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INTRODUZIONE
“And those millions of people, what do they hear?”
Francis J. Underwood
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Washington Herald, Gennaio 2014: la famosa giornalista Zoe Barnes, preoccupata da
ciò che dovrà affrontare dì lì a poco, afferra rapidamente dalla scrivania lo
smartphone e, senza pensarci due volte, digita il numero del suo contatto alla Casa
Bianca, il deputato al Congresso nel V Distretto della Carolina del Sud Frank
Underwood: «Mi hanno offerto uno spazio al Nightline» afferma lei. «Vuoi un mio
consiglio?» chiede compiaciuto lui. «Non lo voglio, mi serve» ribatte Zoe.
«Bene» prosegue il deputato Underwood «Chiudi gli occhi. Sono le 11 e 25,
Nightline sta per andare in onda, milioni di persone stanno guardando. Tu sei a casa
in pigiama?»
«No» risponde Zoe, chiudendo leggermente gli occhi.
«Nello studio?» Insiste Frank.
«Sì» conferma lei.
«E cosa vedi?» Chiede Underwood, convinto della risposta che riceverà a breve.
«Vedo delle luci e una telecamera» ribatte Zoe.
«E quella luce rossa si accende. Dimmi cosa senti» prosegue il deputato, sempre più
compiaciuto.
«Sento la mia voce». Il cuore di Zoe comincia a palpitare.
«E quei milioni di persone cosa sentono?» chiede Underwood, alzando leggermente
il tono.
«La mia voce» ripete lei.
«E che cosa vedono?» incalza il deputato.
«La mia faccia» realizza Zoe, riaprendo gli occhi.
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Citazione rilevata dalla Serie TV House Of Card, promossa dal servizio on-demand Netflix
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«Quindi non ti serve il mio consiglio» conclude Underwood, dando un’occhiata al
panorama fuori dal finestrino della sua automobile.
Ora, il dialogo qui proposto è di natura fittizia. Non si tratta di una vecchia
intercettazione tra politicanti di indiscussa fama, bensì una scena tratta dalla famosa
Serie Tv “House of Cards”, adattamento cinematografico basato sull’omonimo
romanzo di Michael Dobbs. La storia, in breve, narra le vicende del deputato del
Partito Democratico Frank Underwood il quale, assetato di potere, trama, attraverso
inganni e sotterfugi, alle spalle del Presidente degli Stati Uniti al fine di occuparne la
posizione. La Serie Tv, prodotta da Beau Willimon (Le idi di Marzo) e distribuita dal
servizio streaming on-Demand Netflix, è un’apologia alla dialettica politica. Lo si
può notare dall’episodio sopra citato: alla domanda del deputato “And those millions
of people, what do they hear?” la risposta della giornalista è “My voice.” La voce,
questo potente mezzo di comunicazione che, accostato ad una presenza rispettabile e
ad una buona dose di personalità, è in grado, nel bene o nel male, di spostare
l’opinione pubblica.
Ora, tralasciando House of Cards e le dinamiche interne alla Casa Bianca, la
comunicazione politica è un elemento fondante il dibattito pubblico nell’Italia
contemporanea, quella che, attualmente, sta attraversando la fase di passaggio dalla
Seconda Repubblica ad un qualcosa di nuovo, oscuro ed imprevedibile. Nel nostro
Paese, per lo meno negli ultimi vent’anni, la forma della comunicazione pare essere
diventata più importante del contenuto: non si tratta più intorno ai grandi ideali di un
tempo ma, complice anche il web 2.0 che permette alle persone di essere
maggiormente ricettive rispetto al passato, i principali candidati politici necessitano
di un linguaggio rapido, incisivo, penetrante. E non è un caso che Paolo Mancini,
noto sociologo presso l’Università degli Studi di Perugia, accenni, nella sua ultima
opera, “Il Post Partito”, alla fine delle grandi narrazioni che hanno caratterizzato il
post-guerra:
«Il punto di partenza è proprio questo: i partiti politici sono cambiati, stanno cambiando,
sono forse destinati a scomparire, stanno diventando, come detto, ridondanti proprio
perché le nuove forme e le nuove strutture della comunicazione hanno prodotto
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conseguenze radicali sulla modalità della partecipazione politica e quindi su alcuni dei
suoi principali strumenti: i partiti politici.»
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Mancini parte da una considerazione importante: il popolo è attivo, vuole sentirsi
protagonista, necessita di una velocità sconosciuta alla vecchia nomenclatura di
massa. Ci si trova così di fronte ad una logica di partito come se esso rappresentasse
un brand, una marca che, attraverso i suoi prodotti, cerca di trasformarsi in leader di
mercato e combatte una guerra di marketing con i principali competitor di settore.
Ecco, la tesi qui presentata parte proprio da questa considerazione: il Marketing
Politico esiste, è importante (nonostante se ne parli da pochi anni) e si basa sul
concetto che il Partito così come lo intendiamo noi non esiste più. Esso è Corporate,
una struttura solida a cui il leader politico fa riferimento nel momento in cui deve
veicolare le proprie diagnosi per curare e sviluppare il paese o, se si vuol essere più
pratici, per vincere le elezioni. Così come un’azienda necessita di vendere i propri
prodotti per essere attivi e rispettati sul mercato, così un movimento politico, che sia
a destra, a sinistra o (concentrandoci sul caso italiano) una forza esterna alle logiche
come il Movimento 5 Stelle, deve “vendere”, nell’accezione positiva del termine, le
proprie idee per ottenere consenso popolare e voti.
La multimedialità, sotto questo punto di vista, rappresenta una vera novità.
Social Network, spot elettorali 2.0, siti web: per ottenere una comunicazione incisiva
e pervasiva si deve per forza di cose passare attraverso quel potente mezzo che è
Internet, con tutte le sue sfaccettature.
D’altronde, come affermato in precedenza, oggi si ha a che fare con un consumatore
(di idee, in questo caso) esigente, attivo, preparato e che, abituato ai ritmi frenetici
della quotidianità, si annoia facilmente. Il partito politico, per correre ai ripari da una
situazione spiacevole, deve essere sempre vigile, controllare i commenti dei propri
sostenitori/antagonisti, dialogare con loro. Tanto è vero che oggi si ha a che fare con
una “campagna permanente", in cui chi vince le elezioni è costretto, nei 5 anni di
governo, a fare i conti con l’opinione pubblica e con i principali competitor esterni o
interni. Come afferma Giorgio Grossi, siamo di fronte ad una “democrazia del
pubblico”
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, provocata in gran parte da una costante disillusione nei confronti delle
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Paolo Mancini, Il Post Partito. La fine delle grandi narrazioni, il Mulino, 2015
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Giorgio Grossi, Opinione pubblica e comunicazione politica. Il legame sociale rivisitato, in Comunicazione Politica a cura di
Franca Roncarolo, Il Mulino, pp. 45-60
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istituzioni. Si pensi, per esempio, all’esito delle elezioni Europee del 2014, in cui il
41,30% del popolo italiano non ha votato
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. Ecco perché oggi, più che mai, si parla di
“personalizzazione della politica”: il leader diventa una figura costante e presente
nella vita dei cittadini, non è più una semplice “figurina” di un percorso intellettuale
più ampio bensì il vero protagonista della storia. Lo è l’attuale Premier, Matteo
Renzi, la cui strabordanza comunicativa lo ha portato ad essere una figura
controversa all’interno della classica Sinistra con la “S” maiuscola, tanto da
inimicarsi una parte del Partito Democratico, quella nostalgica, abituata all’antico
sistema del PCI. Lo è stato Silvio Berlusconi, primo vero innovatore della
comunicazione, un imprenditore privato fuori (allora) dalle logiche del Parlamento:
la famosa “discesa in campo” segna drasticamente il passaggio dai grandi discorsi ad
una comunicazione più diretta, per molti versi più potente ed incisiva. In parte, lo è
anche Matteo Salvini, leader della Lega Nord, attraverso un linguaggio estremo e,
per certi versi, violento (si pensi ai commenti su Facebook rivolti a chi lo contesta).
Infine, lo sono Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, i portavoce per antonomasia
del Movimento 5 Stelle, “eredi al trono” di Beppe Grillo.
Seguendo il filo del discorso è logico, quasi scontato, pensare che la sfida elettorale
si giochi su un terreno esterno alle dinamiche dei tradizionali partiti di massa,
focalizzando l’attenzione sul modo in cui vengono dette le cose e sugli strumenti
utilizzati per entrare in contatto con il pubblico desiderato.
Le logiche di marketing, quindi, acquistano un’importanza rilevante, soprattutto
all’interno di un panorama, quello italiano, in cui la competizione è variopinta, dove
non esistono solo due grosse macroaree, come negli Stati Uniti, ma numerosi
interlocutori, ciascuno con le proprie possibilità e con dei programmi ben precisi, i
cui voti sono necessari ai grandi movimenti per poter poi governare.
Associare quindi un partito politico, un logo, ad un’azienda non è poi così velleitario.
Attenzione, non si tratta della famosa “ditta” di cui parla Pierluigi Bersani durante la
campagna elettorale del 2013, ancorata ad una logica estranea all’attuale momento
storico. In questo caso si intende che tutte le funzioni del partito inteso come
corporate, quindi il marketing e la pubblicità, le relazioni esterne ed interne, le
risorse umane, gli affari istituzionali, la visione, i valori, la produzione, il Customer
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Dati acquisiti dalla pagina web: http://www.repubblica.it/static/speciale/2014/elezioni/europee/italia.html
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Relationship Management e via dicendo, devono comunicare tra loro e concorrere ad
un unico obiettivo: la vittoria del candidato.
Ora, l’elaborato verrà sviluppato partendo proprio dai punti di riflessione accennati
in questa breve introduzione. In particolare, verranno qui segnalate le principali
caratteristiche del marketing politico sviluppatesi nel corso dell’ultimo decennio e
come i partiti politici utilizzano gli strumenti in loro possesso. Si terrà conto,
ovviamente, delle tre forze più rilevanti nel sistema politico italiano quali il Partito
Democratico, il Centro-Destra nella forma d’aggregazione composta da Forza Italia e
Lega Nord ed il Movimento 5 Stelle, che forse più di tutti rappresenta una novità
all’avanguardia dal punto di vista della comunicazione. L’ultimo capitolo, infine,
sarà dedicato ad un caso di studio specifico: la campagna elettorale per le elezioni del
Sindaco della città di Milano, previste per Giugno 2016.
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1. UNO SGUARDO TEORICO
You can’t just ask customers what they
want and then try to give that to them.
By the time you get it built,
they’ll want something new.
Steven Paul Jobs
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Nell’antica Grecia, patria della democrazia, fare politica significava rispettare e
difendere le volontà della maggioranza della popolazione. I grandi oratori del tempo,
per ottenere il consenso dei cittadini, facevano leva su meccanismi razionali di
comunicazione per cui, a partire da argomenti particolari, si cercava di ottenere un
quadro generale del livello di soddisfazione della vita.
Ora, nonostante i principi di marketing siano stati, nel corso degli anni, accostati
esclusivamente ad una dinamica aziendale, si potrebbe azzardare l’ipotesi che essi
non si discostino più di tanto dagli stessi principi che resero l’antica Grecia un
modello per le democrazie occidentali. D’altronde, la stessa definizione del suddetto
concetto aiuta a rendere l’idea:
“Il marketing è un processo mediante il quale le imprese creano valore per i clienti e
instaurano con loro solide relazioni al fine di ottenere in cambio un ulteriore valore.”
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Da un punto di vista economico-industriale, la nozione non fa una piega.
Banalmente: la Apple crea un nuovo iPhone, il consumatore acquista il prodotto (e,
quindi, genera un valore monetario per l’azienda) e, se è soddisfatto, diventerà un
cliente fedele di quella stessa azienda, andando così a creare un danno per la
concorrenza.
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Intervista Inc. Magazine, 1 aprile 1989
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Philip Kotler, Gary Armstrong, Principi di Marketing, Pearson, 2010
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Sul piano politico il concetto è il medesimo: il Partito (indistintamente dal credo)
ascolta le necessità del cittadino, andando ad identificare il proprio target. In seguito
genera un valore, sia esso astratto (idee) o concreto (norme e azioni sul territorio), e
il cliente (l’elettorato), se soddisfatto, offrirà in cambio un ulteriore valore qui
espresso in termine di voto.
Il Marketing politico altro non è che questo: generare un valore importante per il
proprio target di riferimento e chiedere uno sforzo elettorale per poter governare un
paese, una città, uno Stato.
1.1 – Le tre ere della comunicazione politica e il nuovo scenario della campagna
elettorale
Il 26 gennaio 1994 l’imprenditore Silvio Berlusconi, attraverso un videomessaggio
divulgato in diretta nazionale, dichiara l’intenzione di creare un movimento politico
moderato per concorrere alle elezioni contro Achille Occhetto, esponente del Partito
Democratico della Sinistra. La famosa “discesa in campo” dell’attuale leader di
Forza Italia segna inevitabilmente un passaggio cruciale nella storia istituzionale del
nostro Paese: comincia quella che numerosi studiosi hanno definito la terza era della
comunicazione politica.
Lo stesso Mancini, infatti, afferma come le strategie di campagna elettorale si siano
modificate radicalmente nel corso degli anni secondo un processo di tipo evolutivo
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.
In particolare si è oggi in grado di distinguere tre fasi principali:
1- L’era premoderna
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contraddistinta dalla comunicazione di apparato.
L’informazione viene veicolata e controllata direttamente dagli organi di partito che,
attraverso la pubblicità, i manifesti e i comizi, compiono un lavoro certosino di
propaganda. Ci si trova, in questo caso, di fronte ad un pubblico stabile che identifica
il proprio partito in base alla classe sociale di appartenenza.
2- L’era moderna
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contraddistinta dalla comunicazione di massa. Nasce uno dei
medium più influenti nella storia dell’uomo: la televisione. Parzialmente
indipendente ma ancora legata alle logiche istituzionali, la tv diventa il luogo
principale del dibattito pubblico e la comunicazione politica si delinea attraverso lo
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Paolo Mancini, Manuale di comunicazione pubblica, Editori Laterza
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Inizio novecento – Seconda Guerra Mondiale
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Anni cinquanta – fine anni ottanta