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INTRODUZIONE
Quante persone sono realmente informate sul tema della pedofilia? Quanta
attenzione è rivolta a questo fenomeno? E a partire da quando è diventato reale
l’interesse dell’opinione pubblica riguardo gli abusi sessuali sui minori?
Queste sono le domande che hanno ispirato il presente lavoro, e alle quali, in parte, si
è cercato di dare una risposta.
Il sesso con i minori è uno dei maggiori tabù sociali e culturali dell’umanità; parlare
di pedofilia fa paura, crea incertezze e timore, perché porta alla luce scenari e
situazioni talmente atipiche e sconvolgenti da screditare la bontà e il valore del
genere umano.
La pedofilia, per la sua natura omissiva e omertosa, è stata per molto tempo negata e
minimizzata; il sesso con i minori è considerato un tema scottante e per tale motivo è
rimasto a lungo fuori dai dibattiti pubblici, come se non si volesse credere alla sua
reale esistenza e diffusione.
Come succede per molti fenomeni sociali, solo dopo essere avvenuta la tragedia ci si
è iniziati a chiedere quanto fosse diffuso il fenomeno e quali fossero le sue
caratteristiche e sfaccettature. E indagando si è giunti a scoprire una vera e propria
community di pedofili in tutto il mondo, estremamente fitta, organizzata e
transnazionale.
La rete internet e la globalizzazione hanno fatto sì che il sesso con i minori non
restasse più un fenomeno nascosto e rintracciabile solo in determinate realtà; la
globalizzazione della perversione ha reso il sesso con i minori una forma di merce,
acquistabile e vendibile, grazie alla quale organizzazioni criminali, ma anche pedofili
isolati, si arricchiscono a discapito di giovani vittime.
Il fenomeno negli ultimi anni è diventato un vero e proprio allarme sociale; sono
state adottate diverse misure di tutela e protezione dei minori e sono nate molte
associazioni e organizzazioni che si occupano di contrastare la pedofilia.
Questa tesi nasce con l’obiettivo di indagare e analizzare il fenomeno degli abusi
sessuali sui minori da vari punti di vista.
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La tesi è divisa in due parti: la prima, teorica, divisa in tre capitoli; la seconda,
empirica, nella quale si mostreranno i risultati di una web survey sulla percezione
sociale della pedofilia.
Il primo capitolo ha l’obiettivo di mostrare quanto sia cambiato l’interesse sociale e
culturale per i temi dell’infanzia, a partire da una ricostruzione storica dell’abuso
sessuale sui minori.
Si enunceranno inoltre le diverse tipologie di abusi, analizzando la relazione
abusante-vittima, e le maggiori teorie eziologiche sulla pedofilia.
Si passerà a definire clinicamente la pedofilia in base alla classificazione del DSM-
IV TR e si cercherà di capire quando si può parlare di “disturbo” e quando di
“crimine”.
Attraverso un’attenta analisi della letteratura sul tema, si mostreranno le
caratteristiche personali e sociali dei pedofili, partendo dalla principale constatazione
che non esiste un profilo “tipo” del pedofilo e che, pertanto, sia impossibile
rintracciarli in ambiti specifici.
Un paragrafo è dedicato all’analisi della pedofilia femminile: difficilmente si associa
alle donne questo tipo di crimine, ma come si vedrà, anche se in percentuale
nettamente minore rispetto agli uomini, la pedofilia femminile esiste ed è esistita
anche nel passato.
Si analizzeranno inoltre i gruppi organizzati di pedofili, in particolare alcune
associazioni “di categoria” costituite con il discutibile obiettivo di diffondere la
cultura dell’amore pedofilo e di mostrarlo sotto una luce diversa.
Si analizzerà, infine, la vicenda del “Mostro di Marcinelle”, un caso emblematico di
pedofilia e di violenza, avvenuto nel 1996 in Belgio, un caso molto discusso e
dibattuto, grazie al quale il tema della pedofilia è diventato di pubblico interesse, sia
per quanto riguarda la popolazione generale che per gli apparati politici, nazionali e
internazionali.
Il secondo capitolo si concentra sull’analisi della natura transnazionale e lucrativa
che la pedofilia ha assunto negli ultimi anni: si parlerà in primis di turismo sessuale e
sfruttamento della prostituzione minorile, riportando dati empirici sulla portata del
fenomeno, individuando quali sono i paesi più colpiti e chi sono i clienti-viaggiatori,
da dove vengono e come si muovono sul territorio straniero.
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Si parlerà inoltre di pedopornografia, questa nuova faccia della pedofilia, più sottile,
“anonima” e privata, ma dalla diffusione e dalla violenza sconcertanti.
Si analizzerà il comportamento dei pedofili in rete, il modo in cui agiscono per
adescare i minori, come scaricano materiale pedopornografico e come creano delle
alleanze con gli altri pedofili su internet; si analizzerà poi il profilo dei
Cyberpedofili, anche qui non riuscendo a rintracciare delle vere e proprie costanti.
Infine verranno citate alcune operazioni di polizia, italiane e internazionali, che
hanno permesso di portare alla luce la grande organizzazione criminale che agisce
nel mercato della pedopornografia e del turismo sessuale minorile.
Il terzo capitolo evidenzia l’evoluzione normativa nazionale italiana e internazionale
circa le politiche per la lotta alla pedofilia, alla pedopornografia e allo sfruttamento
della prostituzione minorile.
A livello internazionale, sono state analizzate le maggiori Conferenze e Convenzioni
per la tutela dei bambini e degli adolescenti.
In riferimento all’Italia è stato evidenziato il crescere dell’interesse e della
consapevolezza della pericolosità di questi fenomeni, prendendo in esame quattro
leggi che si sono susseguite all’interno del nostro codice penale, ognuna delle quali
ha via via portato a delle modifiche e delle innovazioni per il contrasto alla pedofilia
e per la salvaguardia dei minori.
Sono state poi evidenziate una serie di associazioni e organizzazioni, nazionali e non,
che operano a favore della tutela dei minori e che agiscono come mezzi di
informazione ad hoc sul tema, risultando uno strumento di fondamentale importanza
per la diffusione della conoscenza e delle politiche di sensibilizzazione della
popolazione.
Dopo l’analisi socio-culturale, normativa e criminologica, nella seconda parte della
tesi si vanno a mostrare i risultati di una web survey sulla percezione sociale della
pedofilia.
Il quarto e ultimo capitolo analizza lo studio della percezione sociale e la formazione
degli stereotipi; si enunceranno le motivazioni per cui si indaga sulla percezione
sociale della devianza e della criminalità, e si evidenzieranno gli stereotipi più
diffusi circa la figura del pedofilo.
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In riferimento alla ricerca, si mostreranno le premesse dell’indagine, la metodologia,
il campione e i risultati.
Anche se i risultati della survey non possono essere generalizzati in quanto non è
stato usato un campione statistico-probabilistico, alcuni dati mostrano quanto la
conoscenza sui temi della pedofilia sia ancora scarsa e frammentaria, ancorata a degli
stereotipi, e quanto la prossimità con il fenomeno sia diffusa più di quanto si pensi.
Il 5,1% del campione ha dichiarato di aver subìto abusi sessuali durante l’infanzia; il
dato è sconcertante, ma non del tutto sorprendente.
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Capitolo 1- Abusi sessuali sui minori: storia, caratteristiche e
immaginario collettivo
In questo capitolo verrà ripercorsa la storia dell’abuso sessuale sui minori, con
particolare attenzione alle differenti epoche e culture e ai diversi significati che
l’abuso ha assunto nel corso dell’evoluzione umana.
Verrà presa in esame anche la categoria dell’infanzia, riconosciuta in quanto tale solo
in età moderna.
Si chiariranno inoltre le differenze e le varie tipologie di abusi sessuali, le
caratteristiche degli abusanti e le possibili cause che stanno all’origine del
comportamento pedofilo.
Si cercherà inoltre di smantellare, attraverso riscontri scientifici, il tradizionale
stereotipo del pedofilo, esaminando anche la parte femminile del fenomeno e il forte
associazionismo che c’è, ma non si conosce.
Par.1- Pedofilia: evoluzione storica del fenomeno
Gli abusi sessuali sui minori sono un fenomeno molto antico. Numerose
testimonianze storiche dimostrano che la violenza e i maltrattamenti aggressivi nei
confronti dei minori sono manifestazioni costanti e sempre esistite [Di Filippo, 2003:
21]
Per affrontare il complesso fenomeno della pedofilia è necessario indagare sulla
sessualità umana e, quindi, considerare il lato biologico, i costumi, le tradizioni, le
norme morali e sociali che determinano e dirigono i comportamenti umani [Cifaldi,
2004: 6].
Questa forma di sessualità, il sesso con i minori, appare, almeno per quanto concerne
la sequenza Grecia-Roma-Europa occidentale, caratterizzata, sul piano legislativo, da
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un andamento ciclico, nel cui ambito, lunghi periodi di relativa tolleranza si
alternarono con altrettanti lunghi periodi di pesante repressione [Cantarella, 1995].
Pedofilia è un termine che deriva dal Greco antico πα ῖς, παιδός (bambino), e φιλία
(amicizia, amore) . Letteralmente significa “amore per i bambini”, ma in verità indica
l’attitudine, di un soggetto adulto, a provare attrazione sessuale e sentimentale per un
bambino in età pre-puberale. Non si può definire un’età specifica di questa fase dello
sviluppo fisico del soggetto, ma si ritiene che l’età pre-puberale sia compresa entro
gli 11-12 anni per le donne, ed entro i 12-14 per gli uomini
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, anche se spesso il
passaggio alla pubertà avviene prima.
Essendo tenera l’età dei fanciulli, la pratica della pedofilia, storicamente, è stata
“apparentemente” bandita ed ostacolata, ma da tempi molto antichi un’altra pratica
sessuale ha caratterizzato alcune culture ed epoche: la Pederastia. Il termine deriva
dal Greco παις (ragazzo) e ἐραστής (amante), e nell’antica Grecia indicava una
relazione sentimentale e sessuale tra un adulto e un adolescente maschio.
Il pederasta è un soggetto di sesso maschile che prova piacere soltanto nel rapporto
sessuale con giovani maschi; non cerca mai di sedurre bambini e adolescenti di sesso
femminile, ha per oggetto sessuale esclusivo ragazzi in età puberale. L'età dei
fanciulli varia dai 14 ai 18 anni, ma l'antologia Palatina parla anche di 12 [de
Cataldo, 1999: 4].
Lo studio dei graffiti, supportato da quello antropologico delle società primitive, ha
fatto emergere che la pederastia era praticata da alcune tribù dell'Australia, della
Polinesia e della Nuova Guinea, e casi analoghi si sono registrati anche in Marocco e
in Siberia. La pederastia era riservata ai prepuberi, i quali attraverso questa pratica
erano accolti nel rango degli adulti [Cifaldi, 2004: 6-7].
La pederastia nell'antica Grecia fu una vera e propria norma sociale, una forma di
educazione riconosciuta dallo Stato e in molti casi ufficialmente incentivata; aveva
prettamente significato di iniziazione all’età adulta.
Il termine pederastia era soltanto l'espressione di un genere amoroso e non aveva
alcun senso infamante [de Cataldo, 1999: 4].
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http://www.sapere.it/sapere/medicina-e-salute/medicina-in-famiglia/i-figli/l-adolescenza.html (ultimo
accesso 22/09/2012)
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Il pederasta era considerato un Pedagogo, colui che aveva una funzione guida nella
vita, anche sessuale, dei suoi discepoli [Persico, 2001: 13]. Ad Atene, per un ragazzo,
avere una relazione omosessuale con un adulto era una cosa considerata socialmente
accettabile e desiderata, ma il sesso con i bambini prepuberi, la pedofilia, doveva
essere punito con condanne severe fino alla pena di morte [Cifaldi, 2004: 7].
Anche se la pederastia era libera e permessa dalle leggi del tempo, il rapporto
sessuale tra un adulto e un ragazzo puberale non era immediato, ma sottostava a
regole precise: la sua età infatti non doveva essere inferiore ai 12 anni [Farre, 2007:
89].
L’erastes era l’amante, colui che prendeva l’iniziativa o organizzava il
corteggiamento; l’eromenion era invece l’amato, il corteggiato, un contenitore
amorfo che avrebbe potuto prendere forma solo attraverso la relazione pederastica
con l’erastes [Riggi, 2006: 12].
Gli ateniesi ritenevano che l’amore, anche fisico, che poteva legare un adulto a un
ragazzo prepubere fosse una condizione favorevole alla trasmissione del sapere e
delle leggi della polis [Cifaldi, 2004: 7].
Anche la pedofilia femminile era ritualizzata: esistevano, infatti, le tiasi, delle
comunità educative nelle quali bambine di buona famiglia venivano addestrate a
diventare donne, da maestre che le educavano alla cura della persona e della casa,
alle arti, e anche al piacere sessuale. Esempi simili si ritrovano a Sparta, Lesbo e
Militane, ma molte altre erano le comunità sparse nella Grecia dell’epoca classica
[Fruet, nd: 2].
Nell’antica Roma invece la pederastia era considerata “il vizio greco”. Non aveva
una funzione educativa e pedagogica, ma diveniva espressione di pura sopraffazione,
di forza e dominio. I Romani non si equiparavano ai Greci perché non avevano
rapporti sessuali con ragazzi liberi. Rivolgevano la loro attenzione soltanto ai giovani
schiavi, poiché la Lex Scatinia, di età Repubblicana, puniva l'adulto che intratteneva
rapporti sessuali con un fanciullo libero [de Cataldo, 1999: 4-5]. Gli schiavi e gli
orfani di strada erano quindi le vittime privilegiate.
A partire dal II secolo d.C. si avvertirono le prime avvisaglie di una rivoluzione di
ingente portata sulla sessualità. Stoici e Neoplatonici esortarono fra i primi alla
moderazione, all'autocontrollo, spesso all'ascetismo [Cifaldi, 2004: 8].
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Durante il Medioevo la pedofilia ricompare sotto un’altra forma: l’apprendistato
presso le botteghe degli artigiani. Il bambino intorno agli 8-10 anni lasciava la sua
famiglia di origine per andare a vivere e lavorare con il suo maestro. E anche qui non
era iniziato solo al lavoro, ma anche al sesso. Il bambino veniva sfruttato e
considerato una merce da utilizzare per soddisfare qualsiasi desiderio, e tutto era
perfettamente lecito, perché l’affidamento era stato voluto dai genitori naturali.
Nel corso del Medioevo e nei secoli successivi vi fu sempre una diffusa promiscuità
tra adulti e bambini anche per la condivisione degli spazi sia di giorno che di notte.
Dormire da soli non era un'abitudine diffusa e i bambini rimanevano spesso nel letto
o nella stanza dei genitori, o in quella di altri parenti o servitori, e potevano assistere
a effusioni sessuali degli adulti, o anche essere facilmente oggetto di attenzioni e
molestie da parte di qualche membro della famiglia allargata. Questo era il clima
culturale nelle famiglie nobili e non [ibidem].
Nella seconda parte del Medioevo, il grande calo demografico che decimò la
popolazione europea indusse i governanti a reprimere le pratiche sessuali che non
favorivano il processo di procreazione, ma queste non vennero perseguite e punite
esclusivamente per ragioni demografiche ma anche per motivazioni etico-religiose
che andavano contro l'esercizio della sodomia [de Cataldo, 1999: 7].
La tradizione giudaico-cristiana, pur costituendo un deterrente nei confronti della
pedofilia omosessuale, risultava meno incisiva nella difesa delle bambine, le quali
contraevano matrimonio all’età di 10 anni con uomini molto più anziani [Riggi,
2006: 14].
All'inizio del XVI secolo, con lo scoppio dell'epidemia di sifilide, ci fu un fortissimo
periodo di severità e di condanna [Persico, 2001: 15-16]. Il reato di devianza sessuale
veniva punito anche con la morte.
Va detto, però, che durante il Rinascimento, appare, specialmente in Italia, una
tendenza di pensiero opposta, una corrente semi-sotteranea di erotismo artistico, che
indicava come la repressione fosse lontana dall’essere pienamente efficace nel
tentativo di incanalare l’impulso sessuale entro gli stretti confini del matrimonio.
Venne riportato in vita il culto della pederastia, come dimostrato dai nudi di
adolescenti del Verrocchio, di Botticelli e di Leonardo, ma con un carattere meno
spirituale rispetto a quello che aveva avuto in Grecia, tanto che per designare il
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congiungimento con questi giovani venne coniato il termine “buggerare”
corrispondente all’attuale “sodomizzare”.
Nella seconda metà del ‘600 si incominciò a guardare con determinata riprovazione a
questo tipo di abitudini, e in Francia nacque una letteratura pedagogica volta ad
indirizzare e facilitare genitori ed educatori a salvaguardare l’innocenza infantile. Si
raccomandava di non far dormire più bambini nello stesso letto, di evitare di
coccolarli, di sorvegliare le loro letture, di non lasciarli con i domestici [Cifaldi,
2004: 8-9].
Nel corso della storia, quindi, il bambino non è sempre stato considerato un essere
umano bisognoso della guida e della protezione della famiglia, ma più spesso una
“cosa” di proprietà dei genitori. Per dare autenticità e riconoscere la categoria
dell’infanzia bisogna aspettare la Rivoluzione francese, con la Costituzione del 1793,
che proclamò per la prima volta i diritti dei bambini.
Il bambino inizia così ad essere considerato un soggetto provvisto di una sensibilità e
di una coscienza proprie, e si comincia ad indagare sullo sviluppo psicofisico
dell’infanzia e sulle conseguenze dei maltrattamenti che il bambino non può capire e
vivere nella sua complessità.
Il bambino è divenuto veramente oggetto di osservazione storica solo quando nella
coscienza collettiva si è formata l'idea che la stessa infanzia dovesse essere
considerata una categoria oggetto di tutela. Tale circostanza ha coinciso con
l'evoluzione di discipline particolari quali la Psicologia, la Sociologia, la Pedagogia e
con il conseguente sviluppo del diritto e della normativa sociale.
De Mause, uno degli studiosi più noti della storia dell'infanzia, scrive «la storia
dell'infanzia è un incubo dal quale solo di recente abbiamo cominciato a destarci.
Più si va addietro nella storia più basso appare il grado di attenzione per il
bambino, e più frequentemente tocca a costui la sorte di venire assassinato,
abbandonato, picchiato, terrorizzato, e di subire violenze sessuali»
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Nell'antichità il bambino non era considerato un essere con un valore in sé, ma un
essere inferiore perché mancante delle doti dell’adulto. L'infanzia era ritenuta un'età
imperfetta e per questo era oggetto di autoritarismo e oppressione.
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DeMause L. (1983), Storia dell’infanzia. Emme Edizioni, Milano, pag. 9.