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INTRODUZIONE
L’obiettivo dell’educatore è rendersi inutile. Questa affermazione può sembrare strana se
non addirittura errata, considerata la difficoltà che hanno oggi molti genitori nel lasciar
andare il bambino da solo fuori di casa o nell’incoraggiarlo a diventare autonomo. Eppure
l’educazione dovrebbe essere finalizzata proprio a questo, a fare in modo che la persona,
man mano che cresce, diventi responsabile di se stessa e delle proprie azioni, prendendosi
cura di sé e della sua eventuale futura famiglia. Per poter riuscire in questo compito è
importante che i genitori, gli insegnanti, gli psicologi e gli educatori in genere, siano
sufficientemente convinti che in educazione il dare regole e limiti favorisca la vita stessa, e
che permettere ad un bambino di affrontare delle frustrazioni ai propri desideri
(ovviamente adeguati alla fase evolutiva) gli consenta di sviluppare la grande capacità
della resilienza per affrontare il mondo, che richiede continuo impegno personale e abilità
nell’affrontare, sopportare e superare lo stress quotidiano.
L’obiettivo principale di questa tesi è individuare ed evidenziare il senso e l’utilità del dare
regole e limiti per aiutare il bambino a raggiungere i compiti di sviluppo necessari per la
sua età, grazie ai quali può seguire uno sviluppo regolare verso sempre più una maggior
autonomia. In particolare è stata considerata la fascia d’età dalla nascita ai sei anni,
suddivisa in: fase neonatale, età dei capricci (2-3 anni) e fase della prima socializzazione e
dei giochi (4-6 anni) perché ritenuta molto significativa per lo sviluppo della personalità.
Inoltre si cerca di dimostrare come alcuni stili educativi, per esempio l’autoritarismo o il
lassismo, possano provocare dei danni nello sviluppo dell’identità del bambino, della sua
autostima, che di conseguenza incidono sulla capacità di essere autonomo. La tesi,
pertanto, è strutturata in queste tre parti che rispecchiano il percorso logico che è stato
seguito nel lavoro di ricerca ed elaborazione del materiale. Nel primo capitolo è
inizialmente definito il significato di “stile genitoriale”, con l’esposizione di una
schematizzazione ripresa dall’approccio adleriano e da quella che fa riferimento all’Analisi
Transazionale; nel secondo paragrafo sono esposti i motivi per cui le regole sono così
importanti, con l’analisi dei due poli che caratterizzano i legami familiari secondo Paolo
6
Gambini. Infine sono descritti gli effetti sulla crescita e lo sviluppo in generale. Il secondo
capitolo è diviso in tre parti, corrispondenti a tre momenti diversi dello sviluppo: la fase
che va dalla nascita ai due anni di vita, caratterizzata dal passaggio da uno stato di fusione
con la madre alla percezione di sé come un corpo autonomo, grazie anche allo
svezzamento, alla deambulazione e alla regolazione del ritmo sonno – veglia; la fase dai
due ai tre anni, chiamata anche età dei capricci, per l’opposizione naturale alle richieste e
alle ingiunzioni genitoriali, per cui è spiegata la loro importanza e come si deve
comportare il genitore. Infine, la fase dai quattro ai sei anni, l’età dell’autonomia e delle
prime socializzazioni, grazie al nuovo interesse del bambino per il gioco sociale, grazie al
quale impara l’importanza delle regole e ha la possibilità di capire che senza di esse non ci
sarebbe limite all’egoismo di ognuno e non si potrebbe vivere in modo adeguato nella
società a cui si appartiene. Nel terzo capitolo è approfondito il tema dell’allineamento
genitoriale, cioè la coerenza di stile fra i due genitori, non intesa come uguaglianza di
rapporto con il figlio ma come accordo e collaborazione sui valori da trasmettere e sui
metodi con cui farlo. In questa parte è recuperata la funzione preventiva delle regole in
relazione ai bisogni evolutivi del bambino e agli atteggiamenti educativi più favorevoli,
con un breve excursus sui bambini viziati e su quelli che presentano comportamenti
oppositivi, in risposta a differenti stili educativi estremi. Infine nell’ultimo paragrafo
vengono illustrate le possibili azioni che un genitore può mettere in atto, in caso di non
rispetto delle regole.
Per raccogliere il materiale cui viene fatto riferimento nella trattazione, è stata utilizzata la
ricerca bibliografica, con un metodo compilativo e di consultazione di testi, riviste, siti
internet, forum di psicologi e genitori, grazie ai quali è stato possibile tracciare un percorso
unitario, sulla base anche delle ricerche svolte in ambito educativo negli ultimi anni.
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CAPITOLO 1
L’EDUCAZIONE TRA REGOLE E PERMESSI
1.1. Stili educativi genitoriali
Con il termine “stile educativo genitoriale” s’intende l’insieme delle opinioni e dei
comportamenti che guidano un genitore nel far fronte al suo compito educativo. Secondo
Herbert Franta, docente di psicologia, lo stile educativo è caratterizzato da due dimensioni:
il controllo e il supporto emotivo
1
. Il primo riguarda gli interventi dei genitori sui figli, per
prepararli a vivere nella società con maturità e responsabilità. Questi interventi di
regolazione sono resi necessari dal fatto che inevitabilmente l’educando si trova in una
condizione di inferiorità, poiché non possiede ancora le competenze adatte per vivere in
autonomia, ecco anche perché il rapporto educativo è di tipo asimmetrico e gerarchico
2
.
Questo principio di asimmetria, oggi sembra essere messa in discussione dal
comportamento di molti genitori, che si approcciano al bambino come un loro pari,
permettendogli di avere voce nelle decisioni quotidiane che sarebbero di competenza del
genitore e di negoziare le regole, convinti che per un corretto e felice sviluppo non
debbano essere messe imposizioni e che sia giusto che il bambino compia scelte autonome,
che sente adeguate a lui
3
. Il bambino però in questo modo rischia di crescere con un senso
di ansia e di smarrimento sottostanti, poiché avverte un peso e una responsabilità più
grandi di lui, dal momento che non ha ancora imparato da nessuno cosa è giusto e cosa non
lo è, mentre gli adulti si aspettano che lui lo sappia già. La dimensione del supporto
emotivo invece, si differenzia per l’attenzione che viene posta all’aspetto socio-affettivo e
dunque ai bisogni emotivi più profondi dei figli e al loro soddisfacimento, implica
1
Cfr. Herbert FRANTA, Atteggiamenti dell’educatore, Roma, Las, 1988.
2
Ibidem, 48.
3
Cfr. Jean ILLSLEY CLARKE – Connie DAWSON – David BREDEHOFT, Digli di no, fallo per lui!
Perché regole e divieti sono necessari ai nostri figli, Milano, Mondadori, 2008.
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vicinanza emotiva e calore, con azioni finalizzate a favorire l’individualità,
l’autoregolazione e l’affermazione di sé del figlio
4
. Una variabile che maggiormente incide
sulla crescita psicoaffettiva è la stima del genitore nei confronti del figlio, per cui egli si
sente considerato come una persona di valore e questo gli permette di sviluppare
l’autostima necessaria per affrontare la vita sociale e scolastica futura.
Seguendo l’approccio adleriano, Cerioli, psicologo e psicanalista collaboratore presso
l’Università Cattolica di Milano, distingue tre fondamentali stili educativi, ai quali oggi si
fa largamente riferimento in ambito psicopedagogico
5
:
Permissivo o laissez-faire: caratterizzato da scarsità o assenza di regole e limiti. I
genitori non danno direzionalità al loro intervento e ritengono sia prioritario offrire
ai propri figli un’esistenza il più possibile felice e serena, evitando qualunque tipo
di esperienza frustrante, deludente o che provochi infelicità. Questi genitori
ricoprono il bambino di regali, giustificano ogni sua azione, anche quando è rivolta
contro di loro, impedendogli così di assumersi responsabilità. Il bambino crederà
che il mondo debba accondiscendere sempre immediatamente ai suoi bisogni, non
svilupperà capacità cooperative poiché sarà sempre centrato solo su se stesso e su
quello che desidera, e vedrà soprattutto gli adulti come coloro che sono chiamati a
considerare ogni sua richiesta.
Autoritario: caratterizzato da alto controllo e basso supporto emotivo, si da
importanza all’ubbidienza, al rispetto delle regole, non si scende a compromessi e
non si spiegano le regole, ricorrendo anche a metodi coercitivi. I genitori sono
rigidi e intransigenti sulla maggior parte delle richieste del figlio, perché sono
convinti che la durezza e le privazioni forgino un carattere forte e ben educato, così
pensano di dover decidere loro per la vita dei figli anche negli ambiti in cui il figlio
ha diritto a decidere da sé (come le amicizie, lo sport, gli hobby ecc.), ritenendo di
sapere loro meglio di chiunque altro quale sia la vita migliore per lui. In questo
modo però più che un rapporto educativo, si crea una gerarchia del tipo “capo-
4
FRANTA, Atteggiamenti dell’educatore, 76.
5
Luciano CERIOLI (a cura di), Funzione educativa e competenze relazionali. Genitori, figli, insegnanti.
Milano, FrancoAngeli, 2002, 82-83.
9
seguace”, nella quale il genitore capo impone le sue leggi senza dare la possibilità
di discuterle e, spesso, senza motivarle, richiedendo obbedienza e accordo assoluto,
lasciando poco spazio alla sperimentazione personale, dal momento che
supervisiona continuamente il comportamento e le scelte del bambino, al quale non
è data la possibilità di imparare dai propri errori. Molti figli di questi genitori
finiscono con il credere che il genitore abbia davvero ragione e che loro non ce la
potrebbero fare nella vita senza le sue leggi e imposizioni; altri invece sviluppano
un atteggiamento ribelle, diventando insofferenti a qualunque tipo di imposizione
nella vita, anche quando gli sarà data per il suo bene.
Autorevole o democratico: la relazione con i figli è fondata sulla fiducia,
uguaglianza e rispetto reciproco, il bambino è considerato una persona di valore
indipendentemente dal suo rispetto delle aspettative dei genitori o dagli errori che
compie. L’interesse dei genitori non è soltanto rivolto a come il bambino si
comporterà dopo l’intervento educativo e a quanto li rispetterà, ma anche al
processo educativo, ovvero alle reazioni del bambino, alle sue emozioni, all’effetto
sulla sua psiche che hanno le parole e le azioni degli educatori, e dunque ciò che è
fondamentale è che il bambino capisca cosa sta accadendo e le motivazioni dei
genitori. Il genitore autorevole è incoraggiante e lascia ampio spazio alla
sperimentazione personale, rimanendo però disponibile per chiarimenti, sostegno e
contenimento, accetta l’errore considerandolo parte del processo di apprendimento,
e grazie a questo il bambino impara a confrontarsi in modo costruttivo con le
difficoltà della vita, sviluppa maggiore sicurezza in se stesso, sente che nella vita è
possibile sbagliare e questo non pregiudica il proprio valore come persona, inoltre
impara a limitare il proprio egocentrismo e diventa cooperativo.
Ogni genitore tende a preferire uno stile educativo, ma questo non vuol dire che utilizzi
unicamente quello in ogni situazione, anzi lo stile può cambiare da un figlio all’altro, da un
giorno all’altro e anche in base alle diverse occasioni, e questo spesso non dipende solo dal
genitore, dal suo umore e da ciò che egli ritiene giusto, ma anche dal temperamento del