Introduzione.
1. Proemi e inni.
Che cos'è un proemio? Qual è la sua funzione? In che modo è nato? Si è evoluto,
modificando il proprio aspetto formale, contenutistico, e infine tradizionale? Oppure ha
mantenuto inviolate le proprie caratteristiche? Come deve iniziare una poesia è parte
definita dalla teoria retorica. Ma i poeti sanno che la celebrazione solenne dell’inizio è
cosa che ben oltre la retorica: l’esordio è un’inaugurazione che deve compiersi sotto i
migliori auspici. C’è quasi una liturgia (e si vedrà che la parola liturgia acquisisce una
sfumatura più che adeguata quando si parla di proemio) che aiuta a uscire dal silenzio,
e permette di immergersi nell’universo letterario. Al confine tra parola poetica e parola
ancora fuori dalla poesia, il proemio – preannuncio di un canto che segue – è già canto e
ancora non lo è. Mentre invoca come ispiratrice la Musa, o la divinità cui l’inno è
rivolto, il proemio delimita, in un certo senso, i contenuti precisi della sua poesia,
ritaglia gli estremi di un discorso virtualmente ancora indefinito e pluripotente.
Aristotele lo definisce in tal modo: «δεῖγμά ἐστιν τοῦ λόγου, ἵνα προειδῶσι περὶ οὗ [ᾖ]
ὁ λόγος καὶ μὴ κρέμηται ἡ διάνοια
1
- [ nei discorsi e nell’epica ] si ha un’esposizione
del soggetto, in modo che (gli ascoltatori) sappiano in anticipo di che cosa parla il
discorso e il pensiero non resti in sospeso.» Quintiliano
2
invece scrive: «[1] Quod
principium Latine uel exordium dicitur, maiore quadam ratione Graeci uidentur τὸ
προοίμιον nominasse, quia a nostris initium modo significatur, illi satis clare partem
hanc esse ante ingressum rei, de qua dicendum sit, ostendunt. [2] Nam siue propterea
quod oἴμη cantus est et citharoedi pauca illa, quae antequam legitimum certamen
1
Aristotele, Rhet. III, 1415
a
, 12 ss.
2
Institutio Oratoria, IV, I, 1-3.
3
inchoent, emerendi fauoris gratia canunt, prohoemium cognominauerunt, oratores
quoque ea, quae prius quam causam exordiantur ad conciliandos sibi iudicium animos
praelocuntur, eadem appellatione signarunt, [3] siue, quod oἶμο ν idem Graeci uiam
appellant, id, quod ante ingressum rei ponitur, sic uocare est institutum: certe
prohoemium est, quod apud iudicem dici prius causam cognouerit possit […] -
«Quel che in Latino è detto principium o exordium, i Greci nominarono - e, mi pare, più
razionalmente - proòimion : perché, la parola latina significa soltanto “ inizio", mentre i
Greci dimostrarono con notevole chiarezza che questa parte è collocata prima del
passaggio all'argomento vero e proprio di cui si ha da trattare. Infatti, sia che - siccome
oimē vale “canto” e i citaredi chiamarono proemio quei pochi accordi che intonano per
ingraziarsi l'uditorio prima dell'esecuzione del brano - anche gli oratori abbiano usato la
stessa parola per la parte introduttiva, con la quale cercano di conciliarsi l'animo dei
giudici prima di dare inizio alla parte dell'orazione pertinente in modo stretto alla causa,
sia che, poiché gli stessi Greci intendono oimos come il nostro “via”, si sia stabilito di
chiamare così ciò che precede l'inizio della trattazione della causa, indubbiamente il
proemio è ciò che si può dire davanti al giudice prima che venga a conoscere i termini
della causa.»
1.1 Definizioni.
Conviene partire da una concisa definizione di “proemio”: τὸ προοίμιον è il preludio di
un canto, preambolo, esordio, principio; significa la parte che sta prima dell’ oἴμη
3
, che
si potrebbe grossolanamente tradurre con la via, la “striscia”, e cioè la parte che sta
prima di un canto. Οἴμη si riveste di una valenza molto speciale nella formazione della
3
Cf. Hy. Herm. 451 «οἶμος ὰοιδῆς».
4
parola in esame, e verrà ripresa con maggiori chiarimenti infra
4
.
In effetti, parlando di sentieri, una buona e oculata partenza può determinare un ottimo
percorso. Un proemio deve porre le fondamenta all’intera opera che si accinge a
costruire, suo scopo dominante è quello di contestualizzare il canto, renderlo adeguato
all'occasione in cui sarà stato eseguito, e per la quale non necessariamente è stato
composto. Infatti la cultura arcaica, come ogni cultura non letterata, in cui la
comunicazione pubblica non è condizionata in modo determinante da un sistema
canonico di testi scritti, è fortemente caratterizzata dal fenomeno del riuso, che diviene
prassi, perché non esiste alcun testo che funga da modello complessivo, che sia
codificato da schemi di composizione, e vi è pertanto la possibilità che un testo venga
ripreso ed eseguito in contesti, con modalità e finalità diversi da quelli per cui fu
originariamente composto. Ma, in una cultura predominantemente condizionata dal
passato, valente come paradigma collettivo e completo, superiore sotto il profilo
assiologico e soprattutto immutabile, il riuso non ha nulla a che vedere con il formarsi
di un repertorio, né con una soggettiva volontà arcaizzante dei poeti: si tratta, in ultima
analisi, di una necessità culturale
5
.
Scavando nelle labirintiche profondità della letteratura greca, troviamo che Proemio è
anche il nome sotto cui c i vengono trasmesse le 33 composizioni che formano il
cosiddetto corpus degli Inni Omerici
6
, che un fortuito quanto insondabile caso ci ha
conservato perché un erudito di età tardoantica (si parla di sesto secolo o al più qualche
decennio di scarto), compose un'antologia della poesia innica greca, includente, oltre a
4
Pag. 16, § La questione etimologica.
5
Cf. A. Aloni, L’aedo e i tiranni:ricerche sull’inno omerico ad Apollo, Roma, Edizioni dell’Ateneo,
1989, 117-8.
6
Cf. A.Aloni, “Prooimia, Hymnoi, Elio Aristide e i cugini bastardi”, «QUCC» 33, NS 4, 1980, 23-40.
5
quelli chiamati omerici, gli inni di Orfeo, Callimaco, Proclo
7
.
Si perde nei meandri del tempo la data e la paternità della silloge degli inni dedicati alle
divinità del pantheon panellenico, scritti in esametri e nello stile epico, differenti e di
carattere disomogeneo tra loro; ma ciò che maggiormente in questa sede attira la nostra
attenzione è che il titolo scelto dall'ignoto autore, inni, è sì giustificato da usi
terminologici presenti nell'esordio o nel congedo di alcuni, senonché erano conosciuti
anche come “Proemi” in età arcaica e classica. Il contesto si ricava dalle tante occasioni
di festività religiosa disseminate e diffusissime nel territorio di lingua greca. Se il riuso
è una necessità culturale, il proemio è a sua volta necessario all'attualità della
comunicazione poetica, è una necessità che si impone in modo trasversale tra i generi e
le occasioni.
Va però presa in esame una non ininfluente postilla a sostegno, o a smentita, di ciò che
il comune buonsenso, la cultura generale sommariamente impartita e l' abitudine ci ha
trasmesso e fatto acquisire nei primissimi anni di studio.
La tesi che gl’inni brevi siano proemi, o che siano i soli veri proemi, è fondata
sull’ambiguità di questo termine che, come si è detto supra, può designare sia un
esordio, sia un componimento poetico a carattere introduttivo. Talvolta alcuni autori
sono spinti a ritenere che i due significati differiscano per una lieve sfumatura, mentre
sono molto distanti tra loro. Il proemio non è l’esordio di una rapsodia, ma la prima
rapsodia di una serie, e come tale contiene un proprio esordio
8
e un proprio congedo. Il
tema del proemio inoltre, a maggior ragione, è la lode di una divinità, e pertanto è
7
Cf. A. M. Salvini, L’Esiodo con gli inni di Orfeo e Proclo, a cura di S. Pieri, Trento, 2004.
8
Si ricordi a tal proposito l’espressione pindarica ἀμβολαί προοιμίων, Pi. I, 4 («ὁπόταν προοιμίων
ἀμβολὰς τεύχῃς ἐλελιζομένη» quando fai udire il tuo suono e dai l’avvio al preludio) dove riecheggia
l’omerico ἀναβάλλεσθαι “cominciare”.
6
diverso da quello della rapsodia successiva, che dovrà avere un proprio esordio.
In questo frangente lo studio del proemio necessita di alcune precisazioni relative
all'estensione del termine; innanzitutto προοίμιον sembra identificarsi con un genere
specifico di poesia, legato all’epopea e all’epica da riconoscersi nelle composizioni
tramandate sotto la denominazione di Inni Omerici
9
che servivano a introdurre le
performances e gli agoni dedicati quasi sempre a un mito eroico.
1.2 Proemi o inni?
La confusione si poteva far risalire, e in un certo modo così era legittimabile, dalla presa
a termine di confronto col proemio che precedeva il nomos citarodico
10
che si soleva
identificare con la prima sezione dello stesso nomos, chiamata però ἀρχά, “principio”,
da Giulio Polluce
11
. I citaredi, è attestato, accettando la ricostruzione offerta dal De
musica, iniziavano “adempiendo liberamente
12
al proprio dovere verso gli dei”, e quindi
con un prooimion originale: il saluto agli dei poteva non appartenere allo stesso autore
del nomos, e se ne evince che non fosse una parte del nomos, ma anzi distinto dalla
ἀρχά
13
.
La parola del poeta deve comunque rientrare nella tradizione tra le parole la cui
attendibilità è sancita da una superiore autorità, in ultima istanza dalle Muse o da
qualche altra divinità, ed è solo in questo senso che si ha il titolo di esercitare il
9
Sono considerati tali anche l’inno a Zeus, proemio delle Opere, e il prooimion elegiaco ad Apollo
Theogn. 1-4, oltre, come ci si accinge a trattare, ai due inni alle Muse, pur unitariamente concepiti da
Esiodo, che fungono da proemio o preludio della Teogonia.
10
Platone, Resp. VII 531 d; Leg. IV 722 c-d; [Plutarco], De musica 1132 d, 1133 c.
11
Giulio Polluce, Ὀνομαστικὸν ἐν βιβλίοις, IV 61.
12
«ὡς βούλονται», ibid.
13
Allo stesso modo un proemio epico eseguito prima dell’Iliade si sarebbe distinto dall’esordio del
poema. L’identificazione fra esordio e proemio è già antica: cf. gli scoliasti a Pindaro, Nem.2,1
«Ὅθεν περ καὶ Ὁμηρίδαι ῥαπτῶν ἐπέων τὰ πόλλ' ἀοιδοί ἄρχονται, Διὸς ἐκ προοιμίου»; e ad
Aristofane, Av., 1385 «ἀεροδονήτους καὶ νιφοβόλους ἀναβολάς».
7
controllo sul pubblico. Omero, Esiodo, non sono solo grandi poeti agli occhi e alle
orecchie della Grecia arcaica, ma sono tramiti delle Muse, infatti vengono prediletti
dalla divinità
1415
affinché narrino agli uomini i racconti veri, non le fallaci parole delle
sirene. Serviva allora una prova tangibile, che potesse assicurare credibilità e rispetto, e
tale fine ultimo vuole essere veicolato dall’incipit dell’opera, per suggellarne e
ratificarne a priori l’attendibilità.
Quando venivano eseguite delle narrazioni epiche e delle competizioni rapsodiche, i
rapsodi le facevano precedere da un canto, detto “proemio”, in onore di una divinità,
tanto più che questo, appunto, avveniva nel corso di solenni feste religiose che
comportavano momenti di osservazione del culto e del cerimoniale ieratico e consistenti
fasi di festeggiamento; oppure, questi proemi erano destinati a precedere non una
singola rapsodia, ma un agone rapsodico, cioè una cerimonia che durava ore o talvolta
giorni e cui partecipavano diversi poeti. I concorsi di poesia epica sono documentati da
Tucidide: “Che si indicessero anche competizioni musicali e che le genti vi affluissero
per provarsi in esse lo segnala Omero in questi versi, tratti dallo stesso proemio […]
Con questi versi Omero testimonia che, anche in antico, c'era l'usanza di raccogliersi in
festa a Delo”
16
. Il proemio è lo strumento principale dell'adattamento del canto
all'occasione, con esso si realizza l'adeguamento di un testo alla situazione contingente
alla performance
17
.
14
Anche se in Omero questa predilezione distingue il cantore dagli altri uomini, in Esiodo invece
distingue lui medesimo dagli altri poeti.
15
Cf. Odissea, VIII, 479 ss «πᾶσι γὰρ ἀνθρώποισιν ἐπιχθονίοισιν ἀοιδοὶ/ τιμῆς ἔμμοροί εἰσι καὶ αἰδοῦς,
οὕνεκ' ἄρα σφέας/ οἴμας Μοῦσ' ἐδίδαξε, φίλησε δὲ φῦλον ἀοιδῶν»; 496 ss. «αὐτίκα καὶ πᾶσιν
μυθήσομαι ἀνθρώποισιν,/ ὡς ἄρα τοι πρόφρων θεὸς ὤπασε θέσπιν ἀοιδήν».
16
Tucidide, III, 104 «ὅτι δὲ καὶ μουσικῆς ἀγὼν ἦν καὶ ἀγωνιούμενοι ἐφοίτων ἐν τοῖσδε αὖ δηλοῖ, ἅ
ἐστιν ἐκ τοῦ αὐτοῦ προοιμίου· τὸν γὰρ Δηλιακὸν χορὸν τῶν γυναικῶν ὑμνήσας ἐτελεύτα τοῦ ἐπαίνου
ἐς τάδε τὰ ἔπη, ἐν οἷς καὶ ἑαυτοῦ ἐπεμνήσθη […] τοσαῦτα μὲν Ὅμηρος ἐτεκμηρίωσεν ὅτι ἦν καὶ τὸ
πάλαι μεγάλη ξύνοδος καὶ ἑορτὴ ἐν τῇ Δήλῳ».
17
Inoltre, προοίμιον può definire una molteplicità di fatti enunciativi, che vanno dall’orazione (l’uso è
8