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Introduzione
L’inconscio è un luogo avvolto di mistero e come tale da sempre fonte di congetture,
confutazioni e risorsa inesaurita di fascino per l’uomo. Argomento di grande interesse per
filosofi e artisti, pietra angolare e sostegno per la psicanalisi, l’inconscio continua a
stimolare domande ancora oggi: interrogativi cui la psicologia moderna intende rispondere
avendo a disposizione maggiori risorse teoriche, varietà di metodologie di ricerca e più
strumenti. La presente tesi ha come obiettivo quello di fare una rassegna critica delle
diverse prospettive da cui è stato visto il concetto di inconscio, focalizzandosi però sui
contributi che la scienza cognitiva moderna ha dato sullo studio dell’argomento, di cui
evidenziare alcune possibili applicazioni nel campo dei mass media e nel campo clinico.
Considerando la complessità dell’argomento e i numerosi gruppi di ricerca appartenenti a
tradizioni scientifiche differenti, il lavoro non desidera esaurire tutti gli aspetti
dell’argomento presenti nella letteratura: la rassegna storica servirà da quadro in cui
collocare l’attuale ricerca cognitivista sui processi inconsci di elaborazione
dell’informazione.
L'intento si nutre di una duplice motivazione: una intrinseca - la curiosità personale e
l’esigenza di trovare delle risposte aggiornate sull’argomento - e una estrinseca - l'attualità
di cui gode l'argomento nella letteratura specialistica, nonché l’utilità pratica delle
applicazioni nell’ambito della psicologia sociale e clinica.
La metodologia seguita è di tipo compilativo, con elementi analitico-critici.
Strutturalmente, il lavoro si articola in tre capitoli, come descritti di seguito.
Il primo capitolo vuole essere una rassegna sul concetto d’inconscio dalle sue origini
fino alle attuali concezioni scientifiche. Inizialmente si cerca di delimitare i confini
semantici del concetto di inconscio, attraverso un confronto con i significati del concetto di
coscienza. Viene poi analizzato il concetto nella filosofia, passando attraverso il paradigma
psicoanalitico fino ad arrivare allo studio sperimentale dell’inconscio.
Il secondo capitolo vuole tracciare una possibile risposta dal punto di vista della
psicologia cognitiva ad alcune affermazioni stimolanti e provocatorie, come quella di
Popper (1977, cit. in Dixon, 1981, 1), secondo il quale “tutta l’esperienza è già interpretata
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centinaia o migliaia di volte dal sistema nervoso prima di diventare esperienza conscia” o
quella di Piaget (1968, cit. in David, 2000, 19) secondo il quale siamo coscienti più dei
risultati dei nostri pensieri e non dei loro processi. In questo senso, dopo aver intrapreso
una distinzione e definizione dei termini di coscienza e inconscio in base alla letteratura
specialistica, si passerà all’analisi dell’inconscio da un punto di vista cognitivista, sotto
forma di processi cognitivi impliciti: la percezione implicita, la memoria implicita e
l’apprendimento implicito.
Per quanto riguarda la percezione implicita, sceglieremo di approfondire tra i vari tipi
la percezione subliminale, di cui evidenzieremo le principali modalità di generazione degli
stimoli subliminali e illustreremo lo stato dell’arte rispetto alla sua esistenza, a partire da
ricerche su soggetti normali e su soggetti neuropsicologici. Accorderemo un’attenzione
particolare ad aspetti metodologici di grande rilevanza per quanto riguarda la distinzione
tra i processi consci e inconsci di elaborazione dell’informazione e per la validità e la
coerenza dei risultati. La memoria implicita sarà trattata in termini di definizione e
collocazione all’interno della memoria, dei test di valutazione esistenti e dei principali
paradigmi di studio e teorie. Dell’apprendimento implicito tratteremmo alcuni aspetti
definitori e i principali paradigmi di studio.
Il terzo capitolo evidenzia e discute alcuni aspetti operativi dello studio sui processi
inconsci, in modo particolare nell'ambito dei mass media e nell'ambito clinico. Si analizza
in questa sede il ruolo della percezione subliminale nei due ambiti. A questo riguardo, i
ricercatori che studiano la percezione subliminale o la psicologia dell'inconscio in generale
incontrano spesso delle resistenze. Altri invece, messi di fronte a dimostrazioni
convincenti, ne sminuiscono l’importanza e la portata. A Dixon (1986, 30) questa sorta di
antipatia gli ricorda lo scetticismo dei sostenitori della teoria della terra piatta verso
l’ipotesi “allarmante” che la terra fosse sferica. Secondo Norretranders (1998, 158) il
concetto che “il comportamento umano possa essere influenzato da percezioni che non
portano alla consapevolezza ma rimangono nell'organismo è stato sempre associato a paura
considerabile”. È possibile che la reticenza da parte degli scienziati sia dovuta alla paura
che noi (la nostra consapevolezza) non siamo nel pieno controllo del nostro
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comportamento e che il pensiero conscio dovrebbe mediare tutto quello che facciamo,
quanto meno le decisioni e i comportamenti che per noi sono importanti.
Appellandoci a ricerche scientifiche, in primo luogo ci soffermiamo su un aspetto
indesiderabile della percezione subliminale, e cioè l’influenza che i mass media, come per
esempio la televisione e il cinema, possano avere sul comportamento, sulle emozioni e
sulle scelte, senza che le persone siano consapevoli e senza essere in grado di controllare
questo fenomeno. In secondo luogo prendiamo in considerazione la possibilità che lo
stesso processo cognitivo, quello della percezione subliminale, possa essere messo al
servizio della persona. In questo senso, viene esaminato l'apporto della stimolazione
subliminale nella cura della fobia, prendendo come setting esemplificativo il caso delle
fobie semplici.
Le fonti sono stati reperiti da diverse biblioteche universitarie ma anche da quella
personale e dall’internet, prevalentemente in lingua inglese.
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CAPITOLO I: L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO D’INCONSCIO E DELLO STUDIO DI ESSO
Nel primo capitolo ci poniamo l’obiettivo di offrire un panorama sul concetto di
inconscio, che serva come contesto in cui collocare l’apporto del paradigma cognitivista
moderno allo studio di esso, che è il nocciolo del nostro interesse. Un primo paragrafo
affronta alcuni elementi generici di definizione dell’inconscio, sottolineando la sua
necessaria “dipendenza” dal concetto di coscienza. Il secondo paragrafo è un excursus
sintetico nella filosofia dell’inconscio, dal periodo post-cartesiano fino alla nascita della
psicanalisi, che costituisce l’oggetto del terzo paragrafo. Un’attenzione particolare viene
data a Pierre Janet, in quanto studioso parallelo alla psicanalisi, nonché precursore degli
studi sperimentali sull’inconscio, trattati brevemente nel quinto paragrafo.
1. Il conscio e l’inconscio: definizioni e caratteristiche
Questo paragrafo è dedicato alla definizione e alla descrizione dell'inconscio,
stabilendone i confini semantici mediante un confronto con il concetto di coscienza. La
necessità di fare riferimento al conscio per parlare d’inconscio è insita nella parola stessa,
nonché nell’etimologia e la sua definizione. L’inconscio viene quindi definito, dal punto di
vista logico concettuale, in relazione alle proprietà attribuite alla coscienza. Si parte
dall’etimologia dei termini, per poi mettere in luce alcune definizioni e caratteristiche
principali, essendo consapevoli di non essere esaurienti in questo, considerata la
complessità degli argomenti e il dibattito ancora aperto sulla loro definizione.
1. 1. Il conscio, la coscienza
La parola “conscio”, proviene dal latino consciu(m) che è un derivato di scire
(sapere). Il termine viene utilizzato come aggettivo (che ha coscienza di qualcosa) e come
sostantivo, indicando “il livello, la sfera dell’attività psichica di cui l’individuo ha
consapevolezza attuale” (Garzanti, 2010, s.p.). Questa distinzione ci porta a indagare sulla
nozione molto complessa della coscienza.
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Come scriveva George Miller (1962, cit. in Velmans, 2009, 1), “la coscienza è una
parola consumata da un milione di lingue”. Oggi, dopo 50 anni, poco è cambiato: una
definizione della coscienza deve essere sufficientemente larga da includere tutti gli esempi
degli stati coscienti e sufficientemente ristretta da escludere entità, eventi e processi che
non sono consci. Sfortunatamente, in molti casi le definizioni sono di quando in quando
troppo strette o troppo larghe, generando di conseguenza confusione. In più, si deve fare i
conti anche con teorie globali storiche sulla natura della coscienza, la mente e il mondo,
che sono state incluse nelle definizioni.
I contenuti della consapevolezza includono tutto quello di cui siamo consapevoli,
non solo esperienze che solitamente fanno riferimento a noi stessi (come pensieri,
sentimenti, immagini, sogni, esperienze del corpo), ma anche quelle riferite al mondo
esterno.
Velmans (1996, 2) propone una rassegna di alcune concezioni del termine, come
riportiamo di seguito.
In alcuni scritti, il termine consapevolezza si sovrappone a quello di mente
coincidendo con essa, risultandone una definizione troppo larga. In questo caso, il termine
mente si riferisce a stati psicologici e processi che possono essere consci o meno.
In altri casi, la consapevolezza è sinonimo di auto-consapevolezza, come una forma
particolare di consapevolezza “riflessiva” in cui l'oggetto della consapevolezza è il sé o
qualche aspetto del sé. Siccome si può essere consci di tante altre cose al di fuori di noi
stessi, questa definizione risulta tropo stretta.
Il termine è anche utilizzato come stato di veglia (wakefulness). Essere svegli,
dormendo o in stati come il coma, sicuramente influenza quello che di cui si può essere
consapevoli. Durante il sonno, si possono avere esperienze visuali o auditive sotto forma di
sogni, mentre in stato di veglia ci sono tante cose che non si sperimentano. È necessario
quindi distinguere la consapevolezza in senso di awareness dallo stato di veglia
(wakefulness) e livelli diversi di arousal, come il sonno, il coma, ecc.
Dal punto di vista operativo, Baars e McGovern (1996, 67) definiscono i processi
consci come quegli eventi di cui le persone ritengono di essere consapevoli e che possono