2
INTRODUZIONE
La tematica affrontata in questa tesi di Baccalaureato è quella del disturbo da uso di
sostanze in età adolescenziale, termine che ha sostituito nel DSM-5 il più conosciuto
tossicodipendenza (A.P.A, 2014), concetto difficile da definire in quanto la condotta
tossicomane, oltre che dalle caratteristiche individuali e dall’ambiente, risulta essere definita
dal rapporto “tra le caratteristiche della sostanza, la frequenza d’uso e la quantità di
assunzione” (Sarno & Epifanio, 2005, pp.33); essa è, dunque, la risultante di più fattori che
si intersecano.
Le tossicodipendenze sono una delle problematiche più complesse in ambito clinico ed
educativo, coinvolgono un numero elevato di persone e sempre più adolescenti. La relazione
per il 2017 dell’Agenzia Europea che si occupa dell’uso di droghe (Osservatorio Europeo
delle Droghe e delle Tossicodipendenze, 2017) posiziona l’Italia al secondo posto in Europa
per l’uso di cannabis e al quarto per il consumo di cocaina tra i giovani.
Gli studi psicologici attuali sulle tossicodipendenze, che si rifanno agli orientamenti
relazionali, tendono ad evidenziare come le difficoltà relazionali e nella gestione delle
emozioni siano connesse strettamente con l’abuso di sostanze (Khantzian, 2012); in linea
con questo filone relazionale di studi, utilizzerò la teoria dell’attaccamento per analizzare la
condotta additiva, focalizzandomi sulla concettualizzazione della tossicodipendenza come
disturbo dell’attaccamento e delle relazioni (Flores, 2004).
Con riferimento alla teoria dell’attaccamento le difficoltà nell’auto e nell’etero
regolazione sembrano essere il risultato di cure non sufficientemente adeguate da parte delle
figure di accudimento, che non hanno permesso lo sviluppo di quella che Bowlby definisce
una base sicura (Bowlby, 1995). L’insufficienza di cure appropriate porta ad una carenza di
competenze emotive, come il non riuscire a riconoscere ed a gestire le proprie emozioni e il
non sentirsi riconosciuti nei propri bisogni, che causano a loro volta una difficoltà nella
costruzione di relazioni funzionali e interdipendenti, che si esprime in modo significativo in
adolescenza.
Il concetto di dipendenza, all’interno della teoria dell’attaccamento, non è di per sé
negativo (ibidem); l’individuo sano nel corso della sua vita tende ad instaurare relazioni in
cerca di un rifugio emotivo, soprattutto in momenti di elevato stress o sofferenza e, a sua
volta, riesce a dare sostegno all’altro, alternando questi momenti con quelli volti
3
all’indipendenza. L’adulto, come il bambino, alterna fasi in cui ha bisogno di una base sicura
e fasi in cui si dedica all’esplorazione dell’ambiente, in una danza armonica che chiameremo
interdipendenza: il saper dipendere in modo sano (Passini, 2016).
L’adolescenza risulta essere la fase per eccellenza in cui l’individuo ricerca ardentemente
l’autonomia tramite l’esplorazione, ma allo stesso tempo è ancora presente fortemente
l’esigenza di dipendenza (Palareti, Emiliani & Passini, 2012). Dunque in questo periodo
critico risulta evidente la necessità di aiutare i ragazzi a superare una fase di totale
dipendenza e, allo stesso tempo, a fargli comprendere l’importanza delle relazioni durante
tutto l’arco della vita.
Questa tesi si focalizzerà sulla concettualizzazione delle tossicodipendenze secondo il
modello dell’attaccamento, tenendo a mente un periodo evolutivo specifico che è quello
adolescenziale, poiché la probabilità di un primo contatto con le sostanze in questa fase di
sviluppo risulta essere estremamente elevata (Passini, 2016; Ravenna, 1997) con
conseguente aumento del rischio di sviluppare un disturbo da uso di sostanze, che risulta
altamente correlato all’età di iniziazione. Cercherò anche di evidenziare i fattori di rischio e
quelli di protezione rispetto all’uso di sostanze, dando particolare rilievo a quelli familiari,
maggiormente connessi con la cornice teorica scelta, e di fornire alcune indicazioni relative
alla prevenzione dell’uso di sostanze psicoattive in adolescenza, soffermandosi sui
programmi in ambito familiare.
Il lavoro è articolato in tre capitoli, con i rispettivi sotto-capitoli per le opportune
specificazioni, suddiviso nel modo seguente.
Inizialmente riporterò la classificazione delle sostanze proposta nel DSM-5, per arrivare
poi a definire la tossicodipendenza intesa come disturbo da uso di sostanze; parlerò del
disturbo nell’adolescenza, descrivendo questo periodo del ciclo di vita sulla base dei compiti
di sviluppo caratterizzanti e che permettono il raggiungimento di specifiche competenze
cognitive, affettive e relazionali, che serviranno per superare tale fase e per avviarsi a quella
successiva.
Nel secondo capitolo leggerò il disturbo da uso di sostanze alla luce della teoria
dell’attaccamento partendo dai suoi concetti originali, come delineati da Bowlby, per
arrivare ai modelli operativi interni (MOI) e ai diversi stili di attaccamento proposti dalla
Ainsworth e dalla Main. Nella seconda parte del capitolo, descriverò i costrutti esplicativi
4
della teoria rispetto all’abuso di sostanze, evidenziando come essi abbiano a che fare con la
disregolazione emotiva e con le difficoltà interpersonali e relazionali. Sintetizzerò poi i
risultati di uno studio empirico recente che ha esplorato la relazione tra attaccamento e abuso
di sostanze.
Nel terzo capitolo, parlerò della prevenzione delle tossicodipendenze in adolescenza,
descrivendo i diversi tipi di prevenzione, con riferimento alla categorizzazione usata
dall'Istitute of Medicine (IOM, 1994), ripresa dalla classificazione operativa della
prevenzione di Gordon (1987) e accennando ai diversi ambiti di intervento come, per
esempio, quello scolastico e sociale. Mi focalizzerò sulla famiglia come fattore di rischio e
di protezione, sempre guardando alla teoria presa in riferimento e parlerò delle parenting
skills e dei diversi programmi per incrementarle; successivamente, presenterò il programma
“Connect” di Marlene Moretti, un programma di intervento evidence-based per sostenere la
genitorialità ispirato alla teoria dell’attaccamento, che si rivolge alle famiglie con figli
adolescenti con problematiche comportamentali.
La metodologia usata in questo lavoro, di natura compilativa, sarà di tipo
analitico/descrittivo; i testi bibliografici utili per la trattazione sono stati reperiti presso la
biblioteca “Don Bosco” dell’Università Pontificia Salesiana e presso la Biblioteca Nazionale
di Roma e saranno utilizzati anche articoli e riviste online scientificamente rilevanti.
5
IL DISTURBO DA USO DI SOSTANZE IN ADOLESCENZA
Il disturbo da uso di sostanze risulta essere un fenomeno in aumento negli ultimi anni;
leggendo le statistiche svolte in ambito europeo, un numero sempre più elevato di individui
sembra far uso di sostanze psicoattive (Osservatorio Europeo delle Droghe e delle
Tossicodipendenze, 2017). Trattare questo disturbo porta inevitabilmente a parlare e a
soffermarsi sulla fase evolutiva adolescenziale, in quanto gran parte delle condotte
dipendenti insorgono e si stabiliscono in questo specifico periodo dell’arco della vita (Sava
& La Rosa, 2002); anche negli adulti che manifestano questo disturbo sembra esserci un
blocco dello sviluppo nella fase adolescenziale, i cui specifici compiti di sviluppo essi non
sembrano averli superati e affrontati (ibidem).
Di seguito riporterò la classificazione delle sostanze prendendo come riferimento l’ultima
edizione del DSM (A.P.A, 2014) focalizzandomi sui loro effetti, per poi definire la
tossicodipendenza come disturbo da uso di sostanze. Nel secondo paragrafo, mi soffermerò
sull'adolescenza, analizzando i compiti di sviluppo propri di questa fase della vita e come
essa rappresenti un'età di primo approccio e contatto con le sostanze, il cui uso viene visto
come un comportamento a rischio. Analizzerò, infine, i fattori di rischio e di protezione che
sono stati evidenziati dalla letteratura rispetto al disturbo da uso di sostanze.
1.1 Classificazione delle sostanze secondo il DSM-5
Il DSM-5 (A.P.A, 2014), la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali, riporta 10 categorie distinte di sostanze: 1) alcol; 2) cannabis; 3)
allucinogeni; 4) caffeina; 5) inalanti; 6) oppiacei; 7) ipnotici, ansiolitici o sedativi; 8)
stimolanti; 9) tabacco; 10) altre (o sconosciute) sostanze. La classificazione delle sostanze
come proposta dal DSM-5 risulta essere importante per una sistematizzazione degli
interventi di prevenzione e delle terapie utili per gli operatori ed i professionisti che si
occupano del fenomeno (Passini, 2016). Di seguito specificherò brevemente le
caratteristiche di queste sostanze ed i loro effetti.
L’alcol. La molecola presente in tutte le bevande alcoliche è l’etanolo (o alcol etilico) che
è un liquido incolore, volatile, estremamente infiammabile e solubile. Gli effetti a breve
termine sono: maggiore euforia, perdita dei freni inibitori, perdita dell’equilibrio, difficoltà
motorie, nausea e confusione (Canu, 2013). L’alcol assunto in piccole dosi ha la capacità di
ridurre la memoria, la concentrazione e l’ansia provocando una sensazione di leggera euforia
e di rilassamento. Dosi elevate, invece, inibiscono l’autocontrollo ed il senso critico,
6
incoraggiando condotte aggressive (Palmonari, 2011). A lungo termine il consumo di alcol
può portare a un aumento di rischio per cirrosi epatica, tumori all’apparato oro-farigeo,
all’esofago, al fegato e ictus cerebrale (Canu, 2013).
La cannabis. Il suo basilare principio attivo è il THC (tetraidrocannabinolo) che
interferisce nell’equilibrio chimico cerebrale creando squilibri sia a livello psicologico che
corporeo. Tra gli effetti a breve termine si riscontrano: stati d’euforia, aumento della
loquacità e del riso che diventa inadeguato, letargia, incoordinazione, diminuzione di
concentrazione, disinibizione, sensazione di benessere, ansia, paranoia, aumento
dell’appetito (ibidem). La cannabis altera la funzione percettiva e modifica le esperienze
sensoriali, con alterazione della percezione temporale, spaziale e del proprio corpo
(Palmonari, 2011). L’assunzione a lungo termine può portare ad un aumento di rischio nel
contrarre malattie respiratorie, una diminuzione delle capacità mnemoniche e di
apprendimento, una diminuzione della concentrazione e della motivazione nello studio e nel
lavoro (Solowij et al., 2011).
Gli allucinogeni. Il termine “allucinogeno” deriva dal verbo greco aluo che significa
vaneggiare, essere fuori di sé; infatti, per allucinogeno si intende qualsiasi sostanza, sia
naturale che sintetica, che agisce principalmente a livello delle percezioni sensoriali
causando alterazioni, tra cui l’allucinazione (Canu, 2013). Sono un gruppo eterogeneo di
droghe derivanti da diverse sostanze, che hanno una struttura chimica diversa tra loro, ma
che condividono una componente meccanicistica comune; fanno parte degli allucinogeni le
fenilalchilamine, l'MDMA (denominata anche “ecstasy”), alcaloidi dell’indolo, ergoline
(come LSD) e altri composti etnobotanici (A.P.A, 2014). Gli effetti a breve termine sono di
vario tipo: somatici, tipo vertigini, debolezza, tremori, nausea, sonnolenza, aumento della
frequenza cardiaca; percettivi, quindi forme e colori alterati, difficoltà di messa a fuoco degli
oggetti, amplificazione del senso dell’udito; psichici, come tensione, distorsione del senso
del tempo, difficoltà ad esprimere pensieri, sensazioni oniriche, depersonalizzazione e
allucinazioni (principalmente visive) (Canu, 2013). Gli allucinogeni sintetici, se assunti in
dosi massicce, possono provocare anche stati dissociativi e delirio, stati d’ansia e panico che
possono favorire sensazioni paranoiche, confusione mentale e senso di disorientamento
(Ravenna, 2005). Tra gli effetti a lungo termine ci sono l’insorgenza di psicosi o depressioni,
che possono condurre a loro volta al suicidio (Canu, 2013).
La caffeina. La caffeina è un composto chimico naturalmente presente in parti di piante
come chicchi di caffè e cacao, foglie di tè, bacche di guaranà e noce di cola e si trova in
7
alimenti come: caffè, tè, soda con caffeina, cioccolato e altri tipi di sostanze (A.P.A, 2014).
Tra gli effetti nocivi a breve termine possono verificarsi disturbi come sonno interrotto, ansia
e variazioni del comportamento (eccitamento, nervosismo, irrequietezza); mentre, a lungo
termine, il consumo eccessivo di caffeina è stato associato a problemi cardiovascolari e, in
donne gravide, a un ridotto sviluppo del feto (ibidem).
Gli inalanti. Sono sostanze volatili che producono vapori chimici che, se inalati, inducono
un effetto psicoattivo o uno stato di alterazione mentale, così chiamate per la modalità di
assunzione (Passini, 2016). La maggioranza degli inalanti produce come effetti a breve
termine un’euforia rapida che assomiglia all’intossicazione alcolica, caratterizzata da
un’eccitazione iniziale, seguita poi da sonnolenza, disinibizione, stordimento ed agitazione.
Gli effetti a lungo termine possono essere: aggressività, apatia, deterioramento cognitivo ed
il non adeguato funzionamento sul lavoro o in situazioni sociali (Fendrich et al., 1997).
Gli oppiacei. Sono dei derivati naturali del Papaver somniferum, il papavero da oppio,
ricco di alcaloidi che vengono estratti per produrre l’eroina, la morfina, la codeina, il fentanil,
il metadone, ecc. Gli effetti a breve termine sono: sensazione di euforia e diffuso benessere,
riduzione della tensione, del dolore fisico e psichico e dell’ansia, senso di rilassatezza, calore
e distacco con quanto succede all’esterno; inoltre, le funzioni mentali si annebbiano e la
frequenza cardiaca e respiratoria diminuiscono, a volte fino a causare la morte (Canu, 2013).
Al termine dell’effetto euforizzante (dopo circa 2-6 ore) si presentano: stipsi, sonnolenza,
apatia, bradicardia, ipotermia, nausea e vomito. Gli effetti a lungo termine comprendono:
abbassamento delle difese immunitarie, infezioni batteriche, flebiti e ascessi, infezione delle
valvole cardiache, diminuzione del desiderio sessuale, impotenza e infertilità, artrite e
malattie infettive (HIV, Epatite B e C), dovute all’uso promiscuo di filtri e/o siringhe
(ibidem).
I sedativi, gli ipnotici e gli ansiolitici. Contengono benzodiazepine e sostanze
benzodiazepinosimili come i carbammati, i barbiturici e gli ipnotici barbituricosimili (A.P.A,
2014). Comprendono i farmaci prescritti per il sonno e per contrastare l’ansia rispetto ai
quali si possono sviluppare livelli significativi di tolleranza e di astinenza. A breve termine,
essendo come l'alcol sostanze depressogene cerebrali, deprimono il sistema nervoso centrale
e hanno un effetto altamente sedativo e gli effetti prevalenti sono: rilassatezza e perdita di
coscienza (Palmonari, 2011; Ravenna 2005). Gli effetti a lungo termine sembrano essere
invece: ansia elevata, intensa depressione e compromissione cognitiva (della memoria, della
capacità di apprendimento e di problem solving).