4
INTRODUZIONE
«La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre
gli stessi»
1
.
Le parole di Consalvo Uzeda, principe di Francalanza, protagonista di uno dei meno
celebri e più ingiustamente snobbati classici italiani, I Vicerè di Federico De
Roberto, ben introducono il principio motore da cui muove la stesura di questo
elaborato.
Ottanta anni dopo la pubblicazione del capolavoro di James Joyce, Dubliners (1914),
Irvine Welsh sembra prendere il testimone dal genio irlandese e si addentra
nell'intricato labirinto della società scozzese di fine Novecento. «With its cast of
small timers, loose collection of stories, its tragically fine-tuned attention to detail,
and its absorbing sense of place, it actually resembles Dubliners»
2
, scrive Jane
Mendelson in merito al primo romanzo di Welsh, Trainspotting (1993). Tuttavia, è
con la seconda opera che le similitudini si rendono ancor più evidenti; fatto senza
dubbio dovuto alla struttura del volume, ossia all'adozione della short fiction in cui si
cimenta, per la prima volta, l'autore scozzese.
«In the stories that make up this fine collection, The Acid House, Irvine Welsh's
bleak portrait of Scotland's underclass, overwrought youth often assumes Joycean
resonances through the uncommon richness of his writing»
3
, scrive in una recensione
James DeRossitt: pertanto, risonanze e similitudini non riposano esclusivamente
sulla dettagliata raffigurazione di società decadenti, afflitte da provincialismo e
paralisi, misoginia e ideologie ormai dal tempo e nel tempo sbiadite cui ancora i
protagonisti cercano di aggrapparsi. I due volumi forniscono, infatti, una dose
soddisfacente di elementi atti a un raffronto, non solo tematico, ma anche di natura
stilistica. Oltre al già menzionato sfruttamento dell'agile misura della short fiction, è
1
De Roberto, Federico, I Vicerè, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1998, p. 652.
2
Mendelson, Jane, Needles and Sins, in New Republic, Vol. 215, No. 4,259, settembre 1996, pp.
31.34. «Con il suo gruppo di nullafacenti, la libera raccolta di storie, la sua attenzione tragicamente
volta al dettaglio e il suo avvincente senso dello spazio, somiglia davvero a Dubliners». (La traduzione
è mia).
3
DeRossitt, James, A Review of The Acid House, in Review of Contemporary Fiction, Vol. 16, No. 1,
primavera 1996, pp. 151-152. «Nelle storie che compongono questa splendida raccolta, The Acid
House, lo sconfortante ritratto dell'esausta gioventù delle classi inferiori scozzesi che Irvine Welsh ne
fa, assume spesso risonanze joyciane grazie alla rara ricchezza della sua scrittura». (La traduzione è
mia).
5
anche il linguaggio a possedere i requisiti necessari per una comparazione; tale
linguaggio condurrà al riconoscimento di un'unitarietà intrinseca in ciascuna opera.
Inoltre, lo stile ironico presente da ambedue le parti gioca, per contrasto, con le
catene lessicali dalle tinte oscure disseminate dagli autori, al fine di corroborare la
gravità di uno strapiombo sociale e morale.
In breve, quantunque i mali della società scaturiscano da origini differenti poiché i
tempi in cui si svolgono i fatti sono differenti, il risultato pare rimanere identico e il
modus operandi degli autori non è certamente dei più dissimili. Si consideri anche
l'identità di motivazione e di scopo: gli specchi rivelatori allestiti da Joyce e da
Welsh, senza trascurare il benché minimo particolare, non intendono perdonare i loro
protagonisti, pena il fallimento della missione epifanica intrapresa attraverso la
scrittura. La panacea dei mali degli individui che questi specchi nitidamente
riflettono e che altro non sono che frammenti metonimici di un'antropologia
negativa, risiede in una presa di coscienza delle proprie inanità e nel conseguente
processo di reset, un bisogno di tornare alle origini, di fare tabula rasa e cominciare
daccapo. L'incontro tra i due antiteti per eccellenza, la Vita e la Morte, rappresenta il
determinante punto di svolta, affinché la presa di coscienza sfoci in una rinascita
spirituale e morale carica di rivincita.
Tuttavia, se dopo ottanta anni, ancora sono offerte al lettore certe istantanee dalle
tonalità poco ottimistiche, come è possibile non trovarsi di nuovo costretti a dare
pienamente ragione a quel cinico, ma acuto osservatore che è Consalvo Uzeda,
quando esalta la sua massima finale poc'anzi riportata con la chiosa «la differenza è
tutta esteriore»
4
?
4
De Roberto, Federico, op. cit., p. 652.
6
CAPITOLO 1.
VITE E OPERE DEI DUE AUTORI
Poco meno di vent'anni separano l'evento della morte del mai troppo compianto
James Joyce, scomparso nel 1941, dalla nascita della nuova icona di una letteratura
dai toni graffianti e infernali qual è Irvine Welsh. Eppure, in quel ventennio, è, come
si suole dire, passata molta acqua sotto i ponti, (tanto sotto quelli del Liffey, quanto
sotto quelli del Water of Leith): una guerra mondiale dagli esiti devastanti e la
susseguente caduta dei due principali regimi autoritari e dispotici in Europa, il
paventarsi dell'era atomica, punto d'equilibrio della Guerra Fredda, il boom
economico che fornì un benessere sociale più o meno illusorio e le basi gettati per
quella che sarebbe stata una nuova rivoluzione culturale come quella del Sessantotto
che ha quantomeno contribuito a modificare sensibilmente gran parte dei
comportamenti sociali e delle ideologie politiche.
Inevitabile, pertanto, che i due autori abbiano vissuto differenti crescite e ricevuto
differenti formazioni: si veda in primis, se vogliamo per ordine meramente
alfabetico, l'ormai "classico" James Joyce, figura istituzionale entro il panorama
letterario di buona parte della prima metà del secolo scorso; per procedere poi con
Irvine Welsh, l'iconoclasta ribelle che ha dato il la, esattamente come il suo
"antenato" irlandese, a una rottura degli schemi linguistici, narrativi e prosastici. Fra
qualche secolo, chissà che non capiti di leggere, nelle antologie scolastiche, alla voce
"Welsh, Irvine", "classico assiso a cavallo fra due secoli". Forse si è esagerato, anche
volutamente e provocatoriamente. O forse no. Per rimanere tra i versi della stessa
poesia ora citata, sarà bene ora glissare aggiungendo "ai posteri l'ardua sentenza".
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1a. JAMES JOYCE: DA DUBLINO ALL'EUROPA
Corre l'anno dell'omicidio di Lord Frederick
Cavendish per mano dei militanti nazionalisti degli
Invincibles in quel di Phoenix Park a Dublino e
della nascita di Virginia Woolf. È il 1882 e, il 2
febbraio, vede la luce anche James Augustine
Joyce. Un'infanzia serena e agiata la sua, ma
scandita da continui traslochi dovuti all'insolvenza
cronica del padre, John Stanislaus Joyce, e
un'istruzione acquisita al Clongowes Wood College
prima, il miglior collegio gesuita d'Irlanda,
e al Belvedere College poi. La carriera universitaria del giovane Joyce ha inizio nel
1889, anno in cui si iscrive allo University College di Dublino, dove intraprende
brillantemente la strada di critico letterario: si ricordino i suoi scritti, Ibsen's new
Drama, pubblicato sulla rivista Fortnightly Review e per il quale ricevette una gentile
risposta di ringraziamenti dal drammaturgo norvegese, e The Day of the Rabblement,
con cui attacca il provincialismo che pervade l'Irish National Theatre, dando da
subito prova della sua vena ribelle e polemica, manifestando tutto il suo distacco dal
cosiddetto revival irlandese a favore di un'integrazione in una cultura di ben più
ampio respiro europeo («Mr Martyn and Mr Moore are not writers of much
originality. [...] his [Moore's] new impulse has no kind of relation to the future of
art»
5
).
Con un viaggio a Parigi per perfezionare la sua preparazione in campo medico, dove
conosce John Millington Synge, e dopo una rapida incursione a Londra dove incontra
il poeta gallese Arthur Symons, inizia l'esplorazione continentale di Joyce, il quale si
accinge, nel 1904, a scrivere di getto il suo primo racconto, per di più autobiografico,
A Portrait of the Artist as a Young Man: la cronaca della vita di Stephen Dedalus
accompagnata dalla continua indagine sul divenire dell'artista sin dall'infanzia fino ai
5
Joyce, James, The Day of the Rabblement, 15 ottobre 1901, cit. in
www.robotwisdom.com/jaj/rabblement.html. «Mr Martyn e Mr Moore non sono scrittori di molta
originalità. [...] il suo [di Moore] nuovo impulso non ha alcun tipo di relazione con il futuro dell'arte».
(La traduzione è mia).
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primi stadi della maturità e dalla perenne indecisione sull'abbandono o meno
dell'Irlanda. È dello stesso anno l'incontro con una cameriera che diverrà la
compagna di un'intera vita: Nora Barnacle; il primogenito, Giorgio, nascerà tredici
mesi dopo il loro incontro. Nel frattempo, su alcune riviste, tra cui The Speaker e
Saturday Review, sono pubblicate alcune poesie, poi riunite nella raccolta Chamber
Music, mentre sull'Irish Homestead appaiono tre dei racconti che faranno parte del
volume Dubliners, ovvero The Sisters, Eveline e After the Race.
Proseguono i numerosi viaggi tra Parigi,
Zurigo, Trieste e Pola - dove lo scrittore
insegnerà lingua inglese alla Berliz School
- e, nel 1907, Elkin Mathews pubblica in
volume le trentasei poesie d'amore di
Chamber Music, dedite alla bellezza
femminile, al tradimento e alla malinconia.
Seguirà, di lì a poco, un'altra ancor più
esaltante soddisfazione: la nascita della
secondogenita, Lucia.
Si dovranno attendere sette anni prima di
procedere, dopo diverse ed estenuanti
procrastinazioni, alla stampa in volume,
presso l'editore inglese Grant Richards, di Dubliners. Spetterà invece al newyorchese
B. W. Huebsch trasformare in volume il Dedalus nel 1916.
Gli occhi dello scrittore cominciano ad arrecargli non pochi disturbi; tuttavia, ciò non
gli impedisce di stendere i primi tre episodi di Ulysses che, nel 1922, uscirà edito da
Sylvia Beach. Ancora oggi, la ricostruzione in chiave moderna del poema epico di
Omero è considerata la migliore delle fatiche joyciane. La ventennale escursione di
Ulisse viene contratta in una sola giornata, il 16 giugno 1904 (festeggiato fino ai
nostri giorni come il Bloomsday) in cui Joyce modella il personaggio dell'agente
pubblicitario Leopold Bloom. La grandezza di quest'opera risiede senza dubbio nello
stile: Joyce scardina ogni tipo di convenzione letteraria, a partire dalle tradizionali
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coordinate di spazio e tempo facendo un uso smodato della tecnica narrativa
chiamata 'stream of consciousness' (flusso di coscienza).
Da non tralasciare l'apparizione, nel 1918, di Exiles con cui prolunga la novella
finale dei Dubliners, The Dead, trattando le tematiche della relazione uomo-donna,
laddove v'è la presenza di una figura maschile "in esubero", di un terzo.
Per ragioni testamentarie, Joyce e Nora Barnacle scelgono di convolare a nozze nel
1931. Due anni più tardi, Ulysses, dopo essere stato assolto dal tribunale di New
York dalle accuse di pornografia, è distribuito anche negli Stati Uniti d'America. Si
dovrà attendere il 1938 per vedere ultimato il lavoro Finnegans Wake, la cui stesura
durò ben diciassette anni sotto il titolo di Work in Progress; il libro è il racconto del
travagliato sabato notte di un cinquantenne taverniere di origine scandinava,
Humphrey Climpden Earwicker. L'opera contempla una miscellanea di linguaggi,
giochi di parole e allusioni enigmatiche tali da prescindere da ogni intento
comunicativo e da rendere ardua, se non impossibile, non solo una sinossi, ma
perfino ogni intentata traduzione.
Con l'esplodere dei disordini del secondo conflitto mondiale, i Joyce preferiscono
trasferirsi in zona neutrale, in Svizzera, nella città di Zurigo, dove lo scrittore si
spegnerà in seguito a un'operazione per un'ulcera perforata il 13 gennaio 1941, all'età
di quasi cinquantanove anni.