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1. IL TUMORE AL SENO E LE TECNICHE DI
INDIVIDUAZIONE
In questo primo capitolo sarà esposta brevemente la struttura del tessuto mammario e le
caratteristiche principali del cancro alla mammella. Successivamente verranno analizzate le
tecniche diagnostiche attualmente in uso e quelle ancora sotto indagine, focalizzando l'attenzione
sugli aspetti positivi e negativi di queste ultime che tuttavia rimangono per ora limitate al campo
sperimentale.
1.1 IL SENO
Il seno si trova posto anteriormente sul torace, ai lati della linea mediana, localizzato tra il terzo e il
sesto spazio intercostale. La mammella è dunque un organo pari, cioè composto da due corpi
simmetrici i cui componenti sono la cute, la ghiandola mammaria ed il tessuto connettivo adiposo.
Come si può osservare nella figura 1, la ghiandola mammaria poggia sul muscolo grande pettorale,
da cui è separata da uno strato adiposo più o meno spesso. Un lembo di tessuto mammario si
estende fino al cavo ascellare. Fino alla pubertà, il seno maschile e femminile sono uguali, ma da
questo periodo, il seno femminile aumenta notevolmente lo sviluppo e la dimensione per azione
degli ormoni sessuali, contrariamente a quello maschile la cui crescita si interrompe. Ogni donna ha
caratteristiche molto personali nella forma e nella dimensione del seno, principalmente dovuto alla
presenza maggiore o minore di adipe e dalla sua distribuzione.
Donne con seno grande e donne con seno piccolo possono avere ad esempio le medesime possibilità
di allattare, perché la crescita del seno è indipendente dalla sua funzionalità.
In campo diagnostico la mammella è comunemente divisa in quattro quadranti, che si possono
idealizzare immaginando una linea verticale e una orizzontale che si intersecano sul capezzolo.
Più nel dettaglio, il tessuto mammellare è composto da:
una componente ghiandolare, (15-20 lobi), ognuno dei quali ha uno sbocco verso il
capezzolo attraverso un dotto galattoforo;
una componente di tessuto adiposo, in cui sono concretamente inserite ed immerse le
strutture ghiandolari;
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una componente fibrosa di sostegno, che genera suddivisioni tra le diverse appendici
ghiandolari.
Presso l'apice della mammella, si trova una sporgenza esterna di forma conica nota come capezzolo.
Nella regione apicale, il capezzolo presenta strutture note come pori lattiferi, 15-20 forellini che
costituiscono lo sbocco dei dotti galattofori. Esso è circondato dall'areola, una regione circolare
pigmentata avente diametro medio che varia, a seconda della fisiologia del soggetto, dai 3 agli 8
cm. L'areola è costituita da piccole sporgenze, generate dalla presenza sottostante di ghiandole
sebacee. Sia il capezzolo che l'areola sono dotati di fibre muscolari lisce che ne permettono la
contrazione. La contrazione genera l'erezione del capezzolo ed il corrugamento dell'areola. Ciò
permette, nel periodo dell'allattamento, un agevole deflusso del latte. I fasci fibrosi della mammella
si portano in profondità e dividono il parenchima ghiandolare in lobi e lobuli.
Ogni lobulo comprende gli alveoli che fungono da unità secernenti. Gli alveoli sono rivestiti da
epitelio semplice poggiante su una membrana basale in cui sono intercalati miociti che favoriscono
la progressione del secreto attraverso dotti di calibro progressivamente crescente. Si comincia con i
dotti alveolari per continuare in quelli lobulari ed arrivare ai dotti galattofori. Ogni lobulo ha il suo
dotto galattoforo che sbocca lateralmente al capezzolo in un‟ampolla che ha la capacità di
accumulare il secreto prodotto. L'epitelio da cubico semplice dei dotti alveolari diventa
pluristratificato non cheratinizzato nei dotti galattofori.
La mammella dispone di una irrorazione superficiale data dall‟arteria toracica laterale, ramo
dell‟ascellare e di una irrorazione interna data dall‟arteria toracica interna, ramo della succlavia. Le
vene mettono capo alla cefalica o alla giugulare esterna. I linfatici posteriori e laterali mettono capo
ai linfonodi ascellari, quelli mediali drenano nei linfonodi parasternali.
Le ghiandole mammarie sono composte da tre principali tipi di tessuto: il tessuto duttale, tessuto
connettivo fibroso e tessuto adiposo. Il tessuto duttale può essere suddiviso in lobi e dotti che dai
lobi si protendono verso il capezzolo. I 15-20 lobi presenti in ogni seno sono ulteriormente
suddivisi in 20-40 lobuli più piccoli, che sono a loro volta composti ciascuno da 1-10 alveoli. Il
tessuto connettivo fibroso contiene tessuto connettivo, vasi sanguigni, linfatici, nervi e quantità
variabili di grasso. Il contenuto di grasso nel seno varia da persona a persona, ma aumenta con
l'età. In generale, un più alto contenuto di grasso rende il seno più facilmente rappresentabile.
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Figura 1.1 La mammella.
1.2 IL TUMORE DELLA MAMMELLA
Quello del seno è in tutto il mondo occidentale il primo tumore femminile per numero di casi e la
sua incidenza è in costante crescita. Purtroppo anche in Italia, che figura tra i paesi a maggior
rischio con 30.000 nuovi casi ogni anno, e dove una donna ha una probabilità su 10 di ammalarsi
nel corso della vita (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro). Il tumore del seno è una
malattia potenzialmente grave se non è individuata e curata per tempo. È dovuto alla
moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in
cellule maligne.
Ciò significa che hanno la capacità di staccarsi dal tessuto che le ha generate per invadere i tessuti
circostanti e, col tempo, anche gli altri organi del corpo. In teoria si possono formare tumori da tutti
i tipi di tessuti del seno, ma i più frequenti nascono dalle cellule ghiandolari (dai lobuli) o da quelle
che formano la parete dei dotti.
Di seguito vengono riportati i numeri principali riguardanti il tumore alla mammella, in modo tale
da fornire un‟idea sullo sviluppo della malattia [1]:
Vista in sezione della
mammella femminile:
1. Cassa toracica
2. Muscoli pettorali
3. Lobuli
4. Capezzolo
5. Areola
6. Dotti
7. Tessuto adiposo
8. Pelle
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- incidenza: 30.000 nuovi casi all‟anno, pari al 27 per cento di tutti i tumori femminili;
- mortalità: 11.000 decessi all‟anno, pari al 18 per cento delle morti per tumore nelle donne;
- probabilità di ammalarsi nel corso della vita: 1 su 10;
- probabilità di guarigione: 70-80 per cento se il tumore è diagnosticato precocemente;
- test per la diagnosi precoce: autopalpazione, controllo del medico, mammografia, ecografia;
- efficacia della mammografia: accertata per le donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni. Da
valutare nelle donne più giovani;
- efficacia dell‟ecografia: accertata nelle donne sotto i 50 anni;
- frequenza dell‟autopalpazione: ogni mese;
- frequenza degli esami medici e strumentali: annuale.
Esistono due diversi tipi di cancro del seno: le forme non invasive e quelle invasive [2].
Le forme non invasive, a loro volta, sono due:
Il carcinoma duttale in situ (o CDIS): è una forma iniziale di cancro al seno limitata alle
cellule che formano la parete dei dotti. Se non viene curata può diventare invasiva.
Il carcinoma lobulare in situ (CLIS): benché anche questo tipo di tumore non sia invasivo,
è un segnale di aumentato rischio di formare tumori in ambedue i seni.
Le forme invasive, allo stesso modo, sono due:
Il carcinoma duttale infiltrante: si chiama così quando supera la parete del dotto.
Rappresenta tra il 70 e l'80 per cento di tutte le forme di cancro del seno.
Il carcinoma lobulare infiltrante: si chiama così quando il tumore supera la parete del lobulo.
Rappresenta il 10-15 per cento di tutti i cancri del seno. Può colpire contemporaneamente
ambedue i seni o comparire in più punti nello stesso seno.
In genere le forme iniziali di tumore del seno non provocano dolore. Uno studio effettuato su quasi
mille donne con dolore al seno ha dimostrato che solo lo 0.4 per cento di esse aveva una lesione
maligna, mentre nel 12.3 per cento erano presenti lesioni benigne (come le cisti) e nel resto dei casi
non vi era alcuna lesione. Il dolore era provocato solo dalle naturali variazioni degli ormoni durante
il ciclo.
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1.3 LE TECNICHE DIAGNOSTICHE ATTUALI
In questo paragrafo si fornirà una panoramica sulle tecniche diagnostiche attualmente impiegate per
rilevare la presenza di eventuali tumori al seno.
MAMMOGRAFIA
Attualmente, la mammografia a raggi X è il processo di screening più diffuso per il cancro al seno.
Essa si rivela particolarmente efficace nella rilevazione del cancro al seno nelle fasi iniziali.
Tuttavia, la mammografia presenta dei limiti tra cui un alto tasso di falsi negativi (compreso tra il
10% e il 30%) e una non trascurabile difficoltà nella rilevazione del tumore nel caso di seno denso.
Risultati inconcludenti o falsi positivi conducono infatti ad inutili biopsie invasive.
Nel 15% dei casi il tumore non viene riscontrato e secondo i dati del Breast Cancer Detection
Demonstration Project, il tasso di falsi-negativi della mammografia è circa dell‟8-10% [3]. In circa
l‟1-3% delle donne con un‟anomalia clinicamente sospetta, un carcinoma mammario potrebbe
ancora essere presente anche se il mammogramma e l‟ecografia sono negative. Ciò è dovuto alla
minima differenza che a queste frequenze (quelle dei raggi X) esiste tra il tessuto sano e quello
malato. Per un discorso di omogeneità del tessuto è inoltre necessaria una compressione del seno
poco pratica e anche dolorosa. L'Osservatorio Nazionale Screening, dipendente dal Ministero,
suggerisce una mammografia ogni 2 anni, dai 50 ai 69 anni di età, ma la cadenza può variare a
seconda delle considerazioni del medico sulla storia personale di ogni donna. Nelle donne che
hanno avuto una madre o una sorella malata in genere si comincia prima, verso i 40-45 anni.
ECOGRAFIA
L'ecografia è un esame molto utile per esaminare il seno giovane, dato che in questo caso la
mammografia non è adatta. L'ecografia della mammella è un esame diagnostico basato sull'impiego
degli ultrasuoni, che sono onde sonore di frequenza superiore a quella che il nostro orecchio è in
grado di percepire. E' eseguita da personale medico specializzato con un'opportuna strumentazione,
comprendente una sonda che viene poggiata sulla pelle ed attraverso la quale si invia sulla pelle
sovrastante la zona del corpo da esaminare un fascio di ultrasuoni. Secondo la densità dei tessuti
attraversati, gli ultrasuoni sono riflessi in modo diverso e raccolti dalla stessa sonda, che li invia
all'apparecchiatura la quale li rielabora producendo un'immagine su un monitor. Si tratta di una
tecnica sicura, rapida, non invasiva e sufficientemente precisa. L'ecografia della mammella permette
di effettuarne un accurato esame della struttura, per evidenziare la presenza di cisti, infiammazioni o
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tumori. Inoltre, è un‟ utile guida per effettuare biopsie. Tuttavia l‟ecografia mammaria ha dei limiti,
infatti, non consente la diagnosi precoce di tumore maligno, nel caso in cui quest‟ultimo sia
rappresentato da microscopiche calcificazioni, riconoscibili solo dalla mammografia; per questo
motivo, l‟ecografia non può sostituire la mammografia nella ricerca del tumore maligno in fase
precoce. Nessuno studio infatti ha dimostrato che l‟ecografia possa ridurre la mortalità per
carcinoma mammario.
RISONANZA MAGNETICA (RM)
Ad oggi la risonanza magnetica mammaria è da considerarsi tecnica da utilizzare ad integrazione
della mammografia e dell‟ecografia, sempre previa valutazione caso per caso. La RM è da
effettuare in tutti i casi positivi prima di un intervento chirurgico onde definire in maniera adeguata
la unifocalità o la multifocalità/multicentricità della lesione. Essa infatti permette di identificare
tumori non altrimenti riconoscibili con i test tradizionali, ma evidenzia anche un discreto numero di
aree falsamente sospette. Il controllo “periodico” con RM in assenza di sintomi è da ritenersi
giustificato e “consigliato” solo per la sorveglianza di donne a rischio genetico o elevato rischio
familiare per carcinoma mammario (tale contributo è particolarmente elevato nelle mammelle
radiologicamente dense).
Controindicazioni all‟esame sono tutte le controindicazioni alla RM (pacemaker, placche
metalliche, ecc.).
PRELIEVI CON AGO
Nei casi in cui i test sopra descritti abbiano evidenziato una lesione sospetta è necessario eseguire
un innocuo prelievo con ago. Esso può essere eseguito sia con ago sottile (permette l‟esame
citologico del materiale aspirato) sia con ago più grosso (permette l‟esame istologico dei frammenti
asportati).
L‟ecografia è la metodica di scelta come guida a questi prelievi; in caso di lesione evidenziata con
Risonanza Magnetica Mammaria, e non riconoscibile nemmeno con successiva indagine
mammografica o ecografica mirate, il prelievo deve essere guidato dalla stessa RM.
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* Il paragrafo “1.4 Tecniche diagnostiche in via di sviluppo” è tratto da:
- “Capitolo 1 - Tecniche di imaging” della Tesi di Dottorato di M. Di Lillo, “Tecniche avanzate di scintigrafia per la rilevazione di
tumori mammari: una rassegna critica”, Università La Sapienza di Roma, 1998 www.isss.infn.it/webg3/pub/tesi/master-dilillo/ [Online]
ULTERIORI TECNICHE ATTUALMENTE IN USO
1. Positron Emission Tomography (PET) - La tomografia ad emissione di positroni, è una
nuovissima metodica in grado di evidenziare quei tessuti nei quali il metabolismo è molto elevato,
come ad esempio nei tumori, e di valutare la risposta ai trattamenti terapeutici effettuati [4]. Per
generare i positroni serve un acceleratore di particelle molto costoso, denominato ciclotrone.
2. Radio Guided Occult Lesion Localization (ROLL) - Nel punto dove viene localizzata una
lesione non palpabile, si inietta una piccola quantità di albumina umana radioattiva, "marcata" cioè
con un isotopo radioattivo (Tecnezio) [4]. All'atto operatorio, il chirurgo si serve di una sonda che
indica con estrema precisione il punto dove è stata iniettata la sostanza marcata, permettendogli di
asportare la lesione sospetta anche senza vederla.
3. Biopsia - È senza dubbio l'esame diagnostico più affidabile, consiste nell'asportazione chirurgica
del nodulo con esame istologico. Nel corso di una biopsia, un chirurgo, un patologo o un radiologo
rimuove una parte o la totalità del tessuto sospetto [4]. Il tessuto sospetto è esaminato al
microscopio da un patologo che si occupa di controllare l'eventuale presenza di cellule cancerogene
e rende la diagnosi. L'accuratezza diagnostica di questo esame è prossima al 100%, ma
inevitabilmente esso comporta grande stress per il paziente, e nei casi in cui viene rivelata la
presenza di un tumore benigno, esso poteva essere evitato.
I limiti della mammografia hanno suscitato l’interesse per metodi diagnostici alternativi come
quelli che utilizzano i laser o che si basano su proprietà molecolari, termiche, ottiche o elastiche. Si
tratta infatti di nuove tecniche meno invasive e con un margine di errore minore.
1.4 TECNICHE DIAGNOSTICHE IN VIA DI SVILUPPO *
ULTRASUONI (US)
Le tecniche diagnostiche tramite ultrasuoni (US) sono ormai entrate nella routine ospedaliera [5];
tale successo è da attribuirsi al fatto che gli ultrasuoni rappresentano un ottimo strumento di
indagine: la metodica non è invasiva (è forse la tecnica meno dannosa per la produzione di
immagini o la rivelazione di stati anormali), è di semplice e rapido impiego, facilmente ripetibile e
sicura, e non richiede grandi investimenti economici. Essa consiste nell'inviare dentro il tessuto da
esaminare dei brevi impulsi acustici a frequenza ultrasonica. Tipicamente gli ultrasuoni sono
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prodotti da un oggetto vibrante e consistono di onde meccaniche longitudinali in grado di
propagarsi con una serie di compressioni e rarefazioni attraverso i tessuti del corpo umano. La
velocità v con cui tali onde viaggiano è di 1540 m/s, corrispondente ad una lunghezza d'onda λ di
0.44 mm se si tiene conto che la frequenza di oscillazione tipicamente usata nella tomografia ad
ultrasuoni è ν= 3.5 MHz, ove λ rappresenta la massima risoluzione spaziale teoricamente ottenibile
in una immagine ad ultrasuoni. La tomografia ad ultrasuoni si basa appunto sulla propagazione di
tali onde longitudinali e sulla conseguente produzione e rivelazione dell'eco risultante dall'impatto
dell'onda con le zone di discontinuità eventualmente presenti nel tessuto attraversato; qualsiasi
disomogeneità causa infatti la riflessione sotto forma di eco di una frazione degli ultrasuoni, che
viaggerà quindi all'indietro per essere rivelata da un opportuno trasduttore (appositi sensori
piezoelettrici). Il fascio di ultrasuoni è usualmente manovrato in modo semiautomatico, guidato da
un operatore che controlla l'immagine che appare sullo schermo. La tensione prodotta dal
trasduttore viene infatti amplificata e rivelata dall'apparenza di uno spike sull'oscilloscopio. Tenuto
conto che l'ultrasuono impiega un millesimo di secondo ad attraversare 72 cm di tessuto in ambo le
direzioni, l'impulso può essere trasmesso oltre mille volte per secondo in modo da dare
l'impressione di un'immagine continua sullo schermo. Approfittando del fatto che per la produzione
di un'immagine sono necessari pochi centesimi di secondo e che la radiazione è innocua, è possibile
seguire dal vivo i movimenti dell'organo per periodi di tempo anche lunghi e con buona risoluzione
temporale. La risoluzione spaziale dipende sia dalle dimensioni trasversali del fascio che dalla
durata del fascio stesso (dimensioni assiali). Un ruolo importante per la risoluzione gioca la
diffrazione del fascio. Con frequenze tipiche utilizzate di 3.5 MHz si ha un limite, dovuto alla
diffrazione, di 2.6 mm. Un aumento della risoluzione sarebbe possibile con l'uso di frequenze più
elevate; purtroppo a tali frequenze, l'attenuazione degli ultrasuoni nei tessuti cresce quasi
linearmente con la frequenza. Quindi se si vuole aumentare la risoluzione è necessario limitarsi
all'osservazione degli strati superficiali. Negli anni le apparecchiature ad ultrasuoni hanno avuto una
notevole evoluzione: si è passati dal monodimensionale al bidimensionale, dalle immagini
bidimensionali statiche a quelle in tempo reale. Inoltre, con l'evoluzione delle tecniche di signal
processing, l'introduzione di componenti ad alta scala di integrazione e lo sviluppo della tecnologia
dei computer la strumentazione a partire dagli anni '80 si è trasformata da "apparecchiatura di
analisi" tramite ultrasuoni ad una vera e propria "tomografia" tramite ultrasuoni. La strumentazione
ad ultrasuoni comprende un'estesa gamma di apparecchiature per impieghi specifici; tra queste, le
più diffuse sono le apparecchiature per oculistica, per l'esame della tiroide e del seno. Questa
tecnica può essere di aiuto nella diagnosi delle lesioni e in alcuni casi eliminare la necessità di
effettuare una biopsia. Quando una mammella è radiodensa, come accade spesso per donne al di
sotto dei 35 anni, e la mammografia della paziente non è conclusiva, la US può fornire utili
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informazioni sulla natura di una massa palpabile; se si tratta di una cisti, può identificarla con
sicurezza, permettendo di evitare una biopsia; tuttavia se non lo è, deve essere identificata mediante
qualche altra tecnica di indagine, poiché gli US non sono in grado di caratterizzare accuratamente
masse solide: non tutte infatti sono visibili tramite questa tecnica e quelle visibili non possono
essere identificate come benigne o maligne con accettabile accuratezza; anche le
microcalcificazioni non sono visualizzate adeguatamente. Con gli US si ha un rateo di falsi negativi
che può variare da 0.3 al 47% in differenti studi; se usati come tecnica primaria di screening
produrrebbero anche falsi positivi, pertanto non vengono impiegati in tal modo, ed in sostanza
rimane una buona tecnica soltanto per determinare se una lesione è o meno una cisti, mostrando
un'affidabilità del 96-100% per cisti fino a 3 mm, in virtù del fatto che le attrezzature US dedicate
alla mammella impiegano trasduttori ad alta risoluzione, con frequenze più elevate.
ALTRE TECNICHE IN FASE DI STUDIO
CTLM O CT LASER MAMMOGRAPHY: CTLM sta per Tomografia Computerizzata Laser
Mammografia ed è un metodo per analizzare il flusso del sangue all'interno del seno. Dal
momento che i tumori di nuova generazione comportano un aumento di tale flusso, tale tecnica
può rappresentare la risposta alla ricerca di tumori molto piccoli, che potrebbero risultare
nascosti alla mammografia di routine. Inoltre, il laser ha un'elevata capacità di penetrazione
all'interno del tessuto mammario denso, al contrario della mammografia tradizionale. Tale
metodo di indagine presenta le seguenti caratteristiche:
l'immagine è ottenuta fetta dopo fetta ruotando l'intero sistema di sorgente e
ricevitore;
le fette sono intervallate da una distanza di 3-4 mm;
il tempo di scansione è di circa 10 min;
è dotato di 2 sorgenti laser e un sistema di 22 ricevitori posti in modo circolare e
planare in una rivoluzione completa;
provenienza egiziana, al momento testato in Cina e Polonia, ma non ancora approvato
dalla Food and Drug Administration (FDA).
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Tra le tecniche di screening secondario indagate, vi sono quelle che impiegano i radiofarmaci,
particolari composti metabolici marcati con sostanze radioattive γ o β emettitrici, detti
radionuclidi, che vengono iniettati nella paziente e sono captati preferenzialmente in cellule ad
alta attività energetica, come quelle tumorali [5]. L'opportuna scelta delle radiazioni emesse dai
radionuclidi nel loro decadimento permette di rivelarle all'esterno del corpo umano fornendo
informazioni di tipo funzionale sulla presenza di tumori nel paziente. Anche la tomografia a
Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) è un metodo che permette la ricostruzione di immagini
del corpo umano senza l'uso di radiazioni ionizzanti; in questo caso si utilizza, infatti,
l'interazione tra onde radio, campi magnetici e nuclei atomici. Le onde radio da sole non
possono venire utilizzate perché, pur penetrando nel corpo umano, a causa della grande
lunghezza d'onda (circa 20 metri) non possono certo essere impiegate per rivelare dettagli
dell'ordine del millimetro; è quindi necessario sfruttare un processo del tutto differente in cui le
onde radio sono solo una parte dei mezzi impiegati.
TOMOGRAFIA CON NMR: la NMR permette di vedere entro il campione la distribuzione di
differenti elementi, non solo l'idrogeno, ma anche ossigeno o fosforo per esempio; ciò permette
di risalire a disfunzioni fisiologiche o funzionali degli organi in esame. Il ruolo della NMR per
la mammella non è ancora ben delineato; infatti non sono stati ancora stabiliti degli standard
relativi al modo di scegliere campioni su cui effettuare la ricerca e sulle procedure di imaging
da seguire, ed è pertanto prematuro trarre conclusioni sulle caratteristiche di questa modalità.
Differenti studi riportano valori di sensibilità dal 60 al 100%, mentre la specificità varia dal 37
al 97% [5]; da soli, questi dati sembrano suggerire che la procedura potrebbe competere con la
mammografia come strumento di screening primario, ma essi non sono basati sulle stesse
statistiche e sugli stessi criteri impiegati per quest'ultima. Molti dei risultati significativi per la
NMR della mammella provengono da studi effettuati su pazienti sintomatiche, dopo una
mammografia positiva, e riguardano un campione di meno di cento soggetti. La NMR per la
mammella potrebbe essere potenzialmente impiegata tanto come tecnica primaria di screening
quanto come tecnica secondaria nel caso di mammografie sospette; inoltre si può ipotizzare un
uso durante vari stadi di una terapia su pazienti affette da tumore al fine di monitorare la
risposta ai trattamenti somministrati, o limitare al minimo procedure invasive. Come già
affermato, il ruolo della NMR non è ancora ben delineato e molto lavoro di ricerca in tal senso
è attualmente in corso.