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Introduzione
“Bisogna che io mi immerga costantemente nell’acqua del dubbio” dice Wittgen-
stein, filosofo del linguaggio. Questo è l’atteggiamento mentale che l’uomo dovreb-
be adottare per giungere alla conoscenza. Gli errori e le illusioni della nostra mente
non si manifestano mai come tali. Nel momento in cui il pensiero scopre l’errore che
si crede verità, allora inizia la conoscenza, la quale nel momento in cui la vogliamo
conoscere diventa estranea. Ogni processo cognitivo interagisce con l’etica, con il
mito, con la religione, con la politica e richiede la congiunzione di processi energeti-
ci, chimici, elettrici, culturali, esistenziali, logici e così via. Ci troviamo così di fronte
ad una conoscenza multidimensionale e per esigenze culturali tendiamo a frammen-
tarla; tale frammentazione compromette la possibilità di una conoscenza della cono-
scenza stessa.
La filosofia contemporanea si è dedicata alla decostruzione dei sistemi che erano ba-
sati su fondamenti sicuri e alla relativizzazione della conoscenza. È stata attuata una
sorta di purificazione del pensiero eliminando ciò che Morin chiama impurità e tutta-
via non si è giunti alla constatazione di fondamenti assoluti ma alla scoperta che i
fondamenti non esistono. Popper ha dimostrato che quando si vuol garantire la verità
scientifica di una teoria, la “verifica” non è sufficiente. Una teoria risulta scientifica
solo se rientra nella categoria del “fallibile” ed il dubbio e la relatività non possono
essere eliminati. Da questa premessa alla conoscenza che appare così inquietante e
così struggente Morin arriva a concepire il dubbio e la relatività come uno stimolo
per una conoscenza più feconda. La conoscenza della conoscenza può rimanere
all’interno del linguaggio, del pensiero perché non si può pretendere di elaborare una
vera e propria meta-conoscenza; si possono prendere in considerazione più punti di
vista sulla conoscenza. Una scienza della cognizione vera e propria non si è ancora
costituita in quanto nella conoscenza della conoscenza non si può escludere il sogget-
to che conosce e perché c’è il perenne rischio di dispersione nelle innumerevoli in-
formazioni con cui abbiamo a che fare. Data la multidimensionalità della cono-
scenza e la complessità dei problemi, Morin ritiene necessario un dialogo tra la ri-
flessione soggettiva e la conoscenza oggettiva: il punto di vista filosofico consente di
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porsi ad una distanza giusta per considerare la scienza e il punto di vista scientifico
offre la prospettiva necessaria a considerare la filosofia. In fondo la scienza e la fi-
losofia sono due volti diversi e complementari del pensiero
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il quale deve essere con-
cepito come “complexus”, tessuto insieme. Per Morin, la conoscenza della cono-
scenza è una necessità primaria per armare la mente contro gli errori, nel combatti-
mento verso una forma di lucidità, nella lettura del reale ottenuta attraverso una for-
ma mentale atta alla problematizzazione, alla riflessione ed al dubbio che si contrap-
pone ad una visione riduzionistica e deterministica del reale.
Ho strutturato la mia tesi tentando di creare un filo logico tra alcune delle tematiche
di cui Morin si occupa partendo dal concetto di complessità, la quale risulta dalla cir-
colarità del rapporto tra fisica, biologia, antropologia e società secondo una relazione
di retroazione di cui è impossibile vedere l’origine. Non si tratta solo di stabilire rap-
porti più o meno problematici tra le diverse discipline che concorrono alla descrizio-
ne della natura umana ma di acquisire una maggiore competenza che consiste nella
capacità di cogliere in tutte la problematicità, il complesso delle interazioni, interfe-
renze, della complementarità e delle opposizioni tra gli elementi costituitivi della
persona umana; dopo aver analizzato come avvengono i processi conoscitivi veri e
propri della mente nel primo capitolo, si affronterà il discorso della “testa ben fatta”,
un pensiero transdisciplinare, un nuovo principio organizzatore della conoscenza che
congiunge il soggetto conoscitore con l’oggetto conosciuto e sia in grado di affronta-
re la sfida della globalità. Si tratta della sfida della riforma del pensiero che non ha
una natura programmatica ma paradigmatica e che concerne la nostra attitudine ad
organizzare la conoscenza
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, imparando ad affrontare le antinomie nei discorsi, nei
pensieri e nelle teorie. La riforma del pensiero è in stretta connessione con la riforma
dell’insegnamento che richiede il superamento della tradizione cartesiana che sepa-
rava il soggetto che conosceva dall’oggetto conosciuto, rincongiungendoli. Si assiste
ad una svolta epistemologica consistente nell’ “apprendere ad apprendere” ossia una
riforma dell’apprendimento che cerca di evitare semplificazioni, forme di raziona-
lizzazione e normalizzazione e che riconosca il principio di incertezza razionale co-
me principio che regola l’intera attività scientifica. La vera razionalità secondo il fi-
1
E.Morin, Metodo, La conoscenza della conoscenza, Saggi/Feltrinelli, 1989.
2
E.Morin,La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e del pensiero, Cortina,Milano,pag.13.
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losofo francese si nutre di incertezza e di dubbi ed una delle finalità della sua peda-
gogia è l’apprendistato all’incertezza, sia del proprio pensare, sia delle leggi del di-
venire, sia dell’ incertezza delle cose. Il pensiero dialogando con il reale opera ne-
cessariamente delle mutilazioni, perché disgiunge o unisce in maniera impropria.
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La conoscenza infatti ha sempre una natura egocentrica e pertanto non può sfuggire
alla soggettività, cioè all’atto fondamentale di situarsi al centro del proprio cono-
scere
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.
Humberto Maturana afferma che la fonte di ogni conoscenza si trova nel computo
cioè nella capacità che il soggetto ha di autoprodursi, di autorganizzarsi: “Io sono, io
mi conosco, io mi voglio”, dice San’Agostino, riassumendo le caratteristiche della vi-
ta soggettiva. Ciò sta ad indicare che l’essere, il conoscere, il volere e quindi l’azione
sono inseparabili ed anche se nel corso della nostra vita verranno differenziati, nella
loro natura saranno sempre insieme. Ogni conoscenza avviene per Traduzione, Co-
struzione e Soluzione del problema, pertanto non rifletterà mai la realtà ma potrà
tradurla e ricostruirla. Il processo di computazione funziona se l’essere umano “ im-
plica” il suo universo, cioè è abitato in modo anticognitivo dal mondo in cui abita,
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dice Morin. Ogni operazione cognitiva implica una reminiscenza anteriore ad ogni
sapere: ciò vuol dire che il Macro tutto del mondo che ci circonda è implicato nel
Micro mondo dell’essere.
La capacità di apprendere è legata alla plasticità biochimica del cervello e necessita
di stimoli dell’ambiente circostante per diventare operante altrimenti si perde e rima-
ne sterile. Il nostro apparato neuro cerebrale dispone di doppia memoria, genetica e
personale, e di capacità di trattare i dati e risolvere i problemi per un fine. Per la riso-
luzione dei problemi che si presentano, il nostro cervello adotta delle strategie, le
quali nascono nel corso dell’azione che si sta compiendo. È un lavoro mentale note-
vole che richiede la capacità di accettare le incertezze e di modificare lo sviluppo
dell’azione in funzione del nuovo. Morin sostiene che nel caso in cui non si ha pos-
3
E.Morin, Metodo 3, La conoscenza della conoscenza, Saggi/Feltrinelli, Milano, 1989.
4
E.Morin, Op.Cit. pag.16.
5
Ivi, pag.17.
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sibilità di scelta o non si intravede la novità allora in noi agiscono dei programmi, os-
sia degli automatismi. Ma è opportuno ricordare che la strategia stessa ha bisogno di
innumerevoli programmi ed automatismi della mente. Quando l’uomo tenta di essere
strategico nella risoluzione di un problema cerca di estrarre le informazioni
dall’oceano del rumore delle informazioni stesse e di rappresentare in maniera chiara
una situazione, valutando le azioni adatte al contesto. Si parla di azione contestuale
in quanto non sempre una strategia può funzionare al di fuori del suo contesto.
Questa attitudine a decidere comporta il rischio dell’errore, ma ogni rischio che noi
assumiamo viaggia di pari passo con una opportunità. Per questo Morin invita
l’uomo al dialogo con l’incertezza a cui siamo sottoposti quotidianamente. Per risol-
vere un problema non è sempre necessario semplificarlo ma a volte bisogna compli-
carlo per tener conto del massimo numero delle informazioni possibili. Pertanto è ne-
cessario assumere l’incertezza della nostra stessa azione che diventa una scommessa.
Morin apre una saldatura tra la conoscenza della conoscenza e l’ apprendistato alla
vita ed alla cittadinanza, che verranno affrontati nel terzo capitolo, attribuendogli
una unica finalità, quella di conoscere la condizione umana; a tal proposito riporto un
assunto di Rousseau secondo cui l’educazione è l’apprendistato a sopportare il bene
ed il male della vita per sottolineare come al centro di ogni attività educativa vanno
posti l’uomo e la conoscenza della condizione umana. A tale conoscenza devono
concorrere tanto le scienze naturali quanto le scienze umane; ma una conoscenza non
è veramente tale se non confluisce nella sapienza, cioè se non si radica nella vita e
non rivitalizza continuamente l’essere per radicarlo nella natura e nella società; as-
sumere la condizione umana significa imparare ad essere cittadini, responsabili e so-
lidali con e nella comunità in cui si è nati, sulla base di una comune identità genetica
di specie. Con Morin si realizza il passaggio dalla teoria della complessità
dell’educazione alla teoria per cui bisogna educare alla complessità con il fine di ap-
prendere la vita.