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INTRODUZIONE
Può accadere, ed è accaduto, di sostituire al diritto di morire il dovere di vivere, e che
quest’ultimo s’imponga sul precedente senza possibilità di appello. Questo potrebbe
accadere, ed è accaduto, perchØ in questo Paese ciò che dovrebbe chiarire e disciplinare,
non è chiaro. Sembra che il diritto alla vita sia divenuto un dovere.
La tragica vicenda di Eluana Englaro ha suscitato in me la necessità di capire fin dove
la vita è possesso e fin dove la vita è tale. Sono domande che forse oltrepassano la
disciplina filosofica, e non solo, ma è con questo ausilio che intendo cercarne una risposta.
La saggezza popolare della mia gente, abituata al sacrificio e all’imprevedibilità del
futuro, poneva l’unica certezza di questa vita nella morte. Ora sembra non essere piø così.
Una medicina che rischia di essere impersonale e onnipotente, non essendo riuscita a
sconfiggere definitivamente la morte, sembra prendersi gioco di lei, mantenendo in vita
individui ormai privi di qualsiasi contatto con il mondo. Il poeta G. Ungaretti, che della
vita umana aveva visto l’aspetto piø distorto e crudele, disse che “la morte si sconta
vivendo” (Sono una creatura, in L’allegria). Da piø parti si sono sollevate voci pro o
contro la sospensione di nutrizione ed idratazione ad Eluana. Il padre, Beppino, è stato
accusato di assassinio, anche se credo che in quel caso l’omicida fosse lo stato vegetativo,
che aveva portato Eluana in una condizione che giustamente è stata paragonata ad un
“estremo esilio”.
Queste riflessioni mi hanno portato allo studio della bioetica di fine-vita, e alla
produzione del seguente elaborato. Particolare interesse è stato dedicato al filosofo Hans
Jonas, che al diritto di morire ha destinato alcuni paragrafi del suo Tecnina, medicina ed
etica del 1985.
Il mio lavoro è organizzato in questo modo: nel primo capitolo analizzo la specificità
della bioetica quale settore dell’etica e la tendenza principalista, approccio che ritiene
possibile, pur nel pluralismo etico sul piano teorico, di trovare un accordo pratico sulla
tematizzazione di alcuni principi di riferimento. Passo successivo è stato
l’approfondimento del concetto di persona, con riferimento a tre principali approcci: quello
della bioetica standard, quello personalistico e quello funzionalistico. L’ultimo paragrafo
del primo capitolo è dedicato alla riflessione sulla deriva della medicina moderna, troppe
volte disumana e pretestuosa d’onnipotenza. In questo contesto verrà fornito un quadro
sintetico della vicenda di Eluana Englaro.
Nel secondo capitolo analizzo l’ambiguità del concetto di eutanasia da tre prospettive:
quella storica, quella terminologica e quella ideologica. Presento le diverse accezioni del
termine e del concetto, fornendo una sintesi di quelli che sono stati gli sviluppi storici, e
cercando di chiarire su quali presupposti si è originato il divario tra l’eutanasia e il concetto
di sacralità della vita.
Nel terzo capitolo presento il contributo di Hans Jonas al tema dell’eutanasia e del
dirirtto di morire, percorrendo lo sviluppo della sua tesi così com’è presentata nel libro
Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, pubblicato nel 1985.
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CAPITOLO PRIMO
Questioni etiche sui confini della vita
1.1 I quattro paradigmi dell’etica contemporanea: autonomia, beneficenza, rispetto e
giustizia
La bioetica si definisce come «lo studio sistematico della condotta umana nell’ambito
delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta è esaminata alla
luce di valori e principi etici»
1
. Si tratta di una disciplina che studia, in modo rigoroso, il
settore dei comportamenti umani che si riferiscono alla biologia (scienze della vita, umana
e non umana) e alla medicina. Quindi un sapere pratico, indagante la liceità e la illiceità
degli interventi dell’uomo sulla vita, resi possibili dai progressi delle tecniche bio-mediche.
Un particolare approccio ai problemi morali è dato dalla “bioetica dei principi” o
“principalismo”. Si tratta di un tentativo di elaborazione di alcuni principi pratici che
possano fungere da terreno comune in cui possano risolversi le diverse teorie etiche. Lo
scopo di tali principi è quello di elaborare uno schema interpretativo al fine di analizzare
questioni bioetiche emergenti, senza però fornire una giustificazione teorica fondativa. La
bioetica contemporanea si basa, come tutte le discipline propriamente scientifiche, su dei
principi, su dei punti di partenza o dei fondamenti - frutto ed approdo della riflessione etica
generale e genesi dell’etica applicata, definita, quest’ultima, da Antonio Da Re come «un
insieme di principi, di norme, di finalità morali che hanno per oggetto ambiti particolari
dell’esperienza umana»
2
. Ora, alla luce anche di tale definizione, appare legittimo
chiedersi donde provengono i principi attualmente utilizzati all’interno del dibattito
bioetico, se siano realmente in grado di rispondere ai problemi sollevati, su quali
conoscenze e discipline precedenti abbiano fondato le proprie radici. Questo si cercherà di
fare nelle pagine successive, andando ad analizzare i quattro principi della bioetica
contemporanea.
Ma prima ritengo necessario chiarire il passaggio dall’etica generale all’etica applicata. In
che modo si può affrontare un particolare caso concreto riconducendo ad uno o piø criteri
normativi generali le questioni morali sollevate? Premesse a tale problema sono le teorie
etiche e i problemi “quotidiani”, nel nostro caso originati dalle scienze bio-mediche. Si
comprende allora il perchØ dell’etica applicata: essa va a connettere quella che è
l’astrattezza delle teorie etiche generali, compiute in se stesse in quanto termine ad quem
della riflessione, e l’immanenza delle questioni particolari sollevate da discipline diverse
dall’etica, ma, in se stesse, incapaci di rispondere ai dilemmi precedentemente sollevati. Ed
ecco allora l’applicazione dell’etica ai casi concreti; applicazione che va a connettere le
specifiche questioni morali sollevate ed i criteri normativi generali riconducendo le prime
ai secondi. A monte di tale soluzione possiamo ritrovare la convinzione che i giudizi
particolari trovino giustificazione nelle norme, le norme nei principi e i principi nelle teorie
etiche. Molto spesso le difficoltà connesse al giudizio etico sono legate al configgere –
nella situazione particolare – di diversi principi generali. I principi, pur avendo una
vocazione universale, non sono assoluti: ovvero chiedono di venir conciliati con istanze
ugualmente generali. Potremmo quasi dire che sono principi universali, ma non per questo
necessariamente assoluti. Sono principi “prima facie” nel senso che configurano un
obbligo da osservare, purchØ tale obbligo non entri in conflitto con un altro di forza uguale
1
Voce Bioethics in W. Reich (a cura di), Encyclopedia of Bioethics, Mcmillan Free Press, New York [1978
1
]
1995; tr. it. G. Fornero, voce Bioetica, in N. Abbagnano (a cura di), Dizionario di filosofia, UTET, Torino
1998, p. 124.
2
A. Da Re, Filosofia morale, Campus, Bruno Mondadori, Milano 2003, p. 168
9
o maggiore, ad esempio: «uccidere le persone è errato prima facie, ma uccidere per
impedire ulteriori dolori o sofferenze estremi a una persona non è errato in ogni
circostanza. Uccidere può essere l’unico modo per adempiere alcuni obblighi, anche se è
errato prima facie»
3
(si pensi al caso della legittima difesa, in cui uccidere chi tenta di
uccidermi è l’unico modo per sopravvivere). Siamo perciò di fronte a principi pratici la cui
praticità risiede nel fatto di non essere irrevocabili, e quindi sempre interpretabili quanto
alla corretta declinazione in base alla situazione particolare ed applicabili al caso concreto.
Da tale sforzo di applicazione è sorta la cosiddetta “bioetica dei quattro principi”, che
nasce come uno sviluppo del “Rapporto Belmont” (1978), elaborato dalla National
Commission for the Protectyion of Human Subjects of Biomedical an Behavioral Research
(1974-78), in cui erano sviluppati tre principi etici basilari: rispetto, beneficienza, giustizia.
La vera e propria trattazione dei quattro principi quali li conosciamo oggi – ovvero
rispetto, beneficienza giustizia ed autonomia – si deve far risalire all’opera di T. L.
Beauchamp e J. F. Childress, Principi di etica biomedica, di cui la prima edizione è del
1979. In tale opera i principi sono interpretati come terreno di mediazione potenzialmente
universale per raggiungere accordi pragmatici, pur lasciando spazio ad un possibile
dissenso sui fondamenti teorici delle discussioni comuni. Il fondamento dei quattro principi
è rintracciato nella cosiddetta teoria del “senso morale comune”, la quale, a partire da
concezioni morali maggiormente condivise giunge a dei giudizi, base di partenza del
ragionamento morale. Da tali giudizi si deducono le regole e poi i principi: ad esempio, dal
giudizio che il medico non possa fare ai pazienti ciò che questi non desiderano, si desume
la regola che il medico deve rispettarne l’autodeterminazione, da cui è elaborato il
principio di autonomia.
Beauchamp e Childress hanno allegato delle “istruzioni d’uso” ai quattro principi: il
“bilanciamento” e la “specificazione”. Il primo processo è volto ad attribuire ai vari
principi il loro peso relativo nella situazione particolare e, in base al peso assunto da
ciascuno, decidere quale atteggiamento tenere. Il secondo processo è indirizzato a ridurre
l’indeterminatezza delle norme astratte fornendo ad esse il contenuto necessario perchØ
diventino le regole-guida dell’agire morale in situazioni specifiche. Quello elaborato da
Beachamp e Childress è un processo non privo di ambiguità: infatti non è possibile trovare,
per ogni singolo problema, una soluzione certamente valida per tutti. Sembra difficile
abdicare ad una propria scelta – tanto piø se questa scelta riguarda questioni di fine vita – e
modellarla su di un principio “preconfezionato” e pronto all’applicazione. Esiste sempre la
possibilità del dissenso morale: «in caso di ostinato conflitto può non esistere solo
un’azione giusta, ma due o piø azioni moralmente accettabili possono trovarsi
inevitabilmente in conflitto e tuttavia aver uguael peso nelle circostanze in esame. In
questo caso possiamo offrire ragioni buone ma non decisive a sostegno di piø di
un’azione»
4
.
Tuttavia la bioetica dei principi non è priva di voci critiche. Un’obiezione è quella per cui
la ragione non ha alcuno spazio in etica sul piano fondativo: sua funzione è solo quella di
verificare l’eventuale coerenza tra scelte e principi. Si tratta inoltre di una razionalità
limitata alla ricerca della plausibilità provvisoria delle scelte etiche. La teorizzazione della
razionalità delle scelte etiche dei principi cade in contraddizione: «la ricerca di una piø o
meno plausibile ragionevolezza e coerenza delle teorie e dei giudizi ispirati ai principi è
una forma nascosta di scetticismo. La ragione debole che si dichiara fallibile e rivedibile
3
T. L. Beauchamp – J. F. Childress, Principles of Biomedic Ethic [1994]; tr. it. (a cura di F. Demartis):
Principi di etica biomedica, Le Lettere, Firenze 1999, p. 113
4
Ibidem, p. 113