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INTRODUZIONE
“Ascoltate, imparate da me!
Io non sono stato il migliore perché uccidevo velocemente,
ero il migliore perché la folla mi amava.
Conquista la folla e conquisterai la tua libertà.”
Da “Il gladiatore”
Dreamworks 2000
Uno studio della Leeds University ha dimostrato che tendiamo a comportarci come pecore.
I risultati dell’analisi, condotta dal professor Jens Krause, docente della cattedra di ecologia
comportamentale, hanno mostrato come siano sufficienti il 5% di individui “informati” a
influenzare il modo di agire di una folla di 200 persone, una folla che si lascia guidare e che nella
maggior parte dei casi non è consapevole di seguire direttive altrui
1
.
Come possiamo desumere da questo semplice esempio, la massa è un’entità dai contorni sfocati, in
grado di esercitare un potere indefinibile: può infatti comportarsi come il più docile degli agnelli o
sollevarsi nella protesta più cruenta.
Di questo si sono accorti sociologi e pensatori che hanno tentato di individuare le ragioni che
spingono la massa a pensare e comportarsi come una sola mente.
Le singole identità vengono offuscate e la folla non costituisce mai solo la somma dei suoi
componenti, nessuno agisce più completamente seguendo il proprio raziocinio, ma si lascia
travolgere da un senso di appartenenza tanto forte da spingere a atti inimmaginabili per l’individuo
singolo che possono rivelarsi negativi o estremamente positivi.
Questa premessa si rende necessaria alla comprensione dei processi di crowdsourcing che
funzionano proprio facendo leva sul know-how complessivo della folla.
1
L’indagine, di cui hanno parlato il Daily Telegraph e successivamente il Corriere della sera nel 2008, è stata
pubblicata per la prima volta sulla rivista scientifica Animal Behaviour.
Krause. J. Letters to nature. Effective leadership and decision making in animal groups on the move, Nature, 2005.
3
L’etnologo e psicologo Gustave Le Bon nel 1895 pubblicava un saggio dal titolo La psicologia
delle folle
2
, oggi un trattato fondamentale della psicologia-sociale. Un’opera che adoperava il
concetto di folla come si diffuse verso la fine dell’ottocento: “grande quantità indistinta di persone
che agisce in maniera uniforme”.
Un testo di questa rilevanza si è imposto con successo sul panorama scientifico e ha perfino
cambiato il modo di concepire il potere: basti pensare che l’avremmo trovato sul comodino di molti
dittatori, non ultimo Benito Mussolini, che ammise di aver letto l’intera opera di Le Bon e di tornare
spesso proprio su “La psicologia delle folle”. L’influenza di tale studio fu chiara in molti suoi
discorsi pubblici ed evidente in svariate dichiarazioni, tra le quali: “Il popolo non fu mai definito. È
un’entità meramente astratta, come entità politica. Non si sa dove cominci esattamente né dove
finisca” [Mussolini, Preludio al Macchiavelli, in Gerarchia dell’aprile 1924. S. e D., volume IV,
pag 109].
Ma abbandoniamo questa parentesi politica per ricordare che nel 1921 anche Sigmund Freud disse
la sua con il trattato Psicologia delle masse e l’analisi dell’io
3
; egli si occupò in genere non solo di
folle spontanee, ma anche artificiali. Senza dubbio gli autori erano concordi nel sostenere che tra le
braccia della folla sono ottenebrate le capacità critiche e ciò porta a finire soggiogati a opinioni o
giudizi altrui, assumendoli come propri. Insomma, un fenomeno che non possiamo certo definire
innocuo o non degno d’interesse.
Non dimentichiamo il contributo di Marshall McLuhan, l’ideatore di una buona fetta di
terminologia della comunicazione moderna. Ne Gli strumenti del comunicare
4
dedica alcuni cenni
al profilo della folla ricordandone l’importanza e trattando gli ormai celebri concetti di
“comunicazione di massa” e “Villaggio globale”.
Da tutto ciò cosa possiamo desumere? Che la folla è un’entità molto potente e che questo potere
può essere pericoloso, ma anche molto, molto utile.
Si sono dunque succeduti negli anni studi che si sono impegnati a identificare la maniera più
opportuna per imbrigliare questo potere e adoperarlo per fini specifici.
2
Le Bon, G. La psicologia delle folle, Tea, 1895.
Gustave Le Bon (1841-1931) è stato un noto antropologo, psicologo e sociologo. Nonostante il testo più conosciuto sia
La psicologia delle folle la sua produzione saggistica si è estesa sull’argomento con la pubblicazione di testi quali:
Psicologia dei popoli, Edizioni M & B Publishing, 1997; Psicologia delle rivoluzioni, Edizioni M & B Publishing,
2000; Psicologia della educazione, Edizioni M & B Publishing, 1996.
3
Freud S. Psicologia delle masse e analisi dell’io, Bollati Boringhieri, Torino 1921.
4
McLuhan M. Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 2008. Il testo è stato pubblicato per la prima volta
nel 1964 per Gingko press.
4
Ciò che fino a oggi è mancato è la consapevolezza del valore positivo che da una molteplicità di
individui può derivare, un principio che vede la sua applicazione sempre più frequente e diffusa.
Perché cominciare definendo la folla?
Semplice, perché senza di essa il crowdsourcing non potrebbe esistere e, nel caso specifico di
questo scritto, cominciare dalle basi è forse la migliore strategia per fornire un’analisi completa.
Purtroppo il crowdsourcing è ancora un concetto di nicchia, poco noto e poco applicato in Italia
nonostante la sua crescita si attesti attorno al 100% annuo e coinvolga oltre sei milioni di lavoratori
nel mondo
5
; molti di noi non ne conoscono nemmeno l’esistenza e molti altri, se anche hanno
sentito questa espressione, non sarebbero in grado di definire il fenomeno.
Obiettivo di questo lavoro è dunque innanzitutto analizzare il crowdsourcing, capire come e perché
funziona e soprattutto come applicarlo. In secondo luogo intendo cercare di mostrare come
un’azienda possa usufruire della folla e delle sue dinamiche per migliorarsi e, se vogliamo, per
adattarsi al proprio pubblico e al proprio target.
Con l’aiuto di esempi e di dati vorrei arrivare a dimostrare che la strategia del crowdsourcing è
vincente. Se attuata nelle modalità corrette, con il giusto livello di pressione e partecipazione e il
giusto stimolo, può rivelarsi utile non solo per la profittabilità dell’azienda, ma anche per la
fidelizzazione e per la creazione di un’immagine, una brand identity costruita passo passo,
condivisa e resistente nel tempo.
Google, come sempre, ci ha preceduti in questa intuizione e è diventato una potenza della rete
proprio grazie al crowdsourcing
6
.
Perché tendiamo a preferirlo rispetto ad altri motori di ricerca? Perché ci restituisce il contenuto di
nostro interesse nel minor tempo, ma vi siete mai chiesti come vi riesca?
Google utilizza la saggezza della folla. L’algoritmo base del suo sistema è infatti Page Rank; i
creatori di Google lo descrivono in questo modo:
PageRank sfrutta il carattere democratico del Web usando la sua ampia struttura di collegamenti
come strumento organizzativo. In sostanza, Google interpreta un link tra la pagina A e la pagina B
come un voto espresso dalla pagina A per la pagina B. Il motore di ricerca, quindi, valuta
5
www.blog.ilsole24ore.com
6
Google si è basato fin dalle origini su di un sistema gestionale aperto basato sulla premiazione del valore, ciò è facile
da notare perfino nell’organizzazione del personale e nelle disposizioni applicate a garantire la tutela della creatività
come ad esempio l’assenza di postazioni fisse, la composizione dinamica dei team di lavoro. In particolare Page Rank, è
un sistema di “Rank” creato Larry Page, uno dei fondatori di Google. Il valore di Page Rank di una pagina contribuisce
a determinare la posizione della pagina stessa nell’elenco dei contenuti segnalati dal motore di ricerca. Il valore è
attribuito secondo la percezione della popolarità e dell’autorevolezza della pagina sul web.
5
l’importanza di una pagina in base ai voti che riceve. Ma non si limita a tenere conto del numero di
voti, o link: analizza anche la pagina che esprime il voto. I voti espressi da pagine importanti
pesano di più e contribuiscono a rendere importanti altre pagine
7
.
PageRank assegna quindi un peso numerico a ogni elemento di un collegamento ipertestuale d’un
insieme di documenti, ad esempio il World Wide Web, e lo scopo è di quantificare l’importanza
relativa di un singolo elemento all’interno della serie. Dunque, negli 0,12 secondi nei quali Google
sta elaborando la nostra ricerca, non sta facendo altro che domandare all’intero Web cosa ne pensa
delle pagine che contengono la mia parola chiave e chiede di selezionare quelle contenenti le
informazioni più utili. Così la pagina più rilevante finisce in cima alla lista dei nostri risultati grazie
a ciò che l’intera comunità online pensa a riguardo.
Comincio, dunque, questa analisi da quella che ne è la conclusione: la scelta di interpellare la folla è
una scelta vincente.
7
www.wikipedia.com e Fondazione Ippolita, The dark side of Google. A.k.a luci e ombre di Google 2007. Reperibile
all’indirizzo: http://www.ippolita.net/sites/default/files/luci_e_ombre_di_google_it.pdf [ultima visita: 27.06.2012].
6
Capitolo 1
LA FOLLA
A parole sembra tutto molto semplice, ma quando si tratta di passare alla pratica l’idea di affidarci
al giudizio collettivo ci rende dubbiosi e reticenti. Lo stesso Surowiecki
8
, giornalista e scrittore
statunitense, autore del libro “La saggezza della folla
9
” che spiega i principi sui quali si basa il
crowdsourcing, sostiene più volte come, nonostante i risultati chiaramente positivi, si sentisse
incerto sul risultato ogni volta che sosteneva uno dei suoi test sul crowdsourcing. Effettivamente si
rivolgeva a un gruppo di persone molto diverse tra loro e non è nella nostra natura fidarci, poiché il
risultato ci parrà un evento casuale; abbiamo infatti alle spalle secoli di storia in cui era la voce
dell’esperto a contare, una fantomatica figura con particolari conoscenze in un dato ambito.
Tutto ciò va abbandonato, non è la logica tradizionale che qui predomina, ma la logica della folla.
Tutto questo per avvertirvi che il nervosismo e lo scetticismo che inevitabilmente vi investirà prima
di avviare una piattaforma, un progetto, un’idea di crowdsourcing è più che normale, ma non è in
alcun modo una previsione effettiva di ciò che accadrà in concreto.
Dedico questo intero capitolo alla comprensione più profonda delle dinamiche della folla e di
conseguenza a due personaggi che si sono occupati con successo di questi fenomeni: Gustave Le
Bon e il sopra citato James Surowiecki.
Le opere di questi due autori hanno segnato traguardi fondamentali nella storia per la nascita del
crowdsurcing; li propongo per contrasto, le loro conclusioni sono infatti opposte, ma ricordo anche
che si tratta di analisi consecutive.
La distanza temporale di elaborazione degli scritti è considerevole e va tenuta presente la profonda
lontananza non solo fisica tra le epoche delle due opere.
8
James Surowiecki, giornalista per il The New Yorker, si occupa in particolare di business e finanza. Ha scritto per altre
celebri testate quali The New York Times, Wall Street Journal, The Motley Fool, Foreign Affairs, Artforum, Wired,
State. È autore del trattato “La saggezza della folla” sull’intelligenza collettiva.
9
Surowiecki J. La saggezza della folla, [The wisdom of crowds: why the many are smarter than the few and how
collective wisdom shapes business economies societies and nations], Fusi Orari, Roma 2004.
7
1.1 Le Bon e La Psicologia delle Folle [1895]
“Le folle sono un po’ come la sfinge dell’antica favola;
bisogna saper risolvere i problemi che ci pone la loro psicologia,
o rassegnarsi a essere divorati da essa”.
Gustave Le Bon
Abbiamo già accennato agli studi di Le Bon, ma è doveroso andare un pochino più in profondità.
Egli ha infatti dedicato interi saggi all’individuazione e spiegazione del comportamento delle masse
dandoci una serie di suggerimenti che possiamo trasporre con profitto anche in ambito aziendale.
Prima di Le Bon sono stati rari gli autori che hanno scelto di occuparsi dello studio psicologico
della folla, e quei pochi che vi si sono dedicati si sono limitati a un solo aspetto, nella maggior parte
dei casi quello criminale; un esempio piuttosto rilevante si ha nell’opuscolo del 1891 di Sighele: La
folla delinquente
10
. Queste tipologie di folla esistono, ma non costituiscono che un caso particolare,
una distorsione dei meccanismi psicologici di base.
La folla di Le Bon è tanto potente da influenzare i grandi cambiamenti storici o da costituirne
addirittura il motore, si tratta di una forza tanto travolgente da sembrare capace di assorbire le altre.
Nel 1895 un lungimirante Le Bon sostiene “l’epoca in cui entriamo, sarà veramente l’Era delle
Folle”, per questo ritiene necessario conoscerne tipologie e comportamento, se non per dominarle,
almeno per non essere governati da esse.
Ma di cosa stiamo parlando in concreto? Di semplici riunioni di individui che vedono svanire la
personalità cosciente e che portano tutte le idee e i sentimenti a orientarsi verso una stessa meta,
volontà e propositi si condensano indirizzandosi verso un unico obiettivo.
Le folle possono essere suddivise in omogenee e eterogenee: le prime sono tendenzialmente
organizzate, hanno caratteristiche preponderanti comuni; mentre le seconde si compongono di
individui qualsiasi, anche molto differenti tra loro.
In entrambi i casi il cuore della folla è l’anima collettiva, temporanea e passeggera, ma non per
questo meno reale, seppur diversa da quella dei singoli individui che la compongono. Si tratta di un
substrato inconscio comune che porta a pensare e ad agire ben diversamente da come si penserebbe
e agirebbe presi singolarmente. Si assiste ad una sorta di cancellazione dell’individualità.
Ma quali sono i fattori che concorrono allo sviluppo e alla nascita di questi caratteri?
10
Sighele S. La folla delinquente, Fratelli Bocca, Roma 1985. Scipio Sighele è autore di altri testi sull’argomenti quali
L’intelligenza della folla, Le società criminali, La delinquenza settaria.
8
Le Bon ne identifica tre: il senso di potere e assenza di responsabilità, che spinge a cedere agli
istinti più primordiali; il contagio mentale, che porta alla rapida diffusione e condivisione di un
pensiero e la suggestionabilità. I concetti vengono percepiti per immagini, spesso prive di legame
logico, ma che colpiscono e attraggono.
In sostanza l’individuo nella folla assume la spontaneità di un bambino o di un essere primitivo, ma
ne riproduce anche la violenza e la ferocia; spesso è caratterizzato da una moralità elevatissima ma
irresponsabile e sconsiderata.
Per la massa non esistono dubbio e incertezza, si risponde agli impulsi senza ragionamento e
costanza; ciò è causa della mutevolezza che la caratterizza e che rende tanto difficile imbrigliarne il
potere e governarla.
La scintilla che genera tutto ciò è un’idea: un’idea fondamentale, la tipologia più stabile e
pericolosa o un’idea accidentale, passeggera, che può in pochi attimi essere sostituita da un’altra;
questo rende il tutto ancora più precario.
Le Bon cerca l’origine delle idee e delle credenze rilevandola in alcuni fattori specifici. I fattori
lontani, la base, sono la razza, la tradizione, il tempo, le istituzioni politico/sociali e l’istruzione
mentre i fattori immediati, che causano la persuasione attiva, sono: immagini o formule, illusioni,
esperienza e ragione.
La conclusione? I sentimenti manifestati dalla massa saranno estremi, esagerati, e al contempo
molto semplici, privi di spiegazioni logiche. Colui che voglia, dunque, soggiogarla dovrà
impressionarla con espressioni altrettanto eccessive e violente, userà argomentazioni lineari e
familiari, ma mai ragionamenti complessi e soprattutto, eviterà qualsiasi contraddizione che
provocherebbe il risentimento e il rifiuto da parte degli individui.
Per governare la folla, o per lo meno per indirizzarne l’operato, è necessario un leader che incarni
determinate qualità. Le Bon descrive il condottiero come un eroe, un Cesare, una persona dotata di
forte autorità e in grado di imporla. I grandi leader a suo parere sono uomini d’azione, che
esercitano un dominio dispotico, ma che rimangono nel tempo, hanno una volontà durevole e
esercitano influenza in maniera sottile.
Come può dunque il leader muovere la folla? Con la suggestione, operando su di essa attraverso la
ripetizione continua di affermazioni basilari che incarnano un’idea, così che essa vada a radicarsi
negli animi e che gli individui finiscano per credervi. Mai proporre argomentazioni, ma
affermazioni pure e semplici, senza dimostrazioni e svincolate da ragionamenti. Solo in questo
modo si attiva il contagio e l’idea si propaga.
9
L’uomo tende all’imitazione, tende ad omologarsi alla società nella quale è inserito, ed ecco dunque
spiegato com’è facile estendere un’opinione o un modo di sentire ad una moltitudine.
Un’ultima dote imprescindibile del leader è il carisma, o meglio, “il prestigio”, come Le Bon lo
definisce. Si tratta di una forma di fascino che un soggetto, un’opera o un’idea possono esercitare
sul nostro spirito, un’influenza misteriosa di cui le idee sono capaci di vestirsi, come assumendola
da colui che le diffonde. Questa secondo Le Bon è la chiave del successo di un leader.
Sarà proprio quello della leadership uno dei concetti sfatati da Surowiecki: a suo parere non è
necessario dominare la folla, ma è sufficiente che essa venga coinvolta e che sia stimolata ad
esprimersi.
1.2 Surowiecki e The Wisdom of Crowds [2004]
“In part because individual judgement is not accurate enough or consistent enough,
cognitive diversity is essential in good decision making.
James Surowiecki
Le Bon identifica la folla come un essere provvisorio che risponde a un’anima collettiva e che
associa le qualità mediocri dei singoli: “La folla è sempre intellettualmente inferiore all’uomo
isolato”. Ciò che ne risulta è dunque un cumolo di mediocrità, non d’intelligenza.
Surowiecki struttura, invece, il proprio lavoro a cominciare dall’ipotesi opposta: la conoscenza della
folla è enorme e ben superiore a quella del singolo. Rende palese questa distanza citando proprio Le
Bon nelle prime pagine e ricordando il disprezzo che quest’ultimo riservava alla massa ritenendola
un organismo con volontà propria inferiore alle singole personalità componenti, assolutamente non
in grado di produrre risultati intelligenti.
Ne La psicologia delle Folle Surowiecki esprime con esempi il principio opposto.
Nel maggio del 1968, il sottomarino statunitense Scorpion sparì mentre rientrava a
Newport News dopo un giro di ispezione nell’Atlantico settentrionale.
La Marina, che sapeva dove si trovava o Scorpion l’ultima volta che lo aveva contattato
via radio, non capiva cosa potesse essergli successo, e aveva solo una vaga idea della
distanza che doveva aver coperto da quel contatto. Di conseguenza, la zona in cui
10
cominciò a cercarlo copriva un cerchio di una trentina di chilometri di diametro e
scendeva fino a qualche migliaio di metri di profondità. Era un’impresa disperata.
L’unica soluzione possibile, in teoria, era trovare tre o quattro esperti di sottomarini e
di correnti oceaniche, chiedergli dove potesse trovarsi lo Scorpion e andarlo a cercare
lì. Ma, come raccontano Sherry Sontag e Christoper Drew nel loro libro “Blind Man’s
Bluff”, un ufficiale della Marina di nome John Craven propose un piano diverso.
Come prima cosa, Craven formulò una serie di ipotesi su quello che poteva essere
successo allo Scorpion. Poi riunì una squadra di uomini con una vasta gamma di
competenze tra cui matematici, specialisti di sottomarini e addetti alle operazioni di
recupero. Invece di invitarli a consultarsi per trovare una soluzione, chiese a ciascuno
di loro quanto fossero probabili le varie ipotesi. Per rendere il tutto più stimolante,
avrebbero dovuto formulare le loro risposte sotto forma di scommesse. In palio c’erano
delle bottiglie di Chivas Regal. E così gli uomini di Craven scommisero sul motivo per
cui lo Scorpion si era trovato in difficoltà, sulla sua velocità, sulla profondità a cui era
sceso e così via.
Inutile dire che nessuna di queste informazioni poteva rivelare dove fosse lo Scorpion
ma Craven era convinto che, mettendole tutte insieme, sarebbe riuscito a costruire un
quadro delle condizioni in cui il sommergibile era affondato e a farsi un’idea di dove si
trovava. Ed è esattamente quello che fece. Prese tutte le risposte e, per stabilire l’ultima
posizione dello Scorpion, usò una formula chiamata teorema di Bayes. Questo teorema
permette di calcolare in che modo una nuova informazione su un evento modifica le
precedenti aspettative sulle probabilità che quell’evento si verificasse. Alla fine, Craven
disponeva di quella che si potrebbe definire la stima collettiva del gruppo sulla
posizione del sottomarino.
Il punto che Craven individuò non era stato scelto da nessuno dei membri del gruppo.
In altre parole, nessuno aveva in mente un quadro che corrispondeva a quello costruito
da Craven usando le informazioni raccolte da tutti. L’ipotesi finale non rappresentava
il giudizio individuale dei suoi membri più intelligenti: era veramente il giudizio
collettivo espresso dall’insieme. Ed era un giudizio estremamente brillante. Cinque
mesi dopo la sua scomparsa, una nave della Marina trovò lo Scorpion. Era a 200 metri
dal punto individuato dal gruppo di Craven.
L’aspetto più sorprendente di questa storia è che i dati concreti sui quali si era basato
il gruppo erano praticamente inesistenti. I suoi membri avevano pochissime
informazioni. Nessuno sapeva perché il sottomarino fosse affondato, nessuno aveva
11
idea della velocità a cui stesse viaggiando o con quale pendenza fosse precipitato verso
il fondo dell’oceano. Eppure, anche se nessuno nel gruppo sapeva queste cose, il
gruppo nel suo insieme le sapeva tutte
11
.
Il questo modo Surowiecki propone un evento realmente accaduto che descrive la soluzione di un
caso complesso grazie alla collaborazione della folla.
Egli suddivide i problemi in tre grandi categorie: i problemi cognitivi, che richiedono soluzioni
precise e inequivocabili; i problemi di coordinamento, per cui i membri di un gruppo devono
trovare la coordinazione necessaria tra le loro azioni, consapevoli della presenza e delle attività
degli altri e i problemi di collaborazione, che nascono dalla difficoltà di convincere gruppi di
persone a lavorare insieme soprattutto quando egoisticamente non risulterebbe vantaggioso. Ognuna
di queste tipologie trova una sua analisi nell’opera di Surowiecki che si sofferma approfonditamente
e con dovizia di esempi su ognuno di essi.
In particolare per quanto riguarda il crowdsourcing ci interessano gli aspetti di coordinamento e
collaborazione.
Coordinamento
Com’è possibile coordinare il comportamento di una folla di individui senza che essi possano
accordarsi preventivamente? Volendo ragionare razionalmente non è possibile, anzi, il mancato
coordinamento crea il traffico, gli ingorghi e vari altri disagi.
Eppure la conclusione logica che normalmente trarremmo non trova poi così riscontro nella realtà,
infatti senza saperlo, siamo piuttosto bravi a organizzarci autonomamente.
Il sociologo Thomas Schelling svolse una serie di esperimenti negli anni cinquanta nel Connecticut
e arrivò a spiegare l’esistenza di “punti focali” su cui le aspettative delle persone convergono con
alta probabilità. In questo modo dimostra che le persone sono in grado di raggiungere una
situazione di beneficio collettivo non solo in assenza di una leadership o una guida dall’alto, ma
anche senza comunicare tra loro.
Spesso riusciamo ad accordare le nostre intenzioni con quelle degli altri proprio perché sappiamo
che stiamo cercando di fare la stessa cosa, di svolgere lo stesso compito o di raggiungere lo stesso
obiettivo.
11
Surowiecki, J. La saggezza della folla, Roma, Fusi Orari, 2004, pag 19-21.