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CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
1.1 I lieviti e l’uomo
I lieviti sono dei compagni storici dell’uomo, talmente importanti da aver dato vita una
forma di coevoluzione molto interessante, ancora oggi in atto.
Il lievito ha avuto un’importanza sostanziale nella civiltà umana. Le più antiche evidenze di
vinificazione si fanno risalire al Neolitico (7400-7000 anni fa). Il sale di calcio dell’acido
tartarico e la resina di pistacchio (l’albero del terebinto) sono stati identificati in vasellame
risalente a questo periodo. L’acido tartarico è presente in grandi quantità nei grappoli
d’uva, ed è stato ipotizzato che la resina di pistacchio venisse aggiunta come antibatterico
e per conservare a lungo le bevande fermentate. Questo evidenzia come, in questo
periodo storico, fosse iniziato e controllato il processo di fermentazione del vino. I lieviti, tra
cui il più famoso è senza dubbio Saccharomyces cerevisiae, sono una componente
essenziale di molte importati attività umane: panificazione, distillazione, produzione della
birra e del vino, caseificazione e produzione di latte fermentato. Saccharomyces
cerevisiae è anche uno dei più utilizzati microrganismi eucarioti studiati in biologia
molecolare, esso, infatti, cresce rapidamente, non è patogeno, è studiato da molto tempo
e il suo genoma è uno dei primi ad essere stato completamente sequenziato. Esso può
svilupparsi in ambiente aerobico ma può dare qualche generazione anche in ambiente
anaerobico ed è utilizzato principalmente in processi fermentativi.
I lieviti sono dei microrganismi ubiquitari e possono avere un notevole impatto sui vari
habitat come frutti selvatici, vegetali, foglie, ortaggi, succhi fermentati, linfe secrete dagli
alberi, suolo agricoli, oltre che, come abbiamo visto, molteplici prodotti alimentari, spesso
con caratteri di tipicità. Una maggiore conoscenza sulla biologia, sulla fisiologia e sulla
biologia molecolare di questi microrganismi che, naturalmente colonizzano svariate nicchie
ecologiche ed influenzano processi fermentativi molto diversificati, è certamente in grado
di migliorare le qualità organolettiche e nutrizionale di numerosi e importanti prodotti
alimentari oltre che elaborare tecnologie di rilievo ambientale e naturalistico.
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1.2 Classificazione, tassonomia e descrizione dei lieviti
I lieviti, sono miceti caratterizzati da uno sviluppo nullo o molto scarso delle forme miceliari
ed una spiccata prevalenza di cellule vegetative e riproduttive costantemente allo stato
monocellulare. Finora sono state identificate 349 specie di lieviti classificate in 39 generi
appartenenti alle classi Ascomycetes, Basidiomycetes e Fungi imperfecti. Gli ascomiceti
(lieviti) più studiati e impiegati appartengono al genere Saccharomyces ( impiegati
principalmente nella produzione di bevande alcoliche, lievito da pane, e nella produzione
di alcuni enzimi) e al genere Candida (utilizzato come fonte di idrocarburi paraffinici)
I lieviti sono molto diffusi in natura e facilmente isolabili in laboratorio per la loro capacità di
dare colonie caratteristiche su terreni colturali che possono essere resi selettivi mediante
aggiunte di antibatterici ai quali essi resistono. In linea generale, i lieviti preferiscono
terreni colturali ricchi in zuccheri e hanno spesso esigenze per alcune vitamine e
aminoacidi. Numerose specie tra quelle di maggiore interesse agro-alimentare sono buone
o ottime produttrici di vitamine, amminoacidi essenziali ed altri fattori nutrizionali. Per
quanto riguarda il fabbisogno di ossigeno, il loro comportamento varia da specie a specie:
i saccaromiceti di interesse agro-alimentare sono spesso capaci di tollerare condizioni di
anaerobiosi. Il ben noto effetto Pasteur è stato scoperto proprio studiando alcuni lieviti
enologici che, in aerobiosi danno rendimenti in biomassa fino a 50 volte quelli che si
ottengono in anaerobiosi. La vitalità di questi lieviti in condizioni anaerobiche è peraltro
piuttosto limitata nel tempo. La temperatura ottimale di crescita è tra i 20 e i 30°C e il pH
ottimale intorno a 4,5-5,5.
La forma delle cellule di lievito può essere sferica, ovoidale, cilindrica o triangolare. Anche
le dimensioni sono molto variabili e vanno da pochi micron a 20-30µ di lunghezza. Tutte le
cellule sono fornite di una parete, formata da strati con composizione chimica diversa con
circa 80-90% polisaccaridi, (glucani e mannani anche ramificati), 2-4% chitina (presente in
percentuali maggiori nei lieviti filamentosi mentre in altre specie è del tutto assente) e le
mannoproteine che rappresentano la parte superficiale della parete.
Oggetto di studio e organismo modello è Saccharomyces cerevisiae, il cui genoma è stato
sequenziato per intero (Goffeau et al., 1996). S. cerevisiae è considerato un lievito
fermentativo, a causa del suo uso estensivo in processi fermentativi. Le rese ottimali di
fermentazione si hanno in condizioni anaerobiche ed a tenori di zuccheri fermentabili
piuttosto contenuti. Elevate concentrazioni di zuccheri innescano meccanismi di
repressione da substrato noti col nome di effetto Crabtree mentre la presenza di condizioni
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aerobiche porta all’uso del substrato per la moltiplicazione cellulare.
1.3 I lieviti nel comparto lattiero caseario.
I Lieviti sono dei microrganismi diffusi ed utilizzati in moltissimi settori. Le loro potenzialità
fermentative vengono in special modo nell’industria alimentare. Nel presente lavoro si
analizzerà il ruolo che i lieviti ricoprono in un settore specifico: quello lattiero-caseario.
Negli ultimi decenni, numerose indagini scientifiche hanno dimostrato come essi siano in
grado di espletare un ruolo di primaria importanza in tutta la catena di produzione lattiero-
casearia: dall’alimentazione dell’animale all’incremento della produzione del latte, al loro
ruolo nelle fermentazioni e nelle attività enzimatiche che accompagnano la produzione di
latti fermentati e di molteplici prodotti caseari, alla loro attività antibatterica ed antifungina
nell’ambito caseario.
La presenza di un determinato lievito in un prodotto dato non sempre corrisponde ad un
vantaggio assicurato perché essi, in certi casi, possono sostenere trasformazioni non
vantaggiose od anche dannose alla qualità del prodotto. Si pensi ad esempio ai casi in cui
il rilascio dei gas di fermentazione sono fattori di deterioramento del prodotto.
Nell’ambito umano, essi non sono patogeni, eccezione fatta per la specie Candida
albicans, sempre se non si considerano le loro alterazioni prodotte nei prodotti caseari e la
loro diretta assunzione.
Come abbiamo appena menzionato, il gas che essi producono nello specifico lo
identifichiamo con anidride carbonica, che viene prodotta nel suo processo metabolico più
importante : la fermentazione alcolica.
La fermentazione alcolica è un metabolismo che si innesca in condizioni di anaerobiosi,
ovvero quando c’è un’assoluta carenza di ossigeno. In tal caso, lieviti come
Saccharomyces cerevisiae , in una prima fase sono in grado di scindere i carboidrati
complessi come saccarosio, grazie all’enzima invertasi ed il lattosio grazie a delle lattasi o
da altre β-glucosidasi. Nella seconda fase il glucosio (o gli altri monosi che possono
essere convertiti in glucosio per azioni enzimatiche specifiche) entrano nelle vie
metaboliche della fermentazione che possono avere specificità minori con le diverse
specie e con i diversi ceppi di lievito. Gli estremi vanno dalle fermentazioni che formano
esclusivamente etanolo e anidride carbonica a quelle che formano rilevanti quantità di
acetato e di derivati dell’acetato. Alcuni ceppi possono formare quantità più o meno
rilevanti di acidi organici particolari che aggiungono specificità ai prodotti alimentari
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interessati.
I caratteri fermentativi e le produzioni di anaboliti con valore nutrizionale e nutraceutico
assieme alla produzione di specifici enzimi, alle modifiche organolettiche ed alle azioni che
i lieviti esplicano nei riguardi di altri gruppi microbici (in particolare batteri) sono gli
argomenti trattati in questa tesi.
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CAPITOLO 2. L’INFLUENZA DEI LIEVITI SULLA QUALITà DEL LATTE
2.1 I lieviti nell’alimentazione degli animali da latte.
I lieviti sono usati da lunghissimo tempo nell'alimentazione della bovina da latte, basti
pensare che le prime ricerche fatte risalgono addirittura al 1925: da allora numerosi studi
hanno confermato l'effetto benefico dell'impiego di lieviti come additivo nutrizionale della
razione. In questo lavoro, per brevità, verrà usata la dizione “lieviti”, anche se è bene
chiarire subito che nell'industria mangimistica si fa riferimento piuttosto a “colture di lieviti”,
cioè a cellule vive (tra cui principalmente il Saccharomyces cerevisiae) essiccate con il
relativo substrato di crescita, operazione che ne garantisce la ripresa dell'attività
metabolica allorché sussistano le condizioni idonee per il loro sviluppo.
Tale caratteristica è fondamentale perché venga esercitata l'azione di modulazione e di
stimolo sul metabolismo ruminale; ne consegue che la quantità di cellule vitali contenute
nella coltura è indice della qualità dell'integratore stesso.
Riguardo al tipo di lieviti impiegati, il maggior utilizzo riguarda alcuni ceppi
di Saccharomyces cerevisiae, tra cui principalmente i ceppi S.C. 1026 ed 1077, dei quali
viene riconosciuta l'efficacia in dosi limitate (10-20 grammi /capo/giorno).
Le colture di lieviti manifestano la loro azione aumentando la quantità di batteri ruminali,
stimolando la crescita dei cellulosolitici: aumenta così la digeribilità della fibra e la
produzione d'amminoacidi da parte dei microrganismi ruminali, con riflessi positivi sul
contenuto in grasso e in proteine del latte prodotto. I lieviti in sé apportano proteine d'alta
qualità, vitamine del gruppo B e vitamina D e sono in grado di tamponare il pH ruminale
aumentando l 'attività dei batteri utilizzatori di fibra. Oltre a ciò alcune ricerche indicano che
Saccharomyces cerevisiae, è capace di stimolare i microrganismi ruminali utilizzatori di
acido lattico, con effetti preventivi rispetto all'insorgenza di acidosi.
2.2 Periodo e Modalità di impiego
Il periodo migliore per l'impiego dei lieviti va dalle due settimane che precedono il parto
fino alle quattro successive allo stesso, momento in cui risulta indispensabile stabilizzare
la flora ruminale per consentire alla bovina di superare senza problemi il passaggio a
diete ad alto contenuto energetico.
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I lieviti sono inoltre d'uso comune nelle razioni distribuite nei momenti di stress da caldo,
quando è importante mantenere livelli sufficienti d' ingestione di sostanza secca e favorire
la digeribilità della fibra. Quanto su esposto potrebbe indurre l'allevatore ad usare i lieviti in
modo massiccio, tuttavia, le numerose ricerche effettuate dimostrano che l'aggiunta in
razione va fatta seguendo indicazioni ben precise, tra cui:
• momento produttivo: l'integrazione con lieviti è utile solo nel periodo immediatamente
precedente al parto, in fase di transizione, e nelle bovine “fresche”; idealmente il periodo
ottimale va dalle due settimane antecedenti al parto alle 4 successive allo stesso,
momento in cui i lieviti consentono di minimizzare gli effetti del fisiologico bilancio
energetico negativo.
• stati di stress, convalescenza o malattia delle bovine: tornando al bilancio energetico
negativo tipico del postparto, è facile capire come questo periodo comporti notevole stress
per gli animali, cosa che, per esempio, si verifica anche nei periodi di caldo, durante i quali
l'integrazione alla razione può essere utile a minimizzare gli effetti negativi del clima.
• tipo di razione impiegata: le razioni in cui siano presenti foraggi scadenti o quantità
notevoli di carboidrati facilmente fermentabili (elevate quantità di cereali) sono quelle che
maggiormente beneficiano dell'aggiunta di lieviti.
Purtroppo poche ricerche sono state dedicate alle conseguenze dell’utilizzo de lieviti sulle
caratteristiche tecnologico-casearie del latte. Tra questi parametri vale la pena
di ricordare il tenore proteico, l'attitudine alla coagulazione, il numero di cellule somatiche,
la carica microbica totale, la presenza di microrganismi anticaseari quali sporigeni,
coliformi e propionici. Dagli studi effettuati, emerge che l'impiego delle colture di lieviti
potrebbe indirettamente migliorare talune caratteristiche tecnologico-casearie del latte.
Infatti, l'effetto di stabilizzazione sul rumine e la riduzione delle disfunzioni ruminali e
digestive si può riflettere positivamente sulle caratteristiche del latte.
I parametri maggiormente influenzati nell'impiego delle colture di lievito nelle razioni per
ruminanti sono il numero totale di microrganismi presenti, il numero di batteri
cellulosolitici, la produzione di proteine di origine microbica e la velocità di digestione della
fibra. A quest'ultimo riguardo sembra che i lieviti non modifichino la digestione globale
della fibra, ma alterino l'andamento della curva di fermentazione con una riduzione della
lag-phase, cioè della fase di adattamento dei microrganismi al substrato.
Effetti sul metabolismo ruminale, si osservano anche sul pH e sui livelli di acidi grassi
volatili ed acido lattico nel rumine.
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Molto variabile è l'entità della risposta produttiva alla supplementazione con colture di
lievito.
Da prove sperimentali condotte su mucche da latte l'aumento produttivo medio è risultato
del 3-7%, con casi in cui l'aumento è pressoché nullo ed altri in cui l'incremento produttivo
è invece del 10-15%. La forte variabilità è in relazione al ceppo di lievito utilizzato, al
dosaggio ed alle modalità di somministrazione, alle caratteristiche degli animali ed alle
condizioni di allevamento, con particolare riferimento alle caratteristiche della razione.
Le dosi d'impiego variano da 10 a 120 gr. secondo la concentrazione della coltura di lieviti.
Dalla letteratura emerge che l'effetto positivo dei lieviti sulle fermentazioni nel rumine,
sull'ingestione e sulla produzione, tende a crescere all'aumentare del livello di concentrati
nella razione.
Molte prove sperimentali hanno inoltre evidenziato che le colture di lieviti potrebbero avere
un ruolo nel limitare quelle disfunzioni ruminali che si possono riscontrare più
frequentemente in razioni con un alto contenuto energetico e ciò perché i lieviti hanno la
capacità di prevenire l’accumulo di acido lattico nel rumine.
Ne deriva la convinzione, ormai ampiamente condivisa, che le colture di lievito possono
essere molto utili negli allevamenti intensivi, in particolare in quelli di vacche da latte, che
seguono un regime dietetico ad elevato contenuto energetico.
Argomento meno indagato, ma non meno importante, è quello relativo agli effetti delle
colture di lieviti sulle caratteristiche del latte.
In letteratura vengono riportati effetti positivi dell’impiego di lieviti sul contenuto in grasso
ed anche sul contenuto in proteine.
2.3 Integrazione di lievito nella stagione estiva
Numerosi studi hanno dimostrato che, la somministrazione di colture di Saccharomyces
cerevisiae, utilizzate come integrazione della dieta di mucche da latte in fase di lattazione,
ha apportato evidenti benefici alla produzione di latte, soprattutto in una fase delicata per
le bovine, la stagione calda, in cui esse sono sottoposte a notevole stress da calore, con
ripercussioni negative sulla produzione di latte.
Uno studio,condotto nella Joaquin Valley in California (Bruno et al. 2007), si è occupato di
mettere in evidenza gli aspetti influenzati dalla somministrazione di lieviti in mucche da
latte.
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723 bovine pluripare di razza Holstein appartenenti a due aziende produttrici di latte
diverse, sono state suddivise, durante i mesi estivi, in modo casuale in due gruppi : un
gruppo,costituito da 362 esemplari,detto di controllo, in cui l’alimentazione degli animali
era quella abituale, senza l’aggiunta di alcuna coltura di lievito ed un altro gruppo,di 362
bovine,in cui il foraggio era arricchito con 30 g / die di colture di lievito aggiunto al foraggio
tra il 20° ed il 140° giorno di lattazione.
L’aggiunta di lievito consisteva in una coltura di Saccharomyces cerevisiae, il comune
lievito di birra, fatta sviluppare su di un supporto di saccarosio, melassa di canna e
sottoprodotti di cereali trattati. La coltura di lievito è stata incorporata in una porzione
mista di grano prevista dalla dieta in quantità di 2,2 g per ogni kg di grano misto. Circa
540 g di tale miscela, sono stati aggiunta ad ogni kg di razione mista totale. Le mucche
sono state munte due volte al giorno e la produzione dei componenti del latte ed il latte
sono stati misurati ogni due settimane.
All'interno di ogni azienda, le diete di controllo e sperimentali sono state preparate con gli
stessi ingredienti e con le stesse proporzioni, formulate per soddisfare il fabbisogno di
proteine metabolizzabili, di energia netta, di minerali e di vitamine delle vacche Holstein le
quali,con un peso medio di 650 kg sono capaci di produrre 45 kg di latte contenenti 35 g /
kg di grassi e 30 g / kg di proteina vera con un consumo di 26 kg /die di materia secca
(NRC, 2001).
L’assunzione di cibo secco (DMI,Dry Metter Intake) è stata misurata giornalmente in sei
recinti diversi, con valutazione dei parametri ambientali quali temperatura ed umidità ad
ogni ora del giorno da giugno a novembre.
Anche la temperatura corporea è stata oggetto di monitoraggio con misurazioni effettuate
in 88 vacche (22/treatment/farm), una volta alla settimana ed il sangue è stato campionato
da un sottoinsieme di 120 mucche tra il 58° ed il 100° giorno di lattazione per la misura dei
valori di glicemia, di acidi grassi non esterificati ,del 3-OH-butirrato, dell'insulina e delle
concentrazioni di azoto in forma di urea. Temperatura giornaliera ed umidità nei recinti di
studio non hanno mostrato differenze tra nei due trattamenti e la temperatura corporea
nelle vacche appartenenti al gruppo di controllo e al gruppo con trattamento differivano
nei giorni dopo il parto.
L'assunzione di materia secca era simile nelle due diete, ma le mucche alimentate con
lievito producevano circa 1,2 kg /die (Huber et al, 1994;. Robinson e Garrett, 1999; Shaver
e Garrett, 1997; Erasmus et al., 2005) in più di latte contenente maggiore quantità di
proteine “vere” (costituite dall’azoto presente nelle strutture complesse, con esclusione
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dell’azoto ureico), di nutrienti come vitamine e carboidrati e di maggiore concentrazione di
lattosio rispetto a quello prodotto dalle mucche del gruppo di controllo.
A questa maggiore produzione faceva riscontro un maggiore consumo di foraggio in
quanto i lieviti hanno la capacità di rendere più appetibile il cibo grazie alla produzione di
glutammato.
L’alimentazione con lieviti non ha influenzato i parametri ematici come: metaboliti del
plasma, insulina, concentrazione di azoto (N) in forma di urea e dell’indice di condizione
corporea delle mucche (BCS,Body Condition Score). Il BCS è un metodo di valutazione
visiva e tattile che dà la possibilità di valutare la condizione corporea di un animale,
basandosi su una scala da 1 a 5: il punteggio 1 corrisponde ad un soggetto sottopeso,
emaciato, mentre 5 indica una bovina obesa e può essere considerato un utile strumento
d'analisi della gestione aziendale, in grado di fornire delle indicazioni di massima sulle
razioni impiegate .
Nutrire le mucche da latte pluripare di razza Holstein con alimenti contenenti una coltura
di lievito di S. cerevisiae, ha migliorato i rendimenti della produzione del latte e dei
componenti del latte in condizioni di stress da calore .
Additivi microbici come prodotti di Saccharomyces cerevisiae sono stati ampiamente
utilizzati nella nutrizione dei ruminanti per modificare in modo naturale la fermentazione
ruminale e migliorare le prestazioni degli animali. Vari prodotti a base di questo lievito
hanno dimostrato di contrastare la tendenza dei bovini a rifiutare il cibo secco in occasione
di stress termico da alta temperatura, sul pH ruminale e sulla digeribilità dei nutrienti
(Callaway e Martin, 1997; Shaver e Garrett, 1997; Wohlt et al, 1998;.. Dann et al, 2000;
Lehloenya et al, 2008).A causa dei suoi effetti sulle fermentazioni ruminali e sulla
digestione dei nutrienti, alcuni autori (ad esempio, Wohlt et al, 1998; Dann. et al, 2000;.
Erasmus. et al, 2005) hanno suggerito che l'alimentazione di prodotti a base di lievito può
essere più vantaggiosa per le vacche da latte durante la gestazione e nella lattazione
quando questi effetti potrebbero avere ripercussioni importanti in termini economici.
Le vacche da latte in lattazione se esposte ad alte temperature ambientali, in genere
hanno un netto calo dell’assunzione di cibo secco con conseguenze negative sulle
prestazioni in termini di produzione di latte (Armstrong, 1994;. Huber et al, 1994).
L'ambiente più confortevole per le bovine da latte è tra l’intervallo di temperatura tra 5° e
25°C, e l’indice di temperatura/umidità (THI) al di sopra di 72 ,solitamente riduce
l'assunzione di materia secca e ,di conseguenza la produzione di latte nelle bovine in
lattazione (Armstrong, 1994).