Intedicta in materia di servitù
I Romani non ci hanno dato una figura giuridica unitaria della servitù, creata e modellata unitariamente in astratto col ponderare le ragioni per cui questo diritto a contenuto speciale viene riconosciuto solo sui fondi e soltanto a favore di altri fondi, in modo da superare contingenti bisogni personali.
Le servitù nascono anzi dal concreto, col configurarsi di tante figure distinte, di tanti tipi, prima in numero limitato nelle quattro figure primitive, tre del passaggio e una dell’acquedotto che rispondono ad esigenze elementari dei fondi, poi attraverso la spinta dell’edilizia cittadina, e quindi grazie al commercio e agli affari, determinano lo sviluppo della grande Roma, e quindi il moltiplicarsi delle figure.
Si affermano, così, gli iura praediorum urbanorum (le servitù urbane), individuate come iura sul fondo altrui, attraverso la determinazione delle reciproche posizioni degli edifici, riconosciute specificamente e singolarmente dai giuristi, che tendono alla formazione di uno schema generale.
Per le quattro figure più antiche (cioè iter, actus, via e aquaeductus) si ha un concetto di diritto immediato e primitivo, per cui la striscia per il passaggio, o il rivus per l’acquedotto, appartiene al proprietario del fondo a cui serve, oltreché al proprietario del fondo attraversato.
Questa concezione, immediata e primitiva, si innesta nella concezione potestativa dell’antica società agricola patriarcale, nella quale il generico meum esse esprime un potere unitario del paterfamilias sulle persone soggette e sul suolo (e cosi su quelle propaggini dei fondi, che sono sentieri e le vie per il passaggio o il rivus per l’acquedotto), potere che ci riporta al nome del mancipium, e che è qualificato da un carattere di sovranità; e la contemporanea appartenenza di quella striscia di terreno per il passaggio o l’acquedotto ai titolari dei due fondi, si inquadra in un’antica concezione di una contitolarità come concorso solidale, parallela alla configurazione della collegialità nella potestà della civitas.
Il concetto di ius sul fondo, ossia la situazione di subordinazione in cui viene a trovarsi un praedium (fondo servente) rispetto ad un immobile vicino (cd. fondo dominante), si pone direttamente o come affermazione del diritto di fare alcunché sul fondo vicino, o anche soltanto come negazione che si possa fare qualcosa sul fondo vicino, contro la volontà del titolare.
Ma la visuale processuale del ius mihi esse, o del ius tibi non esse, non basta a definire la servitù come diritto distinto; essa serve anche al proprietario per negare ad altri una servitù negativa o per escludere una ingerenza positiva altrui sul suo fondo.
Occorre la individuazione sostanziale del ius, della servitus, che viene considerata non come espansione della proprietà, ma come diritto individuato a contenuto speciale, nel senso che il dominus del fondo dominante ha diritto erga omnes che il fondo servente, in mancanza di opposizione da parte del suo dominus, subisce una determinata limitazione per il vantaggio del fondo dominante.
A partire dal diritto classico si afferma la tutela interdittale delle servitù, ben distinta da quella della possessio intesa come esercizio di fatto di un diritto, come dimostra il fatto che vengono introdotti tutta una serie di speciali interdetti a tutela della proprietà, mentre i comuni interdetti possessori sono esperibili solo come tutela del possesso del fondo.
Ciascun interdetto prevede singole e determinate situazioni ed ha un proprio regime e propri requisiti.
La legge intende proteggere la situazione attuale contro qualsiasi arbitraria turbativa, ed a base della tutela stanno le medesime ragioni che stanno a fondamento della tutela possessoria, cioè che l’attuale stato di fatto merita di essere tutelato finché non si dimostri contrario al diritto; soltanto per l’interdictum de itinere actuque reficendo si richiede per quanto attenuata, la prova del diritto. Anche la formulazione dei singoli interdetti, con la clausola stereotipata che consente l’esercizio di fatto nec vi nec clam nec precario, è ricalcata sugli interdetti possessori.
Nel diritto giustinianeo viene completato lo sviluppo della dottrina che si è delineata nell’epoca classica. Gli interdetti sono inquadrati nella tutela possessoria e l’esercizio di fatto della servitù viene qualificato come possessio o quasi possessio, per distinguerlo da quello sulle cose corporali. Superata ogni incertezza e sfumatura di concetti, viene generalizzata la tutela possessoria.
La quasi possessio, gli interdicta veluti possessoria e soprattutto la sostanziale analogia tra la tutela interdittale e la tutela possessoria forniscono ai Compilatori la base sufficiente per inquadrare gli interdetti nella dottrina della tutela possessoria e per qualificare apertamente come possessio quell’usus iuris, di cui parlano i giuristi in tema di servitù.
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Informazioni tesi
Autore: | Carmela Pennacchio |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Francesca Reduzzi Merola |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 156 |
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