INTRODUZIONE
Delitto e castigo è l’opera di morte e di rinascita con la quale Dostoevskij si
afferma nel panorama letterario e fa dello scrittore uno dei più grandi romanzieri.
Il romanzo nasce da una lenta e meditata maturazione dell’autore in seguito alla
mancata fucilazione e alla terribile esperienza dell’ergastolo nelle lontane terre
della Siberia. Le steppe e i desolati monti, dove è disperso il reclusorio, acquistano
un valore iniziatico in cui lo scrittore scopre, nel suo meraviglioso popolo, il
significato originario e primitivo dell’uomo vero, non contaminato da artefatti
intellettualismi. Tutto in questo luogo riacquista un senso profondo, primordiale, e
Dostoevskij riesce quasi ad arrivare alla verità più intima dell’uomo.
Proprio nel teatro del reclusorio lo scrittore affronta un’esperienza di teatro
vero, fatto da un repertorio popolare che riprende le storie più antiche, tramandate
oralmente, dove i forzati, nella messinscena dello spettacolo ritrovano la loro
fanciullezza, il gioco più ingenuo, tutte quelle caratteristiche autentiche che
riaffermano la dignità e l’orgoglio di essere ancora uomini. Il teatro ritorna così ad
essere collaborazione, unione e condivisione, e insegna all’uomo il valore della
collettività.
Dostoevskij in questi durissimi anni è solo, distante dalla propria famiglia, dagli
amici e soprattutto dalla sua terra, ma nella lettura del Vangelo riacquista la
speranza e trova il modo per relazionarsi e per comunicare con l’animo semplice
dei forzati, abbandonando le ideologie politiche, ormai eccessivamente sporcate
da intellettualismi che distanziano gli uomini e danno origine a pericolosi
personalismi che sfociano in superbia, nichilismo e incapacità di amare.
L’origine del romanzo è fondamentale per rintracciare l’importanza del valore
religioso e popolare dell’opera, che caratterizza innanzi tutto il pensiero dello
scrittore, che in seguito alla terribile esperienza di prigionia, risulta rinnovato sul
piano artistico e spirituale.
Dosotevskij infatti diventa celebre in Francia, prima di diffondersi nel resto
dell’Europa, grazie al libro Le roman russe di V ogüé del 1886, che dedica allo
2
scrittore il capitolo La religion de la suffrance soffermandosi in particolar modo
sul tema della compassione. Delitto e castigo diventa così un testo necessario per
ritrovare i valori religiosi, indispensabile per combattere l’odio e il pessimismo
delle nuove generazioni.
Per queste caratteristiche il romanzo ritorna in maniera predominante, dopo
anni di silenzio, nella Francia degli anni Trenta e si sviluppa anche sotto altre
forme d’arte come nel cinema, ma soprattutto nel teatro. Il Delitto e castigo
adattato e realizzato da Gaston Baty nel 1933 serve appunto ad inaugurare un
teatro popolare che ha come primo scopo l’allargamento del pubblico. Baty con
questa riduzione cerca di realizzare un “teatro d’evasione” basato sull’emozione
fugace che deve unire ciascun individuo in un battito collettivo. Ognuno si deve
così riconoscere in una comunità che in questo caso è il pubblico, proprio come
avveniva nel teatro antico, con le stesse caratteristiche che Dostoevskij riscopre
nella rappresentazione realizzata al reclusorio.
Nel suo adattamento Baty cerca di riportare le profonde riflessioni sull’uomo e
sulla vita, ma per creare il suo “teatro d’evasione”, punta soprattutto sull’intreccio
poliziesco che si svolge in un ritmo incalzante. L’adattamento di Baty diventa così
una garanzia di pubblico, e anche nelle messinscene italiane di Anton Giulio
Bragaglia, Luchino Visconti e Giorgio Strehler, che utilizzano ancora questo testo,
non tradisce mai le aspettative di successo.
La scelta di Delitto e castigo realizzato da Bragaglia, sotto il regime fascista, si
presta molto bene a soddisfare le necessità del regime che punta a un teatro di
massa antiborghese capace di rivolgersi a tutti, e alla creazione di un’arte che
consolidi le basi della religione, sfruttata appunto dal fascismo come uno dei suoi
strumenti principali utilizzato per formare la gioventù all’ubbidienza e legittimare
il suo potere, contribuendo a tutelare i suoi rapporti con la Chiesa. Anche nel
dopoguerra italiano questo adattamento è utilizzato per scopi di successo e
affermazione nel panorama teatrale: da Visconti per avviare la sua nuova
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Compagnia Italiana di Prosa composta da Paolo Stoppa e Rina Morelli, e da
Strehler per allargare il pubblico dell’appena nato Piccolo Teatro di Milano.
Portare a teatro Delitto e castigo nel dopoguerra italiano non è soltanto una
necessità di affermazione nel panorama teatrale dell’epoca, ma risulta essere
molto attuale e fondamentale per denunciare la miseria che conduce l’individuo
alla nullificazione, portando il teatro a recuperare il suo ruolo sociale che si era
perso durante il fascismo. Delitto e castigo assume così un ruolo di critica sociale,
utilizzato per mettere in risalto i problemi economici dell’Italia e criticare
l’atteggiamento d’indifferenza della borghesia. Il romanzo è infatti ambientato
nella società russa degli anni Sessanta che, a seguito della guerra di Crimea,
attraversa un periodo di forte crisi economica. Il romanzo si pone così a specchio
della società russa di quegli anni, dimostrando la sua attualità anche negli anni
Trenta francesi, ma soprattutto nella crisi economica del dopoguerra italiano.
L’ambiente pittoresco e decadente che fa da sfondo al grande romanzo, è una delle
cause principali che portano Raskolnikov al delitto. La situazione di degrado
sociale della Russia del 1865 è inoltre ispirazione di tutta la vicenda relativa al
personaggio di Marmeladov che trova la sua più alta espressione nella celebre
frase: la povertà non è vizio ma la nera miseria è vizio.
La riduzione di Baty, incentrata prevalentemente sull’effetto poliziesco,
dimostra di non essere indifferente a questo aspetto, e non tralascia di dedicare
ampio spazio anche alla tematica della miseria raccontando appunto tutte le
vicende relative a Marmeladov e alla sua famiglia, e riportando numerose scene di
strada in cui si aggirano mendicanti, alcolizzati e prostitute, che contribuiscono a
descrivere l’ambiente degradato ed opprimente.
La situazione italiana risulta essere molto simile a quella della Russia degli anni
Sessanta, in quanto anche l’Italia esce sconfitta e devastata da una guerra, come un
paese completamente da rifare, sotto l’aspetto sociale, politico ed economico. La
povertà in Italia degenera in fenomeni di mendicità, di delinquenza, di
prostituzione e di alcolismo, tutte tematiche che vanno a creare l’ambiente di
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Delitto e castigo che ha un’importanza primaria all’interno del romanzo. Questo
parallelismo tra l’Italia e la Russia porta Visconti e Strehler, nelle loro
messinscene, a concentrarsi prevalentemente su questo aspetto del romanzo per
cercare di contribuire a combattere fenomeni di nichilismo, terribile conseguenza
generata da uno stato di miseria.
Visconti, più fedele all’adattamento di Baty, sceglie di inserire degli acrobati
durante il monologo di Marmeladov all’osteria e un balletto delle prostitute in
sovrapposizione della confessione di Raskolnikov a Sonia. Questi elementi di
disturbo, durante i dialoghi più importanti di tutta la pièce, hanno lo scopo di
mostrare tutto il frastuono sociale che ostacola la possibilità nei personaggi di
Delitto e castigo di trovare una coscienza. Inoltre, indirettamente, per il suo effetto
straniante e di distrazione, denuncia sottilmente la borghesia che seduta in platea
veniva maggiormente colpita da questi elementi spettacolari piuttosto che dalle
parole dei personaggi.
Ma anche lo spettacolo di Strehler punta molto sul pittoresco e sulla tematica
sociale andando a portare aggiunte direttamente sul testo di Baty, con inserimenti
ulteriori di scene di strada, popolate da mendicanti e prostitute. Il tentativo di
Strehler è di andare a mostrare l’invadenza di quel mondo che nella riduzione di
Baty viene raccontato solo in parte.
Nel romanzo infatti l’ambiente contribuisce ad accrescere il fascino della storia
che si sviluppa in una città nata dall’acqua e che esprime tutto il suo carattere
simbolico e irreale, evocatore di illusioni e generatore di fantasmi intrappolati nei
loro soliloqui e nei loro sogni, e che, chiusi nel proprio individualismo, cedono a
ideologie distruttive. L’acqua, che non viene presa in considerazione in nessuna
delle messinscene teatrali, ha in Delitto e castigo un’importanza capitale: da un
lato rappresenta il pericolo della morte, la fine e la sconfitta, ma dall’altra parte
recupera tutto il suo significato di rinascita, di riscatto e di salvezza.
L’adattabilità di Delitto e castigo a teatro la ritroviamo in primo luogo nello
spazio, in cui si possono rintracciare delle caratteristiche fondamentali che lo
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rendono adatto a una trasposizione scenica. Infatti la città altro non è che un
bunker labirintico, uno spazio chiuso e ben circoscritto, dove gli stessi luoghi
ritornano più volte all’interno della storia in un percorso cieco che il protagonista
compie quasi inconsapevolmente immerso nel proprio delirio.
L’ambiente, rappresentato in tutto il suo degrado, è l’ostacolo nel quale
Raskolnikov si deve immergere per recuperare il contatto con gli uomini e salvare
la propria coscienza. Per vincolare i suoi personaggi alla necessaria accettazione
di questo mondo, lo spazio si presenta serrato e senza via d’uscita. Ogni luogo è a
sua volta chiuso e delinea un quadro teatrale, dove gli spazi limitrofi: le scale, le
porte e le soglie, fungono da punti nevralgici in cui l’azione si carica di tensione.
Sono gli elementi fondamentali con la quale i registi, e soprattutto gli scenografi,
si sono dovuti confrontare per la messinscena di Delitto e castigo che ritrova i suoi
momenti di vibrazione proprio nei limiti spaziali. La scenografia dello spettacolo
si dimostra così fondamentale e deve saper valorizzare lo stato di tensione che si
viene a creare in certe situazioni proprio nel passaggio dalla scena al fuori scena.
La scala dell’appartamento dell’usuraia infatti, nella riduzione di Baty, si eleva
a luogo nodale, con le sue porte e le sue soglie da cui entrano ed escono i
personaggi, in un intrecciarsi continuo. Questa scena che si gioca sui limiti, tocca
tutti i punti di vibrazione spaziali, contribuendo a creare un forte stato di tensione
prolungato. In ogni spettacolo la scala è rappresentata in maniera diversa a
seconda dell’effetto che si vuole dare al pubblico e del significato che si vuole
esprimere. Baty la rappresenta con la base affondata nel suolo, come a enfatizzare
il luogo del peccato e il suo significato demoniaco e infernale, andando inoltre ad
accentuare il suo aspetto tetro con giochi di luce ed ombra. Inoltre la scala non è
posizionata in primo piano e obbliga lo spettatore a un’attenzione estrema
ponendolo nel ruolo di testimone oculare. In primo piano invece è quella di
Visconti che nella scenografia multipla realizzata da Mario Chiari, si erge alta e
infinita nel centro del palcoscenico, sempre visibile per tutta la durata dello
spettacolo, come un ricordo ineliminabile che resta nella coscienza del
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protagonista. La scala, di cui non si vede la fine, sembra salire fino al cielo,
acquistando tutto un significato simbolico dell’aspirazione di Raskolnikov a
elevarsi sul mondo e affermare una propria libertà assoluta. Ben diversa è la scala
realizzata da Bragaglia, che non è più una scala di un edificio borghese, ma
diventa una semplice e piccola scala a chiocciola che conduce a una porticina che
si affaccia direttamente sulla strada, aumentando l’aspetto pittoresco e
antiborghese nella consuetudine delle volontà fascista di un teatro popolare.
Anche il ritmo contribuisce a consolidare la forte teatralità del romanzo.
L’adattamento di Baty che divide la pièce nella successione di ben venti quadri
differenti, rischia di avere un ritmo piuttosto rallentato, a causa della forte
frammentarietà della riduzione, inadeguato a uno spettacolo che si basa su un
intreccio poliziesco. Il primo adattamento francese, che risale al 1888, e prevedeva
la successione di sole sette scene diverse, era stato appunto un fallimento per i
lunghi tempi morti dei cambi scena, che avvenivano a sipario chiuso a causa delle
limitate possibilità scenografiche. Lo spettacolo di Baty deve così rispondere
adeguatamente alle necessità di ritmo serrato e incalzante presenti già nel
romanzo. Baty si serve così di una squadra di macchinisti per realizzare un
apparato scenotecnico molto complesso, che sfrutta il palco in tre settori: il
proscenio, il palco intermedio e il fondo, quest’ultimo a sua volta diviso in due
parti. Sul fondo Baty colloca i due luoghi più importanti della vicenda realizzati
facendo all’occorrenza calare dall’alto due praticabili: la camera di Raskolnikov, il
luogo del disagio, del delirio e degli incubi, e la scala, il luogo della colpa che
ossessiona il protagonista. Il fondo della scena acquisisce perciò un significato
simbolico ben preciso e rappresenta i pensieri più profondi e la coscienza di
Raskolnikov. Il palco intermedio invece è il primo passo verso il mondo e
rappresenta il suo contatto con la società, e per ogni ambiente Baty realizza
un’alternarsi di tele dipinte, per rendere il più veloce possibile il cambio scena.
Infine il proscenio è il luogo della redenzione e della salvezza del protagonista e
7
viene utilizzato solo alla fine quando Raskolnikov davanti a tutti si accusa del
delitto e accetta così la sua croce.
Nella messinscena di Visconti e Strehler il teatro fa un altro passo verso lo stile
cinematografico con lo scopo di mantenere un ritmo veloce capace di intrattenere
lo spettatore. Questi spettacoli realizzano un’unica scena fissa e multipla che
racchiude al suo interno tutti i luoghi della vicenda: i salotti borghesi, le misere
stanze, la strada, l’osteria, il cimitero e la scala, tutti realizzati in unico spazio.
Grazie a queste scenografie l’azione prende un ritmo unico e fluido permettendo
di passare da una scena all’altra con il solo utilizzo della luce, proprio come in un
montaggio cinematografico. Visconti e Strehler cercano di ricostruire il mondo di
Raskolnikov, tutto insieme e sempre presente, che incombe sui personaggi come
un tremendo frastuono che non consente la possibilità di esprimere i propri
sentimenti d’amore. I personaggi si muovono in un mondo ben delineato dove,
come in un gomitolo intrecciato, si incontrano e si perdono continuamente.
Se nello spazio il limite è il suo punto di vibrazione, anche nel tempo si può
riscontrare un momento particolarmente significativo. Il tramonto infatti è come
un segno all’interno della giornata che si pone come momento o presagio di
morte. I registi dimostrano di aver rilevato questo importante aspetto del romanzo
e con l’utilizzo dell’intensità, del colore e della sorgente della luce cercano di dare
la sensazione al pubblico del trascorrere della giornata.
L’opera di Dostoevskij dimostra quindi di avere degli elementi spazio-temporali
perfetti per il teatro. Ma anche i personaggi hanno un volto teatrale, ma soprattutto
un andamento teatrale fatto da lunghi dialoghi e gesti lenti e solenni, ai quali
coincide un innalzamento di tensione. Il dialogo appunto è la forma principale del
romanzo, e se non fosse per il gran numero di pagine, potrebbe essere simile a un
testo drammaturgico con tutte le sue didascalie.
Per mettere in scena Delitto e castigo è necessario un grande lavoro di regia,
figura, che nella seconda metà dell’Ottocento, è ancora sfumata e non ben
consolidata, insufficiente perciò a rendere teatralmente un romanzo così
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complesso. Baty invece inaugura in Francia una regia totalmente moderna che
contribuisce anche alla nascita della regia in Italia creando tra il regista francese e
i primi registi italiani, un filo conduttore che si manifesta nella messinscena di
Delitto e castigo.
La regia di Baty è intesa come la divisione di tutti gli elementi fondamentali
dello spettacolo (la luce, il gesto, il colore, il movimento, il rumore o il silenzio)
che vengono presi uno a uno singolarmente e non in maniera gerarchica, e
coordinati in maniera attenta e scrupolosa. Delitto e castigo si avvale di un lavoro
di coordinamento straordinario, estremamente minuzioso e preciso, e non è un
caso che è stato portato in scena dai primi grandi registi italiani: Anton Giulio
Bragaglia, Luchino Visconti e Giorgio Strehler, tutti influenzati dalla regia
moderna di Baty che come un chimico isola le parti per penetrare meglio nel
significato di ciascun elemento e usarlo a colpo sicuro nell’unità rappresentativa.
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Prima parte
IL ROMANZO
Fēdor M. Dostoevskij
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1.1 La genesi e il contesto dell’opera
Delitto e castigo è uno dei romanzi più importanti nella storia della letteratura e
sicuramente il più celebre del grande scrittore russo che per trasformare l’idea nel
capolavoro finale ha impiegato ben quindici anni. Da una lettera al fratello
Michael, scopriamo che il romanzo, pubblicato a puntante solo nel 1866, nasce
nella testa di Dostoevskij già nei primi anni ’50, in un momento di forte tristezza,
tra le mura di una casa morta dispersa «nelle lontane regioni della Siberia, fra le
steppe, i monti e le foreste impraticabili
1
»:
Probabilmente tu ricordi che una volta ti parlai di una confessione, un romanzo
che avrei voluto scrivere e ricordo anche che ti dissi che mi era necessario farne
prima l’esperienza. Ora ho fermamente deciso di scriverlo senza indugiare oltre…
metterò in questo romanzo tutto il mio cuore e il mio sangue; l’ho pensato
all’ergastolo, sdraiato sul tavolaccio, in un momento di tristezza e depressione…
questa confessione affermerà il mio nome in modo definitivo
2
.
Questo periodo buio nei campi di lavoro in Siberia darà la luce a tutti i suoi
grandi romanzi e sarà per lo scrittore un rinnovamento ideologico, artistico e
soprattutto di conoscenza umana: un anno zero, un aldilà che lo porterà a rinascere
ad una nuova esistenza.
Tutto incominciò nel novembre del 1849, quando Dostoevskij veniva
condannato alla fucilazione per aver partecipato a gruppi clandestini con idee
socialiste e sovversive. Solo in extremis lo zar Nicola I aveva commutato la pena
capitale in una condanna ai lavori forzati. Dostoevskij aveva così toccato la morte
e, la paura davanti al plotone di esecuzione, aveva suscitato in lui sentimenti
d’amore: l’amore per i cari e in particolar modo per il fratello che sempre l’aveva
supportato ed aiutato, ma soprattutto un amore infinito per la vita:
1
Fëdor M. Dostoevskij, Memorie di una casa morta, Bur, Milano, 2007, p. 5.
2
Lettera di Dostoevskij al fratello Michail del 9 ottobre del 1859 cit. in Sante Graciotti e Vittorio Strada (a cura di),
Dostoevskij e la crisi dell’uomo, Vallecchi Editore, Firenze, 1991, p. 395.
11
Quando mi volto indietro a guardare il passato e penso a tutto il tempo
inutilmente sprecato, a tutto quello che ho perduto in traviamenti, in errori nell’ozio,
nell’incapacità di vivere, a quanto poco ho saputo apprezzarlo, a quante volte ho
peccato contro il cuore e contro lo spirito, il cuore mi sanguina. La vita è un dono, la
vita è felicità, ogni istante potrebbe essere un secolo di felicità. Si jeunesse savait! E
adesso cambiando vita, io rinasco in una nuova forma. Fratello, ti giuro che non
perderò la speranza e conserverò puro lo spirito e il cuore! Rinascerò per una vita
migliore. Ecco in che consiste la mia speranza e il mio conforto.
3
Di quell’esperienza di morte che aveva generato il risveglio, restò comunque il
terrore, la paura e gli attacchi epilettici che lo perseguitarono per tutta la vita. Cosa
c’era di più spaventoso di aver visto la morte in faccia? Di aver creduto che tutto
fosse finito? Ricorderà questa atrocità umana molti anni dopo nelle umili parole
del Principe Myskin:
Certo, certo! Assistere ad un tale supplizio!... Il condannato che ho visto quel
giorno era un uomo intelligente, robusto e coraggioso, già piuttosto anziano, si
chiamava Légros di cognome. Be’, lei non mi crederà, ma quando è salito sul
patibolo è diventato bianco come un cencio e si è messo a piangere. Ma è mai
possibile questo? Non è forse una cosa orribile? Chi mai si mette a piangere per il
terrore? Io non mi sarei mai immaginato che per la paura potesse mettersi a
piangere, non un bambino, ma un uomo già maturo, sui quarantacinque anni, che
non aveva mai pianto. Cosa succede in quell’istante nell’anima di quell’uomo, a
quali convulsioni cade in preda? Ė una terribile ingiustizia compiuta su un’anima
umana, e nient’altro! Sta scritto: ʻNon uccidereʼ, e invece, siccome ha ucciso,
uccidono anche lui. No, questo non è ammissibile. Ė passato un mese da quando ho
assistito a quello spettacolo ed è come se lo avessi sempre davanti agli occhi. Me lo
sarò sognato cinque o sei volte.
4
3
Lettera di Dostoevskij al fratello Michail del 22 dicembre 1849 in Gianlorenzo Pacini (a cura di), Fëdor
Dostoevskij. Lettere sulla creatività, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 32.
4
Fëdor Dostoevskij, L’idiota, Feltrinelli, Milano 1998, p. 46.
12
Nei campi di lavoro Dostoevskij non era più solo, non aveva più neanche un
minuto per se stesso e la sua famiglia era composta da assassini, banditi e
vagabondi. In quegli anni si accorge del fallimento delle idee socialiste, della loro
inutilità di fronte ai contadini. Idee che creavano un abisso tra la classe
intellettuale dominante ed il popolo e che alimentavano sempre di più il disprezzo
per i nobili. Respinge inoltre la responsabilità dell’ambiente sociale come
giustificazione criminale ed accompagnato dalla lettura del Vangelo, inizia a
credere in una responsabilità morale che risiede nella coscienza e nella dignità
sempre presente anche nell’uomo più infimo e meschino. Come se il male non
esistesse se non al proprio interno.
La lettura del Vangelo si presenta, così, fondamentale per l’anima dello scrittore
e sarà la figura di Cristo ad avvicinarlo alla fede semplice dei forzati che,
nonostante i terribili crimini commessi, ritrovavano nelle ricorrenze cristiane-
ortodosse l’amore per se stessi e il rispetto per il prossimo:
Le giornate di festa solenne s’imprimono nettamente, sin dall’infanzia, nella
memoria delle persone del popolo. Sono giorni di riposo dai loro duri lavori, giorni
di adunanze familiari. Nel reclusorio, poi, essi dovevano venir ricordati con pena,
con angoscia. Il rispetto per la giornata solenne si trasformava nei detenuti perfino in
una specie di formalismo; pochi facevano baldoria; tutti erano seri e come intenti a
qualche occupazione, sebbene molti non avessero proprio quasi nulla da fare. Ma
anche i bisboccioni oziosi si sforzavano di conservare una certa gravità… Le risate
parevano proibite. Lo stato d’animo generale era arrivato ad una specie di
meticolosità e di irritabile intolleranza, e chi turbava il tono generale, fosse pure
inavvertitamente, veniva subito messo a posto con grida e ingiurie, e contro di lui ci
si adirava come se avesse mancato di rispetto alla festa medesima. Questo stato
d’animo dei detenuti era degno di nota e perfin commuovente. Oltre questa innata
reverenza per il gran giorno, il detenuto provava inconsapevolmente la sensazione
che, con siffatta osservanza della festa, egli veniva a essere come in contatto con
tutto il mondo, che, per conseguenza, non era del tutto un uomo ripudiato, un
13
brandello tagliato via, che nel reclusorio come fra gli uomini quel giorno era
uguale.
5
Ė dunque qui che Dostoevskij scopre nelle parole del Vangelo la possibilità di
salvezza e di rinascita, la possibilità per l’uomo di riscoprire la propria coscienza.
Quelle parole erano per i forzati come un vero ed antico segreto che nascondevano
in fondo ai loro cuori, ed ecco perché anche Sonja in Delitto e castigo, prima di
iniziare a leggere i versetti sulla resurrezione di Lazzaro, trema ed è presa da
angoscia: Raskòl’nikov «capiva quanto le fosse penoso, in quel momento, scoprire
e svelare tutto ciò che era più suo»
6
.
Sono quattro anni durissimi che si dimostrano essere un periodo di svolta
fondamentale per la formazione artistica dello scrittore, un’esperienza che
influenzerà la creazione di tutti i suoi futuri personaggi. In questa esperienza
Dostoevskij conosce il popolo da una prospettiva nuova, non più guardandolo
dall’alto in basso, ma vivendo insieme al popolo stesso, condividendo con lui i
desideri e gli interessi. In questi anni viene affascinato dalla personalità complessa
del criminale e nella descrizione del forzato Orlov si possono già ritrovare i tratti
della personalità di Raskòl’nikov: «si vedeva che quell’uomo era in grado di
dominarsi illimitatamente, che disprezzava qualsiasi tormento e castigo, e non
temeva nulla al mondo. In lui non vedevate se non un infinita energia»
7
.
Ecco che nasce l’individualista e il nichilista, colui che non prova più nulla,
ossessionato «dall’orgoglio smodato, dall’alterigia e dal disprezzo verso questa
società»
8
. Una figura dominante che desidera «al più presto il potere e arricchire»
9
.
Dostoevskij viene rilasciato nel 1854 ed assegnato, come soldato semplice, al
battaglione siberiano. Una settimana prima di partire per Semipalantinsk, in una
lettera al fratello, ricorda con commozione la terribile esperienza vissuta e guarda
a quegli uomini che hanno convissuto con lui con grande ammirazione e rispetto:
5
Fëdor Dostoevskij, Memorie di una casa morta, Bur, Milano, 2004, pp. 184-185.
6
Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo, Einaudi, Torino, 1993, p. 386.
7
Fëdor Dostoevskij, Memorie di una casa morta, cit. in Sante Graciotti e Vittorio Strada (a cura di), Dostoevskij e
la crisi dell’uomo, Vallecchi Editore, Firenze, 1991, pp. 395-396.
8
Ibidem.
9
Ibidem.
14
Perfino in questi quattro anni di deportazione, in mezzo ai briganti, alla fine sono
riuscito a trovare degli uomini veri. Tu forse non ci crederai, ma c’erano dei caratteri
profondi, forti, stupendi, e che gioia mi dava scoprire l’oro sotto la rude scorza. E
non soltanto uno o due, ma parecchi. Alcuni non si potevano non rispettare, altri
erano indubbiamente ammirevoli. […] Ho vissuto a fianco a fianco con loro e perciò
penso di conoscerli a fondo. Quante storie di vagabondi e di briganti,e in genere di
tutto quel mondo miserabile e sofferente! Mi basteranno per volumi interi. Che
popolo meraviglioso! In generale non posso dire che questi anni siano stati per me
tempo perso. Se non ho conosciuto la Russia per lo meno ho conosciuto bene il
popolo russo, anzi così bene come forse pochi lo conoscono.
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Dopo il rilascio Dostoevskij ritorna a dedicarsi totalmente alla lettura: il
Corano, Critique de raison pure di Kant, Storia della filosofia di Hegel, ma
soprattutto il suo scrittore di riferimento, il suo maestro: Puskin.
Nel poema di Puskin, Gli zingari, Dostoevskij prende ispirazione da Aleko per
il protagonista del suo futuro romanzo Delitto e castigo. L’eroe del poema è
soffocato dalla società moderna che lo imprigiona nella schiavitù delle afose città.
Aleko si rifugia nell’individualismo e cerca di affermare il proprio eroismo con un
atto di volontà assoluta.
Ecco quello che annoterà Dostoevskij nei suoi quaderni negli anni ’60: «Aleko
uccise. Coscienza, che egli stesso non è degno del proprio ideale, che gli tormenta
l’animo. Ecco il delitto e castigo»
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.
Sono gli anni in cui la figura di Raskòl’nikov prende pian piano forma e si
presenta come un assassino che con il suo gesto vuole affermare una superiorità
sugli uomini, per poi scoprire che non gli appartiene e dover fare i conti con la
propria coscienza. Dostoevskij vuole scrivere una sorta di romanzo-confessione,
ma è ancora presto, manca ancora l’ambiente e lo scrittore non si decide a
cominciare. Bisogna aspettare gli anni Sessanta per delineare il contorno sociale e
10
Lettera di Dostoevskij al fratello Michael del 30 gennaio- 22 febbraio 1854 in Gianlorenzo Pacini (a cura di),
Fëdor Dostoevskij. Lettere sulla creatività, Feltrinelli, Milano, 2005, pp. 44-45.
11
Fëdor Dostoevskij, Taccuini di Delitto e castigo in Romanzi e taccuini, V ol. I, Firenze, 1963, p. 783.
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