1
INTRODUZIONE
Josef Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001, ha scritto: "Lo sviluppo
consiste nel trasformare la vita delle persone, non solo nel trasformare le economie"
1
.
Il lavoro è uno dei fattori determinanti tanto nella vita delle persone quanto nelle
economie dei Paesi. E’ il mezzo attraverso cui l’individuo trova sostentamento, il tramite
attraverso il quale egli può realizzarsi e nel contempo contribuire al miglioramento della
società in cui vive e, da un punto di vista strettamente economico, è un indicatore
fondamentale per comprendere se una Nazione prospera oppure no.
Il fatto di coinvolgere direttamente le persone, che prestano la propria opera in
cambio di una retribuzione, rende il mercato del lavoro diverso dagli altri mercati.
Dunque, tra i problemi principali che qualunque governo deve affrontare e di cui
qualunque società si deve fare carico vi sono quelli di come creare posti di lavoro e di come
gestire la disoccupazione.
2
La domanda di lavoro si determina sul mercato dei beni
3
e , pertanto, qualsiasi
riforma o comunque intervento normativo sul mercato del lavoro potrà migliorarne il
funzionamento ma non potrà isolatamente creare maggiore occupazione se non si guarda
all’economia dei Paesi e a come determinarne la crescita.
E’ necessario parallelamente far aumentare la domanda aggregata
4
, attuare politiche
attive
5
, affiancandovi misure che ostacolino le fuoriuscite dal mercato del lavoro, attuare
prestazioni a sostegno del reddito per coloro che ne sono vittima
6
.
Le statistiche fanno rilevare che vi è un ritardo temporale tra crescita economica e
aumento dell’occupazione e ciò spiega perché le istituzioni adottino strumenti normativi per
1
STIGLITZ J., Making globalitazion work, WW.Norton & company, NY, 2006, p. 50
2
Intesa qui nel senso più ampio del termine: mancanza involontaria di un lavoro retribuito
3
Cfr. Keynes “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”
4
Cfr. la definizione di domanda aggregata nel dizionario di Economia e finanza Treccani: in
macroeconomia spese effettuate per l’acquisto di beni nazionali nel corso di un anno: consumi (C) più
investimenti privati (I) più consumi e investimenti pubblici (G) più esportazioni nette, cioè esportazioni
(X) meno importazioni (Z).
5
Tutte quelle iniziative, misure, programmi, incentivi che favoriscono l’inserimento nel mercato del lavoro
o la ricollocazione di coloro che lo hanno perso.
6
OCSE ed Eurostat definiscono le Politiche passive come prestazioni monetarie, non discrezionali, a
favore di lavoratori che hanno perduto l’occupazione o sospesi temporaneamente dal lavoro, anche
parzialmente, e che subiscono dunque una riduzione o la sospensione della retribuzione in vigenza del
rapporto di lavoro. Si tratta di prestazioni a sostegno e tutela del reddito che “ammortizzano” gli effetti
sociali della disoccupazione e che per questo si definiscono ammortizzatori sociali.
2
regolare il mercato del lavoro, al fine di rispondere alle sollecitazioni che provengono dalla
società e dirette a ricevere tutela
7
, richiamando il legislatore “ al difficile compito di
qualificare realtà nuove, se non addirittura realtà in continuo movimento”
8
.
Il Jobs Act, per quanto riguarda l’Italia, si colloca in tale contesto e completa un
quadro di provvedimenti che ha visto cambiare radicalmente il mercato del lavoro del nostro
Paese.
Si tratta di una Riforma del diritto del lavoro introdotta dalla legge delega 183/2014
“Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il
lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di
lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di
lavoro” e attuata mediante una serie di decreti legislativi, ben otto, emanati nel 2015.
Lo scopo di questo elaborato è cercare di comprenderne la logica, correlarlo alle
precedenti riforme, contestualizzarlo da un punto di vista economico e in relazione
all’andamento del mercato del lavoro, analizzarne gli effetti attraverso “i numeri”.
La tesi si articola in 5 capitoli, nel tentativo di un approccio multidisciplinare: politico
economico, giuridico e statistico.
Nel primo capitolo, per meglio comprendere come leggere l’evoluzione e i profondi
cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro in Italia, analizzare gli effetti delle riforme di
cui è stato oggetto, si contestualizzeranno da un punto di vista storico, politico ed economico,
seppure brevemente, le vicende del nostro Paese, quelle europee e più in generale mondiali,
intrecciate indissolubilmente e la cui conoscenza è necessaria per delineare il quadro di
riferimento.
Nel secondo capitolo l’evoluzione del mercato del lavoro italiano. Nella nostra
Costituzione il legislatore ha voluto disciplinare alcuni aspetti rilevanti che riguardano gli
interessi dei lavoratori in genere, ponendo le basi di un Diritto del lavoro volto a colmare
una situazione di asimmetria e disparità sostanziale tra datore di lavoro e lavoratore. Il dettato
costituzionale, in questo senso, ha subito chiavi di lettura diverse, evidenziatesi attraverso le
riforme che si sono susseguite a partire dallo Statuto dei lavoratori.
7
Su questo RODANO G., Il mercato del lavoro italiano prima e dopo il jobs act, saggio del 29.04.2015,
Università “La Sapienza” – Roma -https://www.pietroichino.it/wp-content/uploads/2015/05/Rodano-sul-
Jobs-Act.pdf,
8
GIUGNI G., Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Giuffrè, Milano, 1977, pag. 20
3
Nel terzo capitolo, di taglio più giuridico, si analizza l’impianto normativo del Jobs
Act, focalizzando l’attenzione sui provvedimenti che regolamentano i contratti di lavoro, le
politiche attive e gli ammortizzatori sociali.
Nel quarto capitolo si procede ad una analisi del mercato del lavoro osservando i
quadri statistici dei principali relativi indicatori a partire dal 2008, effettuando un confronto
con altri Paesi europei e verificando poi l’andamento dei contratti modificati dal Jobs Act.
Nel quinto e ultimo capitolo uno spaccato sulla realtà piemontese, messa anch’essa
a confronto con altre regioni italiane.
4
CAPITOLO I
IL MONDO CHE CAMBIA. EXCURSUS STORICO E CONTESTO SOCIO ECONOMICO
1.1 Lo scenario mondiale ed europeo dal Dopoguerra al Duemila
Il nuovo ordine internazionale, sorto dopo la seconda guerra mondiale e
caratterizzato dalla contrapposizione politica, ideologica e militare tra Usa e Urss, che divise
l’Europa in due blocchi, evidenziò da subito l’egemonia sul piano economico-finanziario
degli Stati Uniti. Il nuovo sistema mondiale del “capitalismo regolato dagli stati” tenne
insieme le democrazie occidentali per trent’anni e fu un periodo in cui si ridussero le
disuguaglianze sociali, in un contesto di costante ed elevata crescita economica nonché di
importanti mutamenti socio-culturali
In occasione della Conferenza di Bretton Woods del 1944, si adottarono gli strumenti
con cui governare l’economia internazionale: una nuova politica monetaria e finanziaria,
l’utilizzo di quel complesso di politiche pubbliche messe in atto dagli Stati per sostenere la
domanda (teoria Keynesiana) che evolverà nel concetto di Welfare state e il fordismo, forma
di produzione basata principalmente sull'utilizzo della tecnologia della catena di montaggio.
Parallelamente va considerato il processo di integrazione europea. L’Europa, campo
di battaglia della Seconda guerra mondiale, a partire dalla fine del conflitto, avviò un
percorso di cooperazione tra gli Stati del “blocco occidentale”, finalizzato al mantenimento
della pace attraverso il raggiungimento di obiettivi comuni in ambito economico. Nel 1957
venne istituita la Comunità economica europea
9
(CEE) con l’idea di un mercato comune in
cui persone, beni e servizi potessero circolare liberamente. Gli anni ’60 furono molto positivi
per l’economia europea: con l’eliminazione dei dazi doganali vennero incrementati gli
scambi commerciali e con l’avvio della politica agricola comune si ottenne l’autosufficienza
dal punto di vista dei prodotti agricoli.
Nel ventennio che va dagli anni ’70 agli anni ’90, si verificarono una serie di
circostanze e di avvenimenti che determinarono un “cambio di direzione”: tra questi, nel
1971 si mise fine agli accordi di Bretton Woods e si diffuse in politica economica l’ideologia
del neoliberismo, sostenuta da governi conservatori come furono quelli di Margaret Tatcher
e Ronald Reagan. Si impose la ricetta di Milton Friedman - deregulation, privatizzazioni e
riduzione delle spese sociali-, in antitesi a quella di Keynes, che prevedeva invece un
9
Paesi fondatori: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi
5
intervento statale forte a sostegno della economia di mercato e del progresso sociale della
popolazione: welfare state, istruzione, formazione, sostegno all’occupazione.
Nello stesso ventennio la CEE si allargò a 12 Stati e le politiche si estesero,
comprendendo finanziamenti destinati a creare nuovi posti di lavoro e infrastrutture; nel
1986 venne sottoscritto l’Atto unico europeo. L'Atto unico europeo (AUE) diede luogo ad
una revisione dei trattati di Roma al fine di rilanciare l'integrazione europea e portare a
termine la realizzazione del mercato interno. L'Atto modificò le regole di funzionamento
delle istituzioni europee ed ampliò le competenze comunitarie, in particolare nel settore della
ricerca e sviluppo, dell'ambiente e della politica estera comune
10
.
Regioni del mondo quali la Cina, l’Europa dell’Est, la Russia
11
, l’India cominciarono
a modificare i propri sistemi economici e sociali adeguandoli alle esigenze del capitalismo
e del mercato globale; stessa cosa provarono a fare i paesi del Sud del mondo, costretti da
gravi situazioni debitorie, senza ottenere, molto spesso, gli effetti sperati.
Si imposero nuove priorità, quali la necessità di ridurre le politiche di welfare, tipiche
dello Stato sociale, aumentare il rigore finanziario, tramite il vincolo del pareggio di bilancio,
liberalizzare la circolazione dei capitali.
Il ruolo della finanza cambiò e diventò preminente nel sistema economico, incidendo
notevolmente sull’economia reale.
L’industria venne assorbita in ”un nuovo tipo di impresa multinazionale: una rete
conglomerata di attività finanziarie, di servizi e di impianti produttivi merceologicamente
disparati, sparso sui quattro continenti, finalizzato alla massima valorizzazione degli
investimenti degli azionisti”
12
. A ciò si aggiunsero l’introduzione di nuove forme di
organizzazione del lavoro, i processi di automazione e informatizzazione e il fenomeno della
delocalizzazione nei Paesi cosiddetti emergenti.
L’Europa si attrezzò per rispondere alle nuove sfide. Nel 1992 venne firmato a
Maastricht il Trattato sull’Unione europea che dettava norme riguardanti la futura moneta
unica, la politica estera e di sicurezza nonché il completamento del mercato unico attraverso
le “quattro libertà” di circolazione, di persone, di beni, di capitali e di servizi. L’Unione
Europea (UE), che sostituì la Comunità europea, comprendeva 15 Paesi, quasi l’intero
territorio dell’Europa occidentale. Nel 1997 seguì il Trattato di Amsterdam per dare ancora
10
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=LEGISSUM:xy0027
11
Post caduta del Muro di Berlino, 9 novembre 1989, e disgregazione dell’URSS
12
DE BERNARDI A., Un paese in bilico, Laterza & Figli, Roma-Bari, 2014, pag.43
6
maggior voce all’UE; nel contempo, si volse lo sguardo ai Paesi dell’Est e si introdusse in
11 Paesi, tra cui l’Italia, l’Euro, ma solo per le transazioni commerciali e finanziarie.
In ogni caso lo scenario mondiale cambiò radicalmente; si determinò un aumento
delle disuguaglianze economico-sociali con una forte polarizzazione dei redditi, bassi ritmi
di crescita; il processo di crescita del settore dei servizi rispetto ai tradizionali settori
dell’agricoltura e dell’industria diffuse nuove occupazioni e nuovi stili di vita ma segnò
anche il declino della classe operaia con un ritorno a una quota rilevante di “disoccupazione
strutturale”
13
.
1.2 Il XXI secolo
I problemi sopra descritti erano comuni a tutto l’Occidente alla fine degli anni ’90, il
che ci introduce al XXI secolo e a ciò che più di ogni altra cosa lo caratterizza: la
globalizzazione, termine reso popolare nel 1983 dall’economista Theodore Levitt, docente
alla Harvard Business School, in un articolo intitolato “Globalization of Markets” .
L'OCSE definisce la globalizzazione come “un processo attraverso il quale mercati
e produzione nei diversi paesi diventano sempre più interdipendenti, in virtù dello scambio
di beni e servizi e del movimento di capitale e tecnologia”.
Oggetto di dibattito, da un lato troviamo chi ne esalta le opportunità, dall’altro chi ne
evidenzia gli effetti riguardo l’equità nella redistribuzione dei redditi e sulla stabilità
finanziaria. Di sicuro la globalizzazione è un processo irreversibile e “non c’è una scelta
possibile tra la globalizzazione e il suo contrario: se vogliamo un mondo più prospero
bisogna insistere sulla globalizzazione, facendo partecipare tutti ai suoi benefici”
14
. Questo
perché “la globalizzazione, ossia l'eliminazione delle barriere al libero commercio e la
maggiore integrazione tra le economie nazionali, possa essere una forza positiva e che abbia
tutte le potenzialità per arricchire chiunque nel mondo, in particolare i poveri. Ma perché ciò
avvenga, è necessario un ripensamento attento del modo in cui essa è stata gestita”
15
.
Il XXI secolo si apre, dunque, con un quadro economico propizio. L’economia
mondiale globale è in crescita, grande liquidità nei mercati dei capitali, inflazione moderata
13
BRUSA A. e GRAZIOLI C., Storia della Repubblica Italiana in sette mappe. Uno strumento per la
programmazione didattica, Novecento.org, n. 7, febbraio 2017. DOI: 10.12977/nov144
14
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2018-01-23/l-economista-rajan-globalizzazione-
inclusiva-unica-via-la-prosperita-222651.shtml?uuid=AEBELinD
15
STIGLITZ J., La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino, 2002, pag. IX prefazione
7
e rendimenti notevoli nel settore finanziario, sostenuto è l’aumento della produttività del
lavoro: l’innovazione tecnologica e l’informatizzazione consentono una divisione
internazionale e una specializzazione per mansioni, con processi produttivi frammentati,
piuttosto che una divisione del lavoro per prodotti. L’”‘economia della conoscenza’,
l’istruzione, il potenziamento del capitale umano costituiscono il fondamento della moderna
ricchezza delle nazioni”
16
.
Finanza ed economia si legano indissolubilmente; è dalle variazioni, in termini di
valore, delle attività finanziarie, che dipendono consumi e investimenti e le possibilità di
ottenere credito. Gli strumenti finanziari fanno ormai parte delle ricchezze delle famiglie e
dei lavoratori.
Ma “la finanza non può alimentare una classe media, perché solo un piccolo gruppo
scelto di ciascuna popolazione nazionale può ripartirsi i profitti della borsa e
dell’intermediazione finanziaria, al contrario dell’economia basata sulla supremazia
dell’industria e del commercio, che fornisce una più ampia prosperità estesa agli individui
comuni”.
17
E infatti, nell’estate del 2007, il delicato equilibrio si rompe.
Il mercato immobiliare statunitense entra in crisi a causa dello scoppio di una bolla
speculativa
18
. La crisi si estende rapidamente a tutto il mondo finanziario. Quello che è altresì
rilevante è come altrettanto rapidamente una crisi finanziaria abbia avuto ricadute devastanti
sull’economia reale e come questo sia avvenuto a livello mondiale, ma in particolar modo,
oltre che per gli Stati Uniti, anche in Europa.
Simili per dimensioni in termini di numero di abitanti e PIL, Stati Uniti ed Europa
hanno adottato strategie politiche, monetarie e di bilancio anticrisi differenti soprattutto in
termini di gradualità e di intensità di azione, e non potrebbe essere diversamente, dal
momento che diversa è la struttura e il funzionamento delle stesse.
16
PASINETTI L., Dinamica strutturale e sviluppo economico. Un’indagine teorica sui mutamenti nella
ricchezza delle nazioni, Torino, 1984 in Enciclopedia Treccani, CIOCCA P –NARDOZZI G. L’economia
mondiale
17
PHILLIPS K., 1993, citato in ARRIGHI G., Il lungo XX secolo, Il Saggiatore, Milano, 1996, pag. 411
18
Crisi dei subprime, prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito in favore di clienti
a forte rischio debitorio
8
Tra gli elementi di differenza in primo luogo le politiche monetarie, determinate da
shock macroeconomici di diversa natura. Tra la fine degli anni ’90 e il 2008, l’area dell’euro,
più di quella statunitense, è stata colpita da shock di offerta.
In secondo luogo il modo in cui gli shock si propagano all’economia. L’OCSE a
riguardo ci fornisce alcuni dati riferiti al 2008, da cui si evidenziano valori più alti, in area
euro, dell’indicatore di regolamentazione dei mercati dei beni e servizi (più 50%), di quello
sulla protezione offerta dalla negoziazione collettiva (76% area euro e 14% Stati Uniti) e
sulla normativa in materia di tutela del posto di lavoro, dieci volte quello degli Stati Uniti.
Il terzo elemento di differenza riguarda i comportamenti delle banche centrali. Il
TFUE, Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, stabilisce, all’art. 127, che
“L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato
"SEBC", è il mantenimento della stabilità dei prezzi”. Il Federal Reserve System, la banca
centrale negli Stati Uniti, oltre a mantenere la stabilità dei prezzi, deve adottare politiche
monetarie tese a raggiungere la piena occupazione e a mantenere tassi di interesse moderati.
In linea generale, infine, tanto la spesa pubblica quanto il livello delle prestazioni
sociali pubbliche è sistematicamente inferiore negli Stati Uniti rispetto ai paesi dell’area
dell’euro, così come è diverso il regime fiscale, così come diverse sono le politiche
redistributive e la regolamentazione dei mercati del lavoro.
“Peraltro, contrariamente a quanto spesso si crede, la maggiore stabilità dell’area
dell’euro non è stata ottenuta a scapito della crescita, che in termini pro capite è stata
sostanzialmente uguale a quella degli Stati Uniti negli ultimi dieci anni. Lo stesso vale per
la creazione di nuovi posti di lavoro, che sono stati 17 milioni dall’introduzione dell’euro.
Non è corretto affermare, quindi, come invece si fa spesso, che la stabilizzazione
dell’inflazione in Europa ha danneggiato la crescita economica.[…] Nel complesso, la
politica di bilancio, analogamente alla politica monetaria, risulta meno attivista in Europa e
più basata su regole rispetto a quella degli Stati Uniti, dove la discrezionalità è maggiore”
19
.
In effetti, nei primi anni del Duemila, il processo di allargamento dell’Unione
Europea porta a 27 i Paesi aderenti, con l’ingresso di Stati membri dell’Est europeo, con un
forte impatto non solo demografico, ma anche economico e sociale, inducendo la necessità
19
BINI SMAGHI L., Lezione c/o Collegio Carlo Alberto, Moncalieri, 7 novembre 2008, “Le politiche
economiche sulle due sponde dell’Atlantico: (perché) sono diverse?” – sito
https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2008/html/sp081107.it.html