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Introduzione
Nella costellazione della letteratura organistica degli ultimi due secoli trova spazio
una specifica produzione per organo e orchestra che assegna allo strumento a canne una
funzione concertante, ossia un importante ruolo solistico in stretta dialettica con un
organico orchestrale di proporzioni piø o meno ampie. Si tratta di un genere poco noto che
tuttavia è giunto a conquistarsi un posto piø che dignitoso nel panorama della musica
strumentale, affermandosi come forma autonoma e sviluppandosi con particolare vigore tra
XIX e XX secolo, premessa per una crescita continuata sino ai giorni nostri. Dalla vastità
dei mezzi coinvolti tale repertorio guadagna aspetti di eccezionale interesse musicale, ma
in conseguenza del grande impegno esecutivo e logistico richiesto è oggi rappresentato ben
di rado nella regolare programmazione concertistica, finendo per essere eclissato da altri
generi di piø diffusa pratica; in ogni caso è fuori discussione che il connubio di orchestra e
organo abbia rappresentato e continui a rappresentare una sfida ricca di fascino per
organisti e compositori. In coerenza con queste premesse, l’obiettivo del presente lavoro di
tesi è duplice: mostrare la vitalità e l’interesse della letteratura per organo concertante, così
poco trattata in sede musicologica, e studiarne lo sviluppo nell’arco temporale compreso
tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, indagando a fondo le ragioni che
ne hanno reso possibile l’affermazione al fine di cogliere in profondità i suoi caratteri
essenziali.
La dissertazione intende quindi caratterizzarsi come strumento critico di
inquadramento e rivalutazione del genere per organo e orchestra attraverso l’esame di
specifici lavori, con l’intento di stimolare la presa di coscienza del valore di un’area della
letteratura strumentale che ha il pregio di unire l’universo orchestrale con il territorio
organistico. La divulgazione in materia è un compito tanto piø urgente in un contesto come
quello italiano, nel quale composizioni di questo tipo sono eseguite ancor piø
sporadicamente che all’estero vuoi per l’assenza dell’organo a canne da molte sale da
concerto (eccettuate quelle dei conservatori, s’intenda), vuoi per una sorta di damnatio
memoriae che è gravata su alcune ottime partiture prodotte dai nostri compositori e
organisti, bastino i nomi di Marco Enrico Bossi, Alfredo Casella, Pietro Alessandro Yon.
Piø in generale, l’immagine del maestoso strumento è ancora offuscata nel nostro Paese da
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uno stereotipo che lo associa in via pressochØ esclusiva alla sfera liturgica, e anche se si sta
assistendo a una consistente rinascita dell’interesse nei confronti della musica organistica
concertistica, come dimostra la diffusione dei festival nelle chiese, fatica ancora a
realizzarsi la divulgazione delle sue potenzialità concertanti, nonostante la letteratura non
manchi. Per tale coacervo di motivi in Italia piø che altrove tale produzione è scarsamente
conosciuta e quasi mai fatta oggetto di ricerche musicologiche. Allo stato attuale, inoltre, si
registra una pressochØ totale carenza a livello internazionale di studi esaustivi che
affrontino la materia secondo una prospettiva sinottica, diacronica o sincronica, con l’unica
eccezione della recente monografia di Volker Choroba dedicata al concerto per organo nel
XIX e XX secolo, che in parte colma un grave vuoto della storiografia musicale ma la cui
diffusione è per ora limitata dall’essere disponibile solo in lingua tedesca.
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Oltre a mancare
trattazioni in numero sufficiente che affrontino l’evoluzione storica di tale forma
concertante, poi, scarseggia anche la letteratura critica relativa a singole composizioni.
La struttura della tesi farà capo a due sezioni fondamentali. La prima parte mira a
contestualizzare l’affermazione del genere tra il secondo Ottocento e la prima metà del
Novecento alla luce dei mutamenti che progressivamente plasmarono l’essenza tanto
dell’orchestra sinfonica quanto dell’organo. ¨ proprio nella complessa storia musicale del
XIX secolo che vanno ricercate le ragioni per cui si consolidò uno specifico repertorio per
organo e orchestra; la produzione otto-novecentesca, infatti, mostra una radicale novità
rispetto ai concerti composti nel Settecento, tutti lavori dai connotati cameristici. Occorre
chiedersi in virtø di quali fattori il “re degli strumenti” diventò un solista all’altezza
dell’orchestra con tutte le carte in regola per interagire con essa. Pertanto, si prenderà in
considerazione il suo parziale svincolamento dalla chiesa dopo secoli di esclusiva
connessione con la sfera cultuale, che lo portò a comparire nelle sale da concerto in
particolare tra Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti con la conseguente creazione dei
primi importanti pezzi per orchestra e organo da parte di compositori organisti. Quel
fenomeno, che avvicinò i due “giganti” aprendo canali di comunicazione tra scrittura
organistica e orchestrale, non fu che la conferma della maturazione in senso sinfonico-
concertistico dello strumento a canne durante l’Ottocento, testimoniata dalle numerose
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V. CHOROBA, Das Konzert für Orgel und Orchester im 19. Und 20. Jahrhundert, Bärenreiter, Kassel,
2011.
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sinfonie per organo solo. Sin da allora il repertorio per organo e orchestra incarna un
carattere squisitamente laico, essendo pensato in funzione di quel moderno tempio della
musica che è il salone da concerto o auditorium, fulcro vitale per lo sviluppo di questa
letteratura. Occorre riconoscere che in un primo momento non furono molti i compositori a
cimentarsi in un campo allora tutto da esplorare, ma l’esempio di quei pochi, da François-
Joseph FØtis a Josef Rheinberger, preparò il terreno a un significativo incremento della
produzione tra XIX e XX secolo, segno di un interesse che nel corso dei decenni a seguire
alimentò la fioritura della notevole messe di lavori scritti fino a oggi, che sarà qui
ripercorsa secondo una duplice prospettiva, cronologica e geografica.
Situandosi su questa linea, si mostrerà la connessione tra l’estetica dell’organo
tardoromantico, una macchina sonora sempre piø “da concerto”, e gli aspetti timbrici,
dinamici ed espressivi che definiscono il linguaggio organistico coevo e che spiccano nella
combinazione con l’orchestra. L’intimo legame tra composizione e strumento mette in
primo piano l’operato dei celebri organari del XIX secolo e della prima metà del XX
secolo, non solo artigiani ma geniali creatori sensibili al clima dell’epoca. In quest’ottica,
sarà rilevata l’influenza che l’orchestra romantica esercitò sulla fattura degli organi
plasmandone l’estetica fonica nel senso di una piø accentuata espressività. Un apposito
paragrafo svolgerà un bilancio comparato della potenzialità sonora dell’organo e
dell’orchestra, riportando le differenti opinioni in merito alle possibilità di fusione
reciproca espresse da HØctor Berlioz e Charles-Marie Widor, rispettivamente autore e
revisore del piø influente trattato ottocentesco di orchestrazione. S’intende mostrare che la
garanzia di una proficua alleanza tra il “papa” e “l’imperatore degli strumenti”, per
ricorrere alle espressioni dei due musicisti testØ citati, proviene dal carattere eclettico e
aperto dell’organo contemporaneo, mezzo concertistico versatile quanto l’orchestra e ancor
piø di questa capace di straordinario impatto sonoro. L’altro aspetto che sarà approfondito,
distintivo della produzione concertante nel suo insieme così come delle singole partiture, è
la compresenza di una marcata pluralità di orizzonti estetici. La stessa consuetudine degli
autori di comporre concerti o sinfonie su commissione per le manifestazioni concertistiche
degli auditorium forniti di grand’organo motiva la compresenza in tali lavori di serietà,
grandiosità e “divertimento”, un equilibrio congeniale all’atmosfera della grande sala. Nel
corso della trattazione si avrà anche modo di sviluppare una riflessione sulla fortuna del
genere nel Novecento e sull’interesse suscitato anche nei compositori non organisti, la cui
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fantasia è stata spesso incentivata a esplorare tutte le potenzialità di un abbinamento
inedito.
Nei due capitoli che compongono la seconda sezione saranno invece analizzati alcuni
importanti lavori concertanti per orchestra e organo che ben si prestano a riassumere il
progredire del genere tra XIX e XX secolo, testimoniando il passaggio dall’estetica
romantica ai linguaggi pienamente novecenteschi. Saranno presi in considerazione i
concerti di Josef Rheinberger, Marco Enrico Bossi e Francis Poulenc, accanto alla
Symphonie Concertante del belga Joseph Jongen, vere e proprie pietre miliari nella storia
del repertorio. L’analisi, svolta sotto il profilo stilistico, formale ed estetico, illustrerà le
differenti modalità con cui i compositori affrontarono la gestione degli equilibri fra solista
e orchestra, aspetto cruciale per chiunque si sia cimentato nel campo e che fu risolto con
risultati artistici notevoli dagli autori considerati in questa sede. Si avrà modo di notare che
la scelta dei compositori di intitolare i propri lavori ora “concerto”, ora “sinfonia” o
“sinfonia concertante” può sì presupporre un diverso trattamento dello strumento solista,
ma non altera la sostanza di una scrittura in cui l’organo agisce spesso come una seconda
orchestra, mostrando un’identità “sinfonica”. Pur nella scarsità della letteratura critica
relativa al genere per organo e orchestra, si terrà conto dei giudizi espressi sul valore delle
composizioni prese in esame. Gli esempi, scelti in modo da disporre di un esaustivo
panorama europeo, permetteranno di cogliere da un lato la relazione tra scrittura
orchestrale e organistica e dall’altro la connessione fra la tipologia di organo per cui tali
opere furono pensate e il trattamento dei piani dinamici e coloristici nella partitura. Per tale
ragione non saranno tralasciati neppure quegli aspetti piø concreti che resero praticabile il
colloquio tra orchestra e solista, fatto di sincronizzazione perfetta, dinamiche accentuate
ma in primo luogo di frequenti cambi di colore timbrico. Oltre alla vicinanza dell’organo
all’orchestra nella sala si noterà l’importanza dell’introduzione di appositi ausili per gestire
con versatilità le risorse foniche dello strumento a canne. Nel contempo lo studio di tali
opere potrà offrire un insolito punto di vista sulla storia della musica sinfonica e
organistica moderna, sfatando il pregiudizio che il mondo dell’organo costituisca un
compartimento stagno. Anzi, caratterizzandosi fin dalle origini come strumento imitativo e
proiettandosi nel corso dei secoli verso un’ideale totalità con l’acquisizione di nuovi voci,
il “re degli strumenti” si assimilò nelle dimensioni a un’orchestra e quasi necessariamente
da un certo momento storico in avanti entrò in contatto con l’orchestra sinfonica, in uno
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scambio vitale fecondo per entrambi al di là degli effettivi risultati artistici, non sempre
sullo stesso livello ma che pure non sono mancati.
Completerà la dissertazione un regesto delle composizioni concertanti comparse dal
XIX secolo fino a oggi, scorrendo il quale ci si può rendere conto della significativa
consistenza numerica del repertorio nel suo insieme. Saranno anche allegate le disposizioni
foniche e alcune immagini relative ai grandi organi sinfonici di sala citati nel corso del
lavoro, strettamente legati alla storia e alla diffusione di questa letteratura in quanto
“protagonisti” delle prime esecuzioni di importanti concerti e sinfonie e, con la loro stessa
presenza, stimolo per la produzione di nuove opere.
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1.1 La nascita della letteratura per organo e orchestra
Dal repertorio rinascimentale per organo e ottoni ai concerti di Händel
Prima di affrontare gli sviluppi moderni della letteratura per organo e orchestra è
necessario risalire alle origini barocche del genere ripercorrendone brevemente la storia
fino al periodo classico, con la precisazione che si tratta comunque di una produzione
circoscritta e dai caratteri nettamente cameristici rispetto alle dimensioni sinfoniche dei
lavori scritti a partire dal XIX secolo. Semmai i concerti per organo e orchestra del barocco
o del classicismo, da Händel fino a Stamitz e Haydn, anticipano quello che sarà il tratto
inconfondibile della produzione successiva, ossia la connotazione prevalentemente laica,
che distingue tale ambito della letteratura organistica dal settore vero e proprio della
musica al servizio del culto. In realtà le prime prove dell’utilizzo dell’organo in unione con
altri strumenti risalgono al periodo rinascimentale e rinviano al contesto della chiesa, dove
da alcuni secoli lo strumento a canne aveva trovato la sua sede per eccellenza. Proprio nel
Cinquecento esso veniva celebrato come il mezzo musicale «piø eccellente e piø nobile»,
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degno di un’autonoma letteratura, subendo progressivi perfezionamenti
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e andando
incontro a una larga diffusione.
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La trattatistica dell’epoca infatti gli riconobbe un indubbio
primato tra tutti gli strumenti, sia per la completezza delle sue risorse sonore, sia perchØ
appariva il piø vicino alla voce umana e pertanto rispecchiava un ideale di naturalezza. Fu
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In sede di trattatistica, fu Girolamo Diruta a sancire il posto d’onore dell’organo nella gerarchia degli
strumenti e a metterne in evidenza le peculiari qualità. All’inizio del Transilvano, tra i primi metodi per
organo, avvisava il “prudente lettore” che «l’organo, che per Eccellenza è così chiamato, raccoglie in se
stesso tutti gli istrumenti musicali, & tanto maggiormente è degli altri piø Eccellente & piø nobile, quanto
meglio rappresenta la voce umana, operandosi in esso il fiato & la mano. E le canne di qual materia esse si
siano, rappresentano le fauci humane, per dove passa lo spirito à formare il suono, & la voce, che quasi si può
sicuramente dire, che l’Organo sia uno Artifitioso Animale, che parli, suoni & canti con le mani & con l’arte
dell’huomo». Nel seguito dell’“avviso” Diruta indugia sulla similitudine antropomorfa, paragonando i
mantici «al polmone, le canne alla gola, i tasti à denti, e’l Sonatore in vece di lingua». G. DIRUTA, Il
Transilvano, dialogo sopra il vero modo di sonar organi, & istrumenti da penna, Venezia, parte I Appresso
Giacomo Vincenti, 1597, parte II Appresso Alessandro Vincenti, 1622, ristampa anastatica a cura di L.
Cervelli, Bologna, Forni, 1969.
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In Italia il Rinascimento fu una stagione aurea anche per l’organaria, grazie alla famiglia bresciana degli
Antegnati, che diede vita a una tipologia di strumento dalla fonica equilibrata e dolce nella quale erano
rispecchiati gli ideali di misura e perfezione. Al diffondersi dell’organo e dalla sua pratica corrispose la
comparsa di una serie di metodi, dal Transilvano di Diruta a L’Organo suonarino di Adriano Banchieri;
anche un organaro come Costanzo Antegnati fornì un importante contributo con il volumetto L’Arte organica
(1608) in cui si dispensavano consigli sull’uso dei registri e sull’accordatura dello strumento.
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Nel Rinascimento l’organo si svincolò dalla funzione di mero sostegno al canto gregoriano sviluppando
un proprio repertorio, comprendente trascrizioni di brani vocali (intavolature), ricercari, toccate, fantasie, arie
e canzoni. Tale processo di emancipazione potØ dirsi coronato all’inizio del Seicento, quando la comparsa
dell’opera di Girolamo Frescobaldi offrì un’eccellente dimostrazione delle potenzialità organistiche.
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sotto le volte della basilica di San Marco a Venezia che risuonarono per la prima volta, con
mirabili risultati artistici, gli amalgami dell’organo assieme a vari complessi strumentali e
vocali, grazie ai sontuosi lavori “policorali” di Andrea e Giovanni Gabrieli; si trattava per
lo piø di collaborazioni con strumenti a fiato, quasi sempre ottoni, un abbinamento molto
efficace e ancora oggi frequentato.
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Nelle composizioni rinascimentali, tuttavia, la
funzione dell’organo era piø di strumento obbligato che non concertante in senso stretto e
fu solo piø tardi, tra Sei e Settecento, che divenne il destinatario di veri e propri concerti, in
coincidenza con l’apogeo della forma del concerto barocco e classico. A differenza del
repertorio organistico solista, la letteratura per organo e orchestra rivelò da subito una netta
impronta secolare, essendo concepita piø in funzione delle sale che delle chiese. In effetti,
se per molti secoli fu ospitato in via esclusiva negli edifici di culto, dal Settecento lo
strumento a canne iniziò a far la sua comparsa con esemplari a misura di salone nei palazzi
aristocratici o borghesi, anticipando la moderna diffusione nei teatri, saloni da concerto o
auditorium. Il parziale e graduale svincolamento dalla chiesa del “re degli strumenti”,
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con
il conseguente successo dei “laici” concerti per organo, appare come un riflesso dello
spirito illuministico, la cui impronta non mancò di manifestarsi nei caratteri stilistici di tale
produzione (v. infra). I compositori in genere trattarono il solista alla maniera del
clavicembalo, con una scrittura manualiter e ridotta a due sole parti; inoltre l’organico
strumentale da essi prescelto si limitava quasi sempre a un modesto assieme di archi, sia
che il concerto fosse destinato all’esecuzione in chiesa sia che fosse “da camera”. Antonio
Vivaldi portò sicuramente un contributo originale perchØ incluse l’organo in alcuni suoi
concerti per piø strumenti solisti, accostandolo al violino o all’oboe con il sostegno di archi
e basso continuo;
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si tratta di composizioni in cui esso spicca piø per la peculiarità timbrica
e il brio delle figurazioni che per un effettivo ruolo di primo piano.
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Sia Andrea Gabrieli che il nipote Giovanni composero alcuni brani per organo e ottoni, nei quali le due
sonorità erano alternate o sovrapposte. L’organo interviene con splendenti effetti anche nelle Sacrae
Symphoniae (1597) di Giovanni, che sfruttò le cantorie opposte della basilica di San Marco per creare
coinvolgenti effetti antifonali, in cui gli organi si univano a possenti gruppi di fiati a sostegno dei cori.
Tuttavia come esempio paradigmatico dell’utilizzo dello strumento a canne all’interno di una sontuosa
cornice puramente strumentale vanno ricordate soprattutto le Canzoni per ottoni, legni, archi e organo,
sempre di Giovanni Gabrieli.
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L’espressione, coniata da Diruta, fu ripresa da Wolfgang Amadeus Mozart.
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Nello specifico, sono i concerti RV 335 detto“Il rossignuolo”, RV 541, 542, 766, 767; troviamo l’organo
anche in lavori per piø di due strumenti solisti, come il Concerto per violino, oboe e archi in Do maggiore
RV 554 e la Sonata à violino, oboe, organo et anco se piace il salmoØ” in Do maggiore RV 779.
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Pertanto, la palma di inventore del concerto per organo e orchestra propriamente
detto spetta a un altro fra i massimi compositori del barocco, Georg Friedrich Händel, il
quale completò quasi una ventina di concerti per organo e archi in tre o quattro movimenti,
brani molto piacevoli, subito apprezzati dal pubblico. Tra tutti gli autori barocchi e classici,
Händel è colui che praticò il genere con maggior dedizione; egli concepì quei lavori come
un puro intrattenimento strumentale da inserire nella cornice delle rappresentazioni dei
suoi oratori, mirando a unire l’eufonia del complesso d’archi con il virtuosismo dello
strumento solista in una formula del tutto laica.
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Fu una brillante idea, un modo per il
compositore naturalizzato inglese di mettersi in luce come virtuoso alla tastiera del piccolo
organo presente nei teatri londinesi, sfruttando la presenza dell’orchestra che altrimenti
sarebbe rimasta inattiva durante le pause tra gli atti. Nel corso della sua vita Händel vide la
pubblicazione tramite il proprio editore John Walsh di due raccolte di sei concerti ciascuna,
secondo l’uso dell’epoca, ossia i Sei concerti per organo e archi op. 4 (1738) e una
seconda serie senza numero d’opus (1740) comprendente trascrizioni di alcuni Concerti
Grossi op. 6. Con una scrittura in cui si colgono echi del concerto solistico ma anche del
concerto grosso, essendo la funzione dell’organo paragonabile al “concertino”, quei lavori
permettono al solista di emergere ora in contrapposizione ora in dialogo con gli archi,
mettendosi in mostra soprattutto nelle lunghe cadenze virtuosistiche ad libitum. Nel
complesso, la brillante
inventiva händeliana emerge
meglio nei lavori dell’op. 7,
pubblicata postuma (1761),
ma anche qui la parte
organistica potrebbe essere
eseguita senza problemi al
cembalo, essendo stata
pensata per i modesti organi dei teatri (supra, fig. 1).
Fra queste composizioni, l’unica in cui compaia l’utilizzo della pedaliera è il
Concerto in Si bemolle maggiore op. 7 n. 1 HWV 306, risalente al 1740, l’anno in cui
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Per una disamina approfondita dei concerti per organo di Händel si faccia riferimento al volumetto di S.
SADIE, Handel Concertos, Londra, BBC Music Guides, 1972.
Figura 1: Concerto per organo e archi in re minore op. 7 n. 4
HWV 309, “Allegro” (1746)