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Introduzione: Fondazioni e Fondi
Se volessimo visitare la Biblioteca del Burcardo dovremmo saper dire al bibliotecario a
quale fondo vogliamo avere accesso.
In bibliologia, il fondo consiste nella raccolta o collezione di testi e, così come per la
fondazione , è un sostantivo che affonda le radici nel gergo giuridico - economico.
Cionondimeno fondo è, all’interno dell’organizzazione, una raccolta di qualsiasi bene,
in questo caso artistico, che lo statuto della fondazione si propone di tutelare.
Prima di addentrarsi nel discorso riguardante i fondi è necessario un breve excursus che
possa chiarire cosa sono le fondazioni e i fondi stessi, così che il modo in cui vengono
emesse disposizioni per la conservazione, la catalogazione e l’amministrazione delle
risorse sia di più facile comprensione.
La nostra giurisdizione considera come soggetti del diritto anche le organizzazioni
collettive, che potremmo definire come costituite da più persone e/o da un insieme di
beni, finalizzati al raggiungimento di uno scopo comune. Che siano di natura economica
o meno, le organizzazioni necessitano di un patrimonio per realizzare i loro fini oltre
che di appositi organi.
Il patrimonio di un’organizzazione può essere costituito da beni mobili, immobili o
mobili registrati; ancora può essere denaro liquido o un prestito bancario, un
finanziamento statale.
Perché la legge possa riconoscere la fondazione come tale è necessario che raggiunga
un ammontare minimo patrimoniale : a seconda che si chieda il riconoscimento presso
le Prefetture o le Regioni, vale o meno la discrezionalità sul caso singolo.
Cosa significa?
Richiedere il riconoscimento di una fondazione presso la Prefettura significa far valere
la lettera del dpr – decreto del Presidente della Repubblica - 361/2000 la quale afferma
che "Ai fini del riconoscimento è necessario […] che il patrimonio risulti adeguato alla
realizzazione dello scopo" : se ne deduce che la soglia minima per l’approvazione della
fondazione come persona giuridica dipende esclusivamente dal giudizio del Prefetto.
Al contrario, molte regioni hanno scelto di disciplinare tramite decreto legislativo
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l’ammontare minimo del patrimonio indisponibile – ossia quell’insieme di beni
appartenenti allo Stato o alle singole Province e Comuni, di natura simile ai beni
demaniali (che appartengono esclusivamente allo Stato), la cui gestione è assegnata a
un Ente Competente e che possono essere i siti archeologici, i palazzi storici o perfino
le foreste - .
Tutto quanto succitato vale perché la fondazione possa essere riconosciuta in quanto
tale anche dalla legge; il patrimonio utile alla costituzione in sé dell’organizzazione
dipende, invece, da coloro i quali ne seguono l’atto costitutivo o dal denaro raccolto
tramite l’adesione alla fondazione stessa se non, ancora, per mezzo di donazioni libere.
Le fondazioni di cui ci stiamo occupando cadono sotto la definizione di ONLUS,
particolare forma giuridica introdotta in Italia nel 1997. Onlus, acronimo di
Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale, sono quegli organismi il cui fine non è
quello di realizzare un profitto, come per le società di capitali, ma quello di offrire
servizi di diverso genere (culturali, in questo caso) facendo, appunto, spesso ricorso alla
disponibilità di persone interessate ai fini che la Onlus si prepone, rendendo un servizio
utile alla società.
Le fondazioni di impronta culturale si rifanno, nello specifico, al Decreto Legislativo
460/97 del quale il punto settimo esplica che Onlus è anche l’organizzazione che si
occupa di “tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico
di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, ivi comprese le biblioteche e i beni di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409 “
Oggigiorno le Fondazioni d'arte così come le realtà museali rivestono ruoli di primaria
importanza in Italia e considerevolmente quando, nel tempo, sono evolute da modelli di
business sulla falsariga della più semplice forma del mecenatismo- erogazione liberale
da parte del cittadino alla fondazione - a strutture giuridiche complesse, come spiegato,
in grado di gestire e offrire al pubblico risorse private di grande valore.
Il modo più efficace che le fondazioni no-profit conoscono per mantenersi in tempo
contemporaneo è quello della partnership con le grandi aziende, che vengono
incentivate tramite apposite proposte di legge al finanziamento delle attività culturali.
Queste normative prevedono agevolazioni fiscali per quelle imprese che scelgono di
sponsorizzare o semplicemente tutelare, con la concessione di una percentuale del loro
patrimonio, il tesoro artistico nazionale secondo le direttive del Codice dei Beni
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Culturali, ossia la revisione del vecchio Testo Unico - Decreto legislativo del 29
ottobre 1999, n. 490 “ Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352 “ da La
Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 1999, n. 302 - Suppl. ord. n. 229 – entrato in vigore
successivamente alle ex L. 1089 del 1 giugno 1939 ( comprendente le “cose mobili
immobili che presentano interesse storico, artistico , archeologico, o etnografico” e le
cose che interessano la paleontografia, la preistoria, la numismatica, nonché manoscritti,
carteggi, autografi , documenti, libri, stampe e incisioni aventi rarità, nonché ville parchi
e giardini di interesse storico ed artistico ) ed ex L. 1497 del 19 giugno 1939
(comprendente che cose immobili aventi caratteri di bellezza naturale, ville, giardini e
parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza, i complessi di cose immobili
che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionali
panoramiche e bellezze panoramiche considerate quadri naturali ) dette Leggi Bottai.
Le Leggi Bottai forniscono peraltro in Italia le primissime definizioni vicine a quella di
Bene Culturale, e affermano il principio del godimento pubblico delle “cose
artistiche”; sanciscono l'indipendenza degli oggetti di cultura dai Piani Regolatori,
dispongono sulle autorizzazioni in caso di intervento di qualsiasi natura sulla risorsa,
impongono il principio della conservazione anche ai privati possessori di cose di
interesse culturale, regolano le alienazioni, i prestiti, i trasferimenti, le importazioni e le
esportazioni delle risorse culturali, disciplinano i ritrovamenti e le scoperte, stabilisce le
sanzioni in caso di contravvenzione di detti principi.
In particolare, la legge n.1089 del 1939 sfrutta l’espressione “cose d’interesse artistico-
storico” piuttosto che “bene culturale”; evidenzia inoltre moltissimi oggetti privi di
pregio artistico e ben altri espressamente dotati dalle leggi allora in vigore di valore
culturale (ad esempio risorse storiche, archeologiche ed etnografiche).La legge n.1497
dello stesso anno utilizza invece il termine“bellezze naturali” e su ben quattro categorie
di beni che si propone di disciplinare, nell’ordine riportato poco più su: di queste, solo
ville, giardini e parchi ed i complessi di cose immobili atte a comporre un’opera di
aspetto caratteristico con dichiarata valenza estetica non sono effettivamente bellezze
naturali quanto, piuttosto, creazioni umane. L’ultima categoria, invece, gode di una
certa ambiguità – tradizionali panoramiche e bellezze panoramiche considerate quadri
naturali – poiché sono possibili tanto come artifici quanto come generazioni naturali.
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Definita brevemente la Fondazione e la sua natura, è ora possibile passare al fondo,
ossia al bene o beni, come poc’anzi abbiamo detto, che la fondazione intende
salvaguardare, ovviamente nell’accezione che a noi interessa: culturale.
Come già accennato, fondo deriva dalla terminologia economica e sta a significare che
quel dato bene è stato acquisito tramite un apposito fondo finanziario, quindi denaro
disposto unicamente al fine di ottenere quel dato oggetto o raccolta di oggetti.
I fondi o beni sono considerati come parte del patrimonio dell’ente che li custodisce e,
come tali, sono soggetti alle oscillazioni del mercato; oltre a ciò ogni bene rappresenta
un “unicum”, ossia è irripetibile ed irriproducibile, rappresenta un caso originale a sé
stante: questo consente di riconoscergli valore economico. Molto prima s’era, per
grandi linee, anche definito il concetto di bene. Nel caso che stiamo analizzando, I beni
possono nel particolare essere mobili o immobili. Si individuano nei beni mobili i
dipinti, le suppellettili e qualunque opera sia svincolata (o svincolabile) dal contesto che
la accoglie, e nei beni immobili palazzi di alto valore storico o zone corografiche, ossia
caratterizzanti per una data area geografica .
Il Codice dei Beni Culturali — a differenza del t.u. del 1999 (Testo Unico) che si
proponeva di suddividere in categorie, prima, poi adottando una formula unica per le
sue definizioni, i beni che fossero una “testimonianza avente valore di civiltà“— sfrutta
la generica categoria delle cose (e non dei beni) “immobili e mobili che, ai sensi degli
articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico,
etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o
in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà “
Nello specifico, secondo l’art. 10 si considerano come beni culturali - oltre alle cose
immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici
territoriali nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private
senza fine di lucro (ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti) che
presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico (art. 10,
comma 1) - anche le raccolte museali, di pinacoteche, gallerie e posti simili appartenenti
allo Stato, alle Regioni o ai privati; gli archivi e i singoli documenti di Stato, Regioni
ed altri Enti o Istituti Pubblici; le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle
Regioni, degli altri Enti Pubblici Territoriali nonché di ogni altro Ente e Istituto
Pubblico.
A norma del comma 3 sono beni culturali, sempre che sia avvenuta la dichiarazione di
culturalità prevista dall’art. 13, anche le cose immobili e mobili appartenenti a soggetti
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diversi da quelli indicati sopra. La condizione necessaria rimane quella che pretende per
ciascun oggetto la valenza di Testimone.
Secondo il 5° comma dell’art. 10 non possono invece considerarsi culturali, salvo che
per l’applicazione di alcune disposizioni in materia, di attestati di autenticità e di
provenienza, misure anticontraffazione (artt. 64 e 178 del codice) le cose che siano
opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.
L’art. 11 del codice esiste in funzione di quelle risorse che presentino comunque un
qualche interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e
bibliografico benché non siano ancora considerati beni culturali. Si tratta, in particolare,
degli affreschi, degli stemmi, dei graffiti, delle lapidi, delle iscrizioni e degli altri
elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista (art. 50, 1
o
co.); degli
studi d’artista (art. 51); delle aree pubbliche (art. 52); delle opere di pittura, scultura,
grafica e qualsiasi oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad
oltre cinquanta anni (artt. 64 e 65, 4
o
co.); delle opere dell’architettura contemporanea
di particolare valore artistico (art. 37); delle fotografie, con relativi negativi e matrici,
degli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in
movimento, delle documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque
realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni [art. 65, 3
o
co., lett. c)]; dei
mezzi di trasporto con più` di settantacinque anni [artt. 65, 3
o
co., lett. c) e 67, 2
o
co.];
dei beni e degli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi
più di cinquanta anni [art. 65, 3
o
co., lett. c)]; dei ritrovamenti riconosciuti attraverso la
vigente normativa in materia di tutela del patrimonio storico della prima guerra
mondiale (art. 50, 2
o
co.).
[Geo Magri, Beni Culturali, tratto da Digesto delle Discipline Privatistiche Sezione Civile, UTET giuridica]
Possibile che non esistano studi o tentativi di regolare le amministrazioni di oggetti
d’arte prima del XX secolo?
Restando nei dintorni dei tempi moderni, nel periodo post-unitario Nazionale si ritrova
un primo tentativo di regolazione della tutela dei beni culturali tramite legislazione,
risalente al 1872; prima di questa data il nuovo Stato Italiano faceva riferimento al
cosiddetto Editto Pacca – disposizione Pontificia che segue l’Editto Doria del
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Cardinale Doria Pamphilj del 1802; datato 7 aprile 1820, recante la firma del Cardinale
Bartolomeo Pacca, Vescovo di Frascati e Camerlengo durante il pontificato di Pio VII e
Leone XII, prosegretario di Stato della Santa Sede tra il 1808 e il 1814, è noto per essere
la più innovativa produzione legislativa del tempo, cui si ispirarono i testi futuri.
L’Editto Pacca estendeva la tutela per la prima volta a moltissime categorie di beni,
regolamentava gli scavi archeologici e le esportazioni, si propose di regolamentare la
catalogazione dei beni, istituì precisi organi di controllo e vincolò anche i beni culturali
in possesso di privati. Esistono tentativi precedenti molto antichi, risalenti circa
all’Epoca Rinascimentale.
Trattando il periodo contemporaneo ritroviamo nel 1902 la legge n. 185, conosciuta
come Legge Nasi dal nome del Ministro della pubblica Istruzione in carica al momento
dell’approvazione. Fu la prima vera legge a riguardare i Beni Culturali, istituì un
“Catalogo Unico” nazionale (opere artistiche e storiche dello Stato) oltre ad introdurre il
diritto di prelazione - Priorità rispetto ad altri soggetti, concessa dalla legge o da
norme particolari, in un acquisto o nel recupero di un credito - da parte dello Stato
assieme al divieto d’esportazione dei Beni.
Alcuni dei punti presentati da questa legge si ritrovano nel Codice dei Beni Culturali,
come nei testi precedenti: un esempio può essere il limite dei 50 anni dalla produzione
dell’oggetto perché la tutela potesse svolgere i suoi effetti. A dispetto di tutto, però, la
legge ebbe poca incisività e bisognerà attendere il 1909 per avere una legge organica
sulla Tutela dei Beni Culturali.
Questa è la Legge Rosadi, o n. 364. I punti cardine di questa legge furono:
- l’Inalienabilità dei Beni Demaniali e del Patrimonio Pubblico
- Il regime vincolistico per la proprietà privata, attuato tramite lo strumento della
Notifica
- Istituzione del Diritto di Prelazione dello Stato in caso di alienazione dei beni dei
privati
- Istituzione delle Sovrintendenze come uffici di controllo capillari sul territorio dello
Stato
Alla Legge Rosadi, succederanno le Leggi Bottai.
Tuttavia il risvolto decisivo in argomento di tutela della cultura avviene in tempi
piuttosto recenti: infatti, nel 1964 fu la Commissione di studio Franceschini a definire
il bene di interesse culturale come “una testimonianza materiale avente valore di
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civiltà” , concetto di cui si dirà a breve e che s’è sopra accennato trattando il tema dell’
oggetto con valenza di Testimone .
La Commissione era ufficialmente denominata ‘Commissione di indagine per la tutela e
la valorizzazione delle cose di interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio’
ed è comunemente nota col nome di cui sopra, ispirato al suo presidente.
Il principale compito di questo gruppo era la revisione delle leggi di tutela e
valorizzazione delle cose di interesse culturale legandole, qualora risultasse necessario,
con la legislazione urbanistica allora vigente; aveva anche il compito di formulare
proposte per un nuovo assetto strutturale del settore dei Beni Culturali.
Venne istituita, con L. 26-4-1964, n. 310, quando ancora in Italia era in vigore la
legislazione del 1939 ossia La Legge Bottai di cui sopra - ispirata per l’appunto da
una concezione elitaria, estetizzante ed idealista, che riconosceva la tutela solo a beni
di particolare pregio, rarità e di non comune bellezza -
La ricchezza del bene culturale sta tutta nel suo essere polivalente in quanto fuoco di un
dato contesto storico, rappresentazione di una cultura e simbolo del passato che
sopravvive fino ad oggi. Bene che, in forza di una ricchezza artistica riconosciuta, è
meritevole di valorizzazione e di tutela.
Il concetto di civiltà qui espresso, e precedentemente citato, deve essere interpretato
come un insieme di modi di pensare, sentire e vivere di gruppi sociali nel tempo e
nello spazio: conseguentemente a ciò, la civiltà prescinde il valore economico e di
seguito artistico del bene stesso, entrambi esplicati dai concetti di avvaloramento delle
Leggi Bottai. La civiltà diventa esteriorizzazione di ogni capacità umana, sia essa
piccola o grande, rilevante o irrilevante. I nuclei di oggetti numismatici, documenti
autografi e non, libri, fotografie, disegni, graffiti e perfino quelle produzioni artificiali
che non si ritiene possano avere importanza nel momento in cui vengono poste in essere
potrebbero acquisire, diversamente, importanza in futuro e, pertanto, sono meritevoli di
tutela.
Toccati i punti cardine delle normative che disciplinano e definiscono le attività che
gravitano intorno agli oggetti di cultura, possiamo asserire che per essere tale un Bene
Culturale deve essere materiale, ossia essere in quanto oggetto fisico mobile o
immobile, godere di un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico
ed aver visto riconosciuto questo interesse dagli Enti incaricati.
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Perché “Bene Culturale” e non più “Cose d’interesse artistico”?
Certamente non per la brevità con cui nuclearizzare una vastissima serie di oggetti di
interesse culturale o, quantomeno, non solo.
Nel linguaggio giuridico italiano, l’espressione “Bene Culturale” acquista un senso solo
dalla prima metà degli anni ’60 per merito proprio della Commissione Franceschini e,
successivamente, della Commissione Pappalado - 9 aprile 1968, presenta nel 1970
uno schema di d.d.l..- disegno di legge - sulla ‘ Tutela e valorizzazione dei beni
culturali ‘ – La prima legittimazione della definizione, comunque, rimane ufficialmente
quella del 1954 nella Convenzione dell’Aja per la formulazione delle norme di diritto
internazionale per la protezione dei beni in caso di conflitto armato. Il favore con cui
venne accolta fece si che il termine venisse sfruttato nelle documentazioni della
Convenzione di Parigi del 1970.
Altri casi in cui si connota la presenza di “Bene Culturale” all’interno della produzione
documentale politico-economica sono la Convenzione del 1972 per la protezione
mondiale culturale e naturale e ,nel 1975, sul fronte italiano, come espressione atta
qualificare un nuovo, apposito Ministero, del tutto separato da quello della Pubblica
Istituzione nonché del tutto innovativo in quanto a strumenti e scopi prefissi.
Perfino, prima dell’entrata in vigore delle Leggi Regionali, gli Statuti di ciascuna
regione solevano per l’appunto parlare esclusivamente di patrimonio culturale, storico
od artistico.
Cita l’estratto dalla rivista “Le Regioni” del 1987:
“Si può ritenere che il passaggio dalle ‘cose di interesse artistico o storico’ ai beni
culturali segni una censura nel modo di considerare la natura , i modi di tutela e le
forme di valorizzazione del nostro patrimonio culturale , in particolare esprime una
differente visione dell’assetto proprietario e del rapporto che si instaura tra situazione
di appartenenza e funzione sociale di tali beni”
[Rolla, Beni culturali e funzione sociale, in Le regioni 1987 fasc. 1-2 (aprile) pag.54]
e la Dichiarazione n.1 della Commissione Franceschini:
“appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla