3
1. Introduzione
Secondo lo studioso dei media e della cultura popolare Henry
Jenkins (2006), i fan studies hanno conosciuto tre momenti distinti.
Nella prima fase, autori come Fiske e Tulloch hanno osservato le
comunità escludendo dall’analisi i sentimenti provati per gli oggetti di
studio. Tuttavia, i Cultural Studies della Scuola di Birmingham,
autodefinitisi come lo studio della vita quotidiana, avevano già ribaltato il
disprezzo pubblico per le subculture giovanili, demolendo il falso assunto
secondo cui il marketing costruisce il mondo dei fan dall’alto in basso.
La seconda generazione, nella quale lo stesso Jenkins si colloca
accanto a Camille Bacon-Smith, ha quindi adottato una prospettiva di analisi
influenzata dalla consapevolezza e dalla conoscenza acquisite nella propria
esperienza di fan ancora prima che di studiosi. Le analisi di Jenkins hanno
dato inizio a un nuovo filone di ricerca, che si propone di osservare i
materiali creati dalle comunità online per contribuire al dibattito sulla
cultura di massa attraverso un’elaborazione dei criteri di valutazione dei
prodotti dei fan e una definizione delle loro pratiche, in cui un ruolo
decisivo viene giocato proprio dal coinvolgimento degli studiosi stessi nella
fandom.
L’eredità lasciata dalla sua opera più influente, Textual Poachers
(1992), è stata raccolta da una nuova generazione di Aca-Fan,
contemporaneamente accademici e fan, in grado pertanto di analizzare le
contraddizioni delle comunità sfruttando il capitale intellettuale e sociale
accumulato in prima persona
1
.
1 H. Jenkins, Fan, Blogger e Videogamers, FrancoAngeli, Milano 2008, pp. 112-114.
4
2. Fandom
2.1 Definizioni
Nella definizione di Matt Hills, professore di Film and Television
Studies alla Cardiff University, un fan è “qualcuno che può produrre molte
informazioni sull’oggetto di cui è appassionato, e citarne versi, frasi o
capitoli preferiti”
2
.
Oggi, tuttavia, la crescente commercializzazione dei prodotti che una
volta erano di nicchia ha esteso a una fetta di pubblico non propriamente
definibile come fandom le pratiche di lettura e le discussioni su come i testi
vadano interpretati. Tale questione sembra essere di centrale importanza
tanto per i fan (determinati a distinguersi dai semplici consumatori), quanto
per i fan studies, chiamati a concentrarsi sull’esperienza emotiva individuale
dei singoli fan, e non solo sull’architettura della partecipazione offerta dai
social media. Molti fan tendono, infatti, a considerarsi tali semplicemente
perché consumano un determinato prodotto mediale, ma non trasformano il
loro interesse in una qualche forma di socialità o creatività a cui il loro
bagaglio di informazioni permetterebbe potenzialmente di accedere
3
. Un
fan, ad esempio, può caricare un’immagine del profilo che rimanda al
proprio attore preferito, e realizzare esclusivamente un’esibizione
individuale della propria identità sfruttando le possibilità offerte dai siti di
social network, oppure può andare oltre la circolazione ristretta di un
contenuto rappresentazionale, mettendo alla prova le proprie abilità nel
manipolare le immagini. Queste, come le altre forme di produttività delle
2 M. Hills, Fan Cultures, Routledge, London 2002, p. IX, trad. mia.
3 H. Jenkins, When Fandom Goes Mainstream, in «Confessions of an Aca-Fan. The
Official Weblog of Henry Jenkins», 2006.
5
fandom, sono sottoposte alla valutazione degli altri membri attraverso
feedback, pubblicità e meccanismi di mentoring (ossia di “formazione”
degli iniziati ad opera dei fan più esperti), fino a raggiungere in molti casi
l'attenzione dei produttori
4
. Si pensi al valore dell’estetica su Twitter, in cui
la possibilità di customizzazione, ossia di personalizzazione visuale dei
profili (cambiando avatar e colori del testo ed inserendo immagini sullo
sfondo della pagina), spinge molto spesso gli utenti membri di qualche
fandom a non utilizzare un ritratto standard o stili di default, bensì immagini
della cultura pop e foto di celebrity. Proprio la possibilità di seguirli e restare
aggiornati su di loro, infatti, sembra essere uno dei motivi della presenza di
molti utenti sul social network stesso. In molti casi, addirittura, i fan
associano la propria identità a quella del prodotto mediale, che usano per
definire chi sono online e costruire la propria audience
5
.
Raccontandoci agli altri, ci raccontiamo a noi stessi attraverso i
contenuti che scegliamo come portavoce del sé. La comunicazione mediata
dalla tecnologia possiede quindi una dimensione performativa, resa evidente
dalla necessità dei fan di auto-descriversi e auto-rappresentarsi online per
legittimare la propria esistenza nei flussi comunicativi, sfruttando il topic di
interesse come collante sociale
6
. C’è addirittura chi considera il prodotto
mediale soltanto come un terreno comune su cui costruire relazioni, o uno
spunto per produrre contenuti propri e condividerli. Yee, in una ricerca sul
4 M. Hills, Fiske's “textual productivity” and digital fandom: Web 2.0 democratization
versus fan distinction?, in «Participations. Journal of Audience & Reception Studies»,
2006.
5 M. Micheli, A. Vellar, Twitterdiversità: una metodologia di analisi delle (contro)culture
visuali in Twitter, in G. Boccia Artieri, Gli effetti sociali del web, FrancoAngeli, Milano
2015, pp. 159-168.
6 N. Vittadini, Mappare o tracciare? Una questione metodologica per gli studi sulle “reti
socievoli”, in G. Boccia Artieri, op. cit., p. 28.
6
videogioco platform Little Big Planet, identifica infatti tre motivazioni di
gioco: socializing (aiutare gli altri utenti e conversare con loro), relationship
(instaurare relazioni) e teamwork (contribuire al raggiungimento di un
comune obiettivo)
7
.
Laddove Tulloch e Jenkins si sono limitati a distinguere i follower
dai fan sulla base di un crescente coinvolgimento che spinge il secondo a
considerare la sua condizione come un’identità sociale, Kristina Busse
(2006) sposta la questione sul piano delle pratiche concrete, cercando di
separare i fan in senso stretto (quelli che possiedono più informazioni,
partecipano attivamente e si sentono emotivamente coinvolti), dagli
spettatori che occasionalmente agiscono in maniera simile ad essi (magari
aumentando la mole dei commenti su un brano, utilizzando gli appositi
hashtag su Twitter, ma che non contribuiscono, di fatto, al successo del
prodotto, non acquistandolo né richiedendolo nelle radio). Chiedendosi se si
possa ancora riconoscere la fandom come subcultura dotata di proprie
gerarchie, norme, estetica, tradizioni, interpretazioni e forme di produttività,
la coautrice di “Fan Fiction and Fan Communities in the Age of the
Internet” ha ipotizzato una perdita di autenticità e di distintività nella
“mainstreamizzazione” del fenomeno
8
.
Far parte di una fandom significa, infatti, condividere l’ammirazione
per un artefatto culturale, partecipando attivamente al dibattito, alla
produzione collettiva e alla circolazione delle informazioni, dei significati e
delle interpretazioni che li riguardano. Le comunità interpretative sono il
frutto dell’incontro tra quotidianità e prodotti mediali, tra i vissuti
individuali e l’immaginario collettivo racchiuso nelle narrazioni proposte
7 F. Comunello, S. Mulargia, User generated gaming: pratiche partecipative e cultura
convergente nel web 2.0. Il caso Little Big Planet, in G. Boccia Artieri, op. cit., p. 213.
8 H. Jenkins, When Fandom Goes Mainstream, op. cit., 2006.
7
dall’industria culturale, rispetto alle quali i fan sperimentano costantemente
forme di distanziamento e riconoscimento. Le fandom sono quindi esempi
di intelligenza collettiva, ossia ciò che Pierre Lévy definisce come la
conoscenza a disposizione di tutti i membri della comunità, la cui capacità
produttiva risulta espansa poiché supera i limiti della memoria dei singoli,
consentendo loro di affidarsi alle competenze di ciascun aderente. Ciò che
motiva i fan è infatti l’epistemofilia, il piacere di scambiare la propria
conoscenza e negoziare i significati socio-emotivi dell’ambiente di cui
fanno esperienza
9
.
Una definizione a sé merita invece la cosiddetta “cult fandom”, che
nasce quando una fandom, in opposizione al rapido susseguirsi di sempre
nuovi prodotti, continua ad esistere e ad operare nel tempo conservando la
stessa intensità, anche in assenza di nuovo materiale ufficiale. A tale
proposito, Umberto Eco (1995) riteneva che ogni oggetto di culto, per essere
tale, dovesse avere 3 caratteristiche: un mondo narrativo che i fan abitano
come se fosse segreto e riservato a loro, la possibilità di estrapolare frasi,
scene o sentimenti, ed infine quella che l’autore chiama “living textuality”,
cioè un testo che appartiene a sé stesso. Esso è, in un certo senso,
autosufficiente: la sua origine è una testualità pura che nulla ha a che vedere
con produttori, autori e promotori. Matt Hills (2002) è tuttavia scettico nei
confronti del tentativo di molti studiosi di isolare tale oggetto di studio in
una definizione rigorosa, che non potrebbe mai racchiudere in sé le singole
identità dei fan. Le ricerche di Jewett e Lawrence (1977) sui fan di Star Trek
evidenziavano, nelle pubblicazioni e nelle reinterpretazioni dei fan, la
presenza di uno spirito di “devozione religiosa” per tale testo. Studiosi come
Berger risolvono la questione negando l’accostamento tra mondo dei fan e
9 Idem, Fan, Blogger e Videogamers,op. cit., pp. 163-168.
8
religione, giustificandosi dietro la mancanza, nel primo, di un reale obiettivo
di miglioramento o conservazione degli aspetti positivi del mondo
10
.
Jenkins, invece, sottolinea come, mentre nella religione ci si basa su
un’interpretazione letterale dei contenuti, l’essere fan si avvicina più alla
mitologia, che esprime valori attraverso racconti in cui riconoscersi
profondamente sul piano umano, pur non ritenendoli necessariamente veri. I
fan separano fantasia e realtà, ma credono nella positività di ciò che
l’universo narrativo a cui partecipano propone loro. Ciò che conta è quindi
come le diverse tipologie di testo attirano la flessibile attenzione del
pubblico: i fan possono condividere una molteplicità di interessi, ma allo
stesso tempo sviluppare un attaccamento particolare ad un testo che sentono
molto vicino alla loro identità. La religione può pertanto essere usata come
metafora per indicare piuttosto le pratiche e i momenti significativi
dell’essere fan, sebbene la dimensione sociale del fenomeno renda le
fandom più simili ad associazioni, partiti, club e altre organizzazioni
comunitarie. I fan attingono alla religiosità, più che alla religione, per
esprimere emozioni e raccontare situazioni che necessiterebbero di una (per
ora) inadeguata grammatica affettiva. Si pensi, ad esempio, al momento
della “conversione”, descritto spesso attraverso un linguaggio legato al
mondo delle dipendenze, accompagnato magari da risate o utilizzato
avvalendosi di virgolette, a riprova della consapevolezza di quanto esso sia
esagerato ma indispensabile per rappresentare agli altri l’attaccamento a
quel prodotto. Le esperienze di “conversione”, di nascita di quei sentimenti
di vicinanza con i significati e i valori di un prodotto, hanno infatti luogo in
momenti sentiti come intimi, densi di emozioni, tra cui spicca la gratitudine,
che è alla base della volontà di cercare nuove occasioni di arricchimento in
10 M. Hills, Fan Cultures, op. cit., X-XI, pp. 128, 132.