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INTRODUZIONE
Con questo mio elaborato voglio analizzare, partendo dal relativo mito, il gruppo
scultoreo di Procne e Iti, di paternità di Alcamene ed ora presso il museo
dell’Acropoli ad Atene.
Nell’immaginario mitologico, la Grecia arcaica non è soltanto la culla di audaci
guerrieri e valorosi eroi: è anche patria di numerose donne fatali, potenti e oscure. Il
racconto avente protagoniste le due sorelle omicide offre lo spunto ideale dal quale
partire per questa trattazione.
La leggenda narra di come Tereo, re di Tracia, nutrisse una ossessione crescente per
la cognata Filomela, sorella della moglie Procne, sino a quando, accecato da questa
passione irrefrenabile, abusò di lei, la segregò in un capanno nel bosco e ne
comunicò la morte alla moglie. Ma la punizione non tardò ad arrivare, in quanto
Procne, una volta scoperta la verità tramite un ingegnoso stratagemma messo in atto
dalla sorella, decise di liberare Filomela e vendicarsi del marito compiendo il più
terribile dei delitti: l’uccisione del figlio Iti, dandone poi da mangiare le carni a
Tereo.
La tesi si articola in tre capitoli, nei quali si è cercato di evidenziare l’evoluzione del
mito all’interno della storia greca e non solo, nonché di studiare in modo
approfondito la scultura al quale è ispirata.
Oggetto di studio del primo capitolo è il sopracitato mito di Procne e Iti, conosciuto
dagli antichi anche come “mito dell’usignolo”. In questo capitolo ho esposto in
ordine cronologico le diverse leggende. Nel capitolo sono presenti anche citazioni
letterarie riferite a leggende più antiche, dove i protagonisti vengono indicati come
esseri umani trasformati per volere divino, poiché espiatori di una pena. Per
maggiore chiarezza sono state riportate le traduzioni di alcuni estratti. Infine,
vengono esposti i vari parallelismi tra leggende e personaggi all’interno della
mitologia greca.
Proseguendo con il secondo capitolo, in esso si cercherà di analizzare la scultura
derivante dal sopracitato mito, tema portante del mio elaborato, a partire dalla scelta
4
di tale raffigurazione, insolita per l’epoca ma strettamente legata all’allora situazione
politica. Innanzitutto ho voluto presentare la figura dello scultore, Alcamene, spesso
confuso con un omonimo, per poi proseguire con la spiegazione della correlazione
tra la scultura e il relativo mito. Ho deciso di porre l’attenzione sulla ricostruzione
della scultura, giunta a noi mutila, essenziale per l’identificazione dei personaggi,
altro tema trattato nel mio elaborato. Successivamente ho esposto le specifiche
tecniche scultoree.
Infine, nel terzo ed ultimo capitolo, ho riportato le testimonianze della presenza di
altre rappresentazioni del mito dell’usignolo all’interno della storia dell’arte (greca e
non solo) ed anche della letteratura.
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Cap. 1. Il mito
1.1 Il mito e le sue varianti
L’obiettivo di questo primo capitolo è di raccogliere le testimonianze della vasta e
duratura diffusione nel tempo di questo mito. Il racconto dell’uccisione di un figlio
da parte della madre è conosciuto come “leggenda dell’usignolo”. Le leggende di età
più antica ci danno conferma del fatto che questa saga nasce dalla confluenza di
diversi spunti mitici e folkloristici, che favorirono l’evolversi di leggende diverse
1
.
La più antica versione a noi pervenuta è di paternità di Ferecide. In essa Iti è l’unico
figlio nato dall’unione di Zethos e Aedon; Niobe sposa invece il fratello di Zethos,
Anfione, e riesce ad avere una fiorente prole. Aedon invidiosa della cognata,
mediterà l’uccisione del maggiore dei nipoti: il fatale proposito le si ritorcerà però
contro, in quanto a morire sarà il suo unico figlio Iti. Gli dèi, mossi da pietà, la
muteranno in usignolo
2
.
I due più importanti filoni narrativi si concretizzano nella versione raccontata
all’interno delle Metamorfosi di Ovidio e nel Tereo di Sofocle.
Nelle Metamorfosi di Ovidio troviamo la narrazione di questo racconto all’interno
del libro VI ai versi 412-674. La prima parte della narrazione va dal prologo al v.
586 e in essa troviamo la denuncia di Filomela, svolta secondo la tecnica dell’epillio
ellenistico; la seconda parte, avente ad oggetto la vendetta, è svolta invece secondo
la tradizione drammatica. Cominciando dal prologo, Ovidio segue la traccia di
Sofocle, in cui interpreta le vicende future non come il volgere del fato, ma come la
conseguenza di un’avversione non spiegata da parte delle divinità
3
. In essa Iti è
figlio di Tereo e di Procne, figlia del re di Atene Pandione. Atene è in guerra,
assediata contro Labdaco per una questione di confini
4
. Tereo accorre in aiuto,
sgominando i barbari e riuscendo a guadagnarsi un’ottima fama grazie alla sua
ricchezza e discendenza da Ares; in questa alleanza tra il re trace e il re ateniese
1
Monella P., Procne e Filomela dal mito al simbolo letterario, Patron Editore, Bologna, 2005, p. 127
2
Ivi, pp. 23- 24
3
Ignazio Cazzaniga, La saga di Itys nella tradizione letteraria e mitografica greco-romana, Istituto
Editoriale Cisalpino, Varese - Milano, 1951, p. 8
4
Pseudo-Apollodoro, Biblioteca (III, 14,8)
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Pandione nella guerra contro Tebe, trova ragione il matrimonio di Tereo con Procne.
Tutti sono in festa, la gente rende grazia agli dèi, ma degli infausti presagi
annunciano una futura sventura: alle nozze non presenziano Giunone, Imeneo e
nemmeno le Grazie, e le Eumenidi reggono fiaccole che sono state rubate ad un
funerale. Sulla casa, precisamente sopra la stanza in cui Procne e Tereo generano Iti,
si appollaia un gufo, segno di cattivo auspicio. Il motivo dominante del prologo è
costituito dunque dal triste augurio che si rivela alle nozze dei protagonisti; l’ostilità
degli dèi (le cui motivazioni sono taciute) è la causa delle prossime sventure
5
. Dopo
alcuni anni di nozze, Procne, ateniese in terra barbara, sente il desiderio di
ricongiungersi alla sorella, pertanto supplica Tereo affinché la conduca a sé. Il
marito, assecondando sua moglie, parte per Atene, giunge al porto di Cècrope,
ormeggia davanti al Pireo e infine incontra Pandione. Dopo una stretta di mano,
Tereo informa il re del perché del suo viaggio, ma ecco entrare in scena Filomela: il
trace ne viene immediatamente sedotto. Il primo impulso che ha è quello di
corrompere la balia, o tentare lei con preziosi doni, ma riesce per il momento a
controllarsi pensando a Procne lontana, giustificando così il suo desiderio amoroso.
In onore dell’ospite viene allestito un banchetto regale, ed infine tutti vanno a
dormire, eccetto Tereo sveglio dal pensiero di Filomena. In seguito, a nome di sua
moglie, il trace chiede a Pandione di poter condurre con sé Filomela sulla nave; il re
tra le lacrime acconsente e gli raccomanda la figlia in nome della lealtà, dei vincoli
di parentela e degli dèi
6
. La fanciulla sale sulla nave, ma, appena sbarcati in Tracia,
Tereo la segrega nel capanno di un bosco desolato e la violenta. L’innocente piange,
si dispera e invoca l’aiuto degli dèi, giurando che racconterà l’accaduto; Tereo
inferocito e preoccupato le stringe la lingua in una tenaglia e gliela mozza affinché
non possa dire il proprio nome o proferire parola sulla violenza subita
7
. Nella
maggior parte delle fonti mitologiche troviamo esclusivamente la menzione della
glossotomia, mentre in altri testimoni Filomela viene anche tenuta lontano
fisicamente dalla sorella attraverso la reclusione; del “Tereo” avrebbe fatto parte
solo il taglio della lingua. In seguito va dalla moglie, in lacrime in modo tale da
poter avvalorare il suo racconto, e le comunica che la sorella è deceduta. Procne
5
Sermonti, V., Le metamorfosi di Ovidio, Grafica veneta – Rizzoli, 2014, vv. 341-434
6
Ivi, vv. 498-499
7
Ivi, vv. 531-560
7
s’abbandona al dolore, erige un cenotafio, offre sacrifici espiatori e piange per il
lutto
8
. Intanto le violenze su Filomela continuano, finché, passato un anno, ella, sola,
con la custodia di un’ancella, medita un ingegnoso piano: con ricamo in filo rosso
scrive la l’onta patita su un rozzissimo ardito, e fa recapitare il dono alla regina
tramite la ignara ancella che è inconsapevole di ciò che reca: si tratta di un ruolo
tipico di queste figure all’interno delle tragedie. Procne legge, e in un primo
momento finge indifferenza; in seguito, approfittando del culto triennale di Bacco
festeggiato dalle donne, esce di casa con tutta la messa in scena dell’orgia,
coronandosi di tralci, con al fianco una pelle di cervo ed in spalla una lancia, giunge
al capanno con un codazzo di baccanti, libera la sorella rapita e le fa indossare le
insegne di Bacco, coprendole il volto sotto una cascata di edere. Giunte al castello
Procne tenta di abbracciare Filomela, che però si ritrae, non riuscendo nemmeno a
guardare negli occhi la sorella, sentendosi colpevole di adulterio
9
. Procne si infuria
per la sventura e afferma di essere pronta a qualsiasi empietà ai fini della vendetta,
quand’ecco Iti che corre incontro alla madre. In quell’istante le due sorelle
concepiscono il delitto: uccidere il fanciullo ed imbandirne le carni al padre Tereo,
per poi fuggire. In un primo momento Procne è titubante e si lascia commuovere, poi
torna con gli occhi al viso sfregiato di sua sorella, e si decide a compiere quel
terribile gesto; taglia a pezzi il figlio, e insieme alla sorella lo cucina parte in umido
e parte allo spiedo, per poi servirlo in tavola a Tereo; infine ella esige che il marito
pranzi da solo. Terminata la cena il re chiede del figlio. La moglie, con un ghigno,
risponde “chi cerchi lo hai dentro di te”
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e gli tira addosso la testa del fanciullo.
Tereo si dispera e si avventa sulle due sorelle, le quali fuggono e, assieme al re trace,
vengono mutate in uccelli: Procne in usignolo, Filomela in rondine e Tereo in upupa.
A sua volta Re Pandione muore di dolore, mentre lo succede al governo di Atene
Eretteo
11
.
Il finale della tragedia mostra da una parte la liberazione dei personaggi dalle
violenze e dal dolore che essi hanno generato, dall’altra il definitivo
8
I. Cazzaniga, La saga di Itys nella tradizione letteraria e mitografica greco-romana, Itituto Editoriale
Cisalpino, Varese – Milano, 1951, p. 42
9
Sermonti, V., Le metamorfosi di Ovidio, op. cit., vv. 341-434
10
Ivi, v. 655
11
Ivi, vv 675-678