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INTRODUZIONE
“Management is, above all, a practice where art, science, and craft
meet”
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afferma Henry Mintzberg, ed è proprio partendo da questa
convinzione che è stato costruito il presente lavoro di tesi. Per
scoprire in che direzione le organizzazioni si stanno muovendo è
necessario guardare ciò che è stato il passato e, attraverso l’analisi
delle retrospettive passate, leggere così le sfide future. Ma cos’è
un’organizzazione?
Nel primo capitolo si è cercato di rispondere alla domanda facendo
una breve rassegna delle principali teorie organizzative che si sono
avvicendate nella sociologia dell’organizzazione. È stato usato
l’espediente della metafora per poter creare un modello di facile
interpretazione che fosse capace di esprimere quanto radicale sia
stata l’evoluzione del concetto stesso di organizzazione in così poco
tempo. Dal concepire l’organizzazione come un meccanismo
all’interno del quale gli ingranaggi si addentellano con una
perfezione millimetrica, si è passati ad una concezione
diametralmente opposta in cui essa è un insieme di unità interrelate
tra loro a formare una rete gestita attraverso un governo delle
transazioni. Questo quadro di riferimento è indispensabile per
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Trad: “Il management è una pratica in cui arte, scienza e mestiere si incontrano.”
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comprendere come il management è inquadrato all’interno di
questo sistema e come, di pari passo con il sistema stesso, si è
evoluto fino al presente.
Nella seconda parte del lavoro è stata analizzata a fondo la figura
del manager, il suo ruolo, le sue funzioni e le sue caratteristiche.
L’obiettivo è stato quello di individuare possibili aree ad alto rischio,
quelle che possono presentarsi come sfide che il management deve
affrontare e superare. L’ossatura di questa fase è stata progettata
sulla base di alcune riflessioni del noto guru del management Peter
F. Drucker. L’austriaco di adozione americana, nel suo testo, Le sfide
di management del XXI secolo, sostiene che gli ambiti oggi più
sfidanti nella pratica del governo aziendale sono la gestione delle
persone, la gestione delle informazioni e la gestione del
cambiamento. La riflessione di Drucker ha la capacità di fondere le
preoccupazioni passate, presenti e future del management, poiché,
in effetti questi tre aspetti della gestione sono insiti nel ruolo stesso
del manager. Henry Mintzerg afferma, infatti, che sono tre gli
aspetti funzionali di un capo (Mintzberg 1990): il ruolo
interpersonale, che consiste nella gestione della rete di relazioni che
si crea nell’ambiente organizzativo, ovvero un manager non può
prescindere dalle persone, deve negoziare contemporaneamente
con i suoi collaboratori, i suoi superiori e i suoi clienti; il ruolo
informativo: deve raccogliere le informazioni, farsi garante della
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loro validità e diffonderle in modo che possano costituirsi in un
flusso unico che riesce ad irrigare tutto i processi nutrendoli e
facendoli “crescere sani e forti” in modo tale da poterne ottenere i
frutti desiderati; ultimo, ma non meno importante il ruolo
decisionale attraverso il quale quanto detto fino ad ora si
concretizza in azione e permette all’azienda di transitare da un ciclo
economico all’altro con successo.
L’ultima parte del lavoro è organizzata in modo tale da poter essere
un’indagine che esplori questi tre ambiti, cercando di verificarne il
reale fattore di rischio. Attraverso questionari e interviste a
manager inglesi sarà interessante avere una prova tangibile di come
in pratica viene affrontata la relazione con il collaboratore, di come
vengono organizzate e comunicate le informazioni e infine il modo
in cui l’azienda e i manager interiorizzano e attuano il cambiamento.
Sarebbe errato credere che l’obiettivo di questo lavoro sia quello di
individuare e poi risolvere la gestione di persone, informazioni e
cambiamento, perché questi non sono veri e propri problemi, che
vanno affrontati e possibilmente risolti, sono invece quelle
componenti del lavoro di un manager che vanno gestite
sapientemente e “governate” con coerenza: tre temi per tre sfide
del presente e del futuro.
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CAPITOLO I - Interpretare le organizzazioni
1.1 Il concetto di organizzazione
Dare la definizione di organizzazione non è cosa semplice perché
l’uso del termine può riferirsi a due aspetti distinti della realtà da
esso indicata:
- l’aspetto nominale: chi o cosa è un’organizzazione.
L’organizzazione di fatto è un ente sociale composito;
- l’aspetto strutturale: com’è fatta un’organizzazione.
L’organizzazione è tale poiché è organizzata.
In tutto il percorso sociologico di studio sul fenomeno organizzativo,
sono stati molti gli accademici che hanno cercato di spiegare in
maniera più completa possibile il termine, e la definizione di Luciano
Gallino riesce a dar conto dei tre aspetti fondamentali che lo
caratterizzano:
Gruppo o collettività che volendo perseguire determinati scopi
coordina razionalmente l’attività dei propri membri per mezzo di
procedure esplicite ed un sistema di norme impersonali. (Gallino,
2006)
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Le definizione di Gallino illustra infatti non solo l’aspetto nominale –
cioè la sua natura di ente sociale – e quello strutturale – la sua
caratteristica di possedere una struttura formale – ma pone
l’accento inoltre sull’importante questione degli scopi.
L’identificazione dello scopo è una componente fondamentale di
una indagine volta ad analizzare le dinamiche che si sviluppano
all’interno di un’organizzazione perché esso dice molto della natura
stessa di questa particolare struttura sociale.
Partendo da una definizione ampia come quella di Gallino possiamo
identificare come organizzazione un grandissimo numero di
associazioni umane. È un’organizzazione il nucleo familiare,
composto da un ristretto numero di individui, solitamente quattro o
cinque, ciascuno dei quali ha compiti ben specifici, che rispetta una
serie di norme stabilite dalla collettività e che persegue il fine
inconscio di evolvere la specie. È un’organizzazione anche una
squadra di calcio, i cui 11 componenti hanno ruoli facilmente
identificabili, sottostanno a norme piuttosto rigide e hanno come
scopo quello di portare a termine la partita con una vittoria.
Non è però questo il tipo di organizzazione che verrà sottoposto ad
analisi nel presente lavoro: i gruppi organizzati dei quali si tratterà
sono quelle particolari organizzazioni, nelle quali il raggiungimento
degli obiettivi richiede una complessa strutturazione dei ruoli. Ciò
non significa trattare esclusivamente delle grandi aziende o delle
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grandi burocrazie amministrative, poiché non è la dimensione che in
questo caso interessa, ma focalizzarsi su quelle organizzazioni di
qualsiasi dimensione la cui struttura complessa richiede la presenza
di una funzione manageriale composita.
La scienza economica usa come parametro fondamentale il denaro
e, a partire da questo, individua due specifici tipi di organizzazione:
- le organizzazioni senza scopo di lucro: generalmente definite
aziende di erogazione. Queste organizzazioni hanno come
unico obiettivo quello di soddisfare i bisogni umani
attraverso il reperimento e l’impiego di una serie di risorse.
Tra queste è possibile trovare sia istituzioni come la
famiglia, sia organizzazioni non profit, sia, in parte, la
pubblica amministrazione;
- Le organizzazioni con scopo di lucro: definite aziende di
produzione, o imprese, hanno lo scopo finale di accumulare
ricchezze attraverso la produzione e la vendita di beni e/o
servizi. Tra queste si trovano le aziende che tipicamente
fanno parte dei tre settori economici: primario e secondario,
che si occupano della produzione di beni materiali e
terziario, per quanto riguarda la produzione dei servizi.
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L’interazione tra i differenti tipi di organizzazione crea il sistema
economico all’interno del quale le stesse organizzazioni operano.
Sebbene oggi la necessità di risultare efficienti ed efficaci annulli le
differenza tra i due tipi di organizzazione, sottolineare questa
diversità permette di evidenziare la complessità della questione.
Nel linguaggio comune si usano in modo interscambiabile i termini
azienda e impresa, e anche in ambito sociologico la differenza è
pressoché irrilevante. Nella disciplina giuridica, invece, i termini
risultano ancora una volta estremamente diversi.
Secondo l’articolo 2555 del Codice Civile l’azienda è il complesso dei
beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio d’impresa, mentre
l’imprenditore, come definito dall’articolo 2082, è colui che esercita
professionalmente un'attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi.
In ambito giuridico quindi l’azienda presuppone l’esistenza di
un’impresa che, diretta da un imprenditore, si organizza per
raccogliere un complesso di beni (di non specificata natura) al fine di
svolgere un’attività economica.
È evidente, in questo caso, che per i giuristi l’impresa è il fine, lo
scopo ultimo dell’organizzazione, mentre l’azienda è il come, cioè le
modalità e i mezzi che vengono usati per raggiungere tale scopo.
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Un altro modo per definire l’organizzazione è metterla in relazione
con il termine sistema. Questo è definito come un insieme di entità
connesse tra loro da una qualche relazione. Risulta quindi evidente
che è possibile identificare l’organizzazione come un particolare tipo
di sistema dotato di caratteristiche peculiari.
L’organizzazione è un sistema:
- socioeconomico, che coinvolge innanzitutto sia la sfera
sociale sia la sfera economica;
- stocastico o probabilistico, la cui complessità di variabili non
permette di fare previsioni certe;
- aperto, immerso in un contesto con cui instaura
obbligatoriamente molteplici relazioni;
- ultra-complesso, in merito al fatto che non è possibile
controllarne ogni singolo aspetto;
- dinamico, poiché, sottostando al fattore tempo e
subendone le influenze, non è mai uguale a se stesso;
- finalistico, che si propone cioè di raggiungere uno scopo;
- formato da sub-sistemi, a qualunque livello
dell’organizzazione alcune delle entità da esso composte si
aggregano per formare micro sistemi all’interno del macro
sistema;
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Usare come strumento di confronto la Teoria dei Sistemi ha
permesso di chiamare in causa una questione fino ad ora non
esplorata. La chiave di lettura va ricercata in un ridimensionamento
dell’organizzazione stessa come sub-sistema di un sistema più
ampio. Se si considera la struttura interna è possibile identificare
con estrema facilità i sottosistemi o micro-sistemi organizzativi dei
quali è composta, ma rimanendo fedeli al principio intuito da Ludvig
Von Bertalanffy, padre della teoria dei sistemi: allontanarsi da una
prospettiva così ravvicinata dello studio delle organizzazioni significa
capire che l’organizzazione stessa è entità costitutiva di più sistemi,
primo tra tutti la società.
Le organizzazioni non sono atomi che percorrono liberi la propria
strada verso l’obiettivo, ma entità in costante relazione tra loro e
circondate da altre entità di varia natura, che possono essere
identificate dalla singola organizzazione come “tutto ciò che è al di
fuori dell’organizzazione stessa”: il contesto (fig. 1).
Questo è il fattore che ha maggiore incidenza nel decretare la
sopravvivenza e la prosperità futura di un’organizzazione. Esso è
composto da due variabili: il tempo e lo spazio.
La relazione tra queste variabili è piuttosto complessa e il loro
incrocio può generare infinite combinazioni.
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Contesto Geografico
Contesto
Culturale
Contesto
Storico
Estrinseco
Intrinseco
Fig. 1 Il contesto
La variabile “spazio” serve a determinare il dove spaziale in cui
l’azienda/impresa è situata, quello che è possibile definire come
contesto geografico. Questo non serve solo ad identificare il paese
di origine dell’organizzazione, ma a collocarla all’interno di una
specifica realtà nazionale e sovra nazionale. Allo stesso modo la
variabile “tempo” serve a determinare il contesto storico. Esso
riveste una particolare importanza nel processo di analisi perché la
sua natura è duplice: il suo livello estrinseco ci dice cosa avviene
all’esterno dell’organizzazione, qual è la situazione storica
contingente sul piano politico ed economico. Il livello intrinseco
racconta la storia dell’organizzazione stessa: in che fase evolutiva si
trova? È una start-up? È in piena maturità? Si tratta di un
azienda/impresa in declino? La somma del contesto storico
estrinseco e del contesto geografico determina infine il contesto
culturale. Usare un termine come cultura non è mai semplice ma in
questo caso è da intendersi come “contesto culturale” la totalità dei
segni, simboli e logiche che permetto di interpretare una
determinata realtà.
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1.2 L’ambito disciplinare
Le caratteristiche ontologiche e le variabili contingenti espresse fino
ad ora evidenziano una notevole difficoltà di analisi per uno studio
che, come questo si propone di evidenziare il percorso storico
evolutivo e il futuro prossimo di una sola delle funzioni
organizzative: il management. È necessario quindi stringere il
campo, e identificare quali sono innanzitutto i confini disciplinari
entro i quali si sta operando.
Pure essendo questa difatti una ricerca che prevalentemente si
concentra sull’ambito della psicologia del lavoro, le incursioni in
discipline affini come la sociologia dell’organizzazione o talvolta
l’economia sono inevitabili. La stretta relazione esistente tra questi
ambiti è stata dimostrata più volte dagli accademici che hanno
operato essi stessi incursioni di questo tipo. Non è necessario
chiamare in causa le ben note teorie di Marx sugli effetti sociologici
(e per taluni versi anche psicologici) dell’economia capitalista
sull’uomo, ma basta guardare al XX secolo per identificare numerosi
altri esempi.
È stato di fatto un economista il primo studioso ad adottare un
approccio non strettamente economico, formulando la “legge della
psicologia fondamentale” secondo la quale “gli uomini sono disposti
ad accrescere il loro consumo con l’aumentare del reddito ma non
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tanto quanto è l’aumento del loro reddito” (Keynes in Codeluppi,
2005, pp. 201-202). In questo modo Keynes spiegava – sotto un
profilo tipicamente psicologico – quanto difficilmente cambiassero
le abitudini di consumo di una società, e questo rivela quanto, nella
prospettiva dell’economista, il consumo non fosse un’azione
economica basata sulla razionalità pura, ma un’attività umana nella
quale le componenti psicologiche avevano un influsso importante.
Come negare inoltre la stretta relazione tra esistente tra sociologia
del lavoro e psicologia nei lavori di Elton Mayo e in tutti quelli
afferenti alla Scuola delle Relazioni Umane? La sorpresa di Mayo
nell’osservare i risultati dei suoi esperimenti
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oggi non stupisce: è
ben nota la diretta influenza che le dinamiche delle relazioni
interpersonali svolgono sulle mansioni e sui risultati dei lavoratori.
Negli anni ‘20 e ‘30 non era , tuttavia, ancora chiaro come la psiche
potesse interagire in modo così determinante con le attività
dell’uomo.
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Gli esperimenti di Mayo si svolsero a partire dal 1924 presso le industrie Western
Electric Company di Hawthorne nell’Illinois (USA). L’obiettivo di questa ricerca
svolta dal National Research Counsil della National Academy of Sciences era quello
di identificare la relazione causale tra ambiente fisico, in particolare l’illuminazione,
e i risultati produttivi. Furono selezionati due gruppi che vennero messi a lavorare
in condizioni differenti. I risultati mostravano che a prescindere dalla condizione
ambientale la produttività era migliorata. Mayo continuò con altri esperimenti
simili per 5 anni con altri gruppi di lavoro. Alla fine lo psicologo giunse alla
conclusione che i cambiamenti di produttività non erano dovuti esclusivamente alle
variabili di controllo ma ad una scelta deliberata degli individui di instaurare tra loro
una collaborazione maggiormente efficace. (Fontana, 2003, P. 35-37)
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Questa è una minima parte degli esempi che sarebbe possibile
riportare, ma da soli riescono a mettere in luce quanto un approccio
interdisciplinare sia necessario, se non indispensabile, per poter
cogliere tutti gli aspetti di un processo evolutivo come quello che ha
intrapreso la direzione aziendale a partire dal Taylor-fordismo fino
ai giorni nostri.
1.3 Una questione di approccio
Lo studio delle organizzazioni con il passare degli anni e l’evolversi
della società, è andato via via modificandosi. La successione delle
ricerche e degli sudi effettuati sul tema richiederebbero un lavoro di
catalogazione immane che, tuttavia, tenuti in considerazione gli
obiettivi di questa ricerca, non risulta necessario. Al fine di proporre
una rassegna breve delle più importanti teorie, è stato deciso di
accorparle in cinque differenti approcci. Questi verranno analizzati
secondo una prospettiva atemporale, e che quindi predilige come
parametro di analisi non la contiguità cronologica delle teorie ma
quella logica. Sebbene alcune idee o pratiche risultino datate, non è
possibile escludere che influenzino tutt’ora le organizzazioni sotto
forme e modalità applicative differenti e in contesti particolari che
non è sempre possibile indagare.
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Gli esempi che verranno riportati di seguito si configurano di fatto
come idealtipi: ciascuno è dotato di tutte le caratteristiche peculiari
che lo identificano per quello è. Esiste una relazione tra questi tipi
ideali e la realtà che non è di diretta corrispondenza ma che subisce
l’evidenza di un distacco naturale, come quello esistente tra teoria e
pratica: l’una necessaria almeno quanto l’altra. Inoltre, in quanto
idealtipo ciascun approccio rivela una debolezza intrinseca, cioè
quella di non poter render conto in modo esaustivo di una
determinata realtà, ma di soffermarsi solo ed esclusivamente su
aspetti particolari. Ciascun approccio di studio è seguito da una
metafora: questo strumento linguistico segue anche esso alla lettera
il principio di contiguità. Come gli idealtipi le metafore peccano in
quanto a realismo, non solo perché richiedono una buona dose di
capacità interpretative per essere decifrati ma soprattutto poiché
circoscrivono i due termini di paragone a quelle caratteristiche
selezionate e prese in esame. Le metafore hanno tuttavia una dote
che risulta utile sfruttare in questo caso: sono uno dei migliori
strumenti verbali e linguistici che possono essere usati per spiegare
un concetto complesso.