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Figura 1 – Katy Perry for ghd
ghdhair.com/it/
Figura 2 – Trousse Pupa
larosadeiventiprofumi.com
Introduzione
È stato quando, finalmente, ho dato l’ultimo esame, che mi sono resa conto di quanto
fosse vicina la laurea, e che dovevo seriamente pensare all’argomento su cui sviluppare
la mia tesi. Di una cosa ero certa: volevo trovare un tema che mi piacesse davvero. E
che, ovviamente, fosse pertinente con il mio percorso di studi. Le materie che più mi
hanno affascinato sono state tutte quelle riguardanti l’ambito pubblicitario. Mi restava
quindi da decidere quale specifico taglio dare alla tesi. L’idea mi è arrivata
inaspettatamente: mentre sfogliavo
distrattamente una rivista sono rimasta colpita
da una pubblicità in particolare, in cui la pop
star Katy Perry, di nuovo testimonial della
campagna stampa ghd (noto marchio
internazionale di sistemi di acconciatura a
caldo), vestiva i (duplici) panni di Biancaneve
e Grimilde, in un’atmosfera anni ‘20. Subito
mi sono tornati alla mente altri famosi brand,
che non molti anni fa, nelle loro campagne,
avevano fatto ampio uso di favole e fiabe. E a quale ragazza non piacciono, o non sono
piaciute, le fiabe? (Merito anche, occorre sottolinearlo, della Disney, azienda leader
assoluta del mercato dell'intrattenimento per l'infanzia, che per molti dei suoi film di
animazione ha tratto ispirazione da fiabe e favole note - come Biancaneve e i Sette Nani
oppure Cenerentola - e le ha diffuse ulteriormente, facendole conoscere ed amare da
milioni di bambini in tutto il mondo). Ed ecco che finalmente mi era chiaro quale
sarebbe stato il tema della mia tesi di laurea: l’utilizzo, in pubblicità, di favole e fiabe.
Lo scopo del mio lavoro è dimostrare come una realtà ritenuta da molti semplice e
infantile, e normalmente concepita per i più piccoli, sia stata poi adottata con successo
dalla pubblicità, che, in anni recenti (e in particolar modo il riferimento alle fiabe è stato
predominante nel corso del 2000), ne ha fatto ampio
uso.
Che cosa hanno in comune Chanel, Mulino Bianco,
Chicco, Pupa e Red Bull, oltre al fatto di essere
brand molto importanti e leader nei loro settori?
Che tutti hanno deciso di dare ai propri prodotti
un'aura fiabesca, utilizzando l’ormai famoso
racconto dei Fratelli Grimm, Cappuccetto Rosso,
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declinandolo diversamente, a seconda delle esigenze dettate dal contesto e dall'azienda.
In molti casi, la pubblicità può non rispettare la tradizione e sconvolgere le credenze
dello spettatore o del lettore, modificando e ribaltando anche radicalmente temi, ruoli
dei personaggi e finali delle favole cui siamo abituati (che dire del lupo nello spot della
Mulino Bianco, che da cattivo per eccellenza si trasforma in amante di Cappuccetto
Rosso? O di quello di Chanel, che diventa complice della protagonista nel furto della
mitica boccetta di profumo?). Non sempre è possibile distinguere l'eroe buono
dall'antagonista cattivo, ma ciò che è sicuro è che il vero protagonista - il vero eroe - è e
rimane comunque il prodotto (indipendentemente dalla categoria merceologica di
appartenenza): catalizzatore delle attenzioni non solo dei protagonisti dello spot, ma
anche degli spettatori.
L’elevata diffusione delle favole come tema pubblicitario non è solo una peculiarità
dell’Italia. Infatti ai fiabeschi spot dell’italianissima Mulino Bianco, si affiancano
campagne pubblicitarie di brand internazionali, nonché rinomati e famosi in tutto il
mondo, quali: Chanel, Dior, Lancôme, Hermés, Louboutin e Stella McCartney.
È interessante poi osservare come l’utilizzo di fiabe e favole non si limiti ai soli prodotti
«per bambini», ma vengano, al contrario, impiegate per beni appartenenti ai più diversi
settori merceologici. Sono state utilizzate fiabe per pubblicizzare profumi (Cappuccetto
rosso per Chanel n° 5 e Cenerentola per Midnight Poison di Dior e Trésor Midnight
Rose di Lancôme ), surgelati (Pinocchio e Alice nel Paese delle Meraviglie per Findus),
accessori per l’infanzia (Biancaneve e Cappuccetto Rosso per Chicco), automobili
(Biancaneve, Cappuccetto Rosso, Cenerentola e la Sirenetta per Lancia Ypsilon e
Biancaneve per Volvo), arredamento (Pinocchio per Accademia del Mobile) e persino le
grandi firme (Louboutin, Hermés e Stella McCartney hanno utilizzato i temi e i
personaggi di diverse fiabe per le loro campagne stampa).
Alla base dello spunto creativo nella pubblicità c'è la necessità di trovare un punto
d'incontro tra l'essere originali, per colpire l'attenzione dello spettatore e farsi ricordare,
e l'esigenza di utilizzare temi e personaggi noti al grande pubblico. Per questo motivo
una tecnica molto diffusa consiste nell'usare riferimenti culturali all'interno degli spot e
degli annunci pubblicitari: la pubblicità attinge così a storie che si ispirano al cinema, al
teatro, alla televisione stessa e naturalmente anche al mondo di fiabe e favole.
La fiaba non solo è molto versatile, ma la sua vera forza risiede nella capacità di
comunicare in modo immediato emozioni. Racconta fatti e trame complesse in modo
s
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semplice e utilizza un linguaggio immediato: «un linguaggio che si lascia interpretare
1
».
Non è un caso, infatti, che negli spot televisivi che utilizzano le fiabe come tema
portante, i dialoghi siano per lo più assenti, e vengano sostituti da musiche coinvolgenti.
La colonna sonora, oltre ad accrescere l'attrattività e la riconoscibilità del messaggio
presso il pubblico, amplifica il contenuto emozionale (con i personaggi e con le storie
delle fiabe si richiamano i ricordi di infanzia).
Le fiabe, nate dalla tradizione popolare per intrattenere, oggi sono state riscoperte e
ampiamente utilizzate dai pubblicitari.
La fiaba utilizzata in pubblicità, comunque, non deve essere intesa come promessa di
qualche cosa che non si può mantenere, perché il destinatario della comunicazione
riconosce subito l’intento pubblicitario del messaggio. È noto infatti che il messaggio
pubblicitario viene recepito con una «naturale» diffidenza, che normalmente si
interpone tra pubblico e pubblicità. A questo proposito è però importante ricordare che
la pubblicità deve sempre essere riconoscibile come tale, e che deve essere nettamente
distinta dagli altri contenuti diffusi attraverso un qualsiasi mezzo (tv, stampa, ecc…); in
caso contrario l’annuncio avrebbe una carica persuasiva assai superiore alla media e ci
ritroveremmo di fronte a un caso di pubblicità redazionale o product placement, a casi,
cioè, di pubblicità illecita (perseguibili ex lege).
La fiaba in pubblicità viene usata per associare emozioni e valori a beni materiali di uso
comune. La magia, insita nel concetto stesso di fiaba, è in grado di evocare sensazioni
positive: le situazioni fantastiche narrate nello spot vengono mostrate non perché lo
spettatore vi debba credere, ma per suscitare delle emozioni.
C’è poi un altro punto molto interessante da prendere in considerazione, e cioè che la
pubblicità è spesso, già di per se stessa, una narrazione fantastica (una comunicazione
commerciale non deve per forza avere carattere tecnico, al contrario la maggior parte
delle volte essa si basa su suggestioni, al fine di coinvolgere il consumatore ed indurlo
all’acquisto del proprio prodotto).
La pubblicità sembra, infatti, avere in comune alcuni elementi tipici della fiaba, quali:
situazioni magiche, oggetti animati, la «metamorfosi» (promessa fatta dal prodotto di
assicurare una trasformazione), la «ripetizione» (fondamentale sia per una fiaba - che è
tradizionalmente tramandata oralmente -, sia per uno spot televisivo, affinché il fruitore
possa memorizzarli e comprendere appieno il messaggio in essi contenuto) e il
p
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Annamaria Testa, Farsi capire, Rizzoli, Milano, 2000
10
prodotto/eroe che permette il lieto fine.
Se le fiabe sono il modo con cui i bambini possono evadere dalla realtà quotidiana e
vivere storie incredibili in luoghi incantati, la pubblicità può essere allora considerata
una sorta di fiaba per adulti, con cui il pubblicitario oltre al prodotto, vende anche e
soprattutto un’idea, un complesso sistema di valori che ruota attorno al bene materiale, e
che fa sì che questo venga preferito al prodotto del concorrente. Il consumatore vuole
sognare, «fuggire», anche solo per poco, dalla vita di tutti i giorni, ed entrare in un
mondo perfetto, dove grazie al prodotto pubblicizzato c’è sempre il lieto fine, proprio
come nelle favole che ci raccontavano da bambini.
La pubblicità presenta quindi analogie con il mondo delle favole, in cui qualsiasi
situazione negativa si risolve con il classico lieto fine: «…e vissero per sempre felici e
contenti». In questa maniera si crea un effetto rassicurante, che determina la scomparsa
di ogni ansia narrativa, nelle pagine di una fiaba come nella sequenza di uno spot.
E allora, vista la naturale predisposizione della pubblicità, perché non utilizzare,
direttamente, proprio il tema, i luoghi e i personaggi delle fiabe? Ed ecco quindi che
pubblicitari italiani e non, rispolverano, modernizzano e capovolgono alcune tra le più
belle fiabe di sempre.
Il testo ripercorre, nei primi due capitoli, la storia e le nozioni di base di fiaba e
pubblicità, prese ed esaminate distintamente; successivamente verterà sulla
commistione di questi due generi, e prenderò quindi in considerazione spot e campagne
stampa (e un solo annuncio radiofonico), di brand italiani e stranieri, che abbiano
utilizzato in qualsiasi modo, come tema, il mondo delle fiabe.
Ogni paragrafo del terzo capitolo è dedicato a una specifica fiaba, e prende in
considerazione le varie comunicazioni commerciali che hanno adottato quella
determinata fiaba come spunto per la loro campagna. Il quarto e quinto capitolo
riguardano i casi di Mulino Bianco e Lancia Ypsilon, che hanno utilizzato il tema delle
fiabe in modo organico e continuativo, creando più episodi legati tra loro, e meritano
per questo motivo una riflessione a parte.
L’elaborato si conclude con alcune osservazioni realizzate a posteriori, dopo aver
valutato tutto il materiale della presente tesi.
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Figura 3 – Cappuccetto Rosso
ilprisma.org
1. Fiabe e favole
È innanzitutto necessario distinguere la fiaba dalla favola, anche se il confine tra esse è
incerto, tanto che le due parole sono, a volte, usate impropriamente l’una per l’altra.
In entrambi i casi si tratta di brevi narrazioni in prosa o in versi, ma la principale
differenza tra le due dipende dallo scopo per il quale vengono create: la fiaba è stata
ideata per intrattenere, mentre la favola per educare.
Entrambi i tipi di narrazione hanno comunque strutture molto simili, come si può del
resto notare nella comune etimologia latina: fabula, un termine che deriva dal verbo fari
(parlare) e che richiama dunque l'importanza della comunicazione orale in questo
genere espressivo.
La differenziazione tra favola e fiaba può essere considerata come un'evoluzione diversa
del medesimo genere in contesti culturali differenti: la favola è più vicina a tradizioni
classiche e mediterranee; la fiaba risente maggiormente delle influenze folcloristiche
delle civiltà nordiche.
La fiaba è una narrazione di origine popolare, che deriva dalle storie raccontate durante
impieghi comuni e automatici, come ad esempio la filatura. Questi lavori, infatti, non
impiegavano particolarmente la mente, essendo fortemente automatici, e permettevano
quindi di concentrarsi sul ripetere queste novelle con esattezza e attenzione, facendo
diventare quest’arte di raccontare una vera e propria tradizione. Erano per lo più lavori
femminili, ed è anche per questo che la maggior parte dei narratori è femminile; oltre al
fatto che alle donne era attribuito il compito di cura e intrattenimento dei bambini. Le
fiabe erano, alla fine, un piacevole intrattenimento per chiunque, ed erano gradite da
adulti e bambini di entrambi i sessi. Caratteristiche della fiaba sono la brevità del
racconto, uno sviluppo narrativo maggiore (rispetto alla favola), carattere più
dichiaratamente fantastico (caratteristica peculiare della
fiaba e completamente assente nella favola, basata invece
su canoni realistici), il fatto che i protagonisti siano
solitamente esseri umani alle prese con entità
sovrannaturali (streghe, fate, gnomi, orchi) e oggetti dotati
di virtù magiche. La fiaba svolge semplicemente una
funzione di intrattenimento infantile (la morale può essere
assente o sottintesa, e comunque non è centrale ai fini della
narrazione). Note a livello internazionale sono le fiabe dei
fratelli Grimm (Hänsel e Gretel, Cappuccetto Rosso e
Raperonzolo per fare alcuni esempi).
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Tramandate di bocca in bocca attraverso i secoli, destinate ai soli bambini, le fiabe
hanno sempre affascinato l’immaginazione dei piccoli (ma anche degli adulti), molto
più delle favole. La fiaba rappresenta una forma di racconto diffusa in tutto il mondo e
in ogni civiltà.
La favola nasce, invece, con uno scopo completamente diverso: non vuole intrattenere,
come la fiaba, ma educare. Per questo, la favola presenta sempre, al termine del
racconto, una morale, più o meno esplicita. Anch’essa è generalmente molto breve, ma i
suoi protagonisti sono animali (o esseri inanimati), cui si attribuiscono vizi e virtù
umani.
Il più grande esponente delle favole è il greco Esopo (VI secolo a.C.), grazie al quale
furono ampiamente diffuse nel mondo greco e latino, dove furono poi riprese da Fedro
(I secolo d.C.).
In età medievale, quando gli intenti della favola divennero più esplicitamente
moraleggianti, gli esempi più interessanti comparvero nella letteratura francese, dove
troviamo il “Roman de Renart”, satira su vizi e debolezze della società dell'epoca. La
favola ebbe poi la sua massima affermazione nel Seicento, sempre in Francia, alla corte
del Re Sole, dove divenne intrattenimento per l'aristocrazia; questo genere leggero e
piacevole acquistò un ruolo importantissimo nella letteratura di Versailles. Tuttavia in
questa circostanza si persero il ritmo narrativo e la capacità affabulatoria propri del
racconto orale, le situazioni e i personaggi si fecero più complessi, più aderenti al
periodo storico e alle esigenze dei nobili di corte.
Dal momento che il materiale da me raccolto si basa sostanzialmente su fiabe,
accantoniamo l’argomento favola, concentrandoci invece su ciò che ci interessa
maggiormente: la fiaba.
1.1. La fiaba
«Fiaba: racconto di origine popolare; fantasia, irrealtà, fola
2
». Tale definizione mette in
luce due differenti modi d’intendere la fiaba:
come racconto;
come storia irrazionale o incredibile.
Diversi studiosi hanno sottolineato l’esistenza di questo duplice significato.
J. R. R. Tolkien (1892-1973), domandandosi che cos’è la fiaba, ha risposto nel seguente
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Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, 1999