I
Introduzione
Se oggi scorriamo un repertorio annuale di giurisprudenza
1
, vediamo
che il tema delle servitù prediali è uno di quelli in cui si discute spesso e
volentieri circa l’attribuzione o la definizione della striscia di terreno; e si
tratta anche uno di quegli istituti per cui si può dire che non sono rari gli
articoli del nostro Codice Civile
2
che non dicano qualcosa che si trovi nelle
fonti romane, come ad esempio i Digesta, e del resto i più cospicui trattati
di diritto civile sulle servitù, sono stati scritti dai grandi romanisti
3
come S.
Perozzi, B. Biondi, G. Grosso.
I Romani non ci hanno dato però una figura giuridica unitaria della
servitù, creata e modellata unitariamente in astratto col ponderare le ragioni
per cui questo diritto a contenuto speciale viene riconosciuto solo sui fondi
e soltanto a favore di altri fondi, in modo da superare contingenti bisogni
personali.
Le servitù nascono anzi dal concreto, col configurarsi di tante figure
distinte, di tanti tipi, prima in numero limitato nelle quattro figure primitive,
tre del passaggio e una dell’acquedotto che rispondono ad esigenze
elementari dei fondi, poi attraverso la spinta dell’edilizia cittadina, e quindi
grazie al commercio e agli affari, determinano lo sviluppo della grande
Roma, e quindi il moltiplicarsi delle figure.
Si affermano, così, gli iura praediorum urbanorum (le servitù
urbane), individuate come iura sul fondo altrui, attraverso la
determinazione delle reciproche posizioni degli edifici, riconosciute
1
Corte d'Appello di Brescia, sentenza 1 aprile 2009; Corte di Cassazione sez. II sentenza 10 marzo
2011 n°5733; Corte di Cassazione sez. II sentenza 13 settembre 2012 n°15334; Corte di
Cassazione sez. II sentenza 16 ottobre 2012 n°17680; Corte di Cassazione sez. II Sentenza 17
marzo 2014 n° 6180.
2
Art. 1027 c.c.
3
Sul punto: S. Perozzi, Sulla struttura delle servitù prediali in diritto romano (Torino 1888); B.
Biondi, Le servitù prediali nel diritto romano
2
(Milano 1954); G. Grosso, Le servitù prediali nel
diritto romano (Torino 1969).
II
specificamente e singolarmente dai giuristi, che tendono alla formazione di
uno schema generale.
Per le quattro figure più antiche (cioè iter, actus, via e aquaeductus)
si ha un concetto di diritto immediato e primitivo, per cui la striscia per il
passaggio, o il rivus per l’acquedotto, appartiene al proprietario del fondo a
cui serve, oltreché al proprietario del fondo attraversato.
Questa concezione, immediata e primitiva, si innesta nella
concezione potestativa dell’antica società agricola patriarcale, nella quale il
generico meum esse esprime un potere unitario del paterfamilias sulle
persone soggette e sul suolo (e cosi su quelle propaggini dei fondi, che sono
sentieri e le vie per il passaggio o il rivus per l’acquedotto), potere che ci
riporta al nome del mancipium, e che è qualificato da un carattere di
sovranità; e la contemporanea appartenenza di quella striscia di terreno per
il passaggio o l’acquedotto ai titolari dei due fondi, si inquadra in un’antica
concezione di una contitolarità come concorso solidale, parallela alla
configurazione della collegialità nella potestà della civitas.
Il concetto di ius sul fondo, ossia la situazione di subordinazione in
cui viene a trovarsi un praedium (fondo servente) rispetto ad un immobile
vicino (cd. fondo dominante), si pone direttamente o come affermazione del
diritto di fare alcunché sul fondo vicino, o anche soltanto come negazione
che si possa fare qualcosa sul fondo vicino, contro la volontà del titolare.
Ma la visuale processuale del ius mihi esse, o del ius tibi non esse,
non basta a definire la servitù come diritto distinto; essa serve anche al
proprietario per negare ad altri una servitù negativa o per escludere una
ingerenza positiva altrui sul suo fondo.
Occorre la individuazione sostanziale del ius, della servitus, che
viene considerata non come espansione della proprietà, ma come diritto
individuato a contenuto speciale, nel senso che il dominus del fondo
dominante ha diritto erga omnes che il fondo servente, in mancanza di
III
opposizione da parte del suo dominus, subisce una determinata limitazione
per il vantaggio del fondo dominante.
A partire dal diritto classico si afferma la tutela interdittale
4
delle
servitù, ben distinta da quella della possessio intesa come esercizio di fatto
di un diritto, come dimostra il fatto che vengono introdotti tutta una serie di
speciali interdetti a tutela della proprietà, mentre i comuni interdetti
possessori sono esperibili solo come tutela del possesso del fondo.
Ciascun interdetto prevede singole e determinate situazioni ed ha un
proprio regime e propri requisiti.
La legge intende proteggere la situazione attuale contro qualsiasi
arbitraria turbativa, ed a base della tutela stanno le medesime ragioni che
stanno a fondamento della tutela possessoria, cioè che l’attuale stato di fatto
merita di essere tutelato finché non si dimostri contrario al diritto; soltanto
per l’interdictum de itinere actuque reficendo si richiede per quanto
attenuata, la prova del diritto. Anche la formulazione dei singoli interdetti,
con la clausola stereotipata che consente l’esercizio di fatto nec vi nec clam
nec precario, è ricalcata sugli interdetti possessori.
Nel diritto giustinianeo viene completato lo sviluppo della dottrina
che si è delineata nell’epoca classica. Gli interdetti sono inquadrati nella
tutela possessoria e l’esercizio di fatto della servitù viene qualificato come
possessio o quasi possessio, per distinguerlo da quello sulle cose corporali.
Superata ogni incertezza e sfumatura di concetti, viene generalizzata la
tutela possessoria.
La quasi possessio, gli interdicta veluti possessoria e soprattutto la
sostanziale analogia tra la tutela interdittale e la tutela possessoria
forniscono ai Compilatori la base sufficiente per inquadrare gli interdetti
nella dottrina della tutela possessoria e per qualificare apertamente come
possessio quell’usus iuris, di cui parlano i giuristi in tema di servitù.
4
Sul punto: S. Solazzi, La tutela interdittale e il possesso delle servitù (Napoli 1949).
1
CAPITOLO PRIMO
LE SERVITU’ PREDIALI NEL DIRITTO ROMANO
Sommario: 1. Fattispecie. - 2. I tipi di iura praediorum. - 3. Il regime dei
iura praediorum. - 4. L’ususfructus. - 5. Rapporti affini all’ususfructus.-
6. La superficies. - 7. L’emphiteusis. - 8. Tutela interdittale e forme di
protezione. - 9. La possessio ad interdicta.
1. Fattispecie.
Accanto alla Proprietà, che costituisce il diritto reale per eccellenza,
il nostro Ordinamento conosce altre forme tradizionali di diritti reali cd. li-
mitati, come l’istituto delle servitù prediali, che consiste ‘nel peso imposto
sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprie-
tario’
1
, a differenza del diritto di Proprietà, che ai sensi dell’art. 832 del Co-
dice Civile attribuisce al proprietario ‘il diritto di godere e disporre delle
cose in modo pieno ed esclusivo’.
Le servitù
2
affondano le radici nel Diritto Romano e rilevano come
potere attribuito all’uomo nei confronti dei praedia (fondi). I Romani, però,
non ci hanno dato una figura giuridica unitaria; esse nascono come diritto a
contenuto speciale, individuato in facoltà di utilizzazione di un fondo a fa-
vore di un altro fondo; si tratta di un’elementarità di contenuto, che può
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Art. 1027 c.c.
2
Sul punto: S. Perozzi, I modi pretorii di acquisto delle servitù, in RISG. 23 (1897) [ora in Scritti
giuridici II. Servitù e obbligazioni, a cura di U. Brasiello (Milano 1948)]; V. Arangio-Ruiz, Istitu-
zioni di diritto romano
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(Napoli 1934); S. Solazzi, Requisiti e modi di costituzione delle servitù
prediali (Napoli 1947) e La tutela e il possesso delle servitù prediali (Napoli 1949); L. Capogrossi
Colognesi, La struttura della proprietà e la formazione dei iura praediorum nell’età repubblicana
II (Milano 1976); M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano (Milano 1990); G. Franciosi, Corso
istituzionale di diritto romano
3
(Torino 2000); A. Guarino, Diritto Privato Romano
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(Napoli
2001); V. Mannino, La tolleranza dell’usus servitutis nell’esperienza giuridica romana (Torino
2006).
2
esplicarsi sia nel potere di fare alcunché in rapporto al fondo servente, sia
nell’escludere che si faccia uno specifico alcunché in rapporto a quel fondo.
Esse nascono da situazioni concrete, col configurarsi di tante figure
distinte, di tanti tipi, prima in numero limitato alle quattro figure primitive,
tre del passaggio e una dell’acquedotto, che rispondono ad esigenze ele-
mentari dei fondi, poi attraverso la spinta dell’edilizia cittadina della grande
Roma, si moltiplicano notevolmente, dando vita ai iura praediorum urba-
norum.
Il termine di servitus praedii (servitù prediali) indica la situazione di
subordinazione in cui viene a trovarsi un praedium (fondo servente), rispet-
to ad un immobile vicino
3
(cd. fondo dominante), cui è destinato ad assicu-
rare un certo vantaggio oggettivo (un utilitas) a quest’altro fondo: per
esempio la possibilità del proprietario del fondo dominante di passare attra-
verso il fondo servente.
Il rapporto giuridico di servitus non corre tra i fondi, bensì tra le per-
sone dei loro proprietari: nel senso che il dominus del fondo dominante ha
diritto erga omnes che il fondo servente, in mancanza di opposizione da
parte del suo dominus, subisca una determinata limitazione per il vantaggio
del fondo dominante, trattandosi di una qualitas fundi.
Data la inerenza del rapporto all’utilitas obiettiva del fondo domi-
nante, esso non si estingue con il mutamento dei soggetti, cioè dei proprie-
tari dei due fondi posti da loro in correlazione di servitus, ma continua a
sussistere fino a quando permane la situazione di utilitas: quindi permane
anche se uno o ambedue i proprietari cambiano.
A partire dal periodo postclassico e dal diritto giustinianeo la termi-
nologia di servitus e lo schema sistematico delle servitutes vengono appli-
3
A. Guarino, Diritto Privato Romano
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cit. 700 ss.
3
cati anche ad altri rapporti assoluti di godimento in particolare
all’ususfructus
4
e ai rapporti giuridici affini ad esso.
La categoria generale delle servitutes viene distinta in due sottocate-
gorie:
• servitutes praediorum o rerum, vale a dire delle servitù prediali in
senso proprio (gravanti cioè su un fondo vicino);
• quella delle cd. servitus personarum (servitù personali), cosi dette
perché gravanti su una cosa mobile anche a favore di persona non
proprietaria della stessa: categoria in cui rientrano per l’appunto
l’usufrutto e i diritti affini.
La configurazione come rapporti assoluti dei iura praediorum, anzi-
ché come rapporti relativi (intercorrenti cioè solo tra i due proprietari dei
fondi interessati), trova la sua spiegazione più plausibile nella storia
dell’istituto
5
.
Taluni iura praediorum (cioè iter, actus, via, e aquaeductus) sono
sorti in epoca risalente tra la fine del secolo VI e gli inizi del secolo V a.C.,
come manifestazione complementare del mancipium immobiliare nel suo
aspetto più evoluto: di un mancipium che, avendo superato gli stretti confini
dell’orticello familiare (heredium), si esplicano sul fondo sito in territorio
cittadino (fundus in agro Romano) ai fini di sfruttamento economico dello
stesso.
4
L’ususfructus (usufrutto)
era un rapporto assoluto reale in senso improprio avente ad oggetto una
res fruttifera (mobile o immobile) e, nel contempo, inconsumabile. In forza di esso l’usufruttuario
aveva erga omnes il diritto (temporaneo o vitalizio) di usare la cosa (inconsumabile, ma fruttifera)
di un altro soggetto e di percepirne i frutti, purché non ne mutasse la destinazione economica.
5
Sul carattere alogico dei rapporti assoluti impropri, e sulla necessità di trovare per ciascuno di
essi una motivazione concreta, quindi essenzialmente storica, dell’astensione dal configurarli come
rapporti relativi, ai quali l’ordinamento giuridico conferisce il trattamento proprio dei rapporti
assoluti. E quindi principalmente la tutela del soggetto attivo non solo nei confronti del soggetto
passivo, ma erga omnes. In particolare sulla storia dei iura praediorum: G. Grosso, Le servitù
prediali cit. 11 ss.
4
A differenza di tutte le altre, le quattro antichissime servitù sopra in-
dicate sono qualificate in età storica servitutes mancipi e vengono costituite
non solo mediante in iure cessio, ma anche mediante mancipatio
6
.
Si può ritenere che la loro formazione sia avvenuta in seno e ad ope-
ra dello ius Quiritium, in cui la sfera dell’ordinamento era tuttora limitata al
mancipium e i rapporti relativi (come le obligationes) ancora non avevano
conseguito quella rilevanza giuridica che fu loro riconosciute soltanto dal
ius legitimum vetus e in particolare dalle XII tavole (451 - 450 a.C.).
Il mancipium del titolare del fondo dominante sulla zona di fondo
servente necessaria al passaggio o all’acquedotto non ha mai avuto carattere
esclusivo: sarebbe stato irragionevole escludere radicalmente dal godimento
di quella zona il titolare del fondo servente e antieconomico spezzettare
quest’ultimo.
E’ presumibile che il problema del concorso dei due titolari sulla
stessa zona di fondo servente sia stato risolto ricorrendo al consortium ercto
non cito, cioè alla comunione solidaristica in una sua applicazione specifi-
ca.
Man mano che si affermò il dominium ex iure Quiritium, la soluzio-
ne del consortium venne accantonata in omaggio al principio che non vi
possono essere due o più diritti di proprietà sulla stessa cosa: giocoforza il
dominium del titolare del fondo dominante si affievolì e si trasfigurò pro-
gressivamente sino al punto da essere concepito come un semplice ius in re
aliena, che limitava sì, ma non contrastava o escludeva il dominium, for-
malmente unico e solo, del titolare del fondo servente.
Caratteristica dei iura praediorum, almeno fino all’età classica, fu la
cd. tipicità delle esplicazioni
7
. I soggetti giuridici non avevano a loro dispo-
6
La mancipatio serviva a far acquistare ad un soggetto diritti erga omnes sui sottoposti liberi, sulla
res mancipi, sul patrimonium, eventualmente sulla stessa persona di un altro soggetto giuridico
consenziente. Per quanto riguarda la in iure cessio, si tratta di un negozio inteso all’acquisto di
diritti assoluti da parte di un soggetto, il quale pronunciava a questo fine una vindicatio davanti al
magistrato, in un finto processo ed otteneva l’addictio della res a seguito del ritirarsi della
controparte, cioè dell’alienante.
5
sizione la possibilità di porre in essere tutte le figure di servitù: essi avevano
la scelta tra vari tipi. Ciò non impediva la formazione di nuovi tipi di iura
praediorum, ma la rendeva praticamente assai lenta e laboriosa, condizio-
nandola al riconoscimento da parte della comunità della effettiva e rilevante
utilitas
8
economica di ogni nuovo tipo di rapporto.
Per individuare meglio il tipo di ius praedii
9
prescelto, le parti ave-
vano la possibilità di inserire nell’atto costitutivo o di aggiungere ad esso
con separato negozio il cd. modus (da non confondere con le clausole mo-
dali in senso tecnico): un insieme di modalità, di precisazioni, orari da os-
servare, percorsi da seguire, quantità da non superare e via dicendo. Più
precisamente, il modus costituisce l’elemento volontario e variabile, stabili-
to dalla volontà delle parti.
Se ed in quanto il modus servitutis (o di qualunque altro ius in re
aliena) non alterasse il tipo di rapporto prescelto (ius itineris piuttosto ius
viae) esso era ritenuto valido.
E’ evidente che l’affermazione di nuovi tipi di servitutes praediorum
o di altri iura in re aliena derivò proprio dal riconoscimento di modalità di
esercizio cautamente innovative affermatisi lentamente dalla prassi.
7
La cd. tipicità delle servitus praediorum viene riconosciuta dalla dottrina dominante come una
sorta di canone del diritto romano classico, superato dal diritto postclassico mediante il
riconoscimento della categoria generale delle servitus praediorum; radicale in proposito la
dimostrazione di S. Perozzi, Sulla struttura delle servitù prediali in diritto romano (Torino 1888)
175 ss.; la tesi è stata contrastata da V. Arangio-Ruiz, La cosiddetta tipicità delle servitù e i poteri
della giurisprudenza romana, in Foro italiano LIX (1934) 485 ss.
8
Secondo A. Guarino, posto che alla radice non solo di qualunque servitù prediale, ma di
qualunque ius in re aliena doveva esservi un’utilitas oggettiva da soddisfare, cioè una precisa
funzione economica da assolvere compatibilmente con le possibilità offerte dalla res, è chiaro che
il novero dei iura praediorum, o più in generale dei iura in re aliena, non poteva essere né
arbitrario, né illimitato. Nulla di strano, dunque, che i iura praediorum siano stati visti, sia in età
classica sia in età postclassica, ciascuno per se stesso, ciascuno in rapporto alla tipica utilitas da
soddisfare. Nulla di strano, inoltre, che, data l’alta antichità dell’istituto, il catalogo dei vari tipi di
servitutes si sia praticamente completato, attraverso la individuazione di tutte le possibili utilitates,
agli albori del periodo classico e che la giurisprudenza romana, per aver esercitato il controllo
delle varie utilitates e per aver conseguentemente proceduto al rilievo dei vari tipi di iura
praediorum, sembri a posteriore quasi la creatrice delle singole esplicazioni.
9
In merito: G. Grosso, Servitù prediali cit. 159 ss.; F.Cursi, Modus servitutis. Il ruolo
dell’autonomia privata nella costruzione del sistema tipico delle servitù prediali (Napoli 1999).