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INTRODUZIONE
Le funzioni esecutive (FE) vengono definite come quelle abilità cognitive necessarie per
programmare, mettere in atto e portare a termine un comportamento finalizzato.
Includono, quindi, processi cognitivi e di autoregolazione che consentono il monitoraggio
e il controllo di pensieri e azioni, quali l’inibizione, la pianificazione, la flessibilità
attentiva, l’individuazione e correzione di errori e la resistenza alle interferenze. Le FE
sono funzioni cognitive di tipo trasversale, in quanto solo in parte sono isolabili e
identificabili come singole funzioni, non essendo dominio-specifiche. I processi cognitivi
riconducibili al costrutto di FE sono considerati abilità di ordine superiore nell’evoluzione
filogenetica e per questo motivo lo studio della loro emergenza e sviluppo ha suscitato
particolare interesse. Negli ultimi venti anni abbiamo assistito ad un aumento della
produzione scientifica centrata sulle FE in età evolutiva, grazie anche al superamento
dell’idea che non è possibile analizzare tali abilità in soggetti in cui le regioni frontali,
considerate correlati neurali delle FE, sono ancora immature.
Il presente lavoro di tesi espone i risultati di uno studio sullo sviluppo delle funzioni
esecutive e della teoria della mente nei bambini nati pretermine a “medio-lieve rischio”,
durante il periodo prescolare.
Nello specifico, il primo capitolo propone una descrizione del concetto di funzioni
esecutive e dei meccanismi cognitivi fondamentali che possono essere ricondotti ad esso.
Inoltre, un paragrafo è dedicato alla presentazione delle strutture neuroanatomiche che la
letteratura associa alle FE e che in relazione ai compiti specifici possono essere suddivise
in due macro-aree: cognitive (dorsolaterali) e motivazionali (orbitali). Nello stesso
capitolo vengono trattate nel dettaglio due abilità delle FE, attenzione e working memory,
facendo riferimento ai principali modelli neuropsicologici che hanno tentato di spiegare
i processi di sviluppo. Poiché in letteratura è documentata la relazione tra FE e altri
domini cognitivi, ai fini del lavoro di tesi viene approfondito il rapporto tra FE e teoria
della mente (ToM) e delle diverse ipotesi avanzate per spiegare l’influenza dell’una
sull’altra.
Il secondo capitolo è dedicato alla nascita pretermine e alla descrizione dei fattori di
rischio per lo sviluppo associati ad essa. La trattazione di tale aspetti è dettata
dall’esistenza di numerose evidenze empiriche, le quali dimostrano che, anche in assenza
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di lesioni neurologiche “maggiori”, i prematuri possono manifestare, a partire dall’età
prescolare, una serie di difficoltà in molteplici domini cognitivi: funzioni esecutive,
linguaggio, abilità visuo-percettive e visuo-motorie. Sebbene tali difficoltà non
determinino necessariamente dei quadri patologici, tuttavia, esse risultano rilevanti dal
punto di vista clinico, in quanto influenzano, con gradi di compromissione diversi, il
comportamento del bambino e il suo livello prestazionale. Negli ultimi paragrafi del
secondo capitolo, vengono approfonditi i risultati di ricerca che hanno indagato lo
sviluppo dell’attenzione e della memoria nei bambini pretermine.
Il terzo capitolo è centrato sulla ricerca che abbiamo condotto per il lavoro di tesi.
L’obiettivo principale è stato quello di osservare e analizzare lo sviluppo delle funzioni
esecutive e della teoria della mente nei bambini nati pretermine a medio e lieve rischio,
durante il periodo prescolare. A tal fine sono stati messi a confronto un gruppo di bambini
nati pretermine con un gruppo di bambini nati a termine differenziati in base all’età (3 vs
4 anni). Infine, nello stesso capitolo i risultati ottenuti vengono presentati e discussi alla
luce della letteratura esaminata.
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CAPITOLO 1
Le Funzioni Esecutive
1.1 Definizione e componenti delle funzioni esecutive
Definire il concetto di “Funzioni Esecutive” (FE) risulta abbastanza complesso, dato che
tale termine non si riferisce a una singola capacità, bensì ad un insieme di abilità cognitive
inter-connesse implicate nelle operazioni di alto livello: scelta e formulazione degli
obiettivi, pianificazione delle azioni, controllo dei risultati ottenuti e adattamento del
proprio comportamento al contesto (Lezak 1982; Welsh & Pennington, 1988, cit. in
Anderson & Reidy, 2012). Tali operazioni, secondo definizione, chiamano in causa
abilità molteplici e specifiche, quali attenzione, memoria di lavoro, inibizione, flessibilità,
auto-regolazione, pianificazione e problem-solving (Anderson 2002, 2008, cit. in
Anderson et al., 2012), che rendono le FE necessarie per la cognizione complessa e per
questo motivo assumono una grande rilevanza ecologica nell’arco della vita di un
individuo (Baron, Kerns, Müller, Ahronovich & Litman, 2012).
Lo studio delle funzioni esecutive viene storicamente fatto risalire alle prime proposte
teoriche di Luria negli anni ’60 (Luria 1966, 1973, 1980, cit. in Ardila, 2008); l’autore ha
distinto tre unità funzionali nel cervello: il sistema limbico e reticolare implicato nella
motivazione; le aree corticali post-rolandiche deputate alla ricezione, elaborazione e
memorizzazione delle informazioni; i lobi frontali coinvolti nella programmazione,
controllo e verifica delle attività.
La letteratura associa le FE con la terza unità funzionale, in particolare con la corteccia
prefrontale, una delle aree che si sviluppa più lentamente rispetto alle altre aree corticali
(Benes, 2001; Huttenlocher & Dabholkar, 1997; Lezak, 1995; Scheibel & Levin, 1997,
cit. in Garon, Bryson & Smith, 2008). La ricerca indica che la funzione più importante
della corteccia prefrontale è la regolazione della percezione, del pensiero e del
comportamento attraverso l'attivazione e l'inibizione di altre aree cerebrali (Knight &
Stuss, 2002; Shallice, 2002, cit. in Garon et al., 2008). È stato riscontrato che lesioni a
carico della corteccia prefrontale comprometterebbero in maniera specifica le FE,
causando alterazioni comportamentali (apatia, perseverazioni, disinibizione, euforia,
impulsività) e deficit cognitivi (memoria di lavoro, pianificazione, attenzione); tali
compromissioni possono combinarsi tra loro in modalità diverse, dando origine a quadri
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clinici differenti. Questo complesso sintomatologico è stato definito "sindrome
disesecutiva" (Baddeley, 1986, cit. in Ardila, 2008). Nonostante in letteratura non ci sia
pieno accordo sulla definizione delle FE e sulle abilità costituenti, possiamo rintracciarne
i meccanismi cognitivi principali:
• L’attenzione viene descritta come la funzione che regola l’elaborazione delle
informazioni provenienti dall’ambiente esterno, filtrandole e organizzandole, in
modo da permettere all’individuo di emettere risposte adeguate (William James
1890, cit. in Eysenck & Keane, 2012). È possibile identificare diversi tipi di
attenzione: l’attenzione selettiva, che si occupa di selezionare gli stimoli
importanti e inibire quelli irrilevanti; l’attenzione sostenuta, la quale consente di
mantenere e modulare lo sforzo cognitivo per un periodo prolungato utile per
portare a termine un’attività; infine, vi è il “controllo esecutivo”, il quale consente
di spostare rapidamente l’attenzione verso la fonte di informazione più importante
e di coordinare l’esecuzione di più compiti svolti in parallelo (Eysenck et al.,
2012).
Esistono due modalità di orientamento dell’attenzione: esplicito e implicito.
Nell’orientamento esplicito vi è un’attivazione in corrispondenza dello stimolo
rilevato nel campo visivo periferico. In questo senso, vengono messi in atto
specifici movimenti degli occhi e del capo, che consentono di allineare la fovea
retinica con lo stimolo da esplorare, affinché si possano acquisire maggiori
informazioni su esso. Nell’orientamento implicito, invece, lo spostamento
dell’attenzione non è accompagnato da movimenti del corpo finalizzati
all’allineamento dei recettori (Eysenck et al., 2012). L’orientamento
dell’attenzione, inoltre, a seconda della situazione, può essere elicitato
passivamente da stimoli periferici, oppure essere diretto volontariamente nelle
diverse localizzazioni spaziali dello stimolo.
In base a quanto appena descritto emerge la doppia natura dell’attenzione, la quale
può essere sottoposta a due tipi di controllo: esogeno ed endogeno. Il controllo
esogeno o automatico è legato a fattori esterni-ambientali, come stimoli
improvvisi e inattesi. Alcuni input provenienti dall’ambiente hanno la capacità di
attrarre l’attenzione di una persona indipendentemente, o quasi, dalla sua volontà.
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Tali input possono interferire nello svolgimento di un compito rallentando la
risposta e rendendola meno accurata (Posner, 1980, cit. in Eysenck et al., 2012).
Grazie alle più sofisticate tecniche di neuroimaging è stato possibile localizzare
le aree coinvolte nel controllo automatico: si tratta del lobo parietale e frontale
dell’emisfero destro (Kandel, Schwartz, Jessel, 2003). Al contrario, il controllo
endogeno è volontario, poiché determinato da fattori interni-psicologici come le
aspettative, i desideri, i progetti e gli obiettivi del soggetto. A livello
neurofisiologico i centri cerebrali del controllo volontario risiedono nel sistema
fronto-parietale dorsale bilaterale. In entrambi i tipi di attenzione i lobi frontali
assumono un ruolo fondamentale, infatti vengono attivati tutte le volte che è
necessario esercitare un controllo attentivo, ad esempio durante compiti di
pianificazione, risoluzione di compiti complessi e problem-solving (Kandel et al.,
2003).
Gli studi sull’orientamento dell’attenzione (Posner at al., 1990, cit. in Eysenck et
al., 2012) hanno consentito di individuare tre operazioni mentali distinte che
vengono messe in atto nel corso degli spostamenti impliciti: il disengagement, o
disancoraggio dell’attenzione da un determinato stimolo visivo, lo shifting, o
spostamento dell’attenzione da uno stimolo bersaglio ad un altro e infine
l’engaging, o ancoraggio dell’attenzione su uno stimolo nuovo. Queste tre
operazioni sono funzioni del “Sistema Attenzionale Posteriore”, le quali si
assocerebbero a tre strutture distinguibili dal punto di vista anatomo-funzionale:
“Sistema Attenzionale Posteriore”, “Sistema Attenzionale Anteriore” e “Sistema
di Vigilanza”.
Il “Sistema Attenzionale Posteriore” è costituito dal lobo parietale, pulvinar del
talamo posteriore laterale e collicolo superiore; nello specifico il lobo parietale è
coinvolto nel disengagement; il collicolo superiore è responsabile dello shifting,
mentre il pulvinar è implicato nell’engaging.
Il “Sistema Anteriore” è costituito da aree del lobo prefrontale e include il giro del
cingolo anteriore e l’area motoria supplementare. Questo sistema è implicato nella
rilevazione degli stimoli indipendentemente dalle modalità di risposta.