constatazione che la rivoluzione
non ha il diritto di pregiudicare quello che è lo sviluppo storico dell’uomo in
quanto sviluppo dell’autocoscienza razionale ( o dello Spirito ) con la conseguenza
che qualsiasi processo consistente nell’adozione di schemi e preconcetti costruiti
a tavolino, indipendentemente dallo sviluppo degli eventi, possa apparire
controproducente. Puramente illusorio, e alquanto fallimentare, si dimostra il
tentativo di sradicare il cristianesimo dall’identità di una nazione, soprattutto
quello messo in atto in Francia dall’estremismo giacobino proprio nel periodo in
cui Hegel scrive il suo primo saggio di contenuto teologico. Quest’ultimo sostiene
che ogni popolo ha la propria “forma storica determinata di religione” e che
compito dello Stato è quello di custodirla. Secondo l’autore la religione svolge una
funzione civile fin quando non venga deformata da dottrine superstiziose e,
facendo ricorso all’artificiosità, divenga facile strumento nelle mani di un clero
grossolano, o quanto peggio arroccato su posizioni di privilegio, e del potere del
dispotismo. In altri termini : la religione dimostra la propria compatibilità con la
ragione fin quando non proibisce la responsabilizzazione di ogni singolo
individuo e la maturazione in lui del senso del dovere morale.
Il giovane Hegel incentra la sua iniziale speculazione attorno all’idea di una
comunità organica, ben diversamente dalle prospettive titaniche e fortemente
individualistiche di alcuni letterati preromantici tedeschi, e discostandosi
dall’individualismo liberale che esaspera i diritti naturali inalienabili di ogni
singolo, al quale il filosofo di Stoccarda preferisce giustapporre il “popolo” (“Volk”),
la nazione, lo “spirito”. Ed anche quando utilizza ( come fa in Das Leben Jesu ) il
termine di “cittadino”, non sembra avere in mente tanto la figura di un titolare di
diritti anteriori allo Stato e alla collettività che, su un piano di parità e di
uguaglianza con gli altri, entri a costituire lo Stato relazionandolo a se medesimo
come garante delle sue esigenze e del pieno esercizio delle sue facoltà, quanto
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piuttosto l’idea di un soggetto dinamico che partecipa attivamente della vita della
“civitas”, della cittadinanza ( come dire della comunità ), dove non deve sussistere
più frattura o separazione o competizione tra il privato e il pubblico ( e il filosofo
di Stoccarda contempla con ammirazione i modelli antichi delle poleis greche e
della repubblica romana in cui le due sfere sembravano identificarsi ).
Si potrebbe dire che nei periodi di crisi degli “ordinamenti civili” (o “cittadini” nel
senso più lato e comunitario della parola), ricorrenti nella storia, si avverte questa
dissociazione tra il pubblico e il privato, con la conseguenza che l’individuo viene
lasciato a se stesso e non può garantire la sicurezza della sua vita terrena,
perdendo gusto per le cose belle di questo mondo quotidiano e rimanendo
indifferente ai valori patriottici e collettivi per i quali rinuncia a lottare,
ripiegandosi nella propria interiorità, con un fortissimo senso della morte e delle
preoccupazioni ultraterrene; ma anche con la conseguenza che il popolo si
corrompe, non avvertendo più la sensibilità per i princìpi razionali universali che
mantengono coesa una comunità di uomini. Così è accaduto con la crisi delle
poleis greche e dell’unità del mondo romano e con gli inizi dell’Età moderna, così
accade nel Settecento illuministico e rivoluzionario. Si può dire che, anche ai suoi
tempi, il giovane Hegel — che presume di assistere alla nascita di un mondo
nuovo — sottolinea come un popolo possa avvertire la frattura tra la moralità e la
legalità, molto più evidenziata nei successivi saggi, nel senso che una nazione
non avverte più la legge come propria e rispondente alle esigenze interiori di
ciascun suo membro, ma come qualcosa di esteriore e per di più imposto
dall’esterno ed osservato in forza della pena che esso prescrive ai violatori. Se
prendiamo in considerazione il divario e il conflitto tra queste due categorie in
senso ampio, possiamo affermare che gli uomini aspirano ad una vita migliore e
felice ma che contrasta con quella offerta e consentita dai poteri superiori. Gli
studiosi che non si riconoscono nello statalismo ( altra cosa dal senso dello Sta to ), o che lo rifiutano, si rifugiano in un universo proprio dando luogo ad una
“legislazione interiore”, mentre la massa dimostra il proprio servilismo
adeguandosi passivamente agli obblighi di chi è preposto al potere. Quindi, lo
spirito del popolo ( in lingua tedesca Volksgeist ) si trova diviso e scisso al
proprio interno tra una ‘legge puramente esteriore’ — che sembra non avere
incidenza sulla realtà effettuale — e la ‘realtà effettuale’ che non avverte più la
sua piena conformità allo spirito di questa legge. Ma gli intellettuali non sono
destinati a rimanere inoperosi ed Hegel ritiene che sia giunto il momento di
elaborare una nuova categoria : quella di eticità ( derivante dal greco “èthos” che
significa “costume” ) che sintetizza le altre due categorie, suggerendoci l’idea che
occorra “rinnovare lo Stato” perché quest’ultimo possa rispondere meglio alle
aspettative di una nazione, ricucendo in tal modo la separazione in se stesso del
‘Volksgeist’. Detto in altri termini : Hegel non intende accettare più l’esistenza di
organismi politici decrepiti ed obsoleti, asfittici e finanche oppressivi per
l’individuo ( e questo spiega il suo appoggio convinto e mai ritirato per il fatidico
“14 luglio 1789” ); ma il suo atteggiamento filo-rivoluzionario non si orienta verso
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una totale adesione ad uno Stato puramente teorico, omologo ed uniforme, come
quello dell’individualismo liberale, che prescinde dai costumi e dall’identità di un
popolo. Una tale categoria dell’eticità ( Sittlichkeit ) troverà la sua completa e
definitiva maturazione negli scritti sistematici di Hegel.
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Essendo la religione adeguata ad assolvere una funzione civile sia nel mantenere
una coesione nazionale, sia nel contribuire ad incentivare la moralità pubblica,
per il giovane Hegel essa rimarrà un principio utile e necessario alla promozione e
alla comprensione del rinnovamento politico e spirituale non solo di un popolo,
ma dell’umanità intera. E in quest’angolatura, nel suo primo saggio di contenuto
teologico, il filosofo tedesco non accentuerà l’importanza di una “religione
puramente razionale” ( come invece farà in Das Leben Jesu ), ma affronterà la
tematica della religione popolare fondantesi sulla armonia tra ragione e sensibilità
che si riscontrava, per esempio, nell’antica Grecia e, precisamente, nel contesto
delle città - stato, avente il vantaggio di essere sia una religione soggettiva perché
capace di impegnare il cuore e la fantasia di un individuo, e sia una religione
pubblica che si incarnava nei costumi e nelle istituzioni di un popolo. Alla base di
questa riflessione c’è l’idea di comunità organica di individui i quali sono concreta
mente cittadini e religiosi insieme; e in questa “religione popolare” si realizza la
“vera libertà” che promuove una sintesi unificatrice di individuo e di comunità,
senza che l’uno possa prevaricare sull’altra e viceversa. La libertà, altro punto di
riferimento della speculazione del giovane Hegel, non coincide affatto con la liber
tà dallo Stato, cavallo di battaglia dell’individualismo liberale, ma va piuttosto
ravvisata come la possibilità di realizzare la propria volontà nella realtà politica,
sociale e religiosa della comunità alla quale si appartiene.
Il cristianesimo si qualifica come una religione della “crisi dello spirito” : tanto è
vero che ha avuto origine nel periodo ellenistico - romano che era caratterizzato
da una crisi dei valori tradizionali. Pur avendo carattere di religione soggettiva, si
qualifica anche come religione privata, in quanto verte su un rapporto personale
tra il singolo fedele e la divinità; ed è oggettiva perché si traduce in un complesso
di dogmi e di scritti sacri, dei quali rimane depositaria una cerchia di persone
separata dal resto dei cittadini. Si tratta di una forma di culto che insiste su
aspetti di scissione e di divisione. Non si può negare che negli Stati confessionali,
a partire dal Medioevo fino ai regimi assolutistici del XVIII secolo, il cristianesimo
corrobora una comunità organica di individui che vivono, però, la loro identità e il
loro senso comunitario “in modo astratto”, cioè come cittadini e come religiosi
separatamente.
Cosa propone allora questo saggio di Hegel intitolato Religione popolare e cristiane
simo ?
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Non un ritorno anacronistico alle condizioni dell’antichità greca che, assieme alla
predicazione originaria di Cristo, si lasciava conquistare da un’affascinante idea
di totalità - unione, con un’attenzione all’equilibrio dell’uomo con la natura, il
cui senso dell’unità degli aspetti razionali e quelli sensibili si è perduto con il
giudaismo e con il cristianesimo dogmatico.
L’imposizione dell’ateismo di Stato o del deismo pubblico e la persecuzione
anticlericale, messi in atto dall’estremismo giacobino in Francia a partire dal
1793, sembrano ignorare l’adesione al tessuto civile della religione cristiana, per
quanto “positiva” da secoli. Non è che eliminando clero, crocifissi, funzioni
liturgiche cattoliche o protestanti dalla vita pubblica, possa scomparire il
cristianesimo. Hegel, come altri intellettuali europei, disapprova questi eccessi : il
cristianesimo rimane pur sempre una forma storica determinata di religione che
contrassegna un’intera civiltà. È un sistema di credenze che va tollerato ed
incentivato solo nella misura in cui può promuovere moralità e rinnovamento
civile e politico. Pertanto, sarà sempre indispensabile, di esso, un’operazione di
critica costruttiva ( il giovane Hegel si inserisce nel filone dell’Illuminismo
moderato sviluppandolo, però, in maniera personale ed originale ) che liberi una
tale forma di culto da quelle che sono giudicate dalla ragione come credenze
puramente superstiziose, permettendo la formazione di una nuova religione
popolare che inveri le scissioni tra la religione razionale e quella rivelata, tra la
ragione e la sensibilità, tra il cittadino e lo Stato, tra il fedele e la Chiesa,
favorendo una nuova forma di culto adeguata al rinnovamento etico - politico del
la Germania.
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