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CAPITOLO I
LA GENESI DEI SISTEMI DI PROTEZIONE CIVILE
DI ITALIA E SVIZZERA
1. Le esigenze di difesa territoriale da eventi bellici quale propulsore di una
protezione integrata con l’Armata Svizzera
Il sistema di Protezione Civile, come oggi delineato dalla nuova legge federale
sulla protezione della popolazione e sulla protezione civile (LPPC) del 2002
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-
abrogativa delle leggi federali del 17 giugno 1994 sulla protezione civile
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e del 4
ottobre 1963 sull’edilizia di protezione civile
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- è frutto di un’evoluzione che
affonda le proprie radici storiche e sociologiche in esigenze di difesa territoriale
di uno spazio risultato da sempre appetibile per il ruolo di crocevia strategico al
passaggio di truppe in armi attraverso le Alpi.
Per comprendere, pertanto, la relativa lentezza con la quale si è sviluppata la
parabola di una riforma del sistema - contro il quale, il 18 maggio del 2003,
venne lanciato
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un referendum il cui esito confermò, peraltro, l’impianto
normativo licenziato dalle Camere - che oggi vede la Protezione Civile svizzera
proiettata sugli scenari di una catastrofe, anziché sui teatri di una battaglia, pare
necessario risalire alle origini del concetto di difesa che, per oltre sessant’anni, ha
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Legge di revisione generale (in Raccolta Ufficiale 2003, pag. 4187) così come modificata dalla
Legge Federale del 17 giugno 2005 (in Raccolta Ufficiale 2006 pag. 2197), dalla Legge Federale
del 3 ottobre 2008 (in Raccolta Ufficiale 2009 pag. 6617) e, in ultimo, dalla Legge Federale del
17 giugno 2011( in Raccolta Ufficiale 2011 pag. 5891) entrata in vigore il 1° gennaio 2012 dopo
l’infruttuoso decorrere del termine di referendum previsto per 6 ottobre 2011.
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In Raccolta Ufficiale 1994, pag 2626
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In Raccolta Ufficiale 1964, pag. 486
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Con Decreto del Consiglio Federale che indiceva la votazione popolare del 18 maggio 2003 (in
Foglio Federale del 4 marzo 2003, vol I, nr. 8, pagg. 1768-1769). Il successivo Decreto del
Consiglio Federale del 10 luglio 2003 (in Foglio Federale del 22 luglio 2003, vol. I, nr. 28, pagg.
4475-4485) accertò l’esito della votazione popolare che accettò, quindi, la LPPC con quasi due
milioni di voti favorevoli, contro neppure mezzo milione di contrari.
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fornito al popolo svizzero una garanzia di incolumità in caso di attacchi alla
sovranità della Confederazione provenienti dalle potenze dell’Asse, prima, dal
blocco costituente il Patto di Varsavia, in seguito.
Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale termini come Anschluss e
Lebensraum - coniati dal Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei per
confezionare un’affascinante, quanto corta, veste di aspirazione legittima agli
imminenti atti di aggressione unilaterale, ai danni di altri Stati, che tali dottrine
portavano con sé - avevano da tempo attraversato le frontiere di ogni angolo
d’Europa ponendo seriamente il problema di un adeguamento delle risposte da
fornire alle nuove e fulminee forme di aggressione testate con successo dalla
Wermacht attraverso la Blitzkrieg.
Dall'avvento di Adolf Hitler alla cancelleria del Reich, nel 1933, la Germania si
era scientemente e scientificamente preparata alla guerra che le avrebbe dovuto
assicurare il dominio sull'Europa, uno spazio vitale (Lebensraum) all'est e la
possibilità di imporre la superiorità della razza ariana.
La Società delle Nazioni e le democrazie europee - in alcuni casi addirittura prone
davanti alle derive più nazionaliste espresse dai regimi del nazionalsocialismo e
del fascismo - non furono perciò in grado di impedire né l’annessione dell'Austria
alla Germania (Anschluss), ad est della Svizzera, né la successiva annessione di
ampie fette di territorio della Cecoslovacchia.
Nonostante il fulmineo precipitare degli eventi che - il primo settembre del 1939 -
portarono in una sola notte all’inaspettata ed incontrastata invasione della
Polonia, nel cuore delle Alpi ci si mosse con prontezza
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per rafforzare le proprie
capacità di arginare eventuali ostilità belliche da parte degli Stati confinanti, i
quali, allo scoppio della guerra, abbracciavano quasi a tenaglia i confini
settentrionali ed orientali della Confederazione
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.
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Già il 28 agosto 1939 il Consiglio Federale aveva ordinato la mobilitazione di 80.000 uomini,
incorporati nelle truppe per il presidio della frontiera, ai quali se ne aggiunsero altri 550.000, fra
militari ed ausiliari, nel solo arco di 48 ore. DE WECK, La Mobilitazione, in Dizionario Storico
della Svizzera, 2010 [disponibile all’indirizzo: http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I8601.php]
6
BIANCHI, Neutralismo Elvetico, Ed. Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste,
1974, pag. 42 e segg.
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Anche la Repubblica del Canton Ticino da tempo seguiva con attenzione le
velleità di annessione all’Italia da parte del Governo Mussolini
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, sebbene queste
fossero di difficile attuazione anche a causa dei numerosi fronti sui quali il Regio
Esercito di Vittorio Emanuele III dovette immediatamente impegnarsi, sin
dall’entrata in guerra il 10 giugno 1940.
Appena due settimane dopo, tuttavia, la Francia capitolava ed il 25 giugno 1940
si procedeva ad istituire una divisione della repubblica francese in due aree: a
nord la zona di occupazione militare tedesca, a sud il regime di Vichy, la cui
architettura poggiava sul governo collaborazionista del Generale Philippe Petain,
strumento di controllo nelle mani di Hitler al quale il Generale in persona aveva
ufficialmente assicurato la propria collaborazione durante il celebre incontro a
Montoire sur le Loire.
L’accerchiamento quasi totale della Svizzera, da parte delle potenze dell’Asse,
divenne completo nell'autunno del 1942 quando, all’occupazione italiana di
ampie fette della Savoia e della Provenza, subentrò l’invasione tedesca dell’intera
Francia Meridionale.
Risparmiata sul piano militare, la Svizzera dovette organizzarsi per resistere alla
marea bruna che, da nord a sud, dilagava per il vecchio continente sino a togliere
il respiro ai propri confini i quali - res sic stantibus - iniziarono ad apparire
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All’inizio degli anni Venti, Benito Mussolini, in un discorso davanti ala Parlamento italiano,
aveva già avuto modo di denunciare apertamente il pericolo di germanizzazione del Canton
Ticino, individuando altresì nella cerniera del Gottardo l’unico “confine naturale e sicuro
dell’Italia” (CERUTTI, Il Fascismo, in Dizionario Storico della Svizzera, 2006 [disponibile
all’indirizzo: http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I17454.php]). Senza mai celare il chiaro intento
di volere alimentare le aspirazioni irredentiste dell’Italia nei confronti sia del Ticino che del
Grigioni italiano, il Fascio di Varese, in particolare, aveva tenuto un atteggiamento costantemente
provocatorio e tale da determinare, da un lato, un atteggiamento di cautela difensiva - con la
costruzione, ad esempio, della imponente linea di sbarramento fra Lodrino e Osogna che avrebbe
dovuto impedire, con i suoi 23 fortini, un’eventuale avanzata del nemico dalla Piana di Magadino
verso la Leventina - e, dall’altro, la necessità di rafforzare cordiali rapporti commerciali col
vicino Regno d’Italia. In ogni caso, impegnati più a contrastare la sinistra marxista che ad
arginare le simpatie verso il fascismo, nella Confederazione si riteneva che la soluzione fascista
(quanto quella bolscevica) non fosse di per sé conciliabile con la situazione svizzera e che,
pertanto, l’ipotesi di un attacco, dal sud delle Alpi, sarebbe stato meno plausibile rispetto alla
discesa dei Germanici da Nord (SPLINDER, La Svizzera e il Fascismo italiano 1922-1930, Ed.
Casagrande Bellinzona, 1980, pag. 252 e segg. – CRESPI, Ticino irredento: la frontiera contesa,
Ed. F. Angeli, 2004, pag. 249-252).
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indifendibili nelle loro completa integrità e con i normali strumenti di azione e
reazione previsti dalla Costituzione del 1874, così determinando gli Organi
Federali a sviluppare un modello di organizzazione dello Stato caratterizzato dal
“regime dei Pieni Poteri”.
Entro tale cornice, nella quale si erano peraltro mossi anche altri Stati
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, vennero
ottenute dal Governo ampie libertà circa la celere adozione di atti legislativi e di
ordinanze finalizzate al superamento dell’emergenza con l’adozione di “tutte le
misure atte a garantire la sicurezza, l’indipendenza e la neutralità della Svizzera,
a tutelare il credito e gli interessi economici del Paese e ad assicurare
l’alimentazione pubblica”
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.
Il ricorso ad un vero e proprio diritto di necessità extracostituzionale (rectius:
privo di basi costituzionali) rese ancora più evidente che la guerra in corso,
affacciatasi appena alla finestra delle Alpi, non minava la sopravvivenza stessa
della Confederazione - e con essa le certezze dei suoi abitanti – in misura minore
che se fosse direttamente penetrata al suo interno.
In Svizzera, infatti, il diritto di necessità fu applicato per l'ultima volta proprio
durante la seconda Guerra mondiale, quando vennero attribuite al Consiglio
Federale prerogative straordinarie simili a quelle già esercitate in occasione della
rivoluzione nel Baden (1849), delle tensioni legate all'espulsione dei Ticinesi
dalla Lombardia ad opera degli Asburgo (1853), dell'affare di Neuchâtel (1856),
della guerra d'indipendenza italiana (1859), dell'affare della Savoia (1860), della
guerra austro-prussiana (1866), della guerra franco-prussiana (1870), della Prima
Guerra Mondiale e della crisi economica mondiale (1936).
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Fra questi vi era proprio la Germania nazista che, il 23 marzo 1933, vide l’approvazione di un
“Decreto dei Pieni Poteri” da parte della maggioranza assoluta del Parlamento. A differenza del
decreto federale del 1939, tuttavia, l’Ermachtigungsgesetz non prevedeva, neppure a posteriori,
un controllo del Reichstag sulle leggi promulgate dal Cancelliere Hitler in forza delle modifiche
irrevocabili - introdotte col sostegno determinante del cattolico Deutsche Zentrumpartei - alla
Costituzione di Weimar (SCHULZE, La Storia della Germania, Donzelli Editore Roma, 2000,
pag. 163).
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Art. 1, Decreto Federale del 30 agosto 1939, in Rassegna Ufficiale 55, pag. 729.