1. Prefazione
1.1 Scopo e obbiettivo dello studio
Nel panorama italiano delle riforme amministrative degli ultimi vent’anni
emerge, ad oggi, il mancato raggiungimento degli obbiettivi annunciati oltre ad
una grande confusione sia per i mezzi normativi scelti che per le modalità con cui
sono stati coinvolti i diretti interessati (amministratori e dipendenti pubblici
locali). Per tali motivi è sembrato utile un breve percorso comparativo con quegli
Stati Europei a noi più vicini sia per la comune storia del diritto amministrativo
(Francia) sia per l’attuale peso nella Comunità Europea (Germania). Focalizzate
le situazioni e le esperienze francesi e tedesche passiamo ad analizzare la
situazione italiana ripercorrendo l’esperienza di cinque piccoli comuni Toscani
che, ligi al rispetto delle norme e delle riforme, si sono subito gettati
nell’applicare le riforme rispettando un obbligo formale che con il passare del
tempo, viste le continue incertezze, le modifiche normative e le proroghe dei
termini, sono state causa di confusione e appesantimenti dei processi, rendendo di
fatto impossibile il raggiungimento dell’obbiettivo prefissato .
Quello che storicamente stanno vivendo i Comuni in Italia è un processo iniziato
negli anni ’60 quando apparve evidente che le piccole autonomie locali non erano
più in grado di essere competitive nell’erogazione di servizi i cui parametri
qualitativi e quantitativi crescevano continuamente. La crescente professionalità
richiesta ai pubblici dipendenti per svolgere le funzioni, la specializzazione
obbligata a fronte di una crescente difficoltà nel districarsi tra le tante norme
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erano problemi evidenti e su cui un piccolo Comune non era assolutamente in
grado di intervenire da solo, atteso che le sue economie di scala non
permettevano di ammortizzare adeguati interventi che richiedevano investimenti
e costi elevati. Non si deve neanche dimenticare, sebbene non sia materia di tale
scritto, come le migrazioni degli anni ’50 -’70 dalle campagne ai grandi centri
abitati abbiano contribuito a ridurre i cittadini su cui suddividere i nuovi costi,
evidenziando ancora di più le loro difficoltà nel gestire l’aumentata complessità
tecnica della gestione dei Comuni a cui spesso si sono aggiunte nuove
competenze trasferitegli dallo Stato Centrale. Le profonde mutazioni sociali, la
ridefinizione dei rapporti tra enti confinanti dovuto alla crescente mobilità dei
cittadini, i principi dell’economia di mercato sempre più invadente, l’aumentata
concorrenza con la scomparsa delle tutele localiste per l’ingresso nel mercato
unico europeo, sono sfide ancora oggi non superate dai nostri enti locali.
1.2 Metodologica applicata
Questo breve trattato, partendo dai percorsi messi in atto nei diversi territori
europei presi ad esame, vuole evidenziare quali siano stati i punti di debolezza e
di forza di ciascuno senza tralasciare il punto di vista dell’architettura normativa
e senza perdere di vista anche un approccio sociologico, pur chiarendo che non si
tratta di uno studio sociologico.
Le Istituzioni, con le norme di diritto, definiscono i confini dei comportamenti
sociali legittimi, e con esse influenzano la percezione, le scelte e le strategie degli
attori. Nel contesto delle inter municipalità, ad esempio, presumiamo che gli
attori pubblici e privati siano razionalmente orientati verso un obbiettivo preciso
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seguendo e applicando le regole del gioco prestabilite. Rilevanti pertanto sono sia
i formanti normativi che quelli sociali relativi all’orientamento delle politiche di
cooperazione sia per come sono rappresentate all’interno delle norme vigenti, sia
per come vengono rappresentate, e percepite, nella realtà quotidiana. I fattori
sociali, economici, demografici, culturali e dello sviluppo tecnologico influiscono
su livelli diversi:
-Nel contesto Istituzionale delle norme vigenti sia a livello Europeo che
Nazionale e poi della specifica normativa della cooperazione intercomunale;
-Nel disegno istituzionale della cooperazione per il grado di cooperazione
previsto e per le modalità di rappresentanza politica prevista;
Infine , non meno importanti, sono gli effetti reali e percepiti dai cittadini sui
servizi erogati e misurabili in termini di Efficacia, Efficienza e Democraticità.
Un altro elemento da tener presente è la comune origine storica del sistema
amministrativo italiano e francese. L’ origine Napoleonica dell’impianto
amministrativo fa si che si evidenzi spesso un rapporto antagonistico nelle
relazioni Stato-Società con un fondante legale-tecnocratico, situazione diversa
dai paesi dell’area Germanica dove la relazione Stato -Società è molto più
organica e fondata su una policy legale-corporativistica.
2. I principali sistemi europei locali nei territori di tradizioni “civil law”
2.1 Enti locali
La posizione degli enti locali si può considerare centrale nella storia della
pubblica amministrazione europea e se ne ha la conferma con il frequente
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riconoscimento a livello costituzionale (1831 Francia – 1948 Italia – 1949
Germania). Questo però non deve ingannare perché se è vero che tutti gli Stati
Europei hanno sottoscritto la Carta Europea delle autonomie locali
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, di fatto le
differenze tra le architetture amministrative sono molto più evidenti delle
similitudini.
Ad esempio il numero medio di popolazione per un Comune Francese è di 1600 e
oltre il 75% dei Comuni Francesi hanno meno di 1000 abitanti. Completamente
diversa la situazione in Gran Bretagna dove la media di abitanti raggiunge i
130mila. In Italia la media è di circa 7500 abitanti per Comune mentre in
Germania per 11.334 Comuni abbiamo mediamente 7.213 abitanti.
Una possibile classificazione delle diverse architetture amministrative parte da
due concetti opposti:
- Un governo locale inteso come una comunità che partecipa alla vita e alle scelte
politiche;
- Un governo locale meramente inteso come erogatore di pubblici servizi vicino al
consumatore;
Nel Sud Europa (Francia-Italia- Spagna) è preponderante il concetto di comunità
che partecipa alla organizzazione politica dell’ente, nel Nord Europa (Norvegia,
Danimarca e Svezia) è preponderante il concetto di governo locale inteso solo
come erogatore di servizi. Le divere visioni hanno effetti anche sulla suddivisione
della spesa pubblica, si noti che nel sud Europa la spesa dei Comuni non supera il
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ETS 122 – Local Self-Government, 15.X.1985 - La Carta europea dell’autonomia locale è stata proposta dalla Conferenza dei
poteri locali e regionali del Consiglio d'Europa nel 1981 e, dopo un lungo negoziato, poi aperta alla firma degli stati membri del
Consiglio d’Europa il 15 ottobre 1985. È stata firmata da tutti gli stati membri del Consiglio
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15% della spesa nazionale complessiva, mentre nel nord Europa arriviamo al 40%
del totale
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.
Anche il principio di tutela delle autonomie locali non è inteso e applicato
uniformemente, emergono diverse modalità applicative sia del principio di tutela
sia per i diversi tipi di autonomia previsti. Se in Germania gli enti locali si
relazionano con i governi regionali e non con il governo centrale in Spagna
esistono divere categorie di municipalità. La previsione normativa francese ,
inserita nella costituzione, che i comuni hanno una competenza generale ha avuto
un impatto molto limitato nella realtà almeno fino a quando le decisioni locali
erano soggette alla supervisione amministrativa e le riforme del 1982, come
vedremo in seguito, pur avendo rafforzato l’autonomia dei comuni hanno fatto
emergere anche il limite nell’esercitarla per mancanza di competenze e risorse
appropriate.
Se i paesi nordici sono riusciti in forme di aggregazioni territoriali consistenti, nel
sud dell’ Europa le resistenze sono state (e sono) notevoli ma le aggregazione
inter-municipali sono un fenomeno che, seppure in modo diverso per importanza e
grandezza, ha coinvolto tutta l’Europa occidentale.
I motivi per cui si è dato tanto peso alla cooperazione inter-municipale si possono
riassumere in questi elementi:
a.) Governance istituzionale per orientare gli enti al raggiungimento di economie di
scala soddisfacenti;
b.) Raggiungimento dei crescenti standard qualitativi dei servizi pubblici erogati al
minor costo possibile;
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Page, E.C., & Goldsmtih (1987, pag. 157) Centre and locality: Explaining cross national variation
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c.) Migliorare le procedure di esternalizzazione dell’erogazione dei servizi pubblici
riducendo lo spreco di denaro pubblico e rafforzare la capacità degli enti di
affrontare la sempre maggiore complessità del sistema economico;
d.) Mantenere intatta la presenza di un autonomia locale così come storicamente si è
formata e radicata nella cultura europea;
Come vedremo in seguito, uno dei problemi che emerge spesso, è il contrasto tra
la razionalizzazione della governance rispetto al mantenimento e alla
realizzazione dei valori democratici dell’autogoverno locale.
2.2 Francia
a.) Percorso storico
Per tutto il 19° secolo la Francia è stata impegnata nella riforme degli enti locali,
ossia la “décentralisation” . Essa è stata continuamente al centro del dibattito
politico amministrativo, ma non è sempre stato così. Storicamente la Francia ha
avuto percorsi di “centralizzazione” e “decentralizzazione” nel corso dei secoli,
basti pensare alle riforme attuate dal Cardinale Richelieu per portare il potere e il
controllo del territorio a Parigi, sotto il controllo del Re, combattendo quindi la
frammentazione allora esistente per cui ogni Provincia aveva Leggi e Statuti
propri che rispondevano a logiche di potere locale gestito dai possedenti fondiari
(allora i nobili) che impedivano alla neonata economia dei commerci di
svilupparsi. Nacque così la monarchia assolutistica francese, sull’equilibrio tra gli
interessi della nascente classe sociale dei commercianti sempre più influente e i
nobili proprietari terrieri. La rivoluzione del 1789, e subito dopo Napoleone