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Introduzione
Raccontare la storia e la vita di Treviso nella seconda metà dell’Ottocento attraverso le
semplici fonti storiche è molto diverso, e per certi aspetti meno interessante, dal pensare
di costruire un racconto per immagini di ciò che fu la Marca Trevigiana nel XIX secolo.
Proprio come suggerisce il titolo di questo lavoro, lo scopo, solo in minima parte, di
questo studio è quello di illustrare la città di Treviso nel periodo post-unitario attraverso
i dipinti realizzati da un artista, vissuto in quel periodo, che più di tutti ha fatto di questo
luogo la sua musa ispiratrice: Luigi Serena. Questo pittore, di origine montebellunese,
dopo aver condotto la propria infanzia facendo la spola fra Venezia e la sua città natale,
stabilì un profondo sodalizio con il capoluogo trevigiano decidendo di trasferirvisi una
volta ultimati gli studi presso l’Accademia veneziana. I motivi che lo spinsero ad
abbandonare la città lagunare, dove aveva trascorso gli anni della giovinezza e
dell’adolescenza, sono a tutt’oggi sconosciuti anche a causa della mancanza di
documentazione scritta a riguardo, come ricorda Stefani
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. Sta di fatto che il fervore della
vita che animava Treviso nell’età post-risorgimentale colpì a tal punto Serena da
decidere di prendervi fissa dimora fino alla morte nel 1911. Fu proprio nel periodo di
permanenza a Treviso che il pittore realizzò alcune delle sue opere più belle e più
significative per la ricostruzione della realtà monumentale ma anche popolare della
città. Analizzare, tuttavia, tutta la cospicua serie di dipinti realizzati da Serena nel
periodo trevigiano della propria carriera artistica sarebbe stato un lavoro oneroso e poco
utile per la comprensione della realtà trevigiana ottocentesca. Pertanto la scelta è stata
quella di indirizzare questo studio all’analisi soltanto di alcuni dei “racconti trevisani”
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del pittore al fine di individuare l’esistenza o meno di un apporto significativo
dell’attività pittorica di questo artista alla ricostruzione iconografica di Treviso
nell’Ottocento. Lo scopo che si prefigge questo lavoro, quindi, non è quello di condurre
sui quadri di Serena una semplice analisi formale, così come finora è stato pressoché
compiuto dagli studiosi che si sono interessati a questo artista, ma di capire se e in che
modo le opere di questo pittore possano essere una fonte e una documentazione
attendibile per la conoscenza non soltanto dei luoghi di una Treviso ottocentesca ormai
scomparsa ma anche dei personaggi, dei costumi e delle tradizioni legate alla cultura
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Stefani, “Realismo,” 15.
2
Stefani, Luigi Serena 1855-1911, 35.
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popolare della città. Punto di partenza indispensabile per lo svolgimento di questo tipo
di analisi è il contributo pubblicato dallo studioso Toni Basso in un periodico trevigiano
del 1985
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, nel quale lo storico trevigiano ha indagato alcuni dipinti di Serena andandone
a verificare la loro attendibilità e scientificità rispetto a quanto in essi rappresentato.
Prendendo spunto proprio dal lavoro condotto da Basso, l’unico fino ad oggi ad aver
analizzato i quadri di Serena sotto una luce diversa, e partendo dalla visione diretta di
diverse opere del Serena presso i Musei Civici di Treviso, è nata questa tesi che si
propone di approfondire ulteriormente le intuizioni dello storico trevigiano e di fornire
ulteriori spunti di riflessione sul tema. I dipinti di Serena sono sempre stati analizzati
per la loro vicinanza alle tecniche macchiaiole e impressioniste mentre nessuno degli
studiosi si è mai chiesto se quanto presentato nelle opere facesse riferimento a una realtà
concretamente esista a Treviso nel periodo in cui il pittore diede vita ai suoi quadri. Non
va dimenticato, infatti, che l’arte di Serena si inserisce nel panorama del realismo
veneto ottocentesco, di cui importanti esponenti furono artisti del calibro di Luigi Nono,
Alessandro Milesi, Giulio Carlini insieme a molti altri
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e proprio su questo aspetto ho
voluto focalizzarmi. Il realismo di Serena, però, è molto diverso da quello degli artisti a
lui contemporanei e restituisce l’immagine di una Treviso più intima, più nascosta,
lontana dalle trasformazioni che nel periodo post-risorgimentale stavano avvenendo
anche nel capoluogo trevigiano con l’avvento dei nuovi mezzi di locomozione
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Il
capoluogo trevigiano illustrato nei quadri di Serena non è solo la città dei grandi
monumenti ma anche la città dei canali, dei ponti, dei barbacani, dei mercati, delle
lavandaie e delle venditrici di fiori. Ecco spiegata la ragione per cui questo studio è
articolato in due grandi macro capitoli: il primo, intitolato Aspetti di vita popolare nella
Treviso ottocentesca, dedicato alle opere di Serena riguardanti più strettamente la
cultura popolare che caratterizzava il capoluogo trevigiano nell’Ottocento mentre il
secondo, intitolato Uno sguardo nel cuore della città: luoghi e personaggi caratteristici
di Treviso in cui vengo analizzate, invece, le opere che hanno al centro della
rappresentazione luoghi caratteristici della città. Le analisi condotte su tutti i dipinti
presentati in questo lavoro sono state corredate da foto d’epoca scattate all’incirca negli
3
Basso, “Luoghi trevisani,”.
4
Stefani, “Realismo,” 25.
5
Michieli, “Treviso dal 1866,” 175.
3
stessi anni in cui sono state realizzate le opere di Serena al fine, appunto, di verificarne
la fedeltà e precisione descrittiva nonché il loro contribuito alla ricostruzione
iconografica e culturale della Treviso ottocentesca. A questo proposito è doveroso
ringraziare il FAST Archivio Storico Trevigiano per la preziosa collaborazione
fornitami.
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ASPETTI DI VITA POPOLARE NELLA
TREVISO OTTOCENTESCA
TREVISO E I SUOI MERCATI
Il mercato nella storia della città
Identificare Treviso, come spesso avviene per molte altre città, con i suoi monumenti
architettonici più significativi come il Duomo, il Palazzo dei Trecento o la cinta muraria
cinquecentesca che ne circonda il nucleo medioevale, significherebbe restituire
un’immagine riduttiva e limitata del paesaggio urbano trevigiano. A definire e
caratterizzare una città non sono, infatti, solamente le opere d’arte di cui si compone il
suo patrimonio artistico ma anche la popolazione che la abita con i suoi costumi e le sue
tradizioni, il cui luogo privilegiato di incontro era ed è, ancora oggi, il mercato cittadino.
Significativi, a tal proposito, sono i ricordi del celebre scultore trevigiano Arturo
Martini che nel descrivere la propria città natale, nelle sue memorie, ricordava Treviso
non tanto per le opere d’arte di cui era popolata quanto per le sue pasticcerie, peri
fruttivendoli lungo le strade e per le loro composizioni fatte da montagne di pesche che
caratterizzavano il centro cittadino assieme alle osterie
6
.
La vitalità che animava il mercato in città consentiva di cogliere la dimensione più
intima e quotidiana di Treviso nonché di entrare in contatto più diretto con l’animo dei
trevisani che in quel luogo erano soliti incontrarsi come avveniva anche in altri siti
nevralgici della città quali la strada, il sagrato delle chiese, l’ombra dei portici o delle
osterie. Fin da subito la storia stessa di Treviso venne a identificarsi con la storia del suo
mercato che fu il segno tangibile della rinascente prosperità della città in Età Comunale
dopo molti secoli bui. Si trattava di una forma di mercato che era all’epoca molto
lontana da ciò che oggi si intende con questo termine dal momento che esso “assumeva
non già una parte della compravendita e dello scambio, ma tutto il commercio stesso”
7
e
6
Scarpa, Colloqui con Arturo Martini, 144.
7
Demattè, “Fiere e mercati.”, 316.
6
le botteghe erano, in origine, luoghi di lavorazione più che di vendita di prodotti,
cominciando molto tardi a fare concorrenza ai banchi.
Il mercato cittadino si svolgeva all’aperto poiché tale forma di vendita consentiva di
dare ai prodotti una maggiore visibilità e la gente passando tra le bancherelle aveva la
possibilità di contrattare e acquistare ciò di cui aveva più bisogno per soddisfare le
proprie esigenze quotidiane. Il contadino o l’artigiano al mattino caricava sulla carretta i
sacchi di grano, le ceste di verdura, le gabbie dei polli o le sedie di paglia, attaccava il
cavallo e andava in città a cercare di vendere i propri prodotti facendo affidamento sulla
clemenza del cielo e sull’interesse dei compratori. Questo commercio ambulante
risultava, pertanto, fortemente limitato dall’autonomia quotidiana della trazione animale
e dalla deperibilità dei prodotti agricoli che ne condizionava la brevità dei tempi utili per
la vendita.
Diversi erano i prodotti venduti al mercato: in primo luogo i frutti della campagna,
spesso in grosse partite come grani, vini, ortaggi, semi oleosi, farine, nonché formaggi,
ricotte e burri di diversa qualità ma poi anche la legna che si vendeva all’ingrosso e al
minuto in fascine. Accanto ai prodotti agricoli vi era il commercio del bestiame, del
pollame e delle uova: cavalli, asini, muli, capre, pecore, maiali, galline, oche, conigli,
colombi e selvaggina. Non vanno, poi, dimenticati i prodotti della tessitura e
dell’industria cartaria così come la produzione di pellami e cuoi. Completavano la
rassegna delle merci in vendita, prodotti di pregio o di consumo speciale oltre a certi
prodotti di largo uso familiare come le spezie e gli aromi, le erbe mediche o i composti
farmaceutici.
Tutte le merci che venivano vendute al mercato, secondo Toni Basso, avevano visto il
loro evolversi all’interno di zone geografiche limitate, assumendo precise caratteristiche
qualitative, tanto da consentire di “identificare nel sapore di un formaggio, nella forma
di un boccale, nel colore d’una stoffa, l’ambito della loro provenienza”
8
. Ben diversa è
la situazione che si riscontra nel mercato di Treviso oggi dove, come in qualsiasi altro
mercato d’Italia, tra le bancherelle si possono trovare merci provenienti da qualsiasi
parte del mondo e molto più raramente prodotti genuini e di provenienza locale.
8
Basso, “Il mercato nella vita,” 8.