5
che parte proprio dai verbi di movimento in quanto fornitori dell’istanza di base
del cambiamento spaziale.
Lasciando da parte scopi generali e obiettivi finali, evidentemente diversi da
quelli del presente lavoro, è forse utile segnalare gli assunti teorico-metodologici
e le considerazioni a nostro avviso valide che abbiamo ricavato e accolto dagli
studi sopra menzionati.
Da una parte, dallo studio di Miller, abbiamo accolto la definizione
“prototipica” di movimento e il concetto ad essa applicato di “intransitività
semantica”: concentrandoci esclusivamente, di conseguenza, su quella forma di
movimento che esclude una componente causativa e può genericamente
parafrasarsi come “an object that is at place P¹ at time T¹ comes to be at place
P² at some subsequent time T²
3
”. In questo senso avremo quindi a che fare con
dei verbi che esprimono uno spostamento corporeo nello spazio, un tragitto da
un luogo all’altro, un cambiamento di localizzazione.
Dall’altra, invece, prendendo a riferimento il lavoro della Violi, abbiamo
acquisito la consapevolezza che le sole espressioni, proprietà e descrizioni
linguistiche non sono sufficienti per formare un’adeguata semantica del
movimento; per specificare un intero significato bisogna per forza ricorrere a
nozioni di natura extra-linguistica, in questo caso fenomenologica. I tratti nei
quali il movimento può essere scomposto sono percettivamente densi (non
linguisticamente riducibili) e, nello specifico dei verbi che lo descrivono, si ha a
che fare con dei sèmi (coinvolti nella configurazione semantico-lessicale)
propriocettivi, connessi cioè all’autopercezione del corpo e del suo movimento.
Tutte considerazioni che ci rimandano, in definitiva, al carattere non autonomo
della semantica; tanto meno di quella a tratti (o componenziale) di derivazione
strutturalista.
3
Cfr. Miller G.A. op. cit. p. 338
6
Il passo successivo è stato quello di consultare il Roget’s Thesaurus alla voce
motion e verificare quanti e quali altri verbi potevano essere aggiunti alla lista di
Miller, previo, naturalmente, il superamento delle restrizioni da lui effettuate e
da noi accettate come valide. Il risultato è stato un po’ inatteso ma chiaro: i
verbi dell’Inglese rispondenti al criterio di intransitività semantica e a quello di
“change of location” sono centinaia; tanto è bastato a rendere inattuabili i
propositi coi quali si era iniziata l’analisi e a vanificare qualsiasi pretesa di
esaustività. Gli evidenti limiti di tempo, la difficoltà oggettiva insita nel
maneggiare un’area semantica così vasta e importante e l’intento di condurre
l’analisi con un buon grado di approfondimento hanno pertanto reso necessario
cercare un ulteriore criterio delimitativo che ci permettesse di circoscrivere una
sorta di sottoclasse semantica dei verbi di movimento.
La nostra scelta si è così orientata, dopo una breve riflessione, su quei verbi
dell’Inglese che esprimono in vari modi il concetto di locomozione via terra
4
di
esseri umani per mezzo degli arti inferiori. Il movimento pedestre, infatti, ha da
sempre rivestito per l’uomo un ruolo prioritario e di importanza assoluta così
che anche l’Inglese ha sviluppato per descrivere le sue varie forme una ricca
serie di verbi. Per risalire ad essi ci siamo rivolti, in prima istanza, ancora una
volta al Thesaurus (sempre alla voce motion) sottoponendo secondariamente i
risultati ottenuti a un attento lavoro di verifica e comparazione su tre diversi
dizionari monolingue (Collins, Longman, Oxford). Siamo quindi riusciti a
individuare un gruppo di circa centotrenta verbi che si riferiscono (o possono
quantomeno riferirsi) più o meno esplicitamente a quella forma di movimento
che abbiamo selezionato come ambito d’indagine specifico del nostro lavoro: la
deambulazione umana.
4
O, nel caso di alcuni verbi, locomozione che avviene in un altro tipo di “terreno” (cfr. ford,
paddle, wade).
7
Tale gruppo non rappresenta ovviamente una zona semantica nettamente
delimitata e i suoi confini appaiono, oltreché sfumati, aperti a nuove entrate
lessicali. Troviamo infatti al suo interno non solo verbi che hanno come unico o
specifico referente un concreto camminare (correre o saltare) umano, ma anche
parecchi che tra vari significati e diverse accezioni semantiche possedute ne
contemplano almeno una applicabile a quella modalità motoria per noi
pertinente. Abbiamo ad esempio incluso verbi dal significato sovraordinato e
generale come go, come, move, cross, ascend, proceed, retreat, roam e altri che
possono descrivere tanto uno spostamento pedestre quanto uno con mezzo di
trasporto. O ancora, verbi il cui significato originario è indirizzato
preferenzialmente all’espressione di un movimento animale quali amble, gallop,
prance, trot (ma che poi troviamo largamente utilizzati e applicati a spostamenti
pedestri umani); altri che sono atti a descrivere in maniera preponderante cambi
di localizzazione che avvengono non a piedi come flit, glide, float, drift, trundle
(salvo poi descrivere delle camminate rivelatesi davvero peculiari e interessanti
spesso perché recanti contrassegni semantici derivati proprio dal significato
originario dei suddetti verbi); altri la cui accezione semantica legata al
movimento intransitivo ha un’irrisoria percentuale di incidenza rispetto agli altri
significati, come succede per verbi quali drag, scatter, bolt, sweep, file.
Sono parecchi anche i verbi che, per motivi di varia natura, sono stati esclusi.
Tra di essi ne spiccano alcuni riferiti, sì, in maniera diretta a una concreta
deambulazione umana, ma troppo poco usati, esprimenti un significato già
coperto da altri verbi o che esulava in qualche modo dai nostri obiettivi; vale a
dire lope, cavort, sidestep, goose-step, sleepwalk, nip, jink e qualche altro. Ne
restano inoltre esclusi diversi, tra quelli che abbiamo definito sovraordinati e
generali (marcati soprattutto in ambito direzionale), soprattutto per motivi di
spazio e di sinonimia.
8
Tanto ancora si potrebbe discutere riguardo a inclusioni, esclusioni, criteri
adottati ecc. ma il dibattito si protrarrebbe quasi all’infinito senza approdare a
nulla di definitivo. Quando si parla di campo semantico non si ha a che fare con
un contenitore ermetico o rigidamente chiuso, con confini precisi e invalicabili.
Non possiamo, pertanto, avanzare alcuna pretesa di esaustività; il nostro scopo
è semplicemente quello di individuare, più o meno grossolanamente e ben
consapevoli del suo essere aperta e (soprattutto in periferia) sfumata, un’area
semantica capace di racchiudere almeno quell’ossatura verbale portante che
esprime in inglese il concetto di deambulazione umana.
Dopodiché cercare di individuare all’interno di tale area un nucleo centrale
prototipico e i restanti “satelliti” verbali che ruotano attorno ad esso in maniera
sempre più periferica.
Vedremo meglio più avanti su quali basi teoriche poggia il nostro lavoro
mentre, per ora, procediamo ad illustrare i successivi passi metodologici.
Una volta stabilito il raggio d’azione entro il quale muoversi, abbiamo cercato
le singole voci verbali nei diversi (tre) monolingue già citati e in altrettanti
dizionari bilingue (Collins, Garzanti, Zanichelli) analizzando e raccogliendo le
definizioni (e rispettive traduzioni) riferite alla modalità motoria da noi prescelta
come campo d’indagine. A questo punto, avendo chiaro per ogni verbo almeno
un quadro generale teorico derivato dalle descrizioni dizionariali, abbiamo
provato, tramite ragionamento induttivo, a ipotizzare delle componenti
semantiche attraverso le quali poteva essere destrutturato il concetto (e il
significato) generale di deambulazione umana. Dopo un lungo lavoro di stesura,
confronti incrociati, verifiche teoriche, ripensamenti, siamo arrivati alla
compilazione di quattro distinte categorie (e relative tabelle) a loro volta
suddivise in sottocategorie e/o singoli tratti. Ognuna di esse cerca di individuare
una dimensione concettuale collegata ai diversi aspetti della locomozione
pedestre umana. La prima focalizza l’espressione degli aspetti più fisici e
9
fisiologici del movimento: vale a dire la presenza di un possibile e sistematico
sforzo fisico e le diverse caratteristiche di contatto fra il piede (o più
genericamente l’arto inferiore) e il terreno (passo rapido, regolare, pesante,
strascicato ecc.). La seconda è tesa a rappresentare il movimento in termini di
direzione, modalità (movimento brusco, continuo, appariscente, ostacolato ecc.)
e qualità (azione durativa, puntuale, iterativa, veloce). La terza rappresenta gli
aspetti derivati dall’atteggiamento di chi esegue il movimento (cioè
intenzionalità, pianificazione, scopo e connotazione affettiva). Infine, la quarta,
quella (più) generale, puntualizza alcune caratteristiche del soggetto umano (se è
singolare o plurale e se in qualche modo viene lessicalizzata la sua intuibile età o
condizione fisico-atletica).
Ogni voce verbale è stata poi classificata secondo queste quattro categorie e, al
loro interno, sulla base dei tratti caratterizzanti precedentemente individuati,
abbiamo redatto delle tabelle contrassegnando con un segno ‘+, 0/+, 0, 0/- o 0’
rispettivamente, la forte presenza del tratto in questione, la sua possibile
presenza, la non pertinenza, la sua possibile assenza e la sua costante assenza.
Facciamo un esempio pratico: prendiamo il verbo hurdle (saltare un ostacolo)
e analizziamone qualche rappresentazione categoriale. Da un punto di vista
fisico-fisiologico è normale che il saltare un ostacolo (mentre si corre ) implichi
un certo sforzo (supplementare, almeno, rispetto alla norma); quindi, nella
casella punto di incontro tra il rispettivo tratto sforzo e il verbo hurdle, la
marcatura sarà effettuata tramite un segno +. Di contro, spostandoci alla sezione
che esprime il tipo di passo, è chiaro che al tratto strascicatezza corrisponderà
un segno -, ad indicare l’impossibilità che lo scavalcamento avvenga con passo
strascicato. Oppure, al tratto pesantezza è stato abbinato un segno 0 in quanto
la semantica verbale non ci dice a priori se il passo (o balzo) in questione è più o
meno pesante.
10
Quello appena delineato, in definitiva, è stato il criterio generale sul quale ci
siamo basati anche se, molto spesso, per esprimere le lessicalizzazioni più
sfumate, meno nette e costanti, abbiamo fatto un uso abbondante dei segni
“intermedi” già citati 0/+ e 0/-.
Sviscereremo le difficoltà e i problemi incontrati nell’attribuzione dei singoli
tratti durante l’analisi e la relativa schedatura dedicata ad ogni verbo.
Il quadro complessivo era a questo punto abbastanza chiaro ma mancava un
adeguato riscontro concreto relativo ai contesti d’uso e occorrenza dei verbi
della nostra lista. Ci siamo quindi rivolti a un corpus linguistico Inglese
5
che ci
fornisse degli adeguati strumenti di confronto e verifica. Introducendo per ogni
verbo tre diverse entrate lessicali, una alla forma infinitiva (hurdle), una alla
forma perfettiva (hurdled) e una alla forma progressiva
6
(hurdling), abbiamo
raccolto (laddove il numero complessivo di occorrenze ce lo permetteva) dai
cinquanta ai sessanta esempi per ogni membro della nostra lista facendo in modo
che l’occorrenza verbale si trovasse in mezzo a un corpo testuale di circa
cinque/sette frasi. Per renderci meglio conto dell’incidenza percentuale del
significato che volevamo mettere a fuoco, abbiamo analizzato, censito e
classificato ogni singola occorrenza riportando i dati ottenuti sulle
corrispondenti schede verbali. Inoltre, per meglio comprendere l’effettiva
portata di ogni verbo all’interno del corpus (la quale riflette, in maniera almeno
proporzionale, il reale utilizzo nella lingua Inglese), abbiamo ricavato e riportato
per ognuno di essi il numero complessivo di occorrenze riscontrate.
In seconda istanza, avendo a disposizione nuovi elementi, provenienti per di
più da concrete applicazioni semantiche, abbiamo proceduto a un riesame
componenziale tenendo tuttavia presente la reciproca funzionalità delle
5
BNC (British National Corpus).
6
Questa approssimativa suddivisione delle occorrenze in base ai tempi verbali ha fatto si che
ci rendessimo orientativamente conto della distribuzione, correlata, appunto, alla
categoria verbale tempo (e a quella aspetto), dei vari significati e delle diverse accezioni
semantiche (soprattutto figurate) relative a ogni verbo della nostra area.
11
informazioni possedute nella loro interezza (dizionari più esempi del corpus).
Più volte ci siamo trovati a constatare delle sostanziali discrepanze tra la
deambulazione descritta “sulla carta” e la deambulazione individuata nel corpus.
L’eventuale disaccordo, è stato segnalato nelle schede verbali, ma anche le
tabelle poc’anzi descritte hanno subito, laddove reso necessario da eventuali
divergenze, una piccola rielaborazione e riformulazione componenziale che ha
comunque conservato nelle singole celle, in casi di lessicalizzazioni tra loro
quasi inconciliabili, la presenza di due marche (la prima derivata dai dati
dizionariali e la seconda suggerita dagli esempi del corpus).
Utilizzati i mezzi a disposizione (sia teorici che pratici) e condensati in un
unico strumento d’indagine, il quadro componenziale raffigurante la
destrutturazione linguistica della nostra area semantica poteva a questo punto
ritenersi sufficientemente completo.
Descriveremo dunque nel capitolo secondo la funzione prettamente
strumentale (priva, perciò, di carattere necessario e sufficiente) della suddetta
scomposizione in tratti giustificandone il suo utilizzo e cercando di conciliarlo
con l’applicazione combinata di un approccio semantico di estrazione e natura
diversa: la teoria dei prototipi.
Riteniamo intanto necessario, nel seguente capitolo primo, riportare in maniera
più approfondita i contenuti dei lavori dai quali siamo partiti.
12
CAPITOLO PRIMO
Proposte per una semantica del movimento
1.1 George A. Miller: “English verbs of motion: a case study in
semantics and lexical memory”.
Nel processo di memorizzazione dell’esperienza , il linguaggio ha un duplice
ruolo: da una parte serve a caratterizzare la nostra esperienza; darle quindi una
codificazione linguistica che ci permetta di immagazzinarla nella memoria.
Dall’altra, gli stessi simboli del linguaggio devono essere immessi in memoria.
Quando desideriamo richiamare parte dell’esperienza immagazzinata, lo
facciamo non utilizzando le stesse parole usate in precedenza, bensì adoperiamo
varie e diverse forme linguistiche. È quindi probabile che ciò che noi
ricordiamo non siano le parole particolari da noi usate per codificare
l’esperienza, ma dei concetti (prelinguistici) sottostanti a queste parole.
Gli psicologi si sono da lungo tempo impegnati a studiare se e in che modo la
codificazione specificamente linguistica può influire ed essere d’aiuto
all’assorbimento e al conseguente recupero di informazioni nella memoria
umana. Nel suo studio, Miller, seguendo questa strada, cerca di lavorare su
fondamenta già gettate per l’analisi lessico-semantica lasciando però da parte i
referenti delle parole e concentrandosi sui loro possibili sensi; specialmente
quando tali sensi possono essere catturati tramite definizioni e circonlocuzioni
verbali.
La scelta ricade su duecentodiciassette lessemi, tra loro in reciproca relazione,
che sembrano mostrare distinte dimensioni concettuali. L’ipotesi da vagliare
sarà per Miller quella di vedere se tali dimensioni costituiscano o meno un
sistema omogeneo di concetti e interrelazioni concettuali.
13
Le parole in questione sono duecentodiciassette verbi di movimento
dell’Inglese; tramite la loro analisi semantica Miller cerca di trovare una serie di
componenti (o tratti), intrinseche ai loro significati, la cui validità psicologica
come concetti possa essere testata tramite sperimentazione. Si vedrà poi se
queste componenti semantiche includano o meno alcuni dei concetti primitivi
usati dall’uomo per codificare l’esperienza in generale.
Secondo Miller si compie un movimento quando: an object that is at place P¹
at time T¹ comes to be at place P² at some subsequent time T².
Le parole che meglio e più direttamente esprimono il senso di tale definizione
sono a suoi parere i verbi di movimento.
Miller introduce due criteri che gli serviranno per delimitare il campo
semantico e decidere quali verbi includere; il primo è che il verbo possa
combinarsi con un sintagma che esprime la misura del movimento - (test più
forte: He walked five miles; He carried the package fifty feet ecc.); il secondo è che il
verbo accetti costruzioni basate sul qui e là, che descriva cioè movimento da un
luogo a un altro - (test più debole: He arrived here from there; He collected them here
from there ecc.).
Secondo Miller i verbi di movimento dell’Inglese costituiscono una sottoclasse
limitata dei Verbi d’Azione e sono caratterizzati dalla predisposizione a
descrivere qualcosa che viaggia da un posto a un altro.
Il suo lavoro cerca di identificare le componenti dimensionali dei suddetti
verbi e di mettere ordine tra di loro.
Ipotesi iniziale di Miller è che il verbo che rappresenta il concetto più generico
di movimento sia move nel significato di cambiamento di localizzazione di
qualcosa. Da una tale scelta si intuisce quanto il concetto di cambiamento sia
ancor più generico di quello di movimento.
14
Miller cerca quindi di formulare una definizione di move, intendendo per
definizione qualsiasi parafrasi possa essere usata per sostituire la parola in
questione in almeno uno dei suoi usi.
La parafrasi che meglio descrive gli usi di move è per Miller: changes the
position or location of. Questa definizione non è tuttavia priva di difficoltà.
Bisogna innanzitutto tener presente che in Inglese il verbo move può avere un
uso sia riflessivo che oggettivo, a seconda che il movimento descritto sia quello
del soggetto o quello dell’oggetto.
Inoltre, la componente change chiama in causa un’ulteriore componente a sua
volta problematica, cioè quella causativa. Tale componente si riconosce
chiaramente nell’uso transitivo del verbo e ciò è dimostrato ad esempio da una
frase come Arthur moved the chair parafrasabile con Arthur changed the
position or location of the chair. Il che ci fa dedurre che l’uso transitivo di
‘muovere’ deve essere definito usando almeno due concetti generici: cambiare e
causare.
Le cose diventano ancora meno chiare se di move si considera l’uso
intransitivo e si cerca di capire se esso abbia in sé una componente causativa. La
frase Arthur moved dovrebbe parafrasarsi con Arthur caused a change in the
position or location of himself, che è parafrasi abbastanza farraginosa. Il verbo
move sembra quindi presentare troppi problemi perché possa ritenersi basico
nell’analisi dei verbi di movimento.
Miller propone quindi un’alternativa: il verbo travel, il quale sembra essere più
generico per vari motivi: il suo significato è semplicemente andare da un posto
all’altro; lascia aperta la questione della causatività; non dice niente sulla
distanza percorsa, sul tempo impiegato ecc.
La parafrasi che Miller sceglie come espressione del significato più di base è
change location, intendendo ‘cambiare’ in senso non causativo. Poiché l’uso
ordinario di travel è comunque abbastanza specifico, il suo utilizzo come verbo
15
generico di movimento può generare significati strambi e poco chiari (ambigui).
In tal caso sarà opportuno sostituirlo con la sua parafrasi o con qualche
costruzione; ad esempio utilizzando i verbi come e go consapevoli, in ogni caso,
della loro complementarità e intercambiabilità semantica dovuta al loro avere
una componente deittica: essi esprimono un viaggiare che è rispettivamente
towards the speaker e away from the speaker.
Ciò che importa è comunque aver trovato un concetto generico (change
location) comune a tutti i verbi di movimento.
Miller definisce il suo metodo d’analisi metodo delle incomplete definitions;
intendendo per definizioni incomplete a substitutable phrase that has a more
general meaning than the word it replaces. In altri termini la parola da
sostituire implica la sua definizione incompleta ma non viceversa; ad esempio si
può definire travel, in maniera incompleta, come change location in quanto non
si può viaggiare senza cambiare localizzazione ma, viceversa, si può cambiare
localizzazione senza per forza viaggiare.
Scopo di Miller è trovare dei concetti astratti che caratterizzino i giudizi dei
parlanti di similarità e differenza tra i significati di una serie di termini tra loro
correlati.
Ai suoi fini non ha alcun interesse che la definizione incompleta di una parola
incorpori tutte le componenti semantiche della parola stessa, che ne sia cioè un
sinonimo. L’unica ambizione è che questo metodo possa essere d’aiuto a
ottenere una visione panoramica di un dato campo semantico e che le stesse
componenti individuate appartengano a un gruppo di parole intuitivamente
simili tra loro per significato.
Miller definisce come dominio semantico any set of words implied by an
incomplete definition. Poiché lo scopo del suo studio è limitato, egli non ritiene
comunque necessario utilizzare un’adeguata e specifica teoria semantica. In
ogni caso, come lui stesso ci dice, il suo approccio teorico si colloca più o meno
16
a metà strada tra la Semantica interpretiva (che cerca di spiegare in che modo è
interpretata la struttura sintattica sottostante di una frase) e la Semantica
generativa (secondo la quale Sintassi e Semantica sono distinte in modo
improprio ed entrambe dovrebbero essere rimpiazzate da un unico sistema di
trasformazioni che converta le rappresentazioni semantiche delle frasi nelle loro
forme di superficie).
Miller intraprende quindi una suddivisione dei verbi di movimento iniziando
da quelli che, come travel, non hanno una componente causativa e non
richiedono una distinzione tra movimento riflessivo e oggettivo; chiama questi
verbi simple motion verbs of traveling. Essi sembrano condividere due
principali componenti semantiche: una riguarda il tipo di “terreno” (terra, acqua,
aria) sul quale il movimento avviene (medium component), l’altra l’utilizzo o
meno di un mezzo di trasporto (instrumental component).
I verbi più rappresentativi appartenenti a questa categoria sembrano essere
quelli che accettano la parafrasi travel on land by foot; essi naturalmente non
sono tutti sinonimi ma hanno un significato approssimativamente simile almeno
perché condividono la stessa definizione incompleta. Se analizziamo le
differenze di significato tra walk e run ci accorgiamo che tra di esse vi è una
componente semantica di velocità. Tale componente, a prescindere da questi
due verbi specifici, può essere genericamente parafrasata con la definizione
travel slowly o travel rapidly.
Un’altra serie di verbi di movimento sembra avere una specificazione
semantica riguardante la direzione nella quale il movimento stesso avviene.
Miller li chiama directional motion verbs e dice che possono essere definiti
utilizzando un verbo generico (travel, change location, come/go) più una
preposizione che indichi la direzione del movimento. Tra essi va fatta
un’ulteriore distinzione a seconda che il verbo sia riflessivo o oggettivo.
17
Quando è riflessivo useremo la formula He comes/goes Prep (X). Ad esempio
la frase He accompanied the man andrà sostituita con He came/went with the
man.
Questa formula ci permette di lasciare aperta la domanda se una componente
causativa sia presente oppure no; ad esempio la frase He returned è
interpretabile sia con He caused himself to come/go back che con He came/went
back (involontariamente o a causa di qualcos’altro).
Se invece il verbo di movimento è oggettivo esso deve essere usato
transitivamente e avrà automaticamente una componente causativa; la formula
da usare in questi casi è He made X come/go Prep (him). Ad esempio la frase
He carried the package andrà sostituita con He made the package come/go with
him.
L’applicabilità di queste formule non si può comunque estendere
universalmente a tutti i verbi direzionali; ve ne sono ad esempio alcuni che si
possono combinare, a seconda dei significati, con preposizioni direzionali
diverse.
Miller individua successivamente una classe di verbi di movimento definibili
come locative motion verbs; loro caratteristiche sono l’avere una componente
oggettivo-causativa e il richiedere, alcuni obbligatoriamente altri no, un
sintagma locativo. Ad esempio il verbo put richiede un sintagma locativo
obbligatorio; il verbo move no. La formula più appropriata sembra essere Makes
X come/go (to a particular location).
Altri verbi di movimento rientrano secondo Miller nella categoria degli
inchoative motion verbs, quelli, cioè, che express the idea that something comes
to be in a state describable by an adjective. Ad esempio la frase The sky
darkened significa The sky became darker.
La lista dei verbi di movimento incoativi è comunque molto eterogenea e
Miller stesso riconosce che per alcuni di essi può essere messa in discussione
18
anche la semplice componente semantica di movimento; ad esempio quei verbi
esprimenti un cambiamento di dimensione; o, ancora, si pensi ai verbi fill e
empty: essi esprimono il movimento dell’oggetto indiretto come in He filled the
basin with water che corrisponde a He caused water to come/go into the basin
until it became full. Se però si omette l’oggetto indiretto come in He filled the
basin che corrisponde a He caused the basin to become full, tali verbi, pur
mantenendo la componente incoativa e causativa, perdono quella che per Miller
è più basica, cioè quella di movimento.
Dopo ulteriori considerazioni egli conclude che gli unici “veri” verbi di
movimento incoativi sono open e close e la loro parafrasi adeguata è data dalla
formula He made X come/go Adj.
Si arriva con questo ai change of motion verbs che, come arrive e depart,
esprimono un cambiamento di stato; rispettivamente dall’essere in stato di
movimento al giungere a destinazione e dal non essere in movimento all’iniziare
a muoversi dal posto in cui ci si trova.
Le più semplici parafrasi esprimenti questi due concetti sembrano essere
finished traveling e began traveling away.
Miller considera a questo punto il verbo propel e nota come prima cosa la sua
doppia causatività; tale verbo esprime infatti il concetto di causare la forza che
causa il movimento e la parafrasi di propels X potrebbe essere applies force to
cause X to change location, cioè applies force to cause X to begin changing
location.
Molti altri verbi di movimento hanno questa caratteristica e in più possiedono
altre componenti semantiche precedentemente analizzate. Un esempio di
condensazione di componenti semantiche ci è fornito dal verbo throw il quale ha
in sé una doppia componente causativa, una di cambiamento di movimento, una
strumentale, una di mezzo e ovviamente quella generale di movimento: una frase
19
come He threw the ball dovrà essere parafrasata con He applied force by hand to
make the ball begin traveling through the air.
Fra questi verbi abbiamo anche esempi di usi riflessivi; è il caso di jump che,
ancor più di throw, racchiude un complicato insieme di concetti. Ad esempio,
una piena parafrasi componenziale della frase He jumps the fence dovrà essere
He applies force with his legs to make himself begin traveling through the air
over the fence.
Le componenti qui coinvolte sono: doppia causatività (oggettiva e riflessiva),
cambiamento di movimento, strumentale, di mezzo, direzionale; ed è proprio
questo, secondo Miller, un lampante esempio di come un verbo cognitivamente
complesso e denso possa essere usato per riferirsi a un atto intuitivamente così
semplice. Egli nota inoltre che i bambini, evidentemente, tendono ad acquisire
prima la componente referenziale del significato di una parola e solo più tardi
imparano a riconoscere le differenziazioni che si notano nei sensi delle parole
stesse.
Gli psicologi interessati all’apprendimento verbale e alla memoria lessicale
hanno dovuto concentrarsi, per motivi metodologici, soprattutto sulle esecuzioni
che richiedono un ricordo/richiamo mnemonico alla lettera anche se nella realtà
ciò è molto raro. Infatti l’apprendimento è di solito concettuale e se una persona
ha successo lo dimostra riuscendo a produrre delle parafrasi usando parole
‘proprie’. Il motivo di questo interesse per i verbatim recalls va ricercato nella
carenza di valide teorie sulla parafrasi e la sinonimia.
Una delle implicazioni dell’analisi di Miller è proprio quella di suggerire dei
metodi che ci permettano di utilizzare le parafrasi per valutare l’esecuzione
relativa a un qualche apprendimento concettuale. Questo a prescindere dal fatto
che egli non si occupi di alcun processo di apprendimento e sia qui interessato
solo a una possibile organizzazione strutturale della memoria lessicale.