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Introduzione
L’uomo contemporaneo è immerso in un flusso comunicativo
che investe ogni aspetto della vita sociale. Allo stesso modo lo
spazio che esso abita si carica di significati che continuamente
ridisegnano lo stato di appartenenza degli oggetti che sono
collocati al suo interno. Nello specifico, si intende far
riferimento a spazi che in passato erano completamente distinti
e che oggi appaiono sempre più vicini e, in alcuni casi,
sovrapposti rendendo i confini impercettibili. Essi si
intersecano e si plasmano fino a creare entità completamente
nuove delle quali è necessario ridefinire anche le funzioni. Nel
presente lavoro di tesi si indagherà sul consumo
contemporaneo a partire dal ‘museo’ e dal ‘negozio’,
storicamente designati rispettivamente come ‘luogo di cultura’
e ‘luogo di commercio’ , l’uno atto a contenere al suo interno
memorie del passato (valori di base) e l’altro atto a negoziare
beni di consumo (valori d’uso). La semiotica considera le
forme di valorizzazione come i “modi possibili con cui un
Soggetto tende a valorizzare un Oggetto” (Marrone 2007, p.
94). Le valorizzazioni possono essere proiettate sul quadrato
semiotico e si configurano come l’opposizione “tra una forma
di valorizzazione utopica e una pratica ossia tra valori intesi
come esistenziali, importanti per l’esistenza stessa del
Soggetto, […] e valori intesi come utilitari, necessari soltanto
per il raggiungimento dei primi” (Marrone 2007, p. 94). Le
categorie che ne derivano, corrispondenti alla valorizzazione
critica e alla valorizzazione ludica, rispecchiano “altrettanti
modi diversi di attribuire senso alle cose, di mettere in gioco
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valori soggettivi e sociali, di farli circolare attraverso il
supporto materiale delle cose” (Marrone 2007, p. 95). Tale
“tipizzazione” non riguarda solo la relazione che gli individui
instaurano con il prodotto, ma si estende anche alle funzioni
che assume lo spazio della città e al rapporto che gli individui
intrattengono con esso. Questo impianto metodologico ha
trovato terreno fertile nel marketing e nella comunicazione
pubblicitaria tanto che ognuna di queste valorizzazioni
sembrano sottoporsi in egual modo alla logica consumistica e
alla logica estetica nonché a incarnare valori culturali.
Detto ciò, i linguaggi e gli spazi sia del negozio sia del museo
sono interamente ridefiniti sulla base di contingenze storiche
riconducibili principalmente alla crisi nel mondo dell’arte
novecentesca, allo sviluppo della pubblicità, della grafica, alla
diffusione di nuove tecniche di produzione e alla
comunicazione di massa, che hanno prodotto, a lungo andare,
il fenomeno della “vetrinizzazione sociale” teorizzato da Vanni
Codeluppi nel suo lavoro La vetrinizzazione sociale. Il
processo di spettacolarizzazione degli individui e della società.
Codeluppi conia il termine ‘vetrinizzazione sociale’ riferendosi
al fenomeno secondo il quale, a seguito della nascita delle
vetrine settecentesche, si sarebbe attuato un meccanismo che
ha interessato non solo la merce ma progressivamente ogni
aspetto della vita sociale, dalla percezione del Sé nel rapporto
con il proprio corpo, all’ostentazione della vita privata, alla
costruzione di ‘città vetrina’ e perfino al modo di relazionarsi
con la morte. La vetrinizzazione nella contemporaneità
riguarda soprattutto il corpo, strumento di comunicazione
attraverso il quale gli individui possono definire la propria
identità sociale integrandosi con la cultura del consumo
attraverso un’accezione estetica.
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Ai fini della presente analisi, ciò che interessa sottolineare
sono le occorrenze che dallo spazio dell’arte confluiscono
nello spazio commerciale.
Innanzitutto bisogna considerare l’oggetto industriale non un
mero oggetto di consumo, ma come un oggetto di inscrizione
semiotica. Esso, infatti, a seguito di una professionalizzazione
del lavoro che va sotto il nome di “disegno industriale”, oltre
alla funzione utilitaria, si carica di nuovi significati legati
all’estetica fino a diventare a tutti gli effetti opera d’arte grazie
alla creatività degli attori che la realizzano. La stessa
istituzione del “Premio Compasso d’oro” negli anni Cinquanta
rappresenta la consacrazione del fare industriale che eleva
l’oggetto industriale dalla condizione di anonimato e lo dota di
una identità propria, cioè la garanzia di un prodotto del tutto
assimilabile a un’opera d’arte.
La dimensione dell’arte entra nella dimensione del consumo
soprattutto negli spazi dedicati: lo spazio del negozio è sempre
più organizzato secondo i codici e i linguaggi propri dello
spazio museale. Lo stile espositivo della merce oggi giorni
ricorda molto l’impostazione museale (Pezzini 2006b, p. 2).
L’oggetto non è semplicemente posto su di uno scaffale
insieme a tanti altri come avveniva nell’Ottocento o anche nel
Novecento, ma assume una posizione predominante attraverso
installazioni ad hoc: teche luminose che girano su se stesse,
illuminazione direzionata, soluzioni particolari che pongono la
merce come sculture da venerare dall’altra parte del vetro,
ossia dalla strada o anche all’interno del negozio.
La nascita dei concept store si inserisce in questo discorso in
quanto si tratta di un territorio denso di simboli più che di
oggetti. La merce, in particolare, è investita di un significato
che si proietta sul consumatore con un effetto identitario: ciò
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che si vende non è, ad esempio, un abito, ma una forma di vita
che si proietta sullo stile di vita del consumatore cosicché
l’abito, e la merce in generale, non è solo oggetto in quanto
tale, ma oggetto in virtù di “ciò che rappresenta”.
L’impostazione museale si connette al concept store in quanto
il punto vendita si trasforma da semplice spazio della
compravendita a spazio ‘esperienziale’ in cui poter
sperimentare un’avventura carica di pathos, quello costruito
dalla marca stessa. Il primo concept store porta il nome di
Ralph Lauren e fu aperto a New York nel 1986. La sua
architettura si connetteva con i prodotti e i servizi secondo un’
idea di lusso patriottico americano in cui lo spazio quotidiano
doveva essere vissuto alla stregua un set hollywoodiano. Oggi,
i concept store dei marchi più prestigiosi non sono spazi
dedicati alla vendita, ma alla sola esperienza sensoriale fatta di
atmosfere, di soluzioni architettoniche, di scenografie
realizzate dai più grandi artisti per la marca stessa. Cafè e
salotti sono parte integrante di questi spazi altamente
modalizzati secondo il ‘voler essere’ enfatizzando la
dimensione della “spettacolarizzazione” tipica della società dei
consumi, ma anche la creazione di negozi come se fossero
delle abitazioni private, come nei casi di Armani e di Ralph
Lauren a New York, contribuisce a enfatizzare il ruolo che lo
spazio di vendita assume nel postmoderno come cifra
relazionale e conviviale, una dimensione intima che,
nonostante il fine ultimo sia la vendita, si pone prima come
esperienza personale e crescita culturale e poi come mero
commercio. La merce non rappresenta solo un valore d’uso,
ma un valore di base in quanto gli individui proiettano sulla
merce i propri valori, le proprie passioni costruendo la propria
identità sempre più attraverso la società dell’immagine. Così
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come la definisce Codeluppi, la vetrinizzazione sociale affonda
le sue radici nel Settecento con l’istituzione della ‘vetrina’ e
nell’Ottocento con un nuovo modo di organizzare lo spazio del
negozio. La merce, dapprima riposta alla rinfusa nei
retrobottega, entra a far parte dello spazio della compravendita
mostrandosi al cliente prima di una richiesta esplicita grazie ai
vetri che lasciano vedere all’interno del negozio. Questa nuova
impostazione crea un nuovo spazio sociale che si esplica tra
esterno e interno del negozio: il marciapiede e il negozio
entrano in comunicazione attraverso una barriera fittizia,
rappresentata dal vetro, che allo stesso tempo separa e unisce
agendo, come scrive Manar Hammad (2002, pp. 209-216), sul
regime del permesso e dell’interdetto. Nel limite che il vetro
rappresenta si esplica la funzione passionale: la vetrina
permette al passante di guardare all’interno, ma allo stesso
tempo lo separa dalla merce generando un sistema di attese e
desideri. Allo stesso modo della vetrina anche lo spazio del
negozio viene organizzato secondo una funzione estetica e
sviluppa percorsi di senso precostruiti al fine di stimolare
l’acquisto.
L’evoluzione del commercio nel Novecento ha assunto una
configurazione “antropomorfa” attraverso l’istituzione di un
costrutto totalmente virtuale: la marca. La marca in quanto tale
non è tangibile, non è un oggetto, ma una configurazione entro
la quale agiscono tanti elementi interconnessi con l’intenzione
di creare un discorso unitario, una logica comune che oggi gli
esperti di marketing chiamano “mission aziendale”. La marca,
quindi, si costruisce come ‘testo’, come una narrazione.
Gli elementi che concorrono alla costruzione di tale testo non
sono solo elementi strutturali, ovvero l'identità visiva, ma
anche elementi non tangibili quali l’atmosfera, la disposizione
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delle merci, le politiche aziendali, la disposizione delle luci, il
tipo di clientela, la comunicazione aziendale.
La marca costruisce ad hoc la propria personalità e ciò che
oggi viene definito ‘brand image’ è proprio quel settore che ha
il compito di curare l’immagine dell’azienda: come un essere
umano, la marca, è presente nel mondo, interagisce con i
clienti potenziali e non, attraverso la comunicazione
pubblicitaria, li accoglie in casa sua attraverso i punti vendita,
li coccola attraverso gli addetti alla vendita, li seduce e li educa
secondo la propria ‘cultura’. La marca crea la propria
specificità rispetto ai concorrenti e si amalgama nella
metropoli e nel mondo secondo una cultura dominante che può
essere rappresentata attraverso il concetto di ‘società dei
consumi’. Le marche sono presenti nel mondo, formano il
complesso sistema del commercio sottostando ad una logica
comune e, allo stesso tempo, ogni marca agisce per conto
proprio, crea diversità, mette in atto delle strategie di
differenziazione che la distinguono dai competitor e la esaltano
per la propria singolarità. La nascita di grandi marche, oggi
multinazionali, come Adidas, Coca Cola, o anche Mercedes,
Sony ecc. rappresentano la fase più avanzata della “marca”.
Molte di queste, che vantano una lunga esistenza nel mercato,
costruiscono spazi dedicati alla propria storia aziendale che si
presentano come veri e propri musei la cui narratività è
esperita in “pezzi unici” e collezioni che meglio rappresentano
il background della marca. L’antica funzione di “contenitore di
memorie” riservata al museo, quindi, vive una nuova vita nel
contemporaneo grazie al commercio. Non sono rare le guide
turistiche che annoverano tra “i maggiori luoghi di interesse”
gli spazi commerciali alla stregua di luoghi di cultura, ponendo
gli individui non solo in una posizione di potenziali acquirenti,
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ma anche nella posizione di “visitatori”. In questo scenario, la
metropoli, considerata come un sistema reticolare di relazioni,
è il palcoscenico su cui si gli attori si esibiscono strutturando il
costruendo un rapporto interattivo col cliente, basato su una
logica di relazione e, quindi, si è deciso di studiare La
Rinascente in tutti i suoi aspetti: testi visivi e verbali,
architettura, materiali, illuminazione, cromie, merci e
consumatori. Come scrive Elisa Sassoli (2008, p. 94 ) :
“Sebbene il mondo possibile della marca sia costituito da un
insieme di tratti simbolici, quindi da concetti, esso può essere
evocato e, per certi aspetti, concretizzarsi attraverso uno spazio
fisico, in cui agiscono personaggi rappresentati dai prodotti”. I
prodotti sono gli attori della narrazione, danno vita ad un
racconto che si costruisce nello spazio del negozio
amplificando i livelli di associazione fantastica che la marca
cerca di mettere in scena. In particolare, l’arredo, la
distribuzione degli spazi, l’atmosfera complessiva deve
svilupparsi secondo una precisa e unica isotopia che è il fulcro
dell’identità di marca. L’illuminazione, la forma dei display
espositivi, i materiali, i suoni, gli odori, l’abbigliamento del
personale di vendita sono tutti elementi progettati in modo da
sviluppare il tema di riferimento dell’intero negozio. In questo
modo, il cliente non si trova più in un tradizionale negozio, ma
in un mondo a sé stante, in cui ogni elemento è fortemente
evocativo di uno specifico sistema valoriale. Le realtà
commerciali più riuscite diventano, come già accennato, delle
vere e proprie mete turistiche, dove migliaia di persone
ricercano non solo l’acquisto, ma anche una esperienza unica,
un evento da ricordare. Il cliente trasformato in visitatore, in
flaneur, esplora il mondo che gli viene proposto, attratto dai
particolari spettacolari e dall’aura che lo avvolge.