Introduzione
1
INTRODUZIONE
Nel corso del mio personale itinerario di studio non mi ero mai confrontata con il
problema dell’attribuzione, cioè la ricerca della paternità di un’opera d’arte,
concentrandomi esclusivamente sullo studio delle personalità artistiche, delle realtà
storico-geografiche, di quelle culturali inerenti e delle opere d’arte nello specifico,
sia singolarmente che individuate in un complesso circuito con altri manufatti
artistici. Mi sono accorta più avanti che, nello studio di tali questioni, le conoscenze
che acquisivo non erano assolute, né tanto meno nate dal nulla, ma che derivavano
a loro volta da un vasto e complesso studio storiografico e da un processo
storicistico in cui l’attribuzione svolgeva un ruolo preponderante e determinante.
Questa presa di coscienza mi ha indotto a considerare ed approfondire la questione,
trattandola come tema della mia tesi.
L’obiettivo che mi sono prefissata è stato quello di chiarire la funzione che
l’attribuzione ha e ha avuto in seno alla storia dell’arte, di delineare gli strumenti
comunemente usati dagli storici e critici d’arte che la praticano, e di cercare di
comprendere gli effettivi risultati scientifici che essa ha apportato all’interno della
disciplina e per la disciplina stessa, fornendo quindi un excursus storico-artistico,
che parte dalla nascita di questa pratica per via intuitiva fino all’effettivo
riconoscimento della sua metodologia.
L’attribuzione è un nodo della ricerca attorno al quale sorgono, e sono sorte nel
passato, discussioni e problematiche rispettivamente affrontate da pubblicazioni e
saggi, la cui importanza viene considerata nel tempo.
Come già dichiarato da Gigetta Dalli Regoli (2003)
1
, non esiste una vera e propria
«storia dell’attribuzione». La questione dell’attribuzione è stata in qualche modo
toccata in maniera trasversale attraverso lo studio degli artisti e delle opere stesse,
delle quali in genere si analizza: la conservazione, i materiali, le tecniche esecutive,
la storia, l’identificazione delle persone e della mentalità soggiacente di colui che
ha elaborato il programma, di chi lo ha finanziato e di chi lo ha eseguito, la
responsabilità di esecuzione, le finalità sottese all’impresa, la destinazione e i
passaggi di proprietà, le condizioni di conservazione e fruibilità, la registrazione
1
Cfr. G. Dalli Regoli, L’attribuzione dell’opera d’arte. Itinerari di ricerca fra dubbi e certezze,
Pisa, Edizioni Plus, 2003, p. 7
Introduzione
2
dell’apprezzamento che nel tempo l’oggetto ha assunto in un determinato periodo e
contesto. Tutti elementi questi che fanno parte di una vicenda storico-critica legata
in maniera indissolubile all’opera stessa e alla sua visione attuale, e che creano un
ventaglio di direzioni di ricerca che possono condurre a risultati più o meno
completi. Ogni componente ed elemento d’indagine caratteristico viene solitamente
esaminato in maniera differente e con strumenti propri, portando, nel corso dei
secoli, lo sviluppo autonomo e in forma differenziata di indagini e teorie: del
restauro, delle tecniche, del collezionismo e questioni riguardanti l’iconografia e la
storia dello stile. Come il mantello che abbraccia i fedeli nella raffigurazione
tradizionale della Madonna della Misericordia, l’attribuzione abbraccia tutte queste
teorie nutrendosene e ampliandole, in quanto l’indagine dell’opera e la rispettiva
ricerca dell’autore sono da considerarsi momenti necessariamente consequenziali.
In questo iter, inoltre, alcuni aspetti della questione attributiva non sono di facile
individuazione e meritano una qualche riflessione. Infatti, nell’identificazione
dell’autore lo storico dell’arte non si basa solo su una ricerca di tutti quegli elementi
e componenti che mappano un’opera d’arte, ma anche su un bagaglio di
conoscenze, di esperienze e di studio che sono a lui proprie. Questo fattore per così
dire personale, unito all’individuale predisposizione e all’acume intuitivo proprio
del critico, gioca un ruolo determinante di cui non è facile valutare la portata. Per
questo è necessario comunque esaminare il profilo biografico e storiografico di uno
specifico storico e critico d’arte e collocarlo in una dimensione più ampia, tenendo
sempre presente il contesto storico e culturale da cui esso proviene.
Ogni metodo attributivo è determinato, dunque, in modo complessivo da una serie
di fattori, come la conoscenza e le abilità dello storico dell’arte e lo stato degli studi
di una precisa realtà culturale, che derivano necessariamente dall’analisi di un
particolare periodo di riferimento. L’attribuzione è un percorso ricco di registri
interpretativi e comunque sempre suscettibile di correzioni, ripensamenti, conferme
e smentite. Nell’esaminare la critica e le precedenti ipotesi attributive, perciò, lo
storico dell’arte considererà alcuni risultati metodologici ancora attuali mentre altri
sorpassati, ma comunque ricchi di validità e importanza perché testimonianze
storico-critiche.
Non è mia intenzione affrontare in questa sede la questione di una esauriente storia
dell’attribuzione, peraltro davvero molto ampia, per delineare la quale è possibile
percorrere diverse linee di ricerca, quanto piuttosto quella di esaminare più da
Introduzione
3
vicino, sotto una lente d’ingrandimento, gli storici dell’arte nonché i grandi
conoscitori italiani che hanno adoperato questa operazione lungo tutto il corso della
loro carriera e che ne hanno apportato dei risultati reali, concreti e indiscutibili sul
piano scientifico.
Ho scelto di affrontare una specifica linea di ricerca dell’attribuzione, per così dire
concreta, che potesse dispiegare la sua funzionalità al meglio attraverso l’analisi
dell’operato dei conoscitori e storici dell’arte. Credo che sarebbe stato alquanto
impossibile, sennonché riduttivo, trattare il procedimento attributivo prescindendo
dall’operato delle personalità storiche. Come operazione eseguita dai conoscitori,
storici e critici d’arte, l’attribuzione andava essenzialmente indagata attraverso il
susseguirsi delle personalità storiche analizzate.
Oltre a delineare per sommi capi il ruolo dell’attribuzione, il mio lavoro presenta
dunque un contributo caratteristico del profilo storiografico e critico di alcune
vicende della Connoisseurship, dei metodi attributivi e degli orientamenti degli
storici dell’arte che hanno portato ad affrontare una tecnica attributiva piuttosto che
un’altra. Inoltre, la tesi presenta anche una casistica concreta dell’attribuzione, e
della sua modalità di procedimento, analizzata e ricostruita mediante alcuni
eccezionali esempi di testi artistici. Ho riunito qui, dunque, alcune questioni risolte
nel tempo ed esempi attributivi dei maggiori e più rappresentativi conoscitori e
storici dell’arte italiani qui trattati in modo tale che alla teoria seguisse una
spiegazione pratica e concreta del procedimento.
Per motivi evidenti di ampiezza di materiale e di vastità del discorso, infatti, ho
dovuto limitarmi a delineare il profilo di tre storici dell’arte tra i più importanti
dell’attribuzione, rispettivamente: Giovanni Morelli, il primo che ha utilizzato
l’attribuzione dotandola di uno schema rigorosamente scientifico; Roberto Longhi,
uno dei grandi del Novecento per aver collocato questo procedimento in una vasta e
imprescindibile visione storica riguardante le opere, gli artisti e tutto il tessuto
connettivo geografico circolante intorno ad essi; Federico Zeri, un filologo
eccezionale della seconda metà del Novecento, che ha unito il rigoroso
procedimento attributivo con tutta una serie di problematiche inerenti le opere
d’arte, come la questione iconografica, iconologica e, soprattutto, sociale.
Punto di partenza del mio lavoro è stata la voce “attribuzione” all’interno dei
dizionari per chiarire correttamente il significato del termine, la storia e le varie
sfumature, spiegato in maniera esemplare soprattutto nel «Dizionario della critica
Introduzione
4
d’arte» (1978) di Luigi Grassi, nell’«Encyclopaedia Universalis France» (1985)
nella voce curata da Enrico Castelnuovo, e nel «Dizionario della pittura e dei
pittori» dell’Einaudi (1989)
2
. Ho approfondito la questione dell’attribuzione anche
esaminando alcuni saggi dei più importanti storici dell’arte (si veda ad esempio
Carlo Ludovico Ragghianti, Lionello Venturi, Roberto Longhi, Luigi Grassi, John
Pope-Hennessy) in cui l’attribuzione viene esaminata da ciascuno all’interno di uno
specifico contesto storico, che l’ha resa così storicizzabile per il mio lavoro.
Secondo Enrico Castelnuovo l’attribuzione consiste nell’individuare ed assegnare la
paternità di un’opera d’arte anonima ad una artista nello specifico o ad un ambiente
storico-culturale (bottega, scuola)
3
. Questa è fondamentalmente un atto critico e il
suo obiettivo è il riconoscimento dell’autore di quella messe di opere d’arte,
(disegni, dipinti, sculture) che sono giunte a noi anonime, in quanto non firmate,
non corredate da notizie o da documenti che ne accertino l’appartenenza ad un
determinato artista o, delle volte, accompagnate da notizie incerte, sospette o
infondate
4
. Difatti, sono complessivamente molto rare le firme autografe e le fonti
documentarie (almeno fino ad un certo periodo) delle opere d’arte e, per giunta, può
capitare che le firme di cui disponiamo risultino false o, altre volte, risulti che
un’artista abbia firmato tutte le opere prodotte dalla sua bottega indistintamente,
sebbene autografe solo in parte
5
. Dati questi presupposti e accertata pertanto la
difficoltà di identificazione univoca delle opere si chiarisce come sia fondamentale,
in seno alla storia dell’arte, un’attività sistematica di attribuzione intesa come base
imprescindibile per qualsiasi indagine conoscitiva.
Dedicando nel 1930 un saggio completo sull’attribuzione, lo studioso Emilio
Cecchi sosteneva che «essa rappresenta lo sforzo d’intendere, dentro quella
2
Cfr. E. Castelnuovo, ad vocem “Attribution”, in «Encyclopaedia Universalis France», vol. II,
Paris, Encyclopaedia Universalis Editeur, 1985, pp. 1097-1101: p. 1097. Cfr. AA.VV., ad vocem
“Attribuzione”, in «Dizionario della pittura e dei pittori», volume I (A-C), Torino, Einaudi, 1989,
pp. 164-167: p. 164; cfr. AA.VV., ad vocem “Attribuzione”, in «Enciclopedia dell’Arte», III ed.,
Beverate di Bivio (Lc), Garzanti, 2002, pp. 67-68: p. 67. Cfr. L. Grassi, ad vocem “Attribuzione”, in
L. Grassi, M. Pepe (a cura di), «Dizionario della critica d’arte», vol. I (A-L), Torino, Utet, 1978, pp.
58-59. Vedi anche E. Castelnuovo, ad vocem “ Connoisseurship”, in «The Dictionary of art»,
edited by Jane Turner, vol. 7, New York, Grove, 1996, pp. 713-717: p. 713
3
Enrico Castelnuovo definiva l’attribuzione come «l’opération typique de l’historien de l’art,
elle traduit ses réactions devant le texte, elle est jugement historique effectif. Réduite à ses
termes essentiels, elle consiste dans le fait d’assigner, d’“attribuer” la paternité d’une oeuvre
anonyme à un artist déterminé». Cfr. E. Castelnuovo, ad vocem “Attribution”, in «Encyclopaedia
Universalis France», pp. 1097-1101: cit. p. 1097
4
Cfr. L. Grassi, ad vocem “Attribuzione”, p. 58
5
Cfr. AA.VV., ad vocem “Attribuzione”, in «Dizionario della pittura e dei pittori», volume I (A-C),
Einaudi, pp.164-167: p. 164
Introduzione
5
concordanza, dentro quella armonia solenne e voluminosa, il tono delle cadenze,
delle modulazioni particolari, di distinguere ogni voce nel coro. E definire le sottili
qualità da cui ciascuna voce ha nel coro la propria funzione; laddove gli orecchi
grossi non percepivano che un unisono monotono e inarticolato»
6
. Ripercorrendo la
storia, la sua funzione e l’importanza di questo fenomeno per la storia dell’arte, egli
affermava ancora: «nella essenza, esso costituisce una delle espressioni più mature
di critica intrinseca ed effettuale, di vera critica d’arte»
7
.
Parlando dell’attività di analisi critica e d’identificazione delle opere d’arte,
Lionello Venturi, nel 1964, sosteneva: «quella del conoscitore è una pratica, che
deriva dall’abitudine di guardare e di riguardare le opere d’arte di un certo
periodo»
8
. Venturi continuava sostenendo che per «intuizione»
9
il conoscitore e
storico dell’arte cataloga un gruppo di opere che a suo parere sembrano vicine
stilisticamente, cercando di evincere da esse la datazione e il rapporto di
«antecedenza e successione»
10
, e, tramite l’analisi della qualità, riuscire ad
individuare se un quadro sia un’originale, una copia o una falsificazione. L’opera
anonima deve essere confrontata quindi con un gruppo di opere già accertate
storicamente; a tale proposito, Venturi dichiarava: «se non c’è almeno un’opera
sicura del maestro, accertata come tale da fonti scritte, la base della conoscenza di
quel viene naturalmente meno»
11
.
Difatti, la tecnica comunemente utilizzata per procedere all’identificazione di un
possibile autore concerne il confronto fra opere simili stilisticamente. Il
conoscitore, storico e critico d’arte, analizza quindi accuratamente i manufatti
artistici, valutandone la qualità, individuando ed enucleando delle caratteristiche
tecnico-stilistiche specifiche, che vengono successivamente confrontate, in modo
significativo, con quelle di opere aventi un’autografia storicamente attendibile e
documentata con certezza (attraverso firme, contratti di allocazione, fonti
archivistiche coeve ed inventari).
6
Cfr. E. Cecchi, “Attribuzionismo” e storia dell’arte, in Piaceri della pittura, Venezia, Neri Pozza,
1960, pp. 185-199: cit. p. 193. Il saggio è stato scritto nel 1930.
7
Ibidem, cit. p. 190
8
Cfr. L. Venturi, Filologi, archeologi e conoscitori nei secoli XIX e XX, in Storia della critica d’arte,
VIII ed., Torino, Einaudi, 1982, in particolare pp. 221- 244: cit. p. 238
9
Ibidem, cit. p. 238
10
Ibidem, cit. p. 238
11
Ibidem, cit. p. 238
Introduzione
6
Il confronto è quindi basilare per l’atto attributivo al fine di individuare una certa
mano e un certo linguaggio di un determinato artista, del quale si deve conoscere
profondamente la personalità e l’iter artistico. Non solo, ma oltre alla conoscenza
degli itinerari dei protagonisti, lo storico dell’arte attribuzionista deve essere anche
formato alla conoscenza di luoghi, delle stagioni stilistiche e degli scambi
culturali
12
.
Venturi avvertiva che l’«intuizione»
13
dello storico e critico d’arte si deve
comunque motivare, in modo che «riceva la sua giustificazione critica, e cioè sia
spiegata con l’idea dell’arte e con la coscienza del momento storico, perché sì
identifichi con il giudizio dell’autentica critica d’arte»
14
. La primaria intuizione
deve quindi unirsi ad una vasta conoscenza storico-artistica e ad una valutazione
critica dell’artista e del contesto in cui nacque una tale opera
15
.
Infatti, Venturi criticava e combatteva l’idea del conoscitore sacerdote o mago che
si ammantava di conoscenze misteriose e che ha danneggiato la serietà degli studi
storico-artistici. Su questo aspetto si era pronunciato precedentemente anche
Roberto Longhi in Per una storia dei conoscitori (1954), in cui affermava che a
causa della difficoltà di «giustificarsi criticamente»
16
, «era inevitabile che la dote di
“agnizione” perentoria e apodittica andasse circonfusa di un alone tra stregonesco e
rabdomantico, atto a suscitare la diffidenza di chi non era della partita»
17
.
Nella voce del «Dizionario della critica d’arte», lo storico dell’arte Luigi Grassi
definisce l’attribuzione come «atto intuitivo»
18
unito ad una basilare esperienza sul
campo data sia dal metodo che dalla memoria visiva propria del critico. Lo studioso
sostiene che l’esperto, che analizza un manufatto artistico, richiama appunto
intuitivamente alla propria memoria una serie di opere analoghe e corrispondenti
12
Cfr. G. Romano, Una lezione per aspiranti storici dell’arte, in M. Scordaro, F. P. Di Teodoro,
L’intelligenza della passione. Scritti per Andrea Emiliani, Bologna, Minerva Edizioni, 2001, pp.
489-496: p. 491
13
Cfr. L. Venturi, Filologi, archeologi e conoscitori nei secoli XIX e XX, in Storia della critica
d’arte, VIII ed., in particolare pp. 221- 244: cit. p. 239
14
Ibidem, cit. p. 239
15
Ibidem, cit. p. 239
16
Cfr. R. Longhi, Per una storia dei conoscitori, in R. Longhi, «Opere complete», vol. XIII, Critica
d’arte e buongoverno 1938-1969, Firenze, Sansoni, 1985, pp. 149-152: cit. p. 150. Il saggio uscì
originariamente in «Il Messaggero» il 28 aprile 1954
17
Ibidem, cit. p. 150
18
Cfr. L. Grassi, ad vocem “Attribuzione”, in L. Grassi, M. Pepe (a cura di), «Dizionario della
critica d’arte», vol. I (A-L), pp. 58-59: cit. p. 58
Introduzione
7
stilisticamente e «nei modi formali»
19
con quella da attribuire (che egli ha davanti
gli occhi o mediante una riproduzione fotografica). Tali affinità ed analogie
stilistiche e compositive tra l’opera anonima e l’opera di attestazione sicura
concorrono all’opinione che entrambe le opere siano frutto della medesima mano o
della medesima scuola
20
. Alcune volte l’affinità tipologica si trova tra il dipinto
anonimo e uno specifico disegno, che può presentare in generale la medesima
composizione, lo stesso atteggiamento e fisionomia delle figure. In questo caso
bisognerebbe considerare la portata del confronto, valutando lo stato e la storia del
disegno, il quale di solito è di tre tipi: uno studio fino a se stesso, un abbozzo
preparatorio al dipinto, una rielaborazione grafica successiva derivata da un’opera
d’arte (dipinto o scultura)
21
.
Il conoscitore e storico dell’arte inglese John Pope-Hennessy, dedicando un saggio
sul Mestiere di conoscitore (1986), affermava che l’attribuzione è un’attività così
importante «per l’ottima ragione che, se non si opera la corretta ricostruzione di una
personalità artistica, non se ne può correttamente interpretare o capire la produzione
artistica»
22
. Sostenendo la necessità di «insegnare a vedere»
23
, Hennessy affermava
che «il mestiere del conoscitore non è un mediocre surrogato della conoscenza, ma
fornisce gli unici mezzi con i quali il nostro limitato materiale di conoscenze
documentate può essere ampliato e messo in corrispondenza con ciò che
effettivamente accade»
24
.
Pope-Hennessy spiegava come «non può esistere una storiografia dell’arte
veramente fondata e realmente costruttiva che non proceda dal concetto di
somiglianza- quanto suona la parola, e quanto complessa è l’operazione: dalla
capacità d’intendere le personalità artistiche come organismi un tempo viventi le
cui reazioni e intenzioni si possono ancora ricostruire, alla coscienziosa
applicazione delle tecniche stilistico-analitiche»
25
.
19
Ibidem, cit. p. 58
20
Ibidem, pp. 58-59; cfr. anche L. Grassi, Il Realismo, i Macchiaioli, gli impressionisti e la critica.
L’attribuzione e i conoscitori, in Costruzione della critica d’arte, Roma, Edizioni dell’Ateneo,
1955, pp. 159-178: p. 172
21
Cfr. G. Dalli Regoli, Dai disegni ai dipinti: una strada a senso unico? in L’attribuzione dell’opera
d’arte. Itinerari di ricerca fra dubbi e certezze, pp. 17-23: p. 17
22
Cfr. J. Pope-Hennessy, Il mestiere di conoscitore, in La scultura italiana del Rinascimento,
Torino, U. Allemandi, 1986, pp. 11-36: cit. p. 22
23
Ibidem, cit. p. 36
24
Ibidem, cit. p. 36
25
Ibidem, cit. p. 36
Introduzione
8
Tramite lo strumento comparativo, lo studioso riesce ad individuare le peculiarità
specifiche di ogni artista rendendo valido e più fecondo, perciò, il procedimento
attributivo. Nonostante l’individuazione di analogie fisionomiche e di espressione
delle figure umane raffigurate e le varie corrispondenze delle componenti di
ambientazione e d’arredo debbano essere considerati indizi preziosi per accostare e
valutare disegni, dipinti e sculture, essi non assumono necessariamente il grado di
prove sicure e determinanti di un’identità di mano, perché talora potrebbero
risultare motivati solamente dall’imitazione di consuetudini e forme stilistiche. Solo
l’esame complessivo dell’opera nelle sue molteplici sfaccettature può accertare la
consistenza e la pertinenza del collegamento.
Oltre all’analisi condotta sulla base del dato visivo, il procedimento attributivo si
basa anche sull’indagine filologica, derivante dal reperimento di documenti
d’archivio, e sull’indagine tecnologica
26
.
Lo studioso Giovanni Romano (2001) affermava, infatti, che lo storico dell’arte
prima di esprimere giudizi storici o critici deve verificare l’affidabilità dell’opera
d’arte, mediante una sorta di «filologia preventiva»
27
; tale metodologia consiste nel
controllare la precedente attribuzione dell’opera, che potrebbe essere erronea, il
rapporto tra l’opera e i documenti considerati fino a quel momento attinenti, che
potrebbero non risultare più pertinenti, ed infine verificare se è stata contraffatta da
restauratori o se è stata, invece, falsata
28
.
Durante l’esame di una determinata opera d’arte può succedere che le varie linee di
ricerca e le testimonianze che si possiedono riguardanti l’oggetto d’indagine entrino
in conflitto tra di loro. Dunque, delle volte, i dati forniti dalla considerazione dello
stile e dell’iconografia possono non corrispondere con i dati attestati dai documenti
e dalle carte d’archivio, o con quelli desunti da un’attenta analisi conservativa, dei
materiali e delle tecniche, portando anche a risultati storico-artistici totalmente
opposti. Si genera quindi un evidente divario tra l’indagine filologica, tecnologica e
l’opinione della critica fondata sulla storia dello stile, che risulta a tutt’oggi uno dei
nodi principali della questione attributiva. In genere, viene data l’ultima parola
26
Cfr. G. Dalli Regoli, Le ragioni del mercato, il confronto con la ricerca d’archivio e con gli
interventi di restauro, in L’attribuzione dell’opera d’arte. Itinerari di ricerca fra dubbi e certezze,
pp. 12-13: p. 13
27
Cfr. G. Romano, Una lezione per aspiranti storici dell’arte, in M. Scordaro, F. P. Di Teodoro,
L’intelligenza della passione. Scritti per Andrea Emiliani, pp. 489-496: cit. p. 493
28
Ibidem, p. 492
Introduzione
9
sempre allo storico e critico d’arte che analizza l’opera, il quale si basa
sull’acutezza del proprio occhio e sulla vasta conoscenza della storia dell’arte per
valutare le testimonianze e infine pronunciare un’attribuzione
29
.
L’attribuzione è un momento fondamentale della critica d’arte, in quanto è l’esito
finale di un’analisi filologica del linguaggio specifico della singola opera
considerata in rapporto anche con altre opere analoghe e con una determinata
situazione storico-culturale
30
.
Lo storico dell’arte Giovanni Romano sosteneva che nella lettura del testo
figurativo, la sensibilità e la memoria dello storico dell’arte sono in qualche misura
limitate dai condizionamenti della cultura, e che quindi in futuro qualche altro
storico dell’arte, diverso per contesto e bagaglio culturale, leggerà l’opera d’arte in
maniera decisamente diversa
31
.
Perciò, la sostituzione nel tempo di un “nome” e quindi di una proposta attributiva
con un’altra non comporta una totale debolezza della precedente indagine storico-
artistica o della validità scientifica del lavoro di uno storico dell’arte, ma rivela più
che altro i limiti e le mancanze di un determinato stato degli studi che vengono
progressivamente colmati nel tempo.
I cambiamenti di attribuzione sono, per questi motivi, frequenti, ma rimane tale, per
gli studi successivi, l’importanza del procedimento attraverso il quale un
determinato storico e critico è giunto ad una precisa attribuzione.
L’attribuzione, infatti, non è solo un intervento finalizzato, ma anche un documento
che testimonia i mutamenti nella storia del gusto. Alla voce «attribuzione», il
Dizionario della pittura e dei pittori (Einaudi, 1989) spiegava chiaramente: «Non si
tratta quindi mai di un atto magico, ma di un vero e proprio esercizio filologico,
29
In quanto «atto intuitivo», Luigi Grassi considerava l’attribuzione come «tutta la critica
coagulata in quell’atto, anche se è critica non sempre scritta o verbalizzata. Dall’altra parte,
accostandoci ad un’opera già attribuita, rinnoviamo, sia pure per giungere ad una conferma
mentale, l’atto dell’attribuzione». Cfr. L. Grassi, ad vocem “Attribuzione”, in L. Grassi, M. Pepe
(a cura di), «Dizionario della critica d’arte», vol. I (A-L), pp. 58-59: cit. p. 58; cit. p. 59. La
problematica dell’attribuzione viene argomentata dallo storico dell’arte Grassi anche circa
vent’anni prima. Egli sosteneva: «L’attribuzione va considerata, comunque, al modo di una
critica non formulata, non storicizzata (o formulata e storicizzata male), ma pur sempre attiva e
riconoscibile nell’atto intuitivo che è l’attribuzione». Cfr. L. Grassi, Il Realismo, i Macchiaioli, gli
impressionisti e la critica. L’attribuzione e i conoscitori, in Costruzione della critica d’arte, pp.
159-178: cit. p. 172
30
Cfr. AA.VV., ad vocem “Attribuzione”, in «Enciclopedia dell’Arte», III ed., Garzanti, pp. 67-68:
p. 68
31
Cfr. G. Romano, Una lezione per aspiranti storici dell’arte, in M. Scordaro, F. P. Di Teodoro,
L’intelligenza della passione. Scritti per Andrea Emiliani, pp. 489-496: p. 492
Introduzione
10
compiuto da un esperto che opera in un preciso momento storico, all’interno di una
cultura dominante»
32
. Pertanto anche tale atto critico attributivo è soggetto ad
essere storicizzato e studiato in quanto tale
33
.
Giovanni Romano sosteneva come nella ricerca umanistica, e nello specifico nella
pratica dell’attribuzione, sia necessario effettuare periodici controlli delle
testimonianze e dei precedenti contributi in modo da poter utilizzare e ampliare la
ricerca su una base più salda. Egli affermava:
È un principio basilare della ricerca in campo umanistico: siamo in dovere, come lo furono i primi
umanisti, di ricontrollare ad ogni approccio le condizioni di affidabilità della testimonianza che
intendiamo affrontare per poterla utilizzare con fiducia in qualunque ricostruzione storica; dall’altra
parte siamo tenuti ad avere coscienza del fatto che la nostra lettura critica, per quanto accanita e
onesta, è di necessità parziale; non possediamo umanamente il patrimonio completo degli strumenti
necessari per far emergere dall’opera d’arte tutte le sfaccettature dei suoi contenuti: alcune stagioni
culturali ci consentono di leggere certe verità ed altre stagioni ce ne svelano delle nuove. Dobbiamo
rassegnarci e fare di questa coscienza una forza nei confronti delle molte difficoltà che incontreremo
lavorando sul tema di ricerca che ci siamo prefissi
34
.
A tutt’oggi disponiamo di un’imponente massa di attribuzioni, comprovate da
controlli costanti e verifiche complete, che delineano con maggior sicurezza sia
l’operato degli artisti succedutesi nei vari secoli, sia l’intero panorama storico-
artistico.
Tali attribuzioni sono supportate, almeno in parte, da un particolare atteggiamento
nei confronti dell’opera d’arte che risulta dall’innesto di un consolidato
atteggiamento positivista su di una lunga tradizione estetica romantica. Il vero e
proprio culto del frammento autografo di origine romantica, considerato come la
testimonianza più preziosa per accedere alle intenzioni dell’artista, si mescolava
perciò con una fondamentale concezione della storia, della seconda metà
32
Cfr. AA.VV., ad vocem “Attribuzione”, in «Dizionario della pittura e dei pittori», volume I (A-
C), Einaudi, pp.164-167: cit. p. 166
33
Cfr. E. Castelnuovo, ad vocem “Attribution”, in «Encyclopaedia Universalis France», vol. II, pp.
1097-1101: p. 1097; cfr. AA.VV., ad vocem “Attribuzione”, in «Dizionario della pittura e dei
pittori», volume I (A-C), Einaudi, pp.164-167: p. 164. Cfr. AA.VV., ad vocem “Attribuzione”, in
«Enciclopedia dell’Arte», III ed., Garzanti, pp. 67-68: p. 68
34
Cfr. G. Romano, Una lezione per aspiranti storici dell’arte, in M. Scordaro, F. P. Di Teodoro,
L’intelligenza della passione. Scritti per Andrea Emiliani, pp. 489-496: cit. p. 492
Introduzione
11
dell’Ottocento, che postulava la necessità di una precisione assoluta nella ricerca,
richiedendo l’individuazione di dati e date inequivocabili
35
.
Definito e circoscritto il concetto di attribuzione, ho quindi continuato ad allargare
sempre di più la mia analisi sulla questione, esaminando altre fondamentali
pubblicazioni, soprattutto cercando di focalizzare progressivamente l’attenzione su
quelle concernenti i tre storici dell’arte, e continuando a lavorare così su due piani
paralleli: lo studio del profilo biografico e storiografico di ogni storico dell’arte in
questione e l’esame della questione attributiva e di come essi la utilizzarono per
apportare degli effettivi risultati alla storia dell’arte.
Mi sono resa conto che sostanzialmente la questione attributiva veniva spiegata in
modo unanime da tutti gli storici dell’arte e che i suoi strumenti fondamentali e
imprescindibili, come ad esempio il confronto visivo tra le opere, fossero sempre i
medesimi, nonostante le inclinazioni e le sfumature metodologiche adottate da ogni
storico dell’arte. La visione diretta dell’opera d’arte risulta più di ogni altro aspetto
quello su cui ciascun autore si sofferma, e attraverso la quale, appunto, ha preso le
mosse la nuova e attuale storia dell’arte.
Ovviamente gli aspetti maggiormente storicizzati sono i giudizi e le opinioni
personali degli storici dell’arte, che nei loro saggi hanno affrontato l’argomento,
vincolati e guidati dallo stato che presentavano gli studi e dal contesto storico
dell’epoca. Così, ad esempio, nel 1942, in una fase di dilagante idealismo, Carlo
Ludovico Ragghianti criticava fortemente il metodo positivistico di Morelli, a cui,
secondo le parole dello storico dell’arte, «si suole tuttodì conferire soverchia
importanza, per non dire del credito»
36
. Successivamente, la figura di Morelli e così
il metodo da egli propugnato furono riconsiderati e riportati in auge dalla
pubblicazione di Edgard Wind (1963)
37
e da quella di Carlo Ginzburg (1979)
38
come verrà esaminato in maniera esauriente nella fortuna critica di Morelli.
35
Cfr. AA.VV., ad vocem “Attribuzione”, in «Dizionario della pittura e dei pittori», volume I (A-
C), Einaudi, pp. 164-167: p. 164
36
Ragghianti scrisse il saggio nel 1942 (quando si trovava in carcere, arrestato dai fascisti) e
venne pubblicato solamente nel 1948. Cfr. C. L. Ragghianti, Profilo della critica d’arte in Italia,
Firenze, Edizioni U, 1948, cit. p. 48
37
Cfr. E. Wind, Critica del conoscitore d’arte, in E. Wind, Arte e Anarchia (1963), IV ed., Milano,
Adelphi, 2007, pp. 53-74, pp. 170-186
38
Cfr. C. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in «Crisi della ragione», a cura di A.
Gargani, Torino, 1979, pp. 59-106. Ripubblicato successivamente in C. Ginzburg, Miti, emblemi,
spie. Morfologia e storia, Torino, Einaudi, 1992, pp. 158-209