7
introdUzione Partendo dalla considerazione che nei contesti contemporanei il comportamento di
consumo assume una valenza identitaria, verrà preso in considerazione una aspetto
specifico del Made in Italy, quello relativo alla sua narrazione.
Il mercato a cui mi riferisco è quello del Brasile. La scelta oltre a essere motivata
da un mio bagaglio di conoscenze e esperienze in questo Paese e anche data dalla sua
appartenenza al BRICS e infine, ultimo, ma non meno importante, perché è il paese estero
con la più vasta comunità italiana al mondo.
L’approccio a questo lavoro è di tipo multidisciplinare, e poiché , come il titolo esplicita,
l’oggetto di analisi è la narrazione, si rende necessario affrontare questa problematica con
gli strumenti offerti dallo Storytelling Management, disciplina che costituisce il cuore di
questa tesi.
Si inizia con una panoramica dei principali contribuiti italiani sul tema de Made in Italy
per poi proseguire con l’ identificazione delle tipologie di mercati e canali in cui esso si
declina.
Dopo una doverosa ma breve panoramica introduttiva sull’economia del Brasile, di cui
si renderà necessario evidenziare la rigidità del sistema di tassazione; la più importante
barriera al nostro export, si procederà con la lettura dei pubblici.
La lettura dei pubblici è stata eseguita scegliendo alcune opere che ho ritenuto essere
rappresentative dei valori e grandi temi che caratterizzano ancora oggi questo Paese, e il
formato in cui viene svolta è quello del saggio critico. Per la dissertazione riguardo i criteri
che caratterizzano le singole scelte rimando alle sezioni dedicate. In questa occasione
dovrebbe essere sufficiente dire che la scelta di Masterchef Brasil e The Walking Dead
si deve alla comune caratteristica di “transmedialità”. Entrambi i prodotti veicolano una
narrazione fruibile su più piattaforme: televisione, videogioco, social, application, e
inoltre si rendono portatori di temi di grande attualità. In Brasile riscuotono un grande
successo di pubblico da diversi anni e sono trasmessi correntemente.
Il saggio successivo prende in considerazione un opera letteraria del periodo “modernista”
brasiliano, Macunaíma (1928) di Mario de Andrade assume rilievo per il suo carattere
identitario e per il punto di vista multiculturale, qui, accostata a un film di più recente
produzione, Central do Brasil (1998) di Walter Salles, dove il problema identitario
viene richiamato indirettamente attraverso la storia del viaggio iniziatico di Josuè e la
professoressa Dora: risulterà un problema ancora aperto.
La presenza italiana nella tesi viene introdotta raccontando il successo di pubblico ottenuto
con la telenovela Terra Nostra trasmessa da Globo, diverrà occasione per evidenziare il
ruolo divulgativo e promozionale delle telenovelas e anche per compiere un excursus
storico sull’immigrazione italiana in Brasile.
8
L’analisi dei contenuti e quindi dei pubblici si conclude con la presa in esame di alcuni
cicli della letteratura di Cordel, un tipo di produzione che affonda le sue origini con
la scoperta dei caratteri mobili e successivamente esportata in America Latina con gli
spagnoli e i portoghesi: nel nordest del Brasile è ancora praticata e raccoglie il patrimonio
culturale e sedimentale di anni.
Terminata la fase di analisi, ne seguirà una di confronto, volto a individuare temi ricorrenti
che verranno contestualizzati nell’universo disciplinare dello Storytelling, determinando
così le core-stories. Esse diverranno da ora in poi essenziali perché saranno le bisettrici
lungo cui costruire le narrazioni che di volta in volta declinerò nei settori di eccellenza.
Ne verranno ipotizzate quattro: ciascuna per ogni “A” del Made in Italy. Nel caso del
settore agroalimentare si costruirà un esempio di “contronarrazione” per contrastare
l’egemonia di un noto vino cileno, a seguire, declinerò alcuni aspetti legati al recente
interesse turistico brasiliano verso l’Italia, sfruttando le core-stories relative al settore
dell’abbigliamento. Si parlerà poi di arredamento recuperando i temi dell’evasione e i
bisogni di sicurezza, e proverò ad applicare le entrambe le core-tories individuate nello
stesso mercato. La quarta “A”, quella dell’automazione, prenderà in considerazione il
mercato dell’automazione agricola e ci sarà un primo tentativo di adattare le tecniche
dello Storytelling al canale B2B.
Infatti è bene in questa occasione sottolineare, che nel corso di questo lavoro vengono
prese in considerazione imprese di piccole o al massimo medie dimensioni, un pò perché
costituiscono la “spina dorsale” del Made in Italy, ma soprattutto perché sono quelle che
riscontrano maggiori difficoltà nel comunicare all’estero.
Dal piano delle narrazioni si passerà a quello relazionale, che riguarda gli ambienti fisici
ma sempre tenendo pronte per “l’uso” le core-stories individuate in sede di analisi dei
contenuti.
V erranno cosi’ descritte alcune tecniche per allestire spazi espositivi, che chiameremo qui
habitat narrativi, tanto all’interno di eventi fieristici quanto negli spazi retail, vista la loro
preminenza nell’ambiente brasiliano.
Dopo una disamina sulle tecnologie utilizzabili e finalizzate alla realizzazione della story
experience il fuoco si sposterà sulle figure umane necessarie per la realizzazione di questi
processi.
Verrà così introdotta la figura del Digital Export Manager, una mia proposta che vede
nell’unione tra il sempre più ricercato dalle aziende, Export Manager, a altre due figure,
altrettanto ricercate, ma dai contorni ancora poco chiari: Il Content Manager e il Social
Media Manager: vuole essere una possibilità di colmare il vuoto comunicativo e di
mancato supporto all’internazionalizzazione, che si viene a creare tra la Pmi e mercati
esteri.
9
A supporto di questa proposta offro una piccola ricerca eseguita all’interno di portali
destinati alle offerte lavorative, in cui evidenzio la comprovata necessità di queste figure
professionali.
Successivamente proverò a definirne i contorni professionali tenendo sempre presente
l’utilità che una PMI ne potrebbe ricavare.
Verranno illustrati gli strumenti digitali di cui questo professionista potrebbe avvalersi:
per esempio il recupero del valore del sito internet per una piccole impresa, il ruolo del
blog nella gestione dell’info-commerce, l’apertura di un canale YouTube autogestito, l’uso
strategico di Instragram e il presidio dei Forum.
Verranno inoltre prese in considerazione le problematiche derivanti dall’approccio
interculturale e esaminati alcuni aspetti peculiari.
In chiusura verrà stabilito un parallelismo tra questa figura di congiunzione tra impresa
e cliente estero in analogia con il modello del “Ponte Narrativo” proposto da Andrea
Fontana, un modello che verrà applicato in più di una occasione nel corso di questa
dissertazione. In questo capitolo finale, assume un valore metaforico, proposto nel ruolo
del Digital Export Manager come mediatore tra la storia dell’impresa che rappresenta e il
pubblico. Verranno esposti alcuni esempi di archetipi imprenditoriali noti.
1. la comUnicazione del Made in italy Il Made in Italy nel linguaggio convenzionale economico e degli scambi è un indicatore
di provenienza che garantisce, in un prodotto, la sua progettazione, fabbricazione e
confezionamento all’interno dei confini nazionali dello Stato italiano.
Il termine ha origine negli anni 80’ e nasce dall’esigenza di alcuni commercianti italiani
di contrastare il fenomeno di contraffazione dei lori prodotti.
Questa espressione è stata accolta favorevolmente dal pubblico internazionale al punto,
oggi, di risultare un marchio di popolarità mondiale.
Con l’inarrestabile avanzamento del fenomeno della globalizzazione si è acceso un
dibattito, in Italia, volto a definire cosa dovrebbe rappresentare e quali categorie di
produzione meritino di essere rappresentate da questo marchio.
Per alcuni intellettuali, come Alberto Peretti, l’autentico Made in Italy andrebbe ricercato
nel lavoro italiano il Genius Faber. “Il modo di lavorare, racconta una maniera particolare
di usare la mente, il cuore, le mani. Riflette un estetica del vivere. Parla di un certo
atteggiamento verso gli ambienti naturali e sociali “
1
.
Questa visione umanistica del processo produttivo trova ulteriore fondamento nelle
1 Fonte: Genius Faber, vedi sitografia.
10
parole di uno dei più stimati economisti italiani, Giacomo Becattini che intuiva “ una
scienza economica che punta sulla fiducia, sui beni relazionali, sulla felicità non è la
trovata effimera di qualche economista scontento, ma è piuttosto un ritorno al modo
italiano, mediterraneo diciamo, di concepire la scienza economica come un mezzo per
l’incivilimento delle nazioni”
2
. L’attuale suddivisione dei distretti industriali italiani, circa
200, è parte della sua eredità.
Questo dibattito ha finito per inasprirsi, con la crisi conseguente al 2008, e la ricerca
verso nuovi sbocchi di mercato: in molti imprenditori, puntando sul vantaggio
competitivo dato dal marchio, vi hanno intravisto una possibile via di salvezza. Le realtà
sono presenti ma sono frammentarie, inoltre manca un supporto adeguato da parte del
sistema paese necessario per l’internazionalizzazione delle imprese minori: l’Italia si
scopre in ritardo. Inoltre inizia a manifestarsi un preoccupante fenomeno: nuovi soggetti
economici stranieri consapevoli del vantaggio competitivo di alcune produzioni nazionali
si fanno avanti sfruttando le situazioni di debolezza per sviluppare acquisizioni societarie.
A pesare ulteriormente, in molti casi, anche il vuoto generazionale, che spesso si verifica,
nel passaggio di comando alla testa di importanti gruppi. Gian Luca Gregori avverte che
il patrimonio collettivo che è stato ereditato è un “marchio a costo zero”, si tratta di una
“rendita di posizione e come tale non può essere sostenuta per il lungo periodo senza un
intervento attivo”
3
.
Nel suo libro sostiene la tesi secondo cui senza una strategia comune per la difesa del
marchio si corre il rischio di venire sopraffatti da capitali economici stranieri. Inoltre
punta il dito contro le nuove generazioni, dividendo tra eredi “virtuosi” e altri “dissipatori”,
ovvero, tra quelli che contribuiscono a creare valore e coloro che se ne appropriano,
causandone la dispersione.
Marco Bettiol, ricercatore dell’Università di Padova, nel suo “Raccontare il Made in
Italy”
4
riconosce delle lacune nella comunicazione del brand all’estero e offre alcuni
spunti di riflessione su cosa sia effettivamente il lavoro italiano, sulle trasformazioni che
esso ha subito e prova a individuare delle possibili soluzioni per colmare questa lacuna
comunicativa. E individua la necessità di umanizzare, come altri in passato hanno
già intuito, il processo che sta dietro al prodotto, attraverso il racconto delle pratiche e
dell’esperienza e del valore aggiunto che in esso comporta.
L’errore che spesso viene commesso dalle imprese è quello di dare per scontato che il
consumatore conosca il contesto culturale che è alla base del prodotto.
2 G.Becattini, Il calabrone Italia, Il Mulino, 2007, pp 280
3 G.Gregori, Made in Italy, Il Mulino, 2016, pp 200.
4 M.Bettiol, Raccontare il Made in Italy, Marsilio, 2015, pp112
11
Un problema che si amplifica ulteriormente quando le distanze geografiche aumentano,
come nel caso del Brasile.
Per raccontare adeguatamente le qualità del Made in Italy occorre una comunicazione
dotata di un approccio maggiormente umanistico: che tenga conto della valorizzazione
del processo produttivo, le eventuali possibilità di personalizzazione, le sempre più
importanti qualità estetiche, e infine, l’universo culturale in in cui è stato concepito
tenendo conto del contesto d’uso.
È fondamentale controllare questa narrazione del lavoro manuale prima che siano altri a
farlo, i francesi per esempio, se in un primo tempo mantenevano l’aspetto manifatturiero
nascosto, ora, che hanno intuito le sue potenzialità ed hanno ricollocato la tematica del
lavoro manuale al centro della loro narrazione, rischiano di oscurare la moltitudine di
realtà italiane.
Il settore lusso francese è stato in grado di appropriarsi dei valori che normalmente
vengono associati al prodotto italiano.
Un altro esempio riportato dal libro di Marco Bettiol, è dato da Giovanni Bonotto con
la sua “ Fabbrica lenta”
5
. Bonotto sostiene che quando gli artigiani lavorano circondati
da opere d’arte, subiscono una sorta di “impollinazione”, e, a loro volta, divengono
responsabili dell’altrui impollinazione, ovvero l’ispirazione resa possibile dall’ambiente
artistico. La “fabbrica lenta” è un eccellente esempio di connubio tra manifattura e
cultura, da qui l’idea espressa dal concetto di “manifattura culturale”
6
.
Per parlare di manifattura culturale occorre tenere presenti quattro fattori: artigianalità,
design, personalizzazione e autenticità.
Un’ altra fonte da cui attingere è la narrazione dell’artigiano proposta da Richard Sennet,
sociologo americano, il quale ridefinisce la figura nel libro “L’uomo artigiano”
7
, in cui
rimette al centro la cultura del fare subordinata all’imprescindibile presupposto della
capacità di riflessione. Egli, infatti, sostiene, che solo accettando il confronto con la
materia è possibile capire i limiti della materia stessa e le possibilità di intervento da parte
dell’uomo su di essa.
È grazie a questa rivisitazione delle conoscenza pratica che oggi è possibile arrivare
alla ridefinizione di alcuni mestieri, molti dei quali oggi, sono oggetto di una rilevante
trasformazione storica: è così gli operativi, in molti casi, diventano tecnici, una
trasformazione che porta a una aggiunta di valore, oppure, nell’esempio della moda, il
modellista, la figura tecnica di collegamento tra stilista e prodotto.
5 Da sito, vedi sitografia.
6 M.Bettiol, Raccontare il Made in Italy, Marsilio, 2015, pp112
7 R.Sennett, L ’uomo artigiano, Feltrinelli, 2008, pp 311
12
1.1 “Il lavoro che cambia” e i nuovi paradigmi della trasformazione
In passato il modello fordistico ha permesso, rinunciando alla personalizzazione, l’accesso
a categorie di beni che altrimenti sarebbero stati appannaggio di una categoria ristretta
della popolazione: l’industria dell’automobile ha dato il via a questo processo e l’odierna
diffusione degli outlet dell’ “alta moda” ne costituisce forse l’apice. Questo processo
è il risultato di un patto implicito tra consumatore e produttore, da un lato come detto
in precedenza, il consumatore rinuncia alla personalizzazione, dall’altro il produttore
accetta il rischio di investire su infrastrutture produttive limitando il rischio economico
connesso all’investimento.
Un patto implicito che però rischia di venire compromesso in presenza di saturazione
dei mercati, l’invasione massiva di prodotti standardizzati ha causato nei consumatori
un crescente bisogno di differenziarsi, il consumatore dimostra una maggiore attenzione
rispetto ai prodotti e più in generale la sfera simbolica che contraddistingue il bene
desiderato assume un peso sempre maggiore rispetto alle sue caratteristiche funzionali.
Gian Paolo Fabris: “ I prodotti si trasformano in segni, simboli, in comunicazione”
8
. Il
consumo diventa sempre più identitario e quindi la storia personale di ogni consumatore
può essere vista come autobiografismo di consumo, che è sempre individuale e collettivo,
perché i beni hanno la caratteristica della serialità: attraverso di essi ci si conosce e ci si
riconosce negli altri.
Ecco che il consumo non è più una mera azione passiva ma un processo creativo attraverso
il quale il consumatore compone se stesso in base alla proiezione mentale che ha di se e
che intende offrire agli altri.
Un esempio evidente di come la creatività del consumatore sia oggi una risorsa strategica
per l’impresa viene fornita in maniera evidente dal mondo degli sport emergenti: biking,
snowboarding, skateboarding, sono alcuni esempi. Pratiche e utilizzi sempre nuovi
delle attrezzature, prototipi di attrezzature, vengono quotidianamente sperimentati
dalle comunità di riferimento e forniscono continui spunti offerti alle case produttrici:
presidiare le comunità virtuali e i canali ad essi dedicati è prerequisito imprescindibile
per poter operare in questi business. A sostegno di quanto detto vale la pena osservare
come la stessa Apple si è accorta di questa componente “attiva” del consumatore, già
da qualche tempo, per esempio, invitando attraverso il proprio sito il consumatore a
raccontare l’utilizzo che fa dei suoi iPad . La francese Parrot, pioniera nella produzione
di droni semi-professionali, è arrivata a proporre in prova, prima ancora della messa
in commercio, il suo BeBop Drone a coloro che ne motivassero la necessità per usi
specifici. Lo scopo è quello di raccogliere dagli utenti attraverso la loro esperienza d’uso
8 G.Fabris, La società post-crescita, Egea, 2010