Mi piacciono i maiali.
I cani ci guardano dal basso.
I gatti ci guardano dall’alto.
I maiali ci trattano da loro pari.
Sir Winston Churchill
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RIASSUNTO
L'allevamento del maiale ha origini antichissime, secondo Bokonyi, il maiale domestico in
Europa fa la sua comparsa durante il periodo Mesolitico (8000-6000 a.C.). E’ probabile che
questi animali, in quell’epoca, fossero attratti dai rifiuti che venivano lasciati in prossimità degli
abitati ormai semi stanziali o forse anche dai campi dove venivano sperimentati i primi tentativi
di coltivazione.
Il periodo storico che però diede più risalto all'allevamento del maiale fu certamente il
Medioevo, dove il maiale assunse un ruolo di primo piano nella vita della popolazione europea,
grazie anche all’estensione delle foreste e all’incrocio tra la civiltà del pane con quella della
carne, si hanno grandi allevamenti allo stato brado di maiali.
Lo straordinario successo storico è stato determinato da vari fattori. In primo luogo, i suini,
sono straordinariamente prolifici, crescono rapidamente di peso e realizzano il massimo del
rapporto fra investimento nell’allevamento e resa; essendo onnivori sono una formidabile
fabbrica di proteine e non sottraevano alcun tipo di risorsa importante agli umani.
L’altra peculiarità dell’allevamento suino è data dal fatto che in Occidente, fino quasi alle soglie
della modernità, il maggiore produttore di carne fu il maiale. La carne di maiale si presta a
molte preparazioni, ecco perché fa parte dei consumi alimentari dalla preistoria ai giorni nostri.
Il maiale, diventa il salvadanaio della famiglia contadina: si compra a un buon prezzo un
porcellino da pochi chili, lo si alleva, lo si alimenta e dopo pochi mesi si ottiene più di un
quintale di carne, grasso, frattaglie e ossa da mangiare subito e da conservare per tutto l’anno.
Quello che noi oggi riconosciamo come "il maiale" però è ben lungi da essere il maiale
conosciuto nel Medioevo. Il suo aspetto era ancora molto selvatico e ai nostri occhi moderni
apparirebbe come più un cinghiale che un suino, venivano allevati allo stato brado e non
superavano gli 80 kg.
L’importanza rivestita dal maiale durante il Medioevo può essere dimostrata anche dal fatto che
la superficie delle foreste veniva misurata in “porci” e il mestiere del porcaro aveva un valore
molto alto.
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Il maiale e lo speck sono una combinazione di successo, una valida testimonianza è l’Alto
Adige. Gli estesi querceti del Tirolo e i boschi lungo l’Adige hanno permesso l’ingrassamento di
branchi di maiali che costituivano l’unica possibilità soprattutto per gli strati sociali più poveri di
vedere servito in tavola, soprattutto nei mesi invernali, un pezzettino di carne o di grasso, fonte
calorica indispensabile da utilizzare con parsimonia.
L’Alto Adige è un territorio a contatto con due grandi aree culturali, punto di congiunzione tra
nord e sud, tra il clima mite mediterraneo e le fresche temperature alpine. Si è così sviluppato un
metodo di produzione tipico, un connubio tra il procedimento usato a Nord delle Alpi e quello a
Sud, una vera simbiosi che rende lo Speck dell’Alto Adige unico e inconfondibile.
Nel metodo in uso nelle regioni mediterranee, alla coscia di maiale intera si sottrae l’acqua
impiegando il sale ed esponendola all’aria. Grazie al sale si estrae l’acqua contenente i batteri
che possono causare il deteriorarsi della carne senza modificare il sapore della materia prima.
Con il metodo nordeuropeo, invece, la carne cruda viene conservata attraverso la salatura,
aromatizzazione e affumicatura. Procedimento riconducibile al fatto che, nei paesi nordici,
durante i lunghi e freddi mesi invernali, il fumo era costantemente presente nelle case contadine.
Inizialmente lo speck veniva prodotto dalle singole famiglie contadine. In seguito la produzione
si è sviluppata prima a livello artigianale, con i macellai di paese, e negli anni sessanta a livello
industriale. Lo Speck Alto Adige IGP deve il suo carattere inconfondibile al metodo di
lavorazione tradizionale: "poco sale, poco fumo e molta aria fresca". Il disciplinare di
produzione prevede un’affumicatura leggera della coscia salata di maiale, una stagionatura
media di 22 settimane e un contenuto di sale non superiore al 5% nel prodotto finale.
Il Consorzio Speck Alto Adige IGP nato nel 1980 s’impegna costantemente a rappresentare gli
interessi dei produttori di speck attraverso vari strumenti come la strategia di qualità, difesa del
marchio ed iniziative promozionali.
Dentro e fuori dall’Alto Adige si producono altre varianti di speck, che non hanno però il
riconoscimento IGP pur essendo molto gustose: lo Speck prodotto in Valle d’Aosta (ReinHold
Speck), lo Speck Alto di Fesa di Montagnana, lo Speck di Sauris (Udine) e lo Speck di Asiago.
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Analizzando le fonti storiche è apparso come già nella seconda metà dell’ottocento nel territorio
di Trento, l’allevamento di suini fosse importante, una notevole fonte di guadagno accessorio per
le popolazioni autoctone. Nei documenti esaminati si trovano indicazioni precise
sull’allevamento razionale, sulle malattie, sulle razze e sui mercati e fiere di settore.
La sua importanza viene attestata anche dall’arte, specie nelle cattedrali e con le raffigurazioni
del calendario dei lavori. Nei calendari figurati medievali, in cui per ogni mese viene scelta
un’immagine particolare a rappresentare l’attività lavorativa più rilevante del periodo, largo
spazio è riservato all’allevamento e all’uccisione del porco, per lo più nei mesi, di Novembre e
Dicembre.
La più grande sciagura per il maiale, secondo George Orwell è stata quella di incontrare l’uomo,
di cui ha consumato avanzi e rifiuti e al quale ha donato in cambio ogni briciola del suo corpo,
fino all’ultima setola.
Molto interessante appare il Testamentum Porcelli, un testamento molto singolare dell’animale
che per gusti, sapori, nobiltà e versatilità, meglio rappresenta lo stretto e continuo legame fra il
passato remoto ed i tempi moderni.
Come si è potuto notare, il maiale ha seguito di pari passo tutte, o quasi, le evoluzioni della
società umana in quanto ha visto modificare il proprio sistema di vita passando dal pascolo
brado all’allevamento confinato all’interno del podere. Dagli anni 1950 e ’60 gli allevamenti dei
suini sono passati dallo stato artigianale a quello prettamente industriale.
Oggi usiamo il termine porco per offendere o per identificare ciò che è disprezzabile,
dimenticando che questo animale ci regala autentici gioielli come il prosciutto, lo speck la
mortadella, lo zampone, il salame, la pancetta, la soppressata e altre innumerevoli cose, tutte
saporitissime.
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INTRODUZIONE
Il maiale è stato oggetto di disprezzo, segno e metafora dell’abiezione e della bestialità, vittima e
allo stesso tempo compagno dell’uomo nel corso della storia. Al tanto disprezzato porco, più che
al cane, bisognerebbe conferire la medaglia di “migliore amico dell’uomo”, posto che
l’interessato possa considerare amico il suo – è il caso di dirlo – “carnefice”. Il porco è la
metafora della nostra civiltà, dove termina l’area del maiale, termina la cultura occidentale. Il
trionfo del porco si scioglie in un tragico paradosso: il suo bene coincide con la sua fine!
Il legame del suino con la società umana è una storia millenaria. Oggi il rapporto uomo-maiale è
stato completamente assorbito dagli allevamenti intensivi, dall’industria della trasformazione e
dalla GDO (Grande Distribuzione Organizzata).
Lo scopo della mia tesi è l’analisi dell’importanza del maiale nel corso della storia umana fino ai
giorni nostri e l’analisi di uno dei tanti prodotti, lo Speck Alto Adige IGP, che viene ricavato da
questo animale generoso.
La mia ricerca è partita da queste domande: “Chi è il maiale? Qual è stato il ruolo del maiale nel
corso della storia? Perché il maiale viene colpito dalle interdizioni in alcune religioni?
L’importanza della carne di maiale ieri e oggi? Differenza tra lo speck, lo Speck Alto Adige IGP
e il Bauernspeck Alto Adige?”
A queste domande si sono susseguite tante altre, che hanno trovato risposta nel materiale
bibliografico che ho analizzato. La ricerca è partita dalla Biblioteca Internazionale di Vicenza
“La Vigna”, passando per il Museo degli usi e costumi della gente Trentina e la sua Biblioteca a
San Michele all’Adige, la biblioteca Tito Livio e la biblioteca di Storia dell’Università degli
Studi di Padova e dai numerosi libri forniti da Prof. D. Gasparini.
Per quanto concerne lo speck, le fonti in italiano sono davvero poche, in quanto grande parte
della bibliografia è in lingua tedesca; di fondamentale aiuto è stato il Consorzio Speck Alto
Adige IGP, che mi ha fornito il materiale necessario per svolgere la ricerca e i disciplinari di
produzione e per le materie prime.
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CAPITOLO 1
1.1. ORIGINE DEL SUINO E LE SUE CARATTERISTICHE
Il maiale domestico (Sus scrofa domestica) è un mammifero appartenente all’ordine degli
artiodattili non ruminanti (famiglia suidi), che si ritiene derivato da almeno due specie di suidi
selvatici: Sus scrofa, il cinghiale, che, incrociato col maiale, da animali fertili, e Sus vittaus. Il
Sus scrofa è diffuso in tutta Europa, nell’Asia settentrionale fino alla Siberia, e in Africa
settentrionale, il Sus vittaus è originario dell’Asia sud-orientale. I suini asiatici sono più piccoli e
prolifici da quelli di stirpe europea. Per questo motivo il tipo asiatico è stato utilizzato a più
riprese per aumentare la prolificità e la precocità dei maiali autoctoni.
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L’origine comune del maiale domestico dal cinghiale selvatico (Sus Scrofa), con più di venti
sottospecie, si colloca in un’area amplissima che in Occidente si estende dalle isole britanniche
al Marocco e in Oriente dal Giappone alla Nuova Guinea. Dove avvenne la prima
domesticazione è incerto, ma gli scavi archeologici (circa 7.000-5.000 a.C.) si concentrano nel
Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale: Palestina, Iraq, Turchia, Grecia. Il ritrovamento più
antico, nel 1964 a Cemi, alle pendici della catena del Taurus, nella Turchia Sud-orientale, risale
all’8.000 a.C. circa.
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A. Paolillo, in Caro amico porco, scrive che, secondo Bokonyi, il maiale domestico in Europa fa
la sua comparsa durante il periodo Mesolitico (8000-6000 a.C.). E’ probabile che questi animali,
in quell’epoca, fossero attratti dai rifiuti che venivano lasciati in prossimità degli abitati ormai
semi stanziali o forse anche dai campi dove venivano sperimentati i primi tentativi di
coltivazione.
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La più grande diffusione dell’allevamento del maiale si ebbe nel Medioevo. La produzione di un
certo surplus alimentare e la possibilità di conservazione di certi prodotti permisero una crescita
demografica e l’espansione di nuclei insediativi; ecco che, il maiale, come gli altri animali
domestici contribuì alla stabilità di nuovi modelli economici e caratterizzò la cultura contadina e
la civiltà urbana.
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1.2 IL MAIALE NELL’ECONOMIA E NELL’ALIMENTAZIONE MEDIEV ALE
“Tanta è l’abbondanza di ghiande raccolte nei querceti di pianura, che la maggior parte dei
suini macellati in Italia, per le necessità dell’alimentazione domestica e degli eserciti, si ricava
da quella zona”, scriveva lo storico greco Polibio, verso la metà del II secolo a.C.
L’allevamento avveniva allo stato brado, e così continuò a fare per tutto il Medioevo. L’uso dei
porcili era ridotto al minimo indispensabile: i maiali vi stazionavano solo quando mancava il
cibo nei boschi, o in momenti particolari, come il parto delle scrofe.
Nell’alto Medioevo si assiste a un nuovo originale sistema di produzione e consumo, basato
sulla complicità e sul reciproco sostegno dell’economia agraria e dell’economia silvo pastorale.
La cultura della foresta e dello sfruttamento delle risorse naturali (connaturata al genere di vita e
alla mentalità dei “barbari”), incontra largo successo nei secoli del primo Medioevo. Sfruttare la
foresta diviene un’attività abituale ed economicamente apprezzata; i boschi non sono più
simbolo del non civile e del non umano, diventano dei luoghi produttivi. Solo nel Medioevo il
maiale assunse un ruolo di primo piano nell’economia e nelle abitudini alimentari dell’Italia
padana. Questo cambiamento fu determinato da due fenomeni:
•
le modificazioni del paesaggio, che, con la crisi agricola e demografica iniziata nel II-IV
secolo, vide grandemente estendersi le aree incolte e boschive, adatte all’allevamento brado
dei suini;
•
il progressivo assorbimento dei modi di vita propri delle popolazioni germaniche; decisiva fu
l’invasione longobarda (anno 569), che a poco a poco diffuse consuetudini economiche e
alimentari diverse da quelle romane; fra queste consuetudini, aveva un posto di grande
rilievo l’utilizzo dei boschi per il pascolo dei suini.
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Come afferma M. Montanari, tra il III e IV secolo, i rapporti tra i “barbari” e impero s’invertono;
tra poco la civiltà della carne, del latte e del burro si confonderà con la civiltà del pane, vino e
olio. Anche i “barbari” coltivavano e consumavano i cereali e anche i romani allevavano e
consumavano carne.
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Il regime alimentare era caratterizzato dalla varietà delle risorse e dei generi consumati: varietà
da cui, scaturirono una relativa sicurezza e un sostanziale equilibrio della dieta quotidiana per la
maggior parte della popolazione. I frutti della terra (cereali, legumi, ortaggi) sono ampiamente
integrati da quelli forniti dalle risorse dell’incolto (selvaggina, pesce, bestiame allevato nelle
radure e nei boschi).
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BOSCHI E MAIALI
Il paesaggio è profondamente stravolto fra VI e X secolo: l’agricoltura appare regredita, l’incolto
occupa mediamente dal 25 al 50% della superficie complessiva di proprietà grandi e piccole, c’è
un avanzamento forte, anche in pianura, dell’incolto, della selva, della palude, del pascolo
naturale; le città sono fortemente decadute e la popolazione complessiva è calata parecchio.
Come afferma M. Montanari, ”il contadino dell’alto Medioevo non era solo un contadino: era
anche cacciatore, pescatore, allevatore”.
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Tutto ciò condusse all’instaurazione di un sistema
economico e sociale, che - diversamente dall’economia commerciale e monetaria dell’impero,
centrata sulle città e compresa in uno stato universale - si fondava su piccole autorità regionali e
locali, sulla prevalenza della campagna, sullo scambio e sull’autoconsumo. Un sistema
economico e produttivo, quello altomedievale, nel quale “il settore di gran lunga più produttivo
era quello silvo-pastorale” (M. Montanari).
In questo contesto, tutto apparentemente negativo, per quanto riguarda l’alimentazione delle
masse contadine è invece il caso di dire “si stava meglio quando si stava peggio”. Nel senso che
la crescita di spazi incolti e la diminuzione della popolazione misero a disposizioni quantità
enormi e di maiali – che rimasero la principale fonte di carne – e di altre proteine animali
ricavate dalla caccia e dalla pesca.
Nei documenti, la silva fructuosa per antonomasia era quella glandifera, la cui estensione si
calcolava in numero di maiali (silva ad incrassandum porcos), che veniva accuratamente
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4
M. Baruzzi e M. Montanari, Porci e porcari nel Medioevo. Paesaggio, Economia, Alimentazione, Bologna 1981,
pp. 13-15
5
J .L. Flandrin e M.Montanari, Storia dell’alimentazione, V olume primo, 4.ed., Roma-Bari, Laterza, 2007 pp.
213-218
6
M. Montanari, Il maiale nell’economia e nell’alimentazione medioevali, in Tra Maghe, Santi e Maiali,
L’avventura del porco nelle lettere e nei colori, a cura di AA.VV . P. Scarpi – S. Zuffi, 1 Ed, Claudio Gallone
Editore, 1998 Milano, p. 96
“coltivata”, se così può dirsi di un bosco. Invece, la silva è infructuosa, o altrimenti vulgaris, se
serve solo per il legname.
Ecco l’ingiunzione del vescovo di Modena, datata 1.033, che accompagnava la concessione di
due aree boschive per il pascolo dei maiali: “le querce più grandi siano conservate bene,
migliorate e difese, le querce più piccole siano fatte crescere”.
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“Omnem porro situm ruris pecus hoc usurpat. Nam et montibus et campis commode pascitur,
melius tamen palustribus agris quam sitientibus.”
Nel VII libro del “De re rustica” Columella, afferma che i maiali possono prosperare su ogni tipo
di terreno, sia in montagna che in pianura, ma che le zone umide e i boschi lungo i fiumi sono
particolarmente adatti. Sui terreni paludosi i maiali possono grufolare a piacere e rimpinzarsi di
radici, vermi e via dicendo.
La varietà di queste attività economiche era resa possibile dalla presenza massiccia di aree
incolte; sia i contadini liberi che i coloni dipendenti, avevano la possibilità di utilizzare boschi e
pascoli per praticarvi l’allevamento brado dei suini. Lo sfruttamento collettivo di boschi, pascoli
e paludi, veniva garantito da antichissimi diritti d’uso che costituivano per le libere comunità
contadine la vera base dell’economia. Fino a quando boschi e paludi abbondarono nella valle
padana (fino al X-XI secolo), i grandi proprietari si limitarono a rivendicarne il possesso, senza
escludere ai contadini la possibilità di utilizzarli. Le aree incolte, proprietà di un signore,
rimanevano aperte all’uso comune, dietro il pagamento di una tassa: ad esempio il
“ghiandatico”, consistente in una parte delle ghiande raccolte; o “la decima porcarum”, ossia la
decima parte dei maiali pascolati.
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