INTRODUZIONE
Obiettivo di questa tesi è analizzare, evidenziandone aspetti positivi e criticità, il ruolo
svolto dai social network nella costruzione di un nuovo modo di fare giornalismo, in cui
gli utenti non sono più fruitori passivi di notizie, ma diventano essi stessi soggetti attivi
nel processo di produzione, comunicazione, diffusione delle informazioni su fatti ed
eventi.
L’interesse nei confronti di queste tematiche si sviluppa a partire dai miei reportages sul
fenomeno dell'immigrazione con particolare riferimento agli sbarchi sulle Isole Pelagie,
nonché dalla mia azione di recupero, selezione di video che numerosi arrivavano sul
mio profilo Facebook durante la rivoluzione tunisina del 2011 e alla loro successiva
diffusione da me effettuata sia attraverso l’invio al portale You Reporter, sia attraverso
l’invio ai TG RAI.
E’ innegabile che nei Paesi in cui vi sono pesanti restrizioni alla libertà di stampa il
ruolo svolto dai social è stato e continua ad essere determinante sia come strumento di
aggregazione sia come strumento per la circolazione di notizie su fatti ed eventi rispetto
ai quali la narrazione dei media ufficiali, spesso controllati dai governi, è palesemente
difforme dalla realtà. E’ stato così per i blogger e i citizen journalist dei territori
palestinesi, per il Movimento Verde iraniano del 2009, i cui post diffusi dai social
contribuirono a diffondere una nuova immagine dell’Iran visto nel mondo sino ad allora
come un Paese profondamente teocratico ed estremista. Lo stesso dicasi per la
Rivoluzione Tunisina del 2011 e per la rivoluzione araba in generale. Un ruolo
importante è svolto dai social anche in un Paese come Hong Kong ritenuta una delle
società mediatiche più libere dell’Asia e con una certa tradizione di giornalismo
indipendente ma i cui margini di libertà si sono sempre più ristretti negli ultimi anni.
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Colonia britannica sino al 1997, Hong Kong è diventata una regione amministrativa
speciale della Cina con un suo sistema politico-economico e un suo sistema giudiziario
che prevede, almeno formalmente, il diritto alla libertà di parola e di manifestazione.
Nel primo rapporto sulla libertà di stampa di “Reporter sans frontieres” del 2002 Hong
Kong era al 18° posto nel mondo, nel 2018 al 70°. La progressiva perdita della libertà di
stampa è un problema sentito da buona parte dei giornalisti e nel corso delle rivolte
giovanili che hanno interessato a più riprese Hong Kong sia nel 2014 con la cosiddetta
“Rivoluzione degli ombrelli”, sia nel 2019 contro l’emendamento alla legge
sull’estradizione proposto dal capo dell’esecutivo di Hong Kong Carrie Lam che
avrebbe consentito di estradare nella Cina Continentale, Taiwan e Macao, le persone
accusate di avere commesso gravi crimini, il ruolo del Web è stato importante. I social
sono stati adoperati sia dai manifestanti, per testimoniare la brutalità degli interventi
della polizia utilizzando Twitter per facilitare la diffusione degli eventi all’estero, sia dal
governo cinese per screditare il movimento. Un ruolo positivo è svolto da “IN Media
Hong Kong” piattaforma pubblica aperta che tende alla saldatura tra i media tradizionali
e il giornalismo partecipativo.
Ma anche nei Paesi di consolidata tradizione democratica l’azione dei social è stata
frequentemente determinante non tanto e non solo nel testimoniare eventi (essere
casualmente al posto giusto nel momento giusto), ma quanto nel contribuire ad offrire
narrazioni diverse rispetto a quelle ufficiali. Emblematico è in tal senso il ruolo svolto
dai social all’indomani dei sanguinosi attentati del 11 marzo 2004 a Madrid, in Spagna,
alla vigilia delle elezioni politiche del 14 marzo. Gli attentati provocarono 192 morti e
2.057 feriti e la loro paternità fu inizialmente attribuita dal governo spagnolo all’ETA.
Ma nei giorni successivi attraverso blog e media digitali si determinò un massiccio
flusso di informazioni, anche mediante la diffusione di link alla stampa estera, che riuscì
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a smantellare la tesi ufficiale sugli attentati e convinse gli spagnoli che il governo stava
mentendo, occultando, per fini elettorali la reale matrice islamica degli attentati
terroristici. Dopo la manifestazione ufficiale del 12 marzo, il 13 marzo la giornata di
riflessione elettorale vide invece una massiccia e spontanea mobilitazione di massa con
numerose e improvvise manifestazioni in diverse città spagnole contro il governo
accusato di nascondere la verità. Le nuove tecnologie, gli sms, le mail furono il vero
motore di questa massiccia mobilitazione, la consapevolezza che si sviluppò tra gli
spagnoli molto probabilmente fu determinante per la vittoria del partito socialista .
In quest’ottica l’azione dei social e dei nuovi mezzi di comunicazione sembra in parte
inserirsi nel solco di un certo giornalismo militante, che si sviluppò negli Stati Uniti, ma
anche in Europa negli anni 60 a partire dall’emergenza bellica del Vietnam. Numerose
riviste fecero giornalismo con l’approccio della controinformazione utilizzando anche
contributi di singoli cittadini e gruppi. Né bisogna dimenticare il ruolo svolto dalla
potenza delle immagini. La celebre foto del fotografo Eddie Adams che ritraeva il
comandante della polizia di Saigon mentre sparava alla testa di un civile appena
arrestato (e che valse all’autore il premio Pulitzer nel 1968) contribuì non poco a
scardinare le certezze sulla legittimità dell’intervento americano in Vietnam.
Oggi come allora narrazioni altre e forza delle immagini in un contesto di crisi che
attraversa il giornalismo sono alla base della sempre più massiccia affermazione del
web nel campo dell'informazione, non senza rischi sul piano della qualità e della
veridicità dei fatti riportati.
Nel mio lavoro il primo e il secondo capitolo saranno dedicati all’analisi della crisi
attualmente attraversata dalla stampa mainstream, alla diffusione di internet e al suo
utilizzo da parte dei giovani con particolare riferimento ai social network più diffusi.
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Il terzo capitolo sarà dedicato all’analisi del giornalismo partecipativo e di quello civico
e in generale di tutte quelle forme di giornalismo che si aprono ai contenuti generati
dagli utenti, anche mediante lo sviluppo di piattaforme sostenute mediante
crowfounding dalle comunità degli utenti stessi.
Nel quarto capitolo sarà descritto il ruolo del citizen journalism a partire dalla mia
esperienza di reportage sui migranti e soprattutto sugli eventi della rivoluzione tunisina
del 2011.
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1° Capitolo:
COMUNICAZIONE NELL'ERA DIGITALE
1.1 Crisi del giornalismo
Da diversi anni è in atto una crisi che interessa i media tradizionali e in primis il settore
della carta stampata. Il declino degli abbonamenti, il brusco calo degli introiti
pubblicitari e, in parte la concorrenza di internet (blog, giornali on line, social network),
hanno determinato quasi dappertutto la chiusura o il ridimensionamento, anche in
termini occupazionali, di svariate testate giornalistiche tradizionali.
Questo certamente non è un processo recente, anche la televisione aveva determinato
nel passato un rallentamento nelle vendite dei giornali cartacei. Ma oggi il processo ha
subito un’accelerazione notevole, la crisi interessa anche le edizioni on line dei media
mainstream e segnali di rallentamento nella crescita sono sempre più evidenti anche fra
le testate esclusivamente digitali, con una serie di licenziamenti di giornalisti anche
affermati.
Sono in calo sia gli introiti derivanti da abbonamenti e contenuti a pagamento, sia
quelli basati sulla pubblicità, che evidentemente risentono della concorrenza spietata di
piattaforme come Facebook, Google e Amazon. Secondo Alessandro Galimberti,
presidente dell’Ordine dei giornalisti di Milano, “Il mercato mondiale dell'informazione
è dominato in modo distorto da un duopolio (Google e Facebook) che detiene più del
75% degli investimenti pubblicitari. Ciò rappresenta una minaccia per la sostenibilità
del sistema – non solo quello editoriale – ed è un precedente pericoloso per la libertà
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dell'informazione e, in definitiva, anche per la stabilità delle stesse democrazie”
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.
Secondo Jeremy Littau, (Lehigh University – Pennsylvania) la crisi non è riconducibile
soltanto ad Internet, ma è espressione di una progressiva perdita di credibilità
evidenziata dalle riduzioni degli abbonamenti a partire dalla fine degli anni ‘80 e
determinata dalla incapacità degli editori di reinvestire i profitti accumulati per anni in
aggiornamento delle redazioni e innovazione del prodotto giornale
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.
Per Jim VandeHei, cofondatore di Politico, <<i giornalisti stanno uccidendo il
giornalismo aggrappandosi ostinatamente ai vecchi metodi>>. Ovvero i giornalisti si
trovano a scrivere circa 50 articoli facendosi concorrenza tra loro ma risultano,
praticamente, identici sull'ultimo discorso di un candidato alla presidenza, o un
aggiornamento di 700 parole sulle trattative per il bilancio nel settore dei trasporti.
«Una volta, in un giornale, non c’era modo di sapere se le persone leggevano il nostro
articolo di 600 parole su un rincaro del pedaggio di un’autostrada. Ora invece lo
sappiamo», ha detto VandeHei. «Non dico di lasciare che sia il pubblico a decidere
tutto, ma una società di news intelligente, aggressiva e proiettata al futuro scriverà
quello che ritiene importante, e quello che il suo pubblico pensa sia importante».
Immaginiamo che il giornalismo si possa dividere in tre categorie: Cosa? E quindi? E
ora? Nella categoria del “cosa” c'è il racconto diretto degli eventi. Come ad esempio
<<Oggi c'è stato uno sbarco di immigrati a Lampedusa di origine tunisina, non ci sono
minori>>, eccetera. La categoria del “e quindi?” racconta perché si è verificato
quell'evento e perché è importante dal punto di vista giornalistico: racconta ai lettori che
lo sbarco avvenuto a Lampedusa è già il terzo del mese. La categoria del “e ora?” spiega
dove va la storia, qual è la prossima cosa a cui una persona dovrebbe fare attenzione a
1 http://www.odg.mi.it/attivit%C3%A0-e-iniziative-ordine-lombardia/master-iulm-il-messaggio-di-
galimberti-ai-nuovi-praticanti-ep
2 https://www.wired.it/attualita/media/2019/01/29/nuovi-media-crisi-buzzfeed-di-chi-colpa/
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