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INTRODUZIONE
“Two things can go wrong in childhood
that may adversely affect development:
when things happen that shouldn’t happen (e.g., trauma),
and when things do not happen that should happen.
This latter refers not to overt trauma,
but to the stresses and
distractions that keep many parents these days
from offering their children the attuned,
emotionally present interactions
that optimal brain- and personality development require.
Many children are being negatively affected in this way,
even if not formally traumatized.”
(D.W. Winnicott, 1965, p. 295)
Tutte le teorie psicologiche contemporanee hanno assegnato alle emozioni un ruolo
centrale nel processo di adattamento dell'individuo al suo ambiente, riconoscendo
la loro importanza fondamentale nel determinare il benessere psico-fisico della
persona. I contributi forniti dall'Infant Research hanno permesso inoltre di
comprendere quali variabili determinano o meno un corretto sviluppo delle
capacità emotive e di formulare il concetto di regolazione emotiva (Izard & Kobak,
1991), secondo il quale sia un'esperienza emotiva scarsa sia una eccessiva sono
sintomo di una disregolazione. Sebbene negli ultimi decenni si sia assistito ad un
crescente interesse scientifico nei confronti delle relazioni tra i deficit della
regolazione emotiva e la salute mentale e fisica, l'ipotesi secondo la quale livelli
emotivi eccessivi e non modulati possano avere un'influenza negativa sulla salute è
stata avanzata da medici e filosofi fin dall'antichità; Esculapio, ad esempio,
interpretava i disturbi mentali come problemi emotivi, mentre Galeno classificava
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le passioni come la sesta delle cause non naturali di malattia (Mora, 1967).
Il costrutto dell'alessitimia, concettualizzato da Sifneos (1973) come un disturbo
della regolazione affettiva, è caratterizzato dalla difficoltà a descrivere e
comunicare i propri sentimenti, dall'incapacità di identificare le diverse emozioni e
discriminarle dalle sensazioni corporee che accompagnano l'attivazione emotiva,
dai processi immaginativi limitati e da uno stile cognitivo orientato verso l'esterno.
Fin dalla sua elaborazione il costrutto dell'alessitimia ha rappresentato il focus di
numerose ricerche condotte sulle relazioni tra emozioni e salute, poiché i deficit
della regolazione emotiva che lo caratterizzano sono considerati tra i principali
fattori di rischio di svariati disturbi somatici e psichiatrici. Sulla base dei risultati di
questa attività di ricerca, sono stati elaborati alcuni modelli teorici secondo i quali
molte malattie somatiche e psichiatriche, tra cui la dipendenza da sostanze,
possono essere riconcettualizzate come disturbi della regolazione emotiva,
fornendo così una nuova prospettiva clinica (Taylor, Bagby & Parker, 1997).
L’attività di tirocinio svolta presso la Comunità Terapeutica “GRUPPO A.R.C.O.”,
struttura che si occupa del trattamento della dipendenza da sostanze, ha permesso
l’osservazione delle caratteristiche psicologiche e comportamentali manifestate dai
pazienti con comportamento d’abuso di sostanze. Queste osservazioni hanno
rilevato una difficoltà dei pazienti con condotta di abuso nella gestione delle
situazioni emotigene, motivando la scelta di condurre un’ulteriore ricerca empirica
sulle relazioni esistenti tra alessitimia e dipendenza da sostanze per supportare
l'ipotesi avanzata dai modelli teorici che considerano questa patologia un disturbo
della regolazione affettiva.
A tal proposito, prima di analizzare le relazioni esistenti tra il deficit
dell'alessitimia e il disturbo d'abuso di sostanze, è necessario fornire una cornice
concettuale e teorica al fine di definire il processo emotivo, il suo sviluppo e la sua
funzione nella vita quotidiana, il costrutto dell’alessitimia e la patologia della
dipendenza da sostanze. Nel primo capitolo vengono presentate dunque le teorie
contemporanee sulle emozioni e sul loro sviluppo, riportando i risultati inerenti alle
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ricerche empiriche condotte sulle prime relazioni infantili. Nel secondo capitolo
vengono definite le caratteristiche del costrutto dell’alessitimia, esaminandone il
background storico, analizzando i suoi fattori eziologici e descrivendo in maniera
critica i diversi strumenti elaborati per misurarlo, ed esaminate le relazioni esistenti
tra alessitimia e salute, esplicitando la cornice interpretativa all’interno della quale
si svolge la ricerca empirica condotta sull’argomento e riportando i risultati
conseguiti. Il terzo capitolo delinea invece la patologia della dipendenza da
sostanze, definendo le sue caratteristiche, illustrando i dati relativi alle sue
conseguenze economiche, sociali e sulla salute e presentando i diversi sistemi
diagnostici utilizzati per la sua diagnosi.
In seguito, nei capitoli 4 e 5, vengono analizzate le relazioni esistenti tra
alessitimia e dipendenza da sostanze, esaminando le ragioni teoriche ed empiriche
che giustificano la riconcettualizzazione della dipendenza da sostanze come un
disturbo della regolazione emotiva e fornendo una rassegna delle ricerche
empiriche che hanno supportato questa tesi, tra cui la ricerca empirica condotta
sugli utenti della comunità terapeutica per la dipendenza da sostanze “GRUPPO
A.R.C.O.” nella quale sono stati esaminati i livelli di alessitimia mediante la
somministrazione della Twenty-Items Toronto Alexithymia Scale (TAS-20).
Infine, nel capitolo conclusivo, vengono discusse le direzioni future che potrebbero
condurre all’elaborazione di un modello bio-psico-sociale della dipendenza da
sostanze, presentando altresì alcune indicazioni per il trattamento dei pazienti
affetti dal disturbo d’abuso di sostanze che presentano inoltre deficit alessitimici.
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1. EMOZIONI E SVILUPPO DELLA DIS-REGOLAZIONE EMOTIV A
1.1 Definizioni e teorie delle emozioni
L'emozione è un complesso di modificazioni fisiologiche, cognitive e
comportamentali in risposta ad uno stimolo significativo per il soggetto che lo
percepisce. La risposta emozionale viene considerata un “processo
multicomponenziale”, del quale Scherer individua e descrive cinque componenti
(Scherer & Ekman, 1984):
1) componente neurofisiologica: si riferisce all'attivazione del sistema nervoso
centrale, del sistema nervoso autonomo e del sistema endocrino;
2) componente motivazionale: individua i bisogni, i progetti e gli scopi che
sottendono il vissuto emozionale;
3) componente espressivo-motoria: comprende le modalità comunicative delle
emozioni, soprattutto non verbali;
4) componente cognitiva: indica i processi cognitivi che permettono una
valutazione dello stimolo;
5) componente soggettiva: si riferisce all'esperienza soggettivamente percepita
delle proprie risposte emotive.
Il dibattito riguardo la definizione di emozione è ancora aperto. Secondo Scherer
(1993), ogni autore che ha studiato le emozioni ha fornito una propria definizione.
Questa tesi è supportata da una ricerca di Kleinginna e Kleinginna (1981); gli
autori dimostrano che gli specialisti del settore hanno proposto un centinaio di
definizioni di emozione.
In effetti esistono numerose teorie delle emozioni, ad ognuna delle quali
corrisponde una diversa definizione di emozione, un diverso approccio teorico e
una diversa metodologia di ricerca. Diversi autori hanno proposto una
classificazione delle numerose teorie esistenti; Galati (2002) ad esempio indica tre
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differenti tradizioni di ricerca: evoluzionistico-funzionalistica, cognitivista, socio-
costruzionistica.
L'origine della prospettiva evoluzionistico-funzionalistica è la pubblicazione di
“Expression of the emotions in man and animals” di Darwin nel 1872. In questa
opera, costituita in gran parte da precise e sistematiche osservazioni di uomini e
animali, l'autore asserisce che l'azione della selezione naturale non si esplica solo a
livello delle strutture anatomiche ma interessa anche caratteri come l'intelligenza e
le emozioni. Darwin affronta in modo esplicito il problema del significato e della
funzione delle emozioni e sostiene che le espressioni facciali correlate alle
emozioni abbiano un significato adattativo, cioè una funzione comunicativa che
permette l'espressione dello stato interno di un individuo ad altri individui, senza
aver bisogno di parole, suggerendo infine un metodo oggettivo per lo studio delle
emozioni, fondato sull' analisi dei loro aspetti espressivi.
La formulazione della prospettiva evoluzionistica favorisce lo sviluppo degli studi
neurofisiologici delle emozioni, alla fine dell' 800. Da queste ricerche di
neurofisiologia prendono spunto le “teorie periferiche delle emozioni” di James
(1884) e Lange (1922), secondo le quali l'attivazione fisiologica specifica di
un'emozione precede l'esperienza soggettiva, e le “teorie centraliste delle
emozioni” di Cannon-Bard (1927) e Papez (1937), secondo le quali i due fenomeni
sono regolati dall' ipotalamo ed avvengono contemporaneamente. Il concetto
teorico comune a tutti questi autori è che i caratteri biologici e psicologici si sono
evoluti per favorire l'adattamento dell' organismo al suo ambiente. Le emozioni,
con i loro aspetti somatici e psicologici, costituiscono l'anello di congiunzione tra
fenomeni biologici e psicologici e permettono di dimostrare la continuità evolutiva
tra i due ordini di fenomeni (Galati, 2002).
La prospettiva evoluzionistica-funzionalistica torna a suscitare grande interesse
quando Tomkins (1962) formula la prima teoria motivazionale delle emozioni.
Secondo l'autore, le emozioni devono essere analizzate in relazione alle
motivazioni e alle pulsioni dell'organismo; egli ipotizza otto emozioni primarie che
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definisce “affetti”: interesse, sorpresa, gioia (affetti positivi), angoscia, paura,
vergogna, disgusto e rabbia (affetti negativi). Gli “affetti primari” sono schemi
innati di risposta attivati da caratteristiche comuni presenti in diversi gruppi di
stimoli importanti per la sopravvivenza dell'individuo. Gli schemi innati di risposta
sono frutto della filogenesi e sono caratterizzati da specifiche risposte somatiche e
comportamentali, in particolare da specifiche espressioni facciali. L'autore ipotizza
che ad ogni emozione di base sia associata una differente configurazione
espressiva facciale e formula l'ipotesi del “feedback facciale” (Tomkins, 1981),
teoria rielaborata in seguito da Izard (1971, 1977, 1991) e Ekman (1973, 1982,
1993), secondo la quale il feedback fornito dall'espressione facciale è il principale
fattore di differenziazione emotiva.
La teoria formulata da Izard (1971, 1977, 1991) afferma che la personalità di un
individuo è costituta da sei sistemi: omeostatico, pulsionale, emozionale,
percettivo, cognitivo e motorio. Ogni sistema ha un certo grado di autonomia, ma
nello stesso tempo è interrelato con tutti gli altri. In particolare, i sistemi
pulsionale, emotivo e cognitivo hanno una funzione motivazionale, cioè regolano i
comportamenti motivati. Anche Izard sostiene che le emozioni siano schemi innati
di risposta con una funzione adattiva, quella di amplificare i bisogni pulsionali, e
individua dieci emozioni di base differenziate: interesse, gioia, sorpresa, disagio,
rabbia, disgusto, disprezzo, paura, vergogna e colpa. Ognuna di esse ha una base
neurale specifica, un espressione facciale specifica e una sensazione soggettiva
distinta, per questo motivo la teoria proposta da Izard viene definita “teoria
differenziale”. A sostegno di questa tesi, diverse ricerche hanno confermato come
le differenti espressioni facciali correlate alle diverse emozioni di base siano di
natura innata, poiché presenti anche in soggetti neonati con cecità congenita
(Galati, Miceli & Sini, 2001) e nei primati (Chevalier-Skolnikoff, 1973).
Un ulteriore ampliamento della teoria del feedback facciale viene proposto da
Ekman (1982), secondo il quale le espressioni facciali forniscono informazioni
propriocettive, motorie e vascolari che influenzano il processo emotivo.