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PREFAZIONE
Ancora prima di intraprendere i miei studi universitari, l’India mi ha sempre affascinato
per la sua natura multiforme e variegata, essendo una realtà in cui coesistono
caratteristiche talmente dissimili che ogni tentativo di categorizzazione e di
riconduzione a facili schemi di classificazione risulta superficiale e forzato. Questo è
uno dei motivi che mi ha spinto ad analizzare, con spirito decostruzionista, ogni forma
di tipizzazione operata per tentare di avvicinarsi ad una tale realtà. Ciò vale non solo nei
miei studi universitari, ma anche nella vita di tutti i giorni, nella quale mi ritrovo spesso
a dover fronteggiare situazioni avvilenti in cui, a vario titolo, attraverso domande e
curiosità, i miei conoscenti mi pongono di fronte ad una vulgata sull’India che è di
sconcertante stereotipizzazione.
Studiando la storia del colonialismo in India, lentamente ho cominciato a realizzare
l’origine e la portata di tali stereotipi e, dopo averne constatato la permanenza anche in
epoca contemporanea, ho considerato l’idea di approfondire le mie ricerche scoprendo
l’opera Orientalismo di Edward Said e gli studi post-coloniali. Proseguendo le mie
ricerche ho dovuto prendere atto del fatto che tali miti, lungi dall’essere unicamente
riconducibili alle responsabilità storiche del colonialismo britannico, hanno subito un
processo di introiezione e reinterpretazione da parte di determinate componenti della
società indiana, trasponendo la problematica anche in epoca post-coloniale. L’esistenza
dell’ideologia riduzionista ed esclusiva del Nazionalismo Hindu mi ha portato a
riflettere sull’entità di tale discorso, considerato in antitesi rispetto alla personale
interpretazione di cultura indiana, particolamente inclusiva e multiculturale, ricca di
sfaccettature che rifuggono da ogni tentativo di definizione in unica chiave etno-
religiosa.
Con l’obiettivo di acquisire nuovi strumenti teorici per rileggere le dinamiche coloniali
per osservare la loro portata in epoca moderna e contemporanea, mi sono dovuta
scontrare con la difficoltà di reperire materiali ricadenti in tale ambito di studi nel
contesto scientifico e letterario italiano, dovendo piuttosto rivolgermi al mondo
6
accademico anglosassone o, comunque, anglofono. Ritengo che la limitatezza delle
fonti sia lo specchio della tradizionale predilezione, nel panorama dell’indianistica
italiana, per la civiltà e alla tradizione indiana classica, al contrario del mondo
anglosassone e post-coloniale, maggiormente proiettato verso la comprensione delle
evoluzioni storiche, politiche e socio-culturali dell’India moderna e contemporanea.
Questa constatazione mi spinge ancor di più a prefiggermi l’obiettivo di dedicare la mia
carriera accademica all’approfondimento di queste tematiche contemporanee, per
tentare di riallacciare le conoscenze sull’India classica che ho potuto sviluppare durante
i miei studi in Italia agli sviluppi di un paese dalle dinamiche apparentemente
contraddittorie e imperscrutabili, ma – forse proprio per questo – affascinante e
coinvolgente.
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INTRODUZIONE
Nel dibattito politologico e storiografico, uno dei concetti più complessi da definire
univocamente è quello di ‘nazione’, insieme alle relative nozioni di ‘nazionalismo’ ed
‘identità nazionale’. Ciò che pare condiviso in un ampio filone di studi è l’inclusione
nella categoria di nazione di tutti gli individui che condividono caratteri comuni, siano
essi linguistici, etnici, religiosi, culturali o territoriali, rintracciabili attraverso il ricorso
ideologico ad una storia comune. Il filosofo Benedict Anderson ne ha proposto una
definizione convincente parlando della nazione come di una comunità immaginata
1
e
descrivendo il processo di costruzione della nazione attraverso lo sviluppo di
un’ideologia e di una storia nazionale. Collegato a questa definizione è il concetto di
tradizione inventata
2
, sviluppato dallo storico Eric Hobsbawm, grazie al quale è
possibile interpretare il processo mitopoietico di costruzione della nazione.
Tuttavia, negli studi post-coloniali è stato posto il problema dell’eurocentrismo insito
nella descrizione di tali definizioni di fronte alle esperienze storico-politiche dei
nazionalismi non europei. Infatti l’India indipendente è difficilmente ascrivibile ai
canoni classici del concetto di nazione; lo storico indiano Ramachandra Guha la
definisce una «nazione innaturale»
3
. Ad una prima analisi, non sembra possibile
ricondurre l’identità indiana ad univoche caratteristiche linguistiche, etniche, religiose o
culturali. Eppure la nazione indiana è riuscita a costituirsi come tale dopo secoli di
dominio coloniale inglese, grazie al movimento nazionalista guidato dal Partito del
Congresso e dal Mahatma Gandhi. Ma, superando la retorica storiografica nazionalista,
i nuovi approcci degli studi subalterni e post-coloniali stanno mostrando che il
movimento nazionalista indiano si è storicamente manifestato in diverse forme politiche
ed ideologiche, spesso in contrapposizione tra loro. La lotta anti-coloniale, sotto l’egida
del Partito del Congresso, ha messo in disparte le diverse espressioni comunitariste
1
B. Anderson, Comunità immaginate. Origine e diffusione dei nazionalismi, Manifesto Libri, Roma,
2
E. J. Hobsbawm, T. Ranger, L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino, 2002.
3
R. Guha, India After Gandhi. The History of the World’s Largest Democracy, Pan, London, 2007, p. xi.
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(communal) del nazionalismo indiano – in effetti, al di là della retorica nazionalista
hindu, diversi studiosi hanno argomentato il collaborazionismo di tale corrente verso il
Raj –, ma ciò non ha impedito che queste si manifestassero nuovamente in epoca
contemporanea, attingendo dal fermento culturale e politico in atto nel tardo periodo
coloniale. In particolare, dopo essere marginalizzato nel periodo della lotta anti-
coloniale e successivamente in epoca Nehruviana, nell’India contemporanea il discorso
culturale in auge in politica è quello del cosiddetto Nazionalismo Hindu, le cui radici si
fanno risalire ai movimenti socio-culturali del Neo-Induismo del XIX e XX secolo e ad
alcune frange conservatrici del movimento nazionalista del Partito del Congresso.
L’invenzione di una tradizione, atta a costituire una comunità immaginata da chiamare
nazione, deve esplicitarsi in un processo storiografico di ricerca e cernita di eventi e miti
di rilevanza tale da creare un sistema di valori determinato, da cui poter costruire una
specifica identità nazionale. La questione si complica nelle realtà in cui, in questo
processo mitopoietico, si situa il colonialismo, sia nel suo divenire storico-politico che,
soprattutto, in quello ideologico.
Grazie all’opera Orientalismo dell’intellettuale Edward Said, vero e proprio spartiacque
per gli studi post-coloniali, nel dibattito contemporaneo è ormai assodata la valenza del
discorso culturale creato dal colonialismo per stabilire e mantenere i rapporti di potere
con i popoli colonizzati. Tuttavia, una delle critiche più frequenti mosse da diversi
ambienti accademici a Said riguarda l’assenza, in Orientalismo, di una dialogicità tra
colonialisti e colonizzati o, quanto meno, di un’agentività (agency) da parte dei
colonizzati nel processo di costruzione e di reiterazione del discorso orientalista.
I paradigmi orientalisti, basati su supposte identità dicotomiche tra Oriente e Occidente,
subiscono un processo di introiezione da parte della classe intellettuale indiana e
vengono usati come arma dialettica o contro gli stessi colonizzatori o semplicemente
per la ricerca di un’autodefinizione, ovviamente invertendone le valenze qualitative. Ad
esempio, l’opposizione tra spiritualismo indiano e materialismo inglese, presentata nel
discorso orientalista come prova dell’incapacità dei nativi di sviluppare forme moderne
di società e di stato, viene riproposta dal filosofo-patriota indiano Swami Vivekananda
ma invertita nel giudizio di merito, con l’effetto di innalzare la supposta essenza
spirituale indiana di fronte al mero materialismo occidentale e renderla il baluardo della
specificità nazionale. In altre parole, il processo ideologico alla base della creazione
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della tradizione nazionalista hindu si sviluppa attraverso la contemporanea emulazione e
stigmatizzazione del discorso culturale orientalista, attingendo alla grammatica e al
vocabolario orientalista per creare autonomamente i miti fondativi della nazione hindu.
Tra le fonti d’ispirazione di questo lavoro ci sono proprio le nozioni di Orientalismo e di
discorso culturale; lo studio della ricezione accademica dell’opera Orientalismo mi ha
portato a profonde riflessioni sulle sue implicazioni in India, dato che Said si occupa
principalmente del Medio Oriente. Proseguendo nello studio, la scoperta del vivace
dibattito post-coloniale indiano e degli studi subalterni ha fatto sì che riuscissi a
ridimensionare la portata del testo di Said e ad approfondire la contestualizzazione di
queste teorie in India. Punto di svolta nel mio personale percorso di studio è stato il
riconoscimento della necessità di considerare il discorso culturale orientalista in chiave
dialogica, evitando di ricadere in una sorta di “Orientalismo di ritorno”, dove il soggetto
è unicamente il colonizzatore, mentre al colonizzato spetta solo il mero ruolo di oggetto.
Bisogna anche evitare di considerare il colonizzato come il ricevente (recipient) passivo
della modernità e di concetti come ‘nazione’ e ‘nazionalismo’, considerati in modo
semplicistico ed eurocentrico come prerogativa unicamente occidentale. Infine,
l’esistenza e la recente affermazione politica del Nazionalismo Hindu ha instillato in me
la volontà di comprenderne le origini, per cercare di capire come mai un nazionalismo
culturale con caratteristiche fondamentalistiche, avverso all’alterità e al secolarismo,
abbia potuto attecchire così profondamente in un paese considerato, ad una lettura poco
approfondita, come il baluardo della democrazia laica, intesa come rispetto delle
diversità e delle specificità culturali e religiose.
Obiettivo di questo studio è passare in rassegna alcune definizioni di identità indiana
proposte nel tardo periodo coloniale da intellettuali indiani organici alla corrente
nazionalista hindu dei primordi, alla luce di ciò che si può definire “Orientalismo
internalizzato”, al fine di mostrare come l’essenzialismo e il primordialismo del
Nazionalismo Hindu, elementi cardine del processo di invenzione della tradizione,
vengano costruiti a seguito del confronto con il discorso culturale orientalista, che viene
filtrato e reinterpretato strumentalmente per rendere intellegibili le istanze nazionaliste e
ottenere legittimazione. Perciò questo studio, ascrivibile alla tradizione storiografica
della storia delle idee, metterà in atto una metodologia teorica ed ermeneutica, cercando
di trarre spunto dalle recenti ricerche degli studi post-coloniali per rileggere i testi di
10
alcuni intellettuali indiani alla luce di concetti cardine quali l’ibridità
4
(hibridity) e il
mimetismo
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(mimicry), adatti a comprendere le dinamiche tra Orientalismo e il nascente
Nazionalismo Hindu in epoca coloniale.
A tal fine, il primo capitolo sarà necessariamente dedicato alla preliminare
contestualizzazione storica e alla presentazione dei fondamenti teorici utili
all’argomentazione della tesi, partendo dallo scenario storico-politico tardo coloniale,
prestando attenzione alla connivenza (più o meno consapevole) del Raj nel processo di
creazione dell’identità hindu, per poi fornire un quadro sulla corrente del Neo-Induismo
e sulle origini del Nazionalismo Hindu; infine si introdurranno gli strumenti teorici, a
cominciare da Orientalismo di E. Said, con particolare attenzione alla specificità indiana
e al potenziale rischio di “Orientalismo di ritorno” insito nell’opera ed evidenziato da
alcuni critici, per proseguire con alcuni indirizzi degli studi post-coloniali utili
all’argomentazione dei rapporti ideologici tra colonialismo e Nazionalismo Hindu,
come le nozioni di ibridità e mimetismo.
Successivamente, nel secondo capitolo, si entrerà nel merito dei paradigmi orientalisti
presentati da diversi attori coloniali. Questi elementi del discorso culturale orientalista
verranno divisi in due categorie a seconda della reazione che suscitarono tra gli
intellettuali indiani in esame: si analizzeranno prima gli stereotipi diventati talmente
egemoni da essere poi introiettati dai colonizzati e poi si presenteranno dei cenni a
quelli che fecero nascere sentimenti di rivalsa tali da dare avvio alla ricerca della
propria identità con l’obiettivo di sfatarli. Perciò, per la prima categoria si parlerà della
dicotomia materiale/spirituale e della moderna creazione del sistema religioso induista,
processo definito “semitizzazione” dell’Induismo dalla storica indiana Romila Thapar
6
,
per concludere con il mito degli Ariani e la cosiddetta Età dell’Oro, uno dei discorsi più
prolifici e fonte di numerose controversie storiografiche, anche in epoca
contemporanea. La seconda categoria di miti orientalisti, in cui rientrano tutti quei
discorsi in cui i nativi erano strumentalmente definiti inferiori per giustificare la
presenza colonialista, comprenderà l’assenza di unità indiana e quindi l’incapacità di
autonomia politica, la mancanza di senso della storia e l’effeminatezza dei nativi.
Nel terzo capitolo, si delineerà il fulcro della tesi perché si esporranno le risposte dei
4
H. K. Bhabha, I luoghi della cultura, Meltemi, Roma, 2001.
5
Ibidem.
6
R. Thapar, “Syndicated Moksha?”, Seminar, 313 (1985), pp. 14-22.
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nativi ai discorsi orientalisti presentati precedentemente, attraverso l’analisi di alcuni
scritti di intellettuali indiani, quali il già citato Swami Vivekananda, Dayananda
Saraswati, Aurobindo Ghose, Bankim Chandra Chattopadhyay, Vinayak Damodar
Savarkar e altri. Tali risposte andranno a formare il nucleo teorico e ideologico del
nascente Nazionalismo Hindu, argomento della successiva sezione. Infatti, nel quarto
capitolo si studieranno alcune delle strategie ideologiche di questa corrente del
nazionalismo che reinterpretarono la grammatica orientalista e ne strumentalizzarono i
contenuti a fini propagandistici. Si analizzerà la politicizzazione della religione e
dell’identità con la costruzione dell’ideologia dell’Hindutva (‘Induità’), la rilettura
storiografica della tradizione e la demonizzazione dell’alterità religiosa, in particolare
musulmana. Si concluderà, nel quinto capitolo, con una disamina di alcune posizioni
teoriche scevre dal processo di assimilazione/differenziazione presentato e che mostrano
risposte diverse alla ricerca dell’identità indiana, grazie ai contributi di intellettuali
fondamentali per la storia nazionalista indiana, cioè Rabindranath Tagore, Jawaharlal
Nehru e Bhimrao Ramji Ambedkar. Si è scelto di non occuparsi della figura di Gandhi
perché viene giudicata a sé stante e perciò meritoria di una trattazione più articolata,
dato che combinò in un personale linguaggio politico il senso ecumenico di comunità
nazionale inclusiva e rispettosa delle differenze e il ricorso strumentale ad una
simbologia hindu, evidentemente per avvicinare il popolo al suo messaggio strettamente
politico.
Sfortunatamente, è necessario ammettere i limiti di tale studio, dovuti principalmente
alla difficile reperibilità delle fonti, primarie ma anche secondarie, nel panorama
bibliotecario italiano, elemento che mi ha costretto a circoscrivere il lavoro, ma allo
stesso tempo mi ha portato a considerarlo come un’introduzione teorica a questi temi,
fonte d’ispirazione per un approfondimento di ricerca, accademica e sul campo, da
perseguire nella mia carriera futura.