1
INTRODUZIONE
Di populismo oggi si parla molto. Ma se ci viene chiesta una definizione d’insieme,
cominciano subito le difficoltà. La risposta non è affatto immediata sia perché quello di
populismo è un concetto estremamente vago, sia perché, come accade spesso con parole il cui
utilizzo viene abusato, anche questo termine col tempo ha subito uno svuotamento di
significato. Di fatto, indeterminatezza e ambivalenza hanno contraddistinto tale concetto fin
dalle origini. Sebbene negli ultimi anni sia ritornata in auge, quella del populismo infatti non è
certo una categoria nuova.
Nel corso della storia questa parola è stata utilizzata con diverse accezioni per indicare
fenomeni tra loro molto dissimili, dal cosiddetto “populismo russo” ottocentesco a quello
americano del Novecento, dal peronismo al poujadismo. Questa capacità “camaleontica” di
adattarsi ai più diversi contesti storici, politici e culturali ha reso ancora più difficile il
tentativo di ritrovare una definizione univoca capace di definire che cosa sia il populismo,
contribuendo a rendere tale nozione ancora più oscura e confusa.
Tali incertezze concettuali non sono state risolte neanche dalla vasta letteratura in merito
che il più delle volte si è limitata a fornirne gli aspetti meramente storico-fenomenologici,
accontentandosi di definizioni molto generiche, o comunque parziali. Ritenendo fosse privo di
valore teoretico e interpretativo, infatti, si è optato per eliminare il concetto di populismo dal
lessico politico. Negli ultimi anni, tuttavia, il termine populismo, ormai quasi dimenticato, è
tornato, saturando letteralmente i registri del linguaggio politico, dall’analisi specialistica
della categoria del politico alle conversazioni comuni sulla politica.
Il problema è che, per l’appunto, il significato di populismo viene dato troppo spesso per
assodato. Populismo è oramai diventata infatti una di quelle parole talmente attuali e diffuse
che ci siamo abituati a sentirla quasi quotidianamente, senza però aver imparato a
comprenderla. Da qui nasce la scelta di affrontare questo tema, da quello che reputo sia oggi il
compito principale della filosofia, ossia riflettere, criticamente e attentamente, su ciò che la
maggior parte di noi dà per scontato.
2
Per questo motivo, attraverso un percorso di decostruzione del concetto di populismo, la
nostra riflessione si sviluppa in tre direzioni: la prima, dettata da un intento conoscitivo che
assegni al populismo una propria dignità storico-critica, consiste nell’ andare a vedere come è
stato studiato fino ad ora tale concetto e quale sia lo spessore teorico che acquisisce in tali
studi (di storia delle idee, di ricerca socio-antropologica, di teoria politica); la seconda prende
forma a partire da alcune considerazioni sul nucleo fondamentale attorno al quale si articola il
populismo, ossia il “popolo”, e cerca di chiarirne il legame con la democrazia; la terza infine
nasce dalla curiosità di affrontare un aspetto del populismo che spesso non viene studiato e
che riguarda la retorica e la dimensione performativa del populismo
Dunque, risalendo fino alla nascita e allo sviluppo dello Stato moderno, passando
attraverso la riflessione sul rapporto che intercorre tra il populismo e le criticità intrinseche
alla democrazia rappresentativa, il nostro percorso approda infine all’analisi di quella
particolare forma contemporanea di populismo costituita dal “populismo mediatico”.
.
3
CAPITOLO I
Genesi e sviluppo del populismo nella storia
1. Le origini: dal populismo agrario al populismo politico
Negli ultimi tempi forse parlare di populismo può essere considerata una scelta non troppo
originale, vista la diffusione e l’uso spropositato che il termine ha avuto. Tuttavia, proprio per
lo stesso motivo, probabilmente una riflessione più approfondita sul tema è oggi quantomeno
inevitabile.
1
Per questo motivo prima di esaminarne le varie sfaccettature teoriche, è necessario
contestualizzare al meglio il fenomeno riportando qualche cenno storico riguardo le sue
origini. Si può dire che in generale chiunque tenti di ricostruire la storia del populismo non
manca di evidenziare come il merito di averlo creato se lo dividano equamente russi e
americani.
Il termine ebbe origine come traduzione dalla neoformazione lessicale russa narodničestvo
coniata dal lemma narod (popolo) che faceva riferimento a un gruppo di intellettuali,
formatosi nella Russia della seconda metà dell’Ottocento, i quali fondarono un movimento
politico e intellettuale antizarista.
2
Successivamente dal russo la parola populismo venne
tradotta con populism negli Stati Uniti per indicare il Partito del Popolo (People’s Party) che
venne fondato intorno al 1892 a Cincinnati.
Questo nuovo partito popolare inizialmente ebbe un notevole successo poiché si era fatto
portavoce della protesta dei contadini dell’Ovest e del Sud contro la supremazia delle grandi
1
Sull’uso e l’abuso del termine “populismo” oltre che sul suo utilizzo nell’ambito della scienza politica si veda
la rassegna di testi aperta dalle riflessioni di Isaiah Berlin, To define populism, in “Government and Opposition”,
III, 2, 1968, pp. 137-180.
2
Cfr. P. P. Poggio, Il populismo russo, in La Storia, III, VII, 1986, pp. 317-339; A. Pessin, Le populisme russe
(1821-1881) ou la rencontre avec un peuple imaginaire, Atelier de création liberaire, Lyon, 1997, disponibile
all’indirizzo: http://acontretemps.org/spip.php?article629. Per un approfondimento sulla storia del populismo
russo in generale si veda anche il libro dello storico italiano F. Venturi, Il populismo russo, Einaudi, Torino,
1952.
4
città e delle grandi imprese e contro il sistema bancario dell’alta finanza. Ma già a partire dai
primi anni del Novecento, il Partito del Popolo si scontrò con un drastico calo dei consensi
tanto che nel 1912 già non esisteva più.
In realtà, nel caso della Russia, il termine populismo ha un’origine controversa e
particolarmente complicata. Il primo movimento russo, definito successivamente “populista”,
nacque intorno al 1861, favorito dal generale clima di delusione provocato dalle modalità con
le quali era stata abolita la servitù della gleba che avevano penalizzato notevolmente i
contadini, e si dette il nome “Terra e libertà” (Zemlja i volja).
3
Le idee che costituivano l’ossatura del movimento rivoluzionario si fondavano sulla
convinzione che saltando la fase capitalista, ci fosse la possibilità di uno sviluppo storico ed
economico che avrebbe portato la Russia a trasformare la propria struttura sociale e politica
secondo il modello socialista.
In quegli anni in Russia il ceto contadino era notevolmente sfruttato, tanto che lo zar
Alessandro II, pur non essendo un liberale, decise che era giunto il momento di cambiare la
condizione di schiavitù in cui si trovavano i contadini, e convinto che fosse meglio abolire la
servitù della gleba per mezzo di un ordine che provenisse dall’alto, piuttosto che aspettare il
momento in cui i servi della gleba avessero cominciato ad affrancarsi dal basso, proprio nel
1861 emanò uno statuto che prevedeva l’abolizione della servitù, liberava i contadini e
permetteva loro di possedere un terreno proprio. Nonostante l’emancipazione, la condizione
economica di questi ultimi non migliorò affatto, poiché per avere la terra avrebbero dovuto
comprarsela, ma raramente possedevano la ricchezza per farlo.
4
La durata di questo movimento fu piuttosto breve in quanto la repressione da parte della
polizia russa portò al suo scioglimento. Ma nonostante il fallimento, l’organizzazione Terra e
Libertà favorì la diffusione di una visione dell’azione rivoluzionaria che verrà ripresa in
maniera estremizzata quindici anni dopo.
Qualche anno prima, nell’estate del 1874, in Russia si sviluppò un movimento spontaneo
che portò buona parte della popolazione che viveva in città a spostarsi verso le campagne. Si
trattava per la maggior parte di uomini e donne molto giovani che provenivano dalle
3
Cfr. F. Venturi, Il populismo russo, cit., p. 253.
4
Cfr. P. Taggart, Il populismo, trad. it. di S. Speranza, Città Aperta, Troina, 2002, pp. 82-83.
5
università e che decisero di emigrare verso la Russia rurale. La molla che li spinse fu,
seguendo una prospettiva rivoluzionaria, la convinzione della necessità di attuare
fondamentali cambiamenti nel proprio paese e di rovesciare quindi il vecchio ordine.
5
Per questo motivo, esaltati dalle parole e dagli scritti degli intellettuali dell’epoca, uomini e
donne andarono a incitare e a spronare i contadini a ribellarsi contro il regime dello zar,
convinti che proprio nel mondo rurale fosse racchiusa la saggezza della Russia del passato,
indispensabile per risollevare le sorti del paese.
Tuttavia, gli studenti, pur continuando a riporre nel mondo contadino la speranza per il
futuro, persero velocemente la fede nella possibilità di una immediata rivoluzione da parte dei
contadini e abbandonarono il loro progetto di rovesciare lo Stato. L’importanza del
movimento dei narodniki (populisti), così vennero definiti i suoi attivisti, risiede nel fatto che
essi rappresentano l’esempio più emblematico della visione romantica della vita contadina e
del tentativo di costruire su di essa un movimento politico.
6
A partire da questa esperienza inizia a diffondersi in Russia il termine narodnichestvo che
identifica l’ideologia alla base del movimento; un’ideologia che nacque nell’ambito dei
dibattiti dell’intellighenzia russa.
Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, il personaggio più importante per lo
sviluppo di questo pensiero fu Alexander Herzen
7
che, sebbene nel 1852 lasciò la Russia,
deluso dalla mancata Rivoluzione del 1848, per stabilirsi a Londra, riuscì comunque a
esercitare un’influenza sul pensiero rivoluzionario attraverso la pubblicazione di un giornale
chiamato “La Campana” (Kolokol).
8
Egli formulò alcuni principi che un decennio più tardi
5
La dinamica che portò gli studenti, mossi da ideali rivoluzionari, a muoversi verso le campagne per
“convertire” il popolo dei contadini è analizzata in modo approfondito in F. Venturi, Il populismo russo, cit., pp.
204-232.
6
La maggior parte dei membri di questo movimento populista russo erano in realtà persone provenienti dalla
élite urbana che, nonostante questo, quasi veneravano il mondo contadino, perché perseguivano un ideale sociale
completamente estraneo alla sfera culturale alla quale appartenevano (cfr. P. Taggart, Il populismo, cit., p. 81).
7
Franco Venturi ha definito Alexander Herzen «il vero fondatore del populismo russo» (cfr. F. Venturi, Il
populismo russo, cit., p. 1).
8
Grazie a questo giornale, Herzen riuscì a mettere in contatto il pensiero rivoluzionario russo con il socialismo
occidentale di Saint-Simon e Fourier, diventando in questo modo la figura di riferimento per l’intellighenzia
rivoluzionaria russa per tutta la seconda metà del XIX secolo (cfr. ivi, p. 85).
6
costituirono la base sulla quale si costituì il populismo russo. I temi che Herzen elaborò
esprimevano sfiducia verso gli ideali della democrazia liberale, fiducia nel mondo contadino
russo e la convinzione della necessità che si costituisse un gruppo che guidasse quest’ultimo
alla rivoluzione.
9
La permanenza in Europa non fece che acuire il rifiuto di Herzen nei confronti della
democrazia occidentale, che vedeva troppo incentrata sull’autorità centralizzata del
Parlamento e invece poco legata al popolo. Per questo motivo, egli considerava l’azione
politica molto più importante rispetto alle istituzioni ed era convinto inoltre che la politica non
dovesse essere al servizio di astrazioni ideologiche.
10
La visione di Herzen mirava alla ricerca di una strada che portasse la Russia al socialismo
non attraverso le istituzioni della democrazia liberale, ma grazie al mondo contadino, per il
quale il filosofo russo nutriva una vera e propria fede.
11
È per realizzare questo progetto che
egli decise di rivolgersi agli attivisti rivoluzionari, i quali andarono tra i contadini per
diffondere il messaggio e spronarli alla rivoluzione. Herzen morì nel 1870 e non ebbe modo
di vedere i frutti della sua eredità intellettuale, ma gli studenti che si trasferirono dalla città
nelle campagne nel 1874, seguivano proprio il suo messaggio.
I narodniki (populisti) che intrapresero il cammino suggerito da Herzen, si spostavano di
villaggio in villaggio distribuendo ai contadini pamphlet che parlavano della necessità di fare
la rivoluzione per ottenere una ridistribuzione delle terre. Tuttavia, oltre a essere sprovvisti sia
di un qualsiasi tipo di organizzazione sia di un programma politico, i “populisti” dovettero
scontrarsi con il mancato entusiasmo rivoluzionario dei contadini; infatti scoprirono che
quest’ultimi nutrivano un profondo legame di fedeltà nei confronti dello zar e che, piuttosto
9
Cfr. ivi, p. 35.
10
Per Herzen «le astrazioni ideologiche erano fondamentalmente distruttive», e anche se è piuttosto difficile
ritenere che un uomo come lui, che dedicò la sua vita alla riflessione e a diffondere le sue idee possa essere stato
così totalmente contrario all’attività intellettuale, come sostiene P. Taggart: «Questo fatto è un esempio del
dilemma, comune ai populisti, che sorge quando si teorizza di non teorizzare», un dilemma che sembra essere
un’altra versione delle «difficoltà che i populisti incontrano, diventando uomini politici, a causa della loro
sfiducia nei riguardi degli uomini politici» (P. Taggart, Il populismo, cit., p. 86).
11
Infatti, Herzen era convinto che il mondo contadino, al contrario della borghesia e della classe operaia delle
città, non fosse stato corrotto dal capitalismo moderno e dal modello di progresso proveniente da Occidente (cfr.
ivi, p. 87).
7
che essere degli idealisti, in realtà erano molto legati ai beni materiali e all’interesse
personale. Inoltre, il regime zarista reagì contro il movimento dei populisti, arrestando tra il
1873 e il 1877 circa 1611 membri del movimento.
12
In seguito al fallimento del tentativo di risvegliare nei contadini l’entusiasmo per la
rivoluzione, i populisti rivolsero la loro attenzione all’attacco diretto contro lo Stato,
sostituendo la propaganda con atti terroristici.
L’attività terroristica si fondava su un’organizzazione molto efficiente messa in opera da
Mark Natanson, il quale tra il 1876 e il 1878 costituì una coalizione di persone che si diede il
nome di Terra e Libertà (Zemlja i volja), riprendendolo dal movimento populista nato nel
1861. Questo gruppo decise di raggiungere il proprio obiettivo, ossia quello di distruggere lo
Stato per rifondare l’ordine sociale sulla base delle comunità contadine (obshchina),
attraverso l’uso della violenza, per allontanarsi in questo modo dall’intellettualismo che aveva
caratterizzato la prima fase del movimento e dargli un tono di concretezza, ma restando
sempre nella convinzione che il futuro della Russia fosse racchiuso nel mondo puro e
incontaminato dei contadini.
13
La campagna terroristica dell’organizzazione causò l’uccisione di molti personaggi politici
che portò a numerose tensioni all’interno del movimento stesso. Infatti, da una parte si
schierarono coloro che erano rimasti fedeli al messaggio di Herzen e che volevano prendere le
distanze dal terrorismo e dall’altra invece quelli che erano convinti che la strada degli atti di
violenza fosse quella giusta e che puntavano all’atto estremo di assassinare lo zar.
Queste divergenze portarono alla scissione definitiva di Terra e Libertà dalle cui ceneri
nacque un nuovo gruppo denominato “Volontà del Popolo” (Narodnaya Volya) che continuò
la lotta contro lo Stato, il cui culmine venne raggiunto con l’uccisione dello zar Alessandro I
12
Talvolta furono gli stessi contadini a consegnare alle autorità gli attivisti del movimento populista russo, infatti
i primi si dimostrarono in realtà molto sospettosi nei confronti degli studenti populisti, i quali provenivano per la
maggior parte dai centri intellettuali cittadini. Infatti, i narodniki non erano abituati al lavoro manuale che
caratterizzava il mondo dei contadini, in quanto appartenenti a un mondo molto distante da quello delle
campagne e per questo motivo non riuscirono ad acquisire credibilità (cfr. ivi, p. 90).
13
Cfr. F. Venturi, Il populismo russo, cit., pp. 573-574.
8
nel 1881. L’evento tragico e la successione al potere dello zar Alessandro III sancirono anche
la fine del movimento dal momento che i suoi capi vennero arrestati e giustiziati.
14
In realtà il legame tra l’organizzazione Volontà del Popolo e il populismo si era logorato
ancor prima dell’attentato contro lo zar. Infatti, nonostante i suoi attivisti avessero ancora la
convinzione di «agire per il popolo allo scopo di costruire un sistema di socialismo russo
basato sulle comunità contadine»
15
nella pratica avevano abbandonato le idee originali del
populismo russo (narodnichestvo) che li avevano formati.
2. Il populismo delle origini negli Stati Uniti
Comprendere la politica degli Stati Uniti è complicato senza prima aver esplorato le
dinamiche del populismo. Viceversa, è difficile capire quest’ultimo senza avere una qualche
conoscenza sugli sviluppi del populismo statunitense. Infatti, il sistema politico degli USA,
così come la sua identità nazionale, sono stati segnati, per quasi tutto il corso della loro storia,
dai principi della democrazia rappresentativa; motivo per cui il populismo, che costituisce in
un certo senso una reazione ai meccanismi di quest’ultima, è una costante che attraversa il
corso di tutta la politica degli Stati Uniti.
16
È il 1892, quando a Omaha si riunisce il Partito del popolo (People’s Party), un partito
politico da poco fondato, con lo scopo di nominare un candidato alle elezioni presidenziali.
17
Il partito era nato dalla spinta di alcuni movimenti rurali, formati perlopiù da agricoltori
che avevano come obiettivo, attraverso la creazione di alleanze e cooperative, di liberarsi
14
Per un approfondimento invece sull’attentato terroristico che causò la morte dello zar Alessandro I e di fatto
anche la fine della fazione della Volontà del Popolo (cfr. ivi, pp. 633 - 720).
15
Cfr. P. Taggart, Il populismo, cit., p. 93.
16
Cfr. ivi, p. 47.
17
Il Partito del popolo, nato il 4 luglio 1892, aveva rappresentato, almeno fino a quel momento, la forma più
compiuta e organizzata, anche se poi si rivelerà fallimentare, del “classico” populismo americano, quello che lo
storico Michael Kazin ha definito “the original populist” (cfr. M. Kazin, The populist Persuasion. An American
History, Basic Books, New York, 1995, p. 13).