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1. L'identità sociale
1.1 Erving Goffman e il sé come rappresentazione
<<Quando un individuo viene a trovarsi alla presenza di altre persone, queste, in
genere, cercano di avere informazioni sul suo conto o di servirsi di quanto già sanno
di lui. [...] Se non conoscono affatto l'individuo, gli osservatori possono raccogliere
indizi dalla sua condotta e dalla sua apparenza, così da potersi servire di precedenti
esperienze fatte con persone abbastanza simili all'individuo presente, o, cosa più
importante, applicare ad esso stereotipi non controllati in precedenza. Da esperienze
anteriori si può anche desumere che in un certo ambito sociale ci si può aspettare di
trovare solo un determinato tipo di individuo>>
1
.
Per Goffman l'interazione che si stabilisce tra gli individui è significativa, è
studiata, anche se inconsciamente, perché da il via a una serie di reazioni e
conseguenze che difficilmente vengono lasciate completamente al caso. Questa
comunicazione non si limita al solo linguaggio verbale, viene espressa con un
insieme di segni, come le espressioni facciali, le azioni, l'abbigliamento e i connotati
fisici. Il significato di questi segni inoltre varia a seconda di chi lo interpreta, può
essere diverso a seconda del gruppo sociale a cui l'individuo appartiene. Si entra
perciò in possesso, con il tempo, di un bagaglio di significati attribuibili ai segni,
applicabili qualvolta si ripresentassero. In occasione di un'interazione, l'individuo
può attingere a tale bagaglio, e applicarlo nell'interpretazione della persona che gli si
presenta davanti, per avere un modello di comportamento che gli dirà cosa aspettarsi
e, a sua volta, cosa l'altro dovrebbe aspettarsi da lui.
Nelle sue teorie sulle relazioni sociali, Goffman, ricorre volutamente al
linguaggio del teatro per spiegare le dinamiche delle interazioni. Termini come
attore, rappresentazione, o pubblico sono utilizzati in senso metaforico e si prestano
efficacemente alla spiegazione delle dinamiche interpersonali. <<Un personaggio
rappresentato in teatro non è per certi versi reale, né ha lo stesso tipo di conseguenze
reali che può avere il personaggio costruito da un imbroglione; ma il mettere in scena
1
E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna, 1969,
p.11, [ed. originale: The Presentation of Self in Everyday Life, Garden City, N.Y.,
Doubleday, 1959]
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con successo questi due tipi di figure non corrispondenti a realtà implica l'uso di
tecniche reali - quelle stesse che servono alle persone comuni per sostenere la loro
situazione sociale>>
2
.
L'autore divide in due categorie le comunicazioni con cui l'individuo si esprime:
l'espressione "assunta intenzionalmente", e quella "lasciata trasparire". Nel primo
caso rientra il linguaggio, e questo è deciso consapevolmente e deliberatamente, nel
secondo rientrano invece le azioni che egli compie presumibilmente in maniera
spontanea. In entrambi i casi può fornire informazioni che siano veritiere, oppure
condurre l'interlocutore verso le conclusioni che preferisce. Chi riceve tali
comunicazioni potrà a sua volta accettarle come veritiere oppure no. <<A volte
l'individuo agirà in modo del tutto calcolato, [...] Altre volte egli agirà per calcolo,
pur non essendone che relativamente consapevole, [...] Infine, altre volte ancora, le
tradizioni implicite nel ruolo dell'individuo lo porteranno a dare un'impressione ben
precisa, malgrado egli non cerchi, consciamente o inconsciamente, di creare tale
impressione>>
3
.
Chi deve interpretare, potrebbe farlo correttamente rispetto all'intenzione
desiderata dall'attore, termine usato da Goffman per chiamare gli individui che
intraprendono le relazioni sociali, ma anche non comprendere ed arrivare a
conclusioni sbagliate. L'autore poi suddivide in due parti la comunicazione
effettuata: una parte, quella verbale principalmente, che è quella volontaria e
controllabile, e l'altra parte, in cui l'individuo lascia trapelare informazioni
involontariamente. Questa seconda parte è utile all'interlocutore per verificare la
sincerità della prima, mentre, l'artefice, non ne dovrebbe essere consapevole. Può
capitare però che l'attore sfrutti ciò a suo favore, e che manipoli quelle che di solito
sono espressioni involontarie per rafforzare l'idea che vuol dare di se. Aggiunge però
Goffman: <<Qui vorrei anche aggiungere che l'arte di smascherare un individuo che
finge di non fingere, sembra più sviluppata della nostra capacità di fingere>>
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.
Le prime impressioni sono di vitale importanza nell'interazione, infatti
l'individuo nel fornire le informazioni iniziali viene subito vincolato da queste, e
implicitamente si assume il dovere di rispettarle senza contraddirle in seguito. E'
assai più difficile, effettivamente, cambiare un'opinione già formata rispetto al
fornirne una nuova. Nel caso queste opinioni iniziali vengano contraddette
2
Ibidem, p. 291
3
Ibidem, p. 16
4
Ibidem, p. 19
6
erroneamente, possono verificarsi delle situazioni di confusione o imbarazzo.
L'individuo, dunque, ritiene importante salvaguardare questa impressione iniziale, se
era quella desiderata, e potrà intraprendere delle azioni preventive volte a difenderla,
in questo caso l'autore le chiama "tecniche di difesa", nel caso in cui invece ci si
difenda dall'eventuale discredito provocato da altri parla di "tecniche protettive".
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Riguardo alla sincerità o meno dell'interpretazione dell'attore, viene fatta un'altra
distinzione, l'individuo può essere "sincero" o "cinico". L'individuo è sincero quando
è convinto dell'impressione che trasmette al suo interlocutore, mentre è cinico nel
caso l'attore non sia convinto della propria rappresentazione e non abbia interesse per
l'impressione del pubblico. Non è detto che l'individuo sia "cinico" per scopi maligni,
vengono citate, infatti, delle professioni come quella del commesso in cui è
necessario tale atteggiamento. Inoltre può esserci il passaggio da un atteggiamento
all'altro, o una commistione dei due.
6
Un altro termine funzionale alla sua trattazione è quello della "facciata", con
questa intende tutto lo scenario di cui si circonda l'individuo per dare il via alla sua
rappresentazione, deve rimanere costante e definire la situazione per chi osserva.
<<La facciata costituisce quindi l'equipaggiamento espressivo di tipo standardizzato
che l'individuo impiega intenzionalmente o involontariamente durante la propria
rappresentazione>>
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.
La facciata è costituita a sua volta da altre due parti. C'è "l'ambientazione", che
costituisce lo sfondo necessario per l'interpretazione, in cui Goffman include arredi,
ornamenti ed equipaggiamento fisico. L'altra è la "facciata personale", intesa come il
restante dell'equipaggiamento fisico, che identifica strettamente l'attore e lo segue
ovunque. Qua include: i distintivi di carica e rango, il vestiario, il sesso, l'età e le
caratteristiche razziali, taglia e aspetto, portamento, modo di parlare, espressioni del
viso e così via. Alcuni, come il sesso, sono fissi, altri, come le espressioni facciali,
variano rapidamente.
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A seconda degli stimoli che formano la facciata personale, e delle informazioni
che trasmettono, aggiunge poi la distinzione tra "apparenza" e "maniera". La prima
<<può indicare quegli stimoli che suggeriscono gli status dell'attore o che ci
informano della condizione rituale temporaneamente vissuta dall'individuo, e cioè ci
5
Ibidem, p. 24
6
Ibidem, pp. 29-31
7
Ibidem, p. 33
8
Ibidem, pp. 35-36
7
dicono se egli è impegnato in un'attività sociale ufficiale, in un lavoro o in una
semplice attività ricreativa>>. La seconda <<indica invece quegli stimoli la cui
funzione in un dato momento è quella di avvisarci del ruolo interattivo che l'attore
pensa di svolgere nella situazione che sta per verificarsi>>.
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Questi aspetti
dovrebbero essere in sintonia e non contraddirsi tra di loro, e altrettanta coerenza
dovrebbe esistere tra apparenza, maniera e ambientazione, nel caso la coerenza
manchi, si verrebbero a creare dei casi particolari. La mancanza di coerenza,
nell'esempio di Goffman, può essere un importante agente immobiliare che possiede
una casa piccola e un ufficio modesto. In questo caso si avverte subito una certa
discordanza.
Una facciata, pur essendo caratteristica di un individuo e della parte che egli
rappresenta, può caratterizzare anche altre parti abbastanza diverse. Come
nell'esempio citato da Goffman: a Londra un tempo spazzacamini e venditori di
profumi venivano accostati nelle loro caratteristiche, ossia, modo di fare
standardizzato, igienico e confidenziale, per via del camice bianco comune a
entrambi.
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Oltre a essere utilizzata in varie parti, la facciata può essere istituzionalizzata e
prescindere dai compiti svolti dalla persona che in quel momento ne fa uso, diventare
una realtà a se stante, come i gradi nelle organizzazioni militari. Un attore,
nell'intraprendere un nuovo ruolo, potrebbe accorgersi che per la sua nuova mansione
esiste già una facciata precostituita. Quando invece l'attore è tenuto a sceglierne una
tra le varie possibili e diverse tra loro, può capitare che si trovi in una situazione di
confusione e incertezza. Citando un esempio di Goffman: <<la gente spesso
puntualizzava la visita di un amico offrendo un bicchiere di liquore [...] o anche una
semplice tazza di tè. Più elevata era la posizione del visitatore o il rango
temporaneamente assegnatoli dal cerimoniale, e più era probabile che fosse offerto il
liquore. [...] Forse una difficoltà ancor più comune era rappresentata dal fatto che
certi visitatori, dato il loro status permanente e quello temporaneo assunto nella data
occasione, occupavano un rango superiore a quello consono a una data bevanda, ma
non erano all'altezza di quella immediatamente successiva nella graduatoria
11
>>.
In presenza di terzi, un individuo che ricopre un certo ruolo, può dover utilizzare
dei segni che dimostrino che egli effettivamente lo stia svolgendo. Nel caso di certi
9
Ibidem, p. 36
10
Ibidem, p. 38
11
Ibidem, p. 41