1. Introduzione
Volendo trattare del territorio lanzese, si riscontra la scarsità degli studi dedicati a
questo territorio, tale mancanza, che riguarda anche ricerche specifiche sull'arte delle
valli, spinge quindi a cercare altre fonti che possano servire ad orientarsi nella
quantità di testimonianze artistiche che caratterizza il nostro paese. A svolgere questo
ruolo guida sono state le visite pastorali particolarmente utili soprattutto grazie alla
loro estensione territoriale e cronologica: tra il XVI e il XVIII secolo per ben otto
volte infatti le valli di Lanzo furono oggetto delle visite pastorali che registrarono in
maniera più o meno dettagliata lo stato delle chiese del territorio. Tra queste la visita
del 1769 dell'arcivescovo Rorengo di Rorà presenta un'inusuale abbondanza di
giudizi sulle pale d'altare da lui viste, soprattutto in confronto alla quasi totale
assenza di queste osservazioni nelle altre visite. Nella mancanza di ulteriori punti di
riferimento e notata la peculiarità della visita Rorengo, essa è emersa come traccia
principale per la conoscenza della storia delle chiese locali.
Dato l'alto numero delle chiese viste e descritte in questi documenti (che furono
quattordici nel Cinquecento, nel Seicento venti e nel Settecento furono viste ben
ventitré), sono stati selezionati quattro casi di studio tra quelli emersi come i più
significativi dalla lettura della visita dell'arcivescovo Rorengo. Le chiese scelte sono
quelle di San Nicolao a Coassolo, dei Santi Nicolao e Grato ad Ala di Stura, dei Santi
Filippo e Giacomo a Chialamberto e San Martino a Viù. Queste chiese sono casi
interessanti in tal senso, in quanto la visita segnala una serie di pale d’altare
considerate di particolare qualità. Su ventisette altari presenti all'epoca della visita in
queste chiese ne vengono commentati positivamente ben undici, di questi otto erano
conservati nelle chiese di Coassolo e Viù. La maggior parte delle pale di questi altari
è descritta come “elegante”, termine che si incontra tutte le volte che viene espresso
un commento positivo sulle pale, oltre ai giudizi di qualità in tre casi Rorengo
esprime una valutazione cronologica.
Per quanto riguarda la documentazione, quello di Coassolo risulta essere, data
la generale scarsità di documenti, il caso forse più fortunato; oltre ad avere
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conservato quasi inalterato il suo aspetto settecentesco, i molti documenti conservati
nell'archivio comunale e l'interesse di uno studioso quale Cavallari-Murat forniscono
buone basi di partenza. Quella dei Santi Nicolao e Grato è invece rimasta immutata
dalla visita del 1769 e conserva ancora sia l'aspetto esterno che gli ornamenti interni
inalterati, a tale realtà si somma una certa quantità di notizie sulla chiesa stessa
provenienti da molte fonti e una situazione degli archivi comunale e parrocchiale più
incoraggiante che altrove. La chiesa dei Santi Filippo e Giacomo di Chialamberto
conserva opere su cui Rorengo non esprime solo un giudizio qualitativo ma ne
segnala anche l'antichità o la modernità. Nonostante tali giudizi e l'inalterato assetto
interno, gli studi e le guide sulle valli non trattano mai di tale chiesa e i documenti
conservati forniscono ben poche informazioni. Infine quella di San Martino a Viù
pare forse la più prestigiosa delle valli per la vastità della costruzione, il numero e la
qualità degli altari (è l'unica chiesa che ospita pale definite ottime), ma, al contrario
delle tre precedenti, non conserva più nulla di quanto poté vedere l'arcivescovo Rorà
ed anche in questo caso gli archivi hanno potuto fornire scarsissime informazioni
sulla più grande chiesa delle valli di Lanzo.
Nella maggior parte dei casi, il tentativo di contestualizzare con ulteriori prove
documentarie le opere toccate dalla visita del 1769 e l'indagine negli archivi locali è
risultata poco significativa, sia per lo stato in cui versano tali archivi che per la scarsa
documentazione trovata. È stato comunque tracciato un breve profilo delle loro fasi
di costruzione e decorazione per quanto si è potuto ricostruire. Nei tre casi delle
chiese di Coassolo, Ala di Stura e Chialamberto è stato possibile, come si è detto,
confrontare le informazioni emerse dai documenti con quanto ancora è conservato in
loco. Per quanto riguarda San Martino a Viù, l'unica fonte di conoscenza del suo
passato aspetto restano le evidenze documentarie. Il confronto con le opere ancora
conservate ha permesso di rilevare come i giudizi positivi del Rorà non siano rivolti
ad opere eccellenti ma ad opere di buona esecuzione.
Delle diciotto chiese parrocchiali delle valli di Lanzo visitate da Rorengo nel
1769 ben sette conservano uno o più altri dotati di “icone” eleganti e tre sono quelle
contenti pale giudicate antiche (oltre a Coassolo viene segnalato un altare nella
chiesa parrocchiale di Lemie e uno in quella di Bonzo), l'unico caso di dipinti
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descritti come recenti è invece quello di Chialamberto; non solo sono quindi molti gli
altari ben valutati dal Rorà all'interno delle chiese qui trattate ma sono anche molte le
altre chiese del territorio in cui individua pale degne d'interesse. Va notato però che
nonostante siano sette le chiese in cui il Rorà individua pale di qualità, dei quattordici
altari che definisce eleganti ben dieci si trovano nelle quattro chiese qui esaminate, e
otto, più della metà, nelle sole chiese di Viù e Coassolo. Complessivamente su
diciotto chiese sono descritti centouno altari, di questi ne sono definiti eleganti
quattordici, contenuti in sette chiese, tre sono detti antichi, tutti in chiese differenti,
due recenti in quella di Chialamberto e due ottimi in quella di Viù.
La necessità di circoscrivere i casi da indagare ha fatto sì che ci si concentrasse
su quelli che sono risultati maggiormente interessanti dalla lettura della visita del
1769, sono dunque rimaste fuori da questo lavoro tutte le altre testimonianze
segnalate da Rorengo. Un'analisi estesa a tutto il territorio lanzese permetterebbe di
inquadrare le testimonianze qui analizzate e forse di chiarire se i fenomeni riscontrati
in queste chiese siano comuni a tutte le valli o se siano invece casi isolati.
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2. Lanzo e le valli e il Piemonte
I territori di Lanzo e delle sue valli fanno parte dei possedimenti sabaudi fin dalla
loro formazione. La loro storia è sempre stata legata a quella di Torino a cui sono
geograficamente vicini e molto legati per amministrazione e vita economica. Inoltre,
le parrocchie di queste valli sono sempre state di pertinenza della diocesi torinese. Al
contrario quindi dalla maggior parte dei territori che oggi compongono il Piemonte,
queste valli non subirono continui cambiamenti di confine e di amministrazione.
In origine la maggior parte dei possedimenti dei Savoia si estendeva in territori
oggi francesi, le terre al di là delle alpi, progressivamente però iniziarono ad
acquistare sempre più terreni al di qua dei monti. Intorno al 1416, anno della
concessione del rango di ducato ai loro domini, la maggior parte dei possedimenti dei
Savoia si trova ancora al di là dei monti ma i territori piemontesi sono più popolati e
più ricchi, e vanno quindi assumendo una maggiore importanza politica
1
. Infatti
quando nel 1572 Torino divenne la sede stabile della corte sabauda e assunse
ufficialmente il ruolo di capitale, venne in realtà sancita una situazione di fatto, data
l'importanza assunta da tempo da questi territori che costituivano il cuore pulsante
del ducato, nonostante i domini oltremontani fossero ancora l'area più consistente del
dominio dei Savoia.
Dalla formazione del ducato, e per i successivi tre secoli, le frontiere
piemontesi furono profondamente instabili. Il ducato sabaudo era circondato dai
marchesati di Saluzzo, esteso tra le valli del Po e del Gesso e il cuneese occidentale,
che sarà annesso dai francesi nel 1548 e conquistato da Carlo Emanuele di Savoia nel
1589, e del Monferrato, che andava dalla pianura vercellese all'Appennino ligure,
comprendendo Casale, Crescentino, Alba e Acqui. Confinava inoltre coi territori
genovesi e col ducato milanese. Il ducato dei Savoia aveva inoltre il controllo dei
porti di Nizza e Oneglia incuneati in territorio straniero
2
.
Questa condizione fece sì che molte città si trovassero in pratica ai confini del
ducato con conseguenze sulla loro vita nei lunghi periodi di guerra che impegnarono
1 A. Barbero, Storia del Piemonte. Dalla preistoria alla globalizzazione, Torino, 2008, p. 159.
2 P. Cozzo, La geografia celeste dei duchi di Savoia. Religione, devozioni e sacralità in uno Stato di
età moderna (secoli XVI-XVII), Bologna, 2006, p. 90.
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il ducato
3
. Oltre alle guerre con gli stati confinanti, il Piemonte sarà infatti anche
teatro delle guerre tra Francia e Spagna che si scontreranno qui per tutti i tre secoli.
Fino al 1713 i confini e il possesso dei territori fu quindi instabile e soggetto a
rapidi stravolgimenti, l'intero stato è occupato più volte e spesso, anche quando sono
i Savoia a controllarlo, molte città restano in mano a guarnigioni straniere anche per
lunghi periodi. Dopo il 1713, col trattato di Utrecht, i confini piemontesi risultano
molto semplificati e il nuovo regno godrà di un periodo di stabilità che sarà quasi
ininterrotto fino alla rivoluzione francese e alla conseguente breve annessione del
territorio alla Francia
4
.
In questo quadro le valli di Lanzo passarono un periodo di stenti e privazioni a causa
dell'incessante stato di guerra della regione; al tempo stesso esse non furono teatro di
grandi avvenimenti perché erano relativamente lontane dai confini del ducato e non
costituivano una delle principali vie di collegamento attraverso le alpi. La vita
economica delle valli in quest'epoca gravitava intorno a Torino, lì i montanari
avevano monopolizzato i mestieri itineranti e stagionali, in particolare i lanzesi
svolgevano i mestieri di servitori, facchini e brentadori
5
. Essi lavoravano in città ma
pagavano le tasse in montagna dove avevano spesso una casa e un po' di terreno,
questo sistema permetteva alle comunità montane di mantenersi popolose e tutt'altro
che povere. Lo stretto legame che univa queste valli alla città è confermato dalla
prassi di ricercare le maestranze non presenti nel paese in Torino, come nel caso dei
doratori o degli ingegneri
6
.
Dal punto di vista dell'amministrazione ecclesiastica, alla complessa situazione
politica del territorio, si sommava una situazione giurisdizionale complicata per la
diversità delle province: la Savoia, Nizza e Aosta sono paesi che seguono gli usi
gallicani, in Piemonte vigono gli usi d'Italia, tranne che a Pinerolo che si regola
secondo le libertà della chiesa gallicana, ad Alessandria, Novara e Tortona, città che
per lungo tempo rimasero sotto il controllo milanese, l'inquisizione ha invece
addirittura proprie carceri ed una fitta rete di agenti autorizzati a fare arresti, ancora
3 P. Cozzo, 2006, p. 92.
4 A. Barbero, 2008, p. 210.
5 A. Barbero, 2008, p. 264.
6 Si veda ad esempio il caso della facciata della chiesa di San Nicolao di Coassolo.
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