2
La possibilità di cercare ne I problemi fondamentali della fenomenologia elementi
utili per tentare di ricostruire la Parte Seconda di Essere e tempo, risiede nel fatto che
il corso del semestre estivo del 1927, peraltro anch’esso incompiuto, è composto di
una Parte Prima, intitolata “Discussione fenomenologico-critica di alcune tesi tradi-
zionali sull’essere”, che assume, appunto, le sembianze di una Destruktion delle dot-
trine tramandate. Certo, la “discussione fenomenologico-critica”de I problemi fon-
damentali della fenomenologia presenta differenze rispetto alla “distruzione” che
Heidegger aveva teorizzato in Essere e tempo. Infatti, nell’opera del 1927, la Parte
Seconda avrebbe dovuto articolarsi in tre stazioni fondamentali e decisive, attraver-
sando le quali la Destruktion avrebbe dovuto rendere esplicito quanto nel passato fu
inconsapevolmente intuito riguardo alla problematica della temporalità. Invece, la
Parte Prima de I problemi fondamentali della fenomenologia discute quattro tesi
sull’essere, espresse rispettivamente da Kant, dall’ontologia medievale,
dall’ontologia moderna e dalla logica; quindi, la “discussione fenomenologico-
critica” si rivolge verso le più importanti asserzioni che sono state consapevolmente
formulate, riguardo all’essere, nel corso della storia della filosofia. Tuttavia, queste
differenze si collocano in un contesto caratterizzato da una profonda unità di prospet-
tive. Al pari di Essere e tempo, anche I problemi fondamentali della fenomenologia è
un’opera che nasce in un periodo in cui Heidegger ritiene che l’analisi dell’esistenza
sia l’ “ontologia fondamentale” da cui deve ripartire la riproposizione della questione
dell’essere, ovvero di quella questione che la tradizione ha occultato. Solo quando
non riterrà più “fondamentale” l’analitica esistenziale, Heidegger elaborerà un nuovo
atteggiamento verso il passato.
Il primo capitolo del presente lavoro vuole ricostruire il percorso che ha portato
Heidegger, nella cosiddetta “prima fase” del suo itinerario speculativo, a maturare il
proposito della Destruktion del contenuto tradizionale della storia dell’ontologia, a
partire dall’iniziale momento neokantiano fino alle opere pubblicate nel 1929. Gli
scritti successivi, a cominciare da La dottrina platonica della verità e da
Dell’essenza della verità, vedono Heidegger impegnato nel tentativo di elaborare
un’altra impostazione, diversa rispetto a quella tentata con l’analitica esistenziale, per
fondare la questione dell’essere. In conseguenza del sopravvenire della “svolta”,
Heidegger assumerà anche un nuovo e diverso proposito nei confonti della tradizione
metafisica.
3
Il secondo capitolo, invece, si occupa specificatamente della “distruzione”, ten-
tando, sia di ricostruire quella che avrebbe dovuto essere la Parte Seconda di Essere e
tempo utilizzando le anticipazioni della struttura e del contenuto presenti nel § 6 (“Il
compito di una distruzione della storia dell’ontologia”) dell’opera del 1927, sia di e-
saminarne il significato e i presupposti.
Dopo aver indicato la temporalità costitutiva dell’esserci come l’orizzonte entro
cui va posto il problema del senso dell’essere, nel seguito dell’Introduzione di Essere
e tempo (§ 6), Heidegger enuncia il tema di una “distruzione” della storia
dell’ontologia. Essa nasce dal riconoscimento della costitutiva temporalità del Da-
sein, ossia dal fatto che questo ente particolare, in virtù della temporalità (Zeitli-
chkeit) che lo costituisce, pone, imposta e risolve storicamente le varie questioni. In
proposito Heidegger si domanda se, nel mentre tramanda, la tradizione non venga in-
sieme ad occultare; se essa non occulti qualcosa che è più fondamentale e decisivo di
ciò che trasmette. Il problema del senso dell’essere, il problema fondamentale della
filosofia, è il caso più manifesto del duplice aspetto della tradizione, del fatto che es-
sa tramanda e, nello stesso tempo, occulta. Infatti, tale questione è stata certamente
tramandata, ma essa, poiché risolta in una falsa ovvietà, assume ormai le sembianze
di un non-problema. Da qui il compito della Destruktion, che consiste nel porre in
luce ciò che la tradizione copre riguardo alla questione dell’essere e del suo senso
(Temporalität). Non si tratterà di ripercorrere la storia del problema dell’essere nel
pensiero occidentale, ma di scoprire ciò che la tradizione trasmette e insieme oblia, di
dissoccultare ciò che la tradizione ha nascosto e di scoprirlo in ciò stesso che essa
tramanda; il senso della distruzione è l’ “appropriazione positiva” del passato, è una
distruzione “costruttiva”.
Secondo Heidegger, l’occultamento operato dalla tradizione nei confronti della
temporalità, congiuntamente al modo di esistere quotidiano del Dasein, ha condotto
ad un completo, anche se inevitabile, fraintendimento. Il tempo viene concepito co-
me un ente “essente” (semplicemente-presente o sussistente) tra gli altri enti, e viene
utilizzato come criterio della distinzione delle regioni dell’essere. Altrettanto radicata
è l’opinione, per Heidegger priva di fondamento, che sostiene l’assoluto primato del
presente rispetto alle altre dimensioni temporali (passato e futuro).
4
La Destruktion, condotta alla luce dei risultati dell’analitica esistenziale, la quale
aveva mostrato come l’esserci, pur potendo comprendere l’essere solo sulla base di
un orizzonte temporale, non sia consapevole di questa fondamentale funzione che ri-
veste il tempo, avrebbe dovuto “ripetere” (riappropriarsi positivamente) di quanto nel
passato fu intuito, sia pure implicitamente, di tale problematica. Tuttavia, neppure il
risalimento “distruttivo” della storia dell’ontologia conduce alla chiarificazione del
senso dell’essere. Anche la “distruzione” si infrange sullo scoglio della “differenza
ontologica”, ossia su quella difficoltà che aveva impedito a Heidegger di completare
Essere e tempo. Proprio l’esplicitazione di ciò che era rimasto inespresso e inconsa-
pevole in tutta la tradizione metafisica, a partire dai Greci, porta Heidegger innanzi a
una nuova difficoltà; l’essere non è un ente e si distingue ontologicamente anche da
quell’ente primario che è il Dasein, il quale, unico tra gli enti, si pone la questione
dell’essere sulla base della pre-comprensione che ne ha. Quindi, oltre la chiarifica-
zione del tempo come orizzonte dell’essere non è possibile andare. Nonostante que-
sto scacco, la “distruzione” vanta però l’indubbio merito di aver riproposto, soprat-
tutto contro le regole della “logica”, la problematicità della questione dell’essere.
Forse il suo merito più grande consiste proprio nel suscitare perplessità e dubbio di
fronte a cose ritenute ovvie e scontate. La meraviglia, che secondo Aristotele spinge
l’uomo a filosofare, costituisce per Heidegger l’essenza della filosofia.
5
Capitolo primo
Con Essere e tempo si ha l’eplicita formulazione del problema fondamentale che
travaglia tutto il pensiero di Martin Heidegger (1889-1976): la questione dell’essere.
In riferimento alle diverse accentuazioni e ai diversi approfondimenti secondo i quali
il filosofo tedesco ha affrontato tale problema, si è affermata la consuetudine di di-
stinguere nel suo itinerario speculativo due fasi. La prima ha la sua espressione prin-
cipale in Essere e tempo, ma comprende anche gli scritti pubblicati nel 1929
1
; la se-
conda, successiva alla “svolta” [Kehre], cioè a quel mutamento di prospettiva situato
cronologicamente tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, si fa comin-
ciare con due scritti del 1930, La dottrina platonica della verità e Dell’essenza della
verità, pubblicati però solo nel 1942. Sulla “svolta” e sulla sua datazione, quindi sul-
la differenza tra le due fasi del pensiero heideggeriano, vi sono state numerose di-
scussioni, nel corso delle quali alcuni hanno sottolineato la continuità e l’unità di
fondo del percorso di Heidegger, altri, invece, la differernza e la rottura.
Nella prima fase (1909-1929)
2
, quella in cui Heidegger prospetta la “distruzione”
della storia dell’ontologia, bisognerebbe distinguere:
ξ la formazione (1909-1916), un periodo in cui Heidegger subisce l’influenza
di Rickert;
ξ gli anni che vanno dal 1916 fino al primo insegnamento friburghese (1919-
1923), che sono caratterizzati dal distacco dal neokantismo e
dall’appropriazione della fenomenologia;
ξ il periodo che inizia con l’insegnamento a Marburgo (1923-1928) e si con-
clude con le opere pubblicate nel 1929, in cui Heidegger, sviluppando il pro-
gramma di una “ermeneutica della fatticità” (analitica esistenziale), già ab-
bozzato nel periodo precedente, giunge ad elaborare l’ “ontologia fondamen-
tale” di Essere e tempo ed il conseguente atteggiamento di “distruzione” della
storia dell’ontologia.
1
Kant e il problema della metafisica, Dell’essenza del fondamento, Che cos’è metafisica?.
2
Il presente lavoro si occupa dell’atteggiamento verso la tradizione metafisica che caratterizza il pen-
siero di Heidegger nella “prima fase”, ossia quella che ha trovato la sua espressione più significativa
nell’ “ontologia fondamentale” di Essere e tempo. Pertanto, le questioni relative alla “svolta” e alla
“seconda fase” del pensiero heideggeriano vengono affrontate solo in riferimento alla “distruzione”.
6
La formazione (1909-1916)
§ 1. Le prime considerazioni
Negli anni della sua formazione, ancora lontano da una vera e propria originalità,
Heidegger aderisce ampiamente alla polemica contro la concezione psicologistica
della logica che caratterizzava la filosofia tedesca di quel periodo per voce
dell’imperante neokantismo e dell’incipiente fenomenologia. Le due recensioni del
1912, Il problema della realtà nella filosofia moderna e Recenti indagini sulla logi-
ca, così come la tesi di laurea del 1913, La dottrina del giudizio nello psicologismo.
Contributo critico-positivo alla logica, sono largamente influenzate da Rickert
3
.
Anche le considerazioni sulla storia della filosofia presenti nella tesi per la libera
docenza del 1915, La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto, si col-
locano in questo particolare contesto. Qui, nell’Introduzione
4
, egli espone la «conce-
zione dell’essenza e del compito della storia della filosofia»
5
con cui tratterà della
Scolastica. Constatando l’imponente sviluppo delle conoscenze, Heidegger sostiene
che inveterati giudizi sulla filosofia medievale
6
devono essere modificati; ed è questo
il motivo per cui lo studio storico deve essere integrato dalla riflessione teoretica. In-
fatti, la filosofia ha un rapporto con la sua storia diverso da quello, per esempio, della
matematica con la storia della matematica. Invece, è opinione comune considerare
come una serie di errori la storia della filosofia, la cui scientificità sarebbe resa ancor
più problematica dal fatto che i filosofi non si sono mai trovati d’accordo neppure su
che cosa fosse la filosofia in genere. Tuttavia, uno sguardo realmente comprensivo
apre un’altra situazione oggettiva: la filosofia, come ogni altra scienza, è un valore
culturale, ma ciò che essa ha di peculiare è la pretesa di costituire un «valore di vi-
ta»
7
.
3
Per l’influenza del neokantismo e della fenomenologia nella formazione filosofica di Heidegger si
veda, G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 3-17.
4
Cfr. M. Heidegger, La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto, a cura di A. Babolin,
Laterza, Roma-Bari 1974, pp. 5-17. La tesi per la libera docenza prende in esame la Grammatica spe-
culativa da Heidegger ritenuta opera di Scoto, ma che, in verità, va attribuita a Tommaso di Erfurt.
L’importanza di questo scritto, risalente ad un periodo in cui Hedegger, attraverso la mediazione di
Emil Lask, matura una maggiore familiarità con il pensiero di Husserl, risiede nel fatto che in esso è
possibile ravvisare un primo segnale del distacco heideggeriano dal neokantismo.
5
Ivi, p. 9.
6
In particolare, Heidegger si riferisce al servile rapporto verso Aristotele e alla posizione ancillare
verso la teologia, solitamente annoverati tra gli aspetti caratteristici della filosofia medievale.
7
M. Heidegger, La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto cit., p. 7.
7
La filosofia vive in tensione con la personalità vivente e da qui trae il proprio con-
tenuto e la propria rivendicazione di valore. Data la costanza della natura umana, di-
venta quindi comprensibile che la riflessione teoretica non possa configurarsi come
un progresso continuo verso nuove questioni sulla base di anteriori risoluzioni, bensì
come l’esplicarsi di una perseverante identità di problemi. In filosofia l’autentico
progresso consiste nella nuova impostazione, nel nuovo avvio e nel nuovo approfon-
dimento delle medesime questioni. Ed è altresì chiaro che nella storia della filosofia,
che non è e non può essere “storia pura” (scienza di dati di fatto), sia implicato un
concetto di “temporalità” che è irriducibile al concetto di tempo usato nelle scienze
fisiche; che poi è quello che Heidegger sosterrà nella prolusione Il concetto di tempo
nella scienza storica.
Dunque, queste considerazioni sulla storia della filosofia nascono da una posizio-
ne teoretica che non può certo vantare molta originalità. Infatti, esse sono il risultato
della contrapposizione neokantiana, in cui Heidegger ancora si muove, tra il mondo
della logica e quello dei fatti psichici, sulla base del fatto che, mentre quest’ultimo è
caratterizzato dal mutamento nel tempo, il mondo logico, invece, si presenta immu-
tabile
8
. Quindi anche il richiamo a Scoto non è esente dalla polemica verso la «non-
filosofia»
9
dello psicologismo. Invero, ciò che affascina Heidegger del pensatore sco-
lastico, nella distinzione da questi operata tra modi essendi, modi intelligendi e modi
significandi, è il suo stare vicino alla multiformità della vita reale, dinamica e fluen-
te, e, staccandosi da essa, la capacità di non confonderla con il mondo astratto della
filosofia. Ma, ben presto, Heidegger, ritenendo insoddisfacente la spiegazione data
da Rickert del modo in cui la soggettività possa accedere alla validità dei significati
logici, irriducibili al fluire che caratterizza la vita psichica, cercherà la soluzione di
questo problema nel lavoro di Husserl.
8
Cfr. M. Heidegger, La dottrina del giudizio nello psicologismo. Contributo critico-positivo alla logi-
ca, a cura di A. Babolin, La Garangola, Padova 1972. L’autore vi sostiene che la psicologia e la logica
hanno davanti a sé oggetti di natura diversa. L’oggetto della logica è quell’elemento che, agli stati psi-
chici, i quali variano nel corso del tempo, si rivela come sempre lo stesso (“identico”). Questo elemen-
to identico, in cui si incarna il senso del giudizio, non appartiene quindi ai processi psichici, né è una
realtà fisica o metafisica, ma è, secondo Heidegger, che si richiama esplicitamente a Lotze, un “valo-
re”. Per questo motivo l’intrusione della psicologia nella filosofia è un’intromissione indebita (“psico-
logismo”) a causa della quale la natura propria dell’oggetto logico, che viene erroneamente spiegata
ricorrendo alle leggi empiriche del funzionamento della mente umana, è misconosciuta.
9
M. Heidegger, La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto cit., p. 17.
8
Ciò gli consentirà di raggiungere una posizione filosofica originale, in conseguen-
za della quale, l’importanza che aveva già riconosciuto al tempo, da non intendersi
come semplice successione cronologica, si svilupperà nella tesi della temporalità
dell’essere [Temporalität] e nel proposito di una “distruzione” della storia
dell’ontologia.